marzo 2015 Diagnostic Update Babesiosi: Aspetti clinico-patologici e diagnostica di laboratorio Vanessa Turinelli, DVM, PhD, diplomata ECVCP, patologo clinico per IDEXX Laboratories Italia. La babesiosi canina rappresenta una delle malattie trasmesse da vettori più frequentemente diagnosticate e a diffusione mondiale (zone a clima temperato e tropicale). La prima segnalazione risale al 1893 in Sud Africa, seguita poi nel 1895 in Italia. Le babesie sono dei protozoi, parassiti intracellulari eritrocitari obbligati che provocano una sindrome clinica caratterizzata da anemia emolitica di intensità variabile. Dal punto di vista molecolare questo protozoo è stato suddiviso in grandi e piccole babesie. Delle grandi babesie, in passato denominate semplicemente B. canis e grandi fino a 5 µm, fanno parte: B. canis canis, B. canis vogeli, B. canis rossi che differiscono per la gravità dei segni clinici, il vettore, le caratteristiche genetiche e la distribuzione geografica. A queste è stata, di recente, associata una nuova bebesia ancora non precisamente identificata, descritta nel Nord America e correlata alla B. bigemina. Delle piccole babesie (< 3 µm) fanno parte B gibsoni, B. conradae, B microti-like. Attualmente in Italia sono state segnalate infezioni da B. canis canis, B. canis vogeli e B. gibsoni. La trasmissione del parassita avviene, principalmente, con il morso della zecca e per questo motivo la babesiosi ha una incidenza maggiore quando il vettore (Rhipicephalus sanguineus nelle regioni più calde e Dermacentor reticulatus in quelle più fredde) è in piena attività nell’ambiente. La zecca femmina adulta gioca il ruolo principale nella trasmissione del parassita ma anche gli stadi di ninfa e larva possono, ugualmente, essere considerati infettanti. La zecca, infatti, trasmette la babesia da uno stadio all’altro tramite la via ovarica e le uova. Questo fattore è molto importante perché rende, di fatto, le zecche veri e propri serbatoi del parassita, insieme ai cani domestici, selvatici, volpi, sciacalli, ecc. Sebbene la babesiosi sia trasmessa principalmente tramite i vettori, un potenziale rischio è rappresentato, tuttavia, anche dalle trasfusioni di sangue; pertanto, è di fondamentale importanza sottoporre i potenziali donatori ad un test di screening. La via transplacentare e la trasmissione tramite la lotta e le ferite da morso sono state messe in causa nella trasmissione di B. gibsoni. Con il pasto di sangue e attraverso l’inoculazione della saliva infetta, lo sporozoita di babesia entra nella pelle del cane, invade l’eritrocita e si trasforma in trofozoita. Il parassita si moltiplica per scissione binaria all’interno della cellula e si trasforma in merozoita dal tipico aspetto piriforme e spesso in coppia (in alcune specie). Il merozoita si può moltiplicare varie volte fino a formare 8 e più merozoiti nella stessa cellula che può anche esplodere e liberare i parassiti. Questi andranno ad infettare altre emazie. La zecca si infetta a sua volta succhiando il sangue parassitato e assumendo i merozoiti che termineranno il loro ciclo nell’intestino della zecca, raggiungendo, infine, le ghiandole salivarie. La classificazione della malattia comprende la forma semplice e quella complicata. La forma semplice è caratterizzata dall’emolisi intravascolare o extravascolare, conseguente al danno eritrocitario che si accompagna ad una risposta infiammatoria, spesso, assai severa. Successivamente si sviluppa anche una risposta immunologica che va ad aggravare il quadro clinico. L’ipossia tissutale e organica sistemica in associazione all’acidosi metabolica sono la conseguenza dell’anemia. Merozoiti di babesia canins canis nelle emazie di un cane La forma complicata si caratterizza per una sindrome da insufficienza d’organo diffusa secondaria ad una sindrome da risposta infiammatoria sistemica, a sua volta scatenata da una eccessiva produzione di mediatori dell’infiammazione durante l’iperemolisi. Queste complicazioni si manifestano attraverso una insufficienza renale acuta, citolisi epatocitaria ed insufficienza epatica, sindrome da distress respiratorio, coagulazione intravascolare disseminata, trombosi cerebrale. I cuccioli e i cani splenectomizzati, immunodepressi o affetti da iperadrenocorticismo sono quelli che manifestano una sintomatologia più grave. La velocità con cui si sviluppa e si aggrava l’anemia rappresenta un altro fattore molto importante nella manifestazione clinica della babesiosi. Il periodo di incubazione varia da una a due settimane e si può avere una forma iperacuta, acuta o cronica. Nella forma iperacuta con manifestazione improvvisa, l’emolisi è spesso intravascolare e si accompagna ad uno stato di shock da ipotensione e ipossia. I cani possono morire. Merozoiti di