Ri-nascere nel gruppo

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RI-NASCERE NEL GRUPPO
Riza Psicosomatica – Luglio 1986
L.Paola Pacifico - Leonardo Marletta
L'esperienza della nascita come rito di passaggio, come rito iniziatico, può essere
"rivissuta" con sorprendenti effetti liberatori. Gli autori spiegano in questo articolo le
premesse antropologiche della tecnica. Una partecipante del gruppo racconta poi le
sensazioni e i sentimenti suscitati dalla singolare esperienza di ri-nascere.
Nelle società arcaiche primitive la nascita, il parto, e anche il concepimento, non erano
soltanto avvenimenti biologici. Il processo genetico era strettamente connesso a una
ampia area di valori mitico-religiosi poiché in quelle culture non era ancora avvenuta la
dicotomia tra conoscenza, esistenza e rappresentazione religiosa e mitica della realtà.
Nelle culture superiori la nascita era vissuta come rito di passaggio che introduceva il
neonato da uno stato di non essere a quello di essere e nelle iniziazione la nascita era
simbolica per l'acquisizione di personalità sociale, ideologica.
La differenza tra riti di passaggio e riti iniziatici era che i primi segnavano prevalentemente
il cambio di status individuale, mentre le iniziazioni indicavano il cambiamento di
appartenenza sociale al gruppo.
Secondo A. Van Gennep, etnologo nato in Francia nel 1873, i riti di passaggio sono quelli
che presiedono al passaggio materiale da un luogo all'altro (territorio straniero, soglia della
casa, confine, ecc.) e quelli che tutelano, con una serie di azioni cerimoniali individuali, i
momenti fondamentali di "crisi" presenti nel ciclo vitale di un individuo: nascita, morte,
matrimonio, ecc.
Sia una malattia che un parto erano considerate situazioni di "crisi" da cui era necessario
uscire con riti di riscatto e di liberazione dalle impurità provocate dalla crisi stessa.
Ad esempio, nella zona australiana del Kimberley, gli abitanti usavano il canto per
accelerare il parto e per fermare le eventuali emorragie. Ma il canto, che doveva essere
eseguito da donne vergini o da sciamane, aveva la funzione soprattutto di accogliere l'anima che, incarnatasi nel concepimento, s'impattava con il mondo.
Il tema mitico ricorrente in quei riti era quello della reincarnazione che ipotizzava la
continuità delle esistenze con la trasmigrazione delle anime. In base a queste ipotesi la
morte non era sentita come una fine, ma un rito di passaggio, un inizio verso un altro
modo di essere.
La nascita come iniziazione
La nascita come iniziazione si riferiva all'avvenimento biologico soltanto quando con un
intervento sovraumano era un eroe totemico o un dio celeste a creare un bambino e a
porlo nel ventre della madre. La funzione del maschio era di aprire un varco nella vagina e
null'altro, poiché gli spiriti bambini erano già creati e depositati in un particolare luogo, al
cui contatto la donna li inglobava.
Gli stessi bambini venivano poi a conoscenza della loro origine mitica o del proprio totem
concezionale. Era iniziazione anche la nascita derivante da un concepimento provocato
dalla discesa di uno spirito grazie a un intervento sciamanico.
Salvo queste eccezioni l'iniziazione è tale soprattutto quando vi è una nascita simbolica e
non collegata al momento fisico. Questo termine va esteso a quell'insieme di riti,
cerimonie, esperienze fisiche che accompagnano il passaggio da uno stato all'altro.
Il denominatore comune di tutta l'ampia serie di fatti dell'iniziazione è il complesso rituale
e ideologico della morte-rinascita dell'iniziando attraverso una fase di esperienze e di
finzioni cerimoniali che corrispondono all'abbandono di uno stato (morte) e all'acquisizione
di un nuovo status (nascita).
E’ iniziazione il passaggio da un gruppo (culturale o militare) fondato sull'età a un altro
gruppo superiore sempre fondato sull'età; l’entrata di un adepto in gruppi chiusi, società
segrete, associazioni di sole donne o di soli uomini; la qualificazione di maschi e di
femmine all'interno di una cultura, come accadeva per gli sciamani e le sciamane quando
avevano il "dono" all'attitudine sciamanica. Questa attitudine si presentava in forma di
malattia ereditaria, tipo l'epilessia, le cui reazioni si calmavano soltanto quando lo pseudosciamano suonava un certo tipo di tamburo. Con quel tipo di suono il soggetto "prendeva
contatto" con gli spiriti. In tal modo realizzava la sua innata attitudine e stava
temporaneamente bene. Ma per diventare sciamano il soggetto che aveva il "dono",
doveva fare un tirocinio con anziani maestri per rendere il suo dono arte conseguendo il
dominio e l'utilizzazione volontaria delle sue facoltà. Soltanto dopo il lungo tirocinio un
rituale iniziatico lo qualifica sciamano.
Iniziatici erano soprattutto tutti quei riti compiuti dai giovani che avevano raggiunto la
maturità fisiologica e sessuale. Queste iniziazioni puberali o tribali si servivano di rituali
profani. I neofiti venivano separati dalla madre, isolati in una zona separata del villaggio
ed erano affidati agli anziani che imponevano loro prove durissime e impartivano al gruppo
di giovani l'insegnamento delle verità tradizionali. I giovani erano poi sottoposti a riti
liberatori delle cariche negative e pericolose per la loro società, che in quelle prove
dovevano superare. Rientravano poi da adulti e senza paura nel gruppo sociale, con una
personalità rafforzata e integrata.
