diagnosi e trattamento di peritonite postoperatoria in pazienti

DIAGNOSI E TRATTAMENTO DI PERITONITE POSTOPERATORIA
IN PAZIENTI SOTTOPOSTI A INTERVENTO CHIRURGICO DI
LAPAROALLOPLASTICA LAPAROSCOPICA
In letteratura sono descritti casi di peritonite postoperatoria dopo interventi di
laparoalloplastica laparoscopica. La causa più frequente è data dalle enterotomie
incidentali misconosciute durante l’intervento.
L’enterotomia viene definita come una penetrazione transmurale di qualsiasi porzione
intestinale [8]
La peritonite può essere facilmente prevenuta nel momento in cui l’enterotomia è
riconosciuta in sede di intervento.
Ogni paziente che ha, nel postoperatorio, un decorso anomalo e soprattutto nel caso in
cui lamenti addominalgie severe, distensione addominale o sviluppi febbre, deve essere
prontamente valutato nel sospetto di una possibile enterotomia, in particolare se è
stata effettuata un’ estesa adesiolisi.
In uno studio [7], l’enterotomia si è manifestata con uno shock settico e il paziente è
deceduto per il rapido evolvere dello shock.
Particolare attenzione va posta nei confronti dei pazienti che hanno subito più di due
interventi di chirurgia addominale, in quanto il rischio di enterotomia è in stretta
correlazione con l’adesiolisi da esiti di pregressi trattamenti chirurgici.
Mentre il sieroma è considerato la più frequente complicanza minore della
laparoalloplastica laparoscopica, l’enterotomia viene ritenuta la più comune
complicanza maggiore di tale intervento [1], pur rimanendo piuttosto rara (0-6% a
seconda dei lavori).
In [1], sono state descritte 4 enterotomie, di cui due sono state riconosciute
intraoperatoriamente e hanno richiesto la conversione laparotomica, mentre le altre
due si sono manifestate nel postoperatorio. Uno di questi ultimi due pazienti ha
sviluppato una sepsi ed è deceduto.
In uno dei 4 pazienti l’inserimento del trocar da 5 mm ha causato una lesione da parte
a parte del colon trasverso; in questo caso si è ritenuta necessaria la conversione
laparotomica, la riparazione dell’enterotomia e quindi dell’ernia senza posizionamento
di alcuna rete protesica.
In un altro paziente, l’enterotomia si è verificata durante una estesa adesiolisi; il
trattamento è consistito in una laparotomia con resezione ileale. Poiche si è
constatata una contaminazione evidente della cavità addominale con perdita di
materiale enterico dall’enterotomia, si è optato per una riparazione dell’ernia con
protesi 6 mesi dopo, senza alcuna complicanza postoperatoria.
Un terzo paziente si presentava con un ascesso e una fistola colo-cutanea tre
settimane dopo la riparazione laparoscopica e l’estesa adesiolisi. Si procedeva quindi a
laparotomia esplorativa, rimozione della rete, adesiolisi e resezione del colon
trasverso. La parete addominale in questo caso veniva richiusa senza posizionamento
di rete e non si osservavano recidive di laparocele al follow-up 12 mesi dopo.
Il quarto paziente, che era stato dimesso in prima giornata postoperatoria, veniva
ricoverato nuovamente diverse ore dopo per intense algie addominali e sepsi.
L’esplorazione chirurgica dimostrava una soluzione di continuo del piccolo intestino e
un infarto intestinale interessante un buon tratto del colon. Nonostante l’ampia
resezione intestinale, il paziente sviluppava una MOF con decesso due mesi dopo il
primo intervento.
Se un’enterotomia si verifica durante una adesiolisi, è possibile ripararla in
laparoscopia, in relazione alla natura e alla gravità della lesione. Nella maggior parte
dei casi, tuttavia, è necessaria la conversione laparotomica.
L’ernia va riparata con una sutura riassorbibile (Vicryl) seguita dal posizionamento
della rete diversi mesi dopo. Il posizionamento della protesi convenzionale dovrebbe
essere evitato per via della potenziale infezione della rete stessa. Alcuni hanno
utilizzato una protesi biologica, ottenendo una riparazione efficace senza rischio di
infezione.
Ai fini di minimizzare il rischio dell’enterotomia [2], è consigliabile evitare l’utilizzo di
qualsiasi “fonte di energia” nelle strette vicinanze dell’intestino durante l’adesiolisi. E’
preferibile l’energia a ultrasuoni che disperde calore in quantità minima.
Alcuni [3] ritengono che un’ adeguata preparazione intestinale onde evitare
contaminazione da materiale enterico in caso di enterotomia sia in realtà di relativa
importanza, mentre ritengono fondamentale convertire in caso di tenaci aderenze e
non insistere nel proseguire in laparoscopia se le condizioni non lo consentono.
Ai fini di un corretto approccio terapeutico, è’ bene distinguere le enterotomie del
grosso da quelle del piccolo intestino [4, 5,7], queste ultime più frequenti delle prime
[9]: se la lesione interessa il colon o se è presente una contaminazione fecale, è
preferibile suturare la perforazione, procedere a una toilette e posizionare la protesi
in un secondo tempo. Se, invece, si tratta di una enterotomia del piccolo intestino,
senza contaminazione fecale della cavità addominale, in letteratura viene suggerita
una riparazione della lesione in laparoscopia e il corretto posizionamento della rete.
In diversi studi, si è osservato che la probabilità di causare un’enterotomia è maggiore
nei primi casi trattati, suggerendo che l’esperienza del chirurgo aumenta la probabilità
di successo e riduce il rischio [6] e dimostrando che l’impatto della curva di
apprendimento è inaspettatamente elevato. In questo studio, si è osservato che l’unico
dato rilevante che è statisticamente migliorato durante la curva di apprendimento è
l’incidenza delle enterotomie nei primi 32 casi confrontati con i successivi 32 casi.
Il riconoscimento di un’ enterotomia può essere talvolta molto complesso in sede
intraoperatoria, a causa della presenza del pneumoperitoneo. Il valore del drenaggio
addominale è ancora discusso, in quanto viene rimosso in prima o seconda giornata
postoperatoria [7].
La probabilità di un’enterotomia in LPS è maggiore che in chirurgia open [10]