babesia canis canis nelle emazie di un cane Nella forma acuta si possono riscontrare numerosi segni clinici, quali: ipertermia, anoressia, debolezza, letargia, diarrea, vomito, ittero, urine color vino porto. A questi segni clinici dovuti soprattutto all’emolisi e all’anemia, si possono associare i segni clinici legati allo shock; tachicardia e acidosi respiratoria. Con il progredire della malattia anche gli altri organi sono coinvolti (milza, fegato, reni). Senza una adeguata terapia il paziente può morire. Nella forma cronica i segni clinici più evidenti sono l’ipertermia transitoria, la perdita dell’appetito e le ridotte performance. L’emolisi in questi casi è a predominanza extravascolare e determina una splenomegalia associata ad ittero. Le principali alterazioni clinico-patologiche sono rappresentate dall’anemia emolitica fortemente rigenerativa, leucocitosi neutrofilica con o senza deviazione a sx, iperbilirubinemiabilirubinuria, emoglobinemia-emoglobinuria. La trombocitopenia è assai frequente e può essere secondaria a distruzione immunologica, sequestro splenico o consumo in seguito a coagulazioni diffuse da danno vascolare (DIC). Gli enzimi epatici possono aumentare in seguito a ipossia sistemica così come può presentarsi azotemia, proteinuria e cilindruria da danno renale. L’elettroforesi può risultare alterata con ipoalbuminemia e iperglobulinemia. La diagnosi di babesiosi si basa sull’anamnesi del paziente (area in cui vive o storia di viaggi all’estero, in zone endemiche), sui segni clinici, sulle alterazione degli esami di laboratorio e su indagini diagnostiche specifiche. Queste possono essere dirette, volte ad evidenziare la presenza del parassita nell’ospite ed indirette tramite il riconoscimento di anticorpi. La ricerca delle babesie negli eritrociti tramite esame citologico del sangue è stata considerata il “gold standard” diagnostico per molti anni. Questo metodo risulta davvero efficace quando la parassitemia è moderata o elevata. Tuttavia, non è stata ancora evidenziata una correlazione diretta tra intensità della parassitemia e gravità dei segni clinici. Inoltre, è possibile che tra due picchi di parassitemia le babesie siano poco numerose e, pertanto, non facili da ritrovare nello striscio. In questi casi si consiglia di prelevare sangue capillare periferico (ad esempio, nel padiglione auricolare) per aumentare la sensibilità dell’esame microscopico. L’utilizzo della biologia molecolare, attraverso la PCR rappresenta un metodo diagnostico molto sensibile e raccomandabile soprattutto nei casi in cui la parassitemia è bassa, nei soggetti portatori o in quelli con infezione cronica. La PCR può essere eseguita sul sangue in EDTA; un suo esito positivo indica una infezione e autorizza l’inizio di una terapia specifica. I test sierologici disponibili si basano sulla metodica di immunofluorescenza (IFA) e poiché gli anticorpi possono persistere a lungo in un paziente anche dopo risoluzione della malattia è necessario ripetere l’esame dopo 2 – 3 settimane per valutare l’avvenuta sieroconversione. Se il titolo anticorpale è aumentato di circa 4 volte, allora siamo di fronte ad una infezione attiva. Molti soggetti possono risultare sieropositivi ma clinicamente normali, pertanto, la sola sierologia non può essere utilizzata per emettere una diagnosi definitiva. Le grandi babesie sono comunemente ed efficacemente trattate con Imidocarb dipropionato. Le piccole babesie, invece, risultano resistenti a questo chemioterapico e possono essere trattate con Diaminazene aceturato oppure con associazioni di antimalarici e macrolidi. Terapie di sostegno, quali trasfusioni di sangue, antinfiammatori o terapie immunosoppressive possono essere necessarie. È importante sottolineare che, anche se clinicamente guariti, molti pazienti rimangono portatori di babesie e possono subire ricadute in seguito ad eventi stressanti o a stati di immunosoppressione. La prevenzione risulta, quindi, di fondamentale importanza. Diagnostic Update Per approfondire l’argomento • Ano et al. detection of Babesia species from infected dog blood by polymerase chain reaction. J Vet Med Sci (2001); 63: 111-113. • Ayoob, et al. Clinical management of canine babesiosis. J Vet Emerg Crit Care (2010); 20: 77- 89 • Birkenheuer, et al. 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IDEXX Laboratorio di riferimento Via Guglielmo Silva, 36 20149 Milano Tutti i marchi ®/TM sono di proprietà di IDEXX Laboratories, Inc. o di suoi associati negli Stati Uniti e/o in altri paesi. La politica di tutela della privacy di IDEXX è disponibile sul sito idexx.it © 2015 IDEXX Laboratories, Inc. Tutti i diritti riservati · 1502078-0215-IT Numero verde 800 917 940 opz. 1 Numero verde fax 800 906 945 [email protected] www.idexx.it