Le iniziazioni con rituali sacri prevedevano lo stesso drammi di morte e di nascita, ma
l'incontro col sacro era considerato un viaggio dell'anima per acquisire un livello di
coscienza più elevato e rientrare nel gruppo con ruoli nuovi e personalità più forte.
Dagli studi sulle profonde differenze funzionali dei vari rituali sono emerse tre classi:
1)
iniziazioni a gruppi o a classi di adulti;
2)
iniziazioni a società segrete;
3)
iniziazioni a società religiose.
Nelle prime prevale l'esperienza della socialità, l'assunzione dell'iniziato nel corpo sociale,
mentre nelle altre prevale l'esperienza personale di chi vi si sottopone.
La nascita come drammatizzazione.
L'esperienza simbolica della nascita da noi proposta nel gruppo di sviluppo personale ha lo
scopo:
1) di modificare l'esperienza precedente, quella reale, quando è "ingrammata" nelle cellule
come sgradevole;
2) di siglare con l'azione del corpo (corpo-dramma) il mutato cambio di atteggiamento
verso gli altri.
Le condizioni sono:
a) procedere coralmente verso gli stessi scopi è la prima condizione per cui un insieme di
soggetti, pur nella diversità di ceto sociale, di età, di cultura, può definirsi gruppo.
b) disponibilità di tutti i partecipanti al coinvolgimento emotivo che è sempre la
conseguenza del coinvolgimento corporeo, del far passare da sè l'esperienza. Questa
condizione richiede l'omogenizzazione dei ritmi. intesa come empatia.
c) ritualità, come momento sociale e non individuale e come tipo di linguaggio che
esprime realtà che non possono essere tradotte in parole.
Il gruppo cosi formatosi diventa una concreta circostanza in cui è possibile far agire il
singolo al livello più alto delle sue possibilità e il gruppo stesso in modo più efficace
rispetto all'obiettivo che gli è proprio.
L'esperienza della nascita simbolica è in questo senso una nascita di gruppo che ha come
riferimento culturale l'iniziazione nel senso che il denominatore comune è lo stesso: il
complesso rituale e ideologico della morte-nascita che corrispondono all'abbandono di uno
stato per l'acquisizione di un altro, sia individuale che collettivo.
L'esperienza della nascita simbolica
L’esperienza della nascita simbolica è, tra le tecniche proposte in un itinerario di crescita,
un percorso da compiere, per ciascun partecipante, in un simbolico utero formato da circa
dieci metri di grossi palloni di gomma morbidi tenuti stretti e pressati da tutti gli altri
partecipanti e adagiati su una moquette.
Il partecipante deve attraversarlo con determinazione e sforzo aprendosi un varco tra i
palloni che premono sul proprio corpo. L'adulto che ha deciso di uscire dal tunnel delle
paure, di camminare da solo senza indecisioni, di conquistarsi il sollievo di un nuovo stato,
non chiede clemenza. Sa di non essere aiutato dagli altri ma sa anche che gli altri
partecipano, fanno corpo con lui.
Ed è in questa partecipazione che egli trova il piacere di avanzare e di esistere. Le mani, le
braccia che premono sulle sfere di gomma, saranno le braccia calde che poi lo
accoglieranno al termine della sua fatica. Dopo potrà lui stesso aiutare gli altri a nascere.
Cosi come è stato per lui. Le braccia calde diventano l'accoglienza della vita attraverso
l'ambiente che partecipa, che patisce con lui.
Questa calda entrata nel mondo in seguito fa avviare rapporti migliori, cosi come descrive
una partecipante a testimonianza del suo cambiamento: " ... quelli che io chiamo progressi
non si limitano alla voglia di sorridere e di muovermi di più. C'è dell'altro e cioè che sono
migliorati i rapporti con le persone e soprattutto quei rapporti che io ritenevo più spigolosi.
Mi riferisco alla mia. famiglia. Non voglio rifare un'analisi su questa famiglia "senza regole"
perché ne siete fin troppo al corrente, voglio solo accennare qualche particolare che
ritengo importante. Sento mia madre molto solidale e molto vicina; anche se non riesco a
toccarla io, lei a volte ci riesce. Mi sembra di recepire le sue offerte che forse sono poche
ma sono tutto ciò che ha. Questo è un argomento un po' difficile ... mi viene da piangere e
non so perché, forse perché non me ne sono accorta prima. Mi chiedo perché siano stati
sempre i rancori e la rabbia a prevalere nei confronti di chi amo di più. In questi giorni mia
madre mi ha raccontato una storia che avevo sentito 100 volte e che 100 volte avevo
dimenticato: <Chiedevo permessi per venire ad allattarti e me ne facevano una colpa ...
arrivavo sempre tardi e tu strillavi per la fame e quando finalmente potevi mangiare, urlavi
ancora più forte e non ne volevi più per la rabbia ... cosi io tornavo al lavoro in ritardo e
piangevo>.
Questo è quanto ho continuato a fare in tutti questi anni, rimproverare a mia madre di non
essere stata presente a risolvere i miei problemi quando ne avevo bisogno. E sono ancora
arrabbiata, ma come faccio a non giustificarla? Come faccio ad attribuirle le colpe dei miei
mali? Non posso più farlo e queste dieci righe le ho scritte piangendo tanto da non vederci
niente ... non mi illudo di aver risolto le ansie di una vita verso chi pur senza volerlo me le
ha create, credo però di incominciare a sentire dentro di me altri suoni e non solo i colpi
della sepoltura”.
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