Capitolo 1
Individui e società:
punti fermi dall’economia preindustriale
1.1. L’organizzazione sociale come interazione tra individui
La maggioranza dei manuali economici e giuridici esordiscono rilevando che l’uomo è un animale sociale, ripiegandosi poi sulle particolarità dei rispettivi settori1, prima di riflettere sulle implicazioni
di questa “socialità” e sul senso cui riferirle il concetto di “scienza”.
Senza queste riflessioni si resta al punto di partenza, come conferma
uno sguardo all’indietro, nella storia dell’uomo, dove qualcosa sembra cambiare radicalmente e qualcosa è sempre uguale2.
Le costanti sembrano la necessità di soddisfare alcuni bisogni materiali, ed il bisogno spirituale di dare un senso alla vita. Tutti obiettivi che, in gruppo, si realizzano meglio, tanto che nessuno può dirsi
davvero autosufficiente rispetto all’interazione coi suoi simili, anche se
neppure li incontra. Persino il misantropo, che non vuole mai vedere
nessuno, quando apre il rubinetto, accende la luce, manda un domestico a fare la spesa, dipende dagli altri3. Lo stesso Robinson Crusoe, sulla
sua isola, sopravvisse grazie a merci trovate su un relitto naufragato;
non a caso, all’epoca delle esplorazioni navali, l’abbandono in una terra sconosciuta equivaleva alla morte, evitabile solo con la benevolenza
dei “selvaggi”, cioè grazie ad altri gruppi sociali. Questa dipendenza
dagli altri si ritrova in quei film di fantascienza dove una strana ma1
Una particolarità di dettaglio, spesso aridamente tecnicistica, come vedremo al
capitolo quinto.
2
Vengono in mente l’Essere e il divenire, le intuizioni di Parmenide ed Eraclito.
Macroscopiche differenze di valori e stili di vita si accompagnano all’immutabile ciclo
delle nascite e delle morti. Dopotutto gli esseri che ci hanno preceduto, indipendentemente dal modo di vivere, dai loro sentimenti, dalle loro religioni hanno qualcosa
in comune: sono nati, sono stati insieme e sono morti. Ce n’è abbastanza per trovare
molti fili conduttori dell’organizzazione sociale.
3
Essere “animali sociali” non vuol dire “essere socievoli”, ed anzi anche la violenza o la prevaricazione sono forme di socialità.
La socialtà
dell’uomo
e i rapporti
sociali come
punto
di partenza
L’interipendenza
dagli altri
4
I fuorvianti
interrogativi
di fondo sui
rapporti tra
l’individuo e la
società
Le varie forme
di utilità sociale,
anche virtuale,
degli individui
Parte i – Aspetti strutturali dell’organizzazione sociale
lattia improvvisamente riduce il genere umano a pochi individui, che
devono fronteggiare una serie di bisogni in precedenza soddisfatti attraverso l’organizzazione collettiva.
In questa socialità dell’uomo possono individuarsi alcuni punti
fermi, indipendenti dai sistemi di valori e dai modi di produzione,
a partire dalla dialettica tra individui e gruppi di individui, dove
“la società” non è un’entità sovrumana, “aliena”, ma l’insieme delle
persone che la compongono. Sono quindi fuorvianti le alternative
di fondo, in cui ci si chiede, magari retoricamente, se “la società è
fatta per l’uomo, o l’uomo per la società”4. Perché non c’è la società,
che consiste solo in un “insieme di altri soggetti”, che interagiscono
tra di loro. Ognuno di essi, in estrema semplificazione, dovrebbe
dare qualcosa agli altri e prendere da loro qualcosa5. Ognuno di
noi è “un altro”, agli occhi degli altri, che formano “la società”; la
quale appunto tranne una piccolissima e tutto sommato insignificante
eccezione6 è composta da “altri”, i cui bisogni e desideri individuali
limitano inevitabilmente i nostri7.
Ci sono però tanti modi di “dare”, di rendersi utili agli altri, anche
senza neppure saperlo, magari semplicemente svolgendo una funzione organizzativa, potenziale, o virtuale, di prevenzione dei conflitti, di
consiglio, di placebo, di selezione e trasmissione di idee e di valori in
cui gli altri credono. Anche possedere senza fare nulla, per ragioni di
nascita, può essere, in molti casi utile all’organizzazione sociale rispetGli interrogativi sulla società per l’uomo o l’uomo per la società ricordano
invece quelli di un conduttore televisivo chiamato Marzullo, tipo “la vita è un
sogno o i sogni aiutano a vivere meglio?”. Vedremo al quinto capitolo in quale
misura le scienze sociali debbano francamente confrontarsi con considerazioni
“tipo-Marzullo”.
5
Questo scambio veniva riassunto riduttivamente da slogan fuorvianti tipo “a
ciascuno secondo i suoi bisogni e da ciascuno secondo le sue possibilità”, che dissuadeva dall’impegno e dal lavoro, rendendo conveniente farsi furbi dimostrando di
avere tanti bisogni per cui ricevere e poche possibilità per dare. Pur essendo grossolano, questo slogan coglie la centralità del rapporto tra “individuo” e “altri individui”.
Dove i parametri distributivi sono diversi, e solo alcuni “nobili”, come i meriti, la
discendenza, la furbizia, l’impegno, la fortuna, la spregiudicatezza, l’imbroglio e tanti
altri. Una definizione cinicamente riduttiva della società, del gruppo sociale è quella
di luogo “dove ognuno cerca di vivere alle spalle degli altri”. Entrambe, come tutte le
riflessioni sull’organizzazione sociale, colgono pezzi di realtà, ma ne trascurano altri,
soprattutto l’intuitiva efficienza paretiana, o (par. 4.1) Benthamiana, cioè l’equilibrio
tra quello che si dà e quello che si prende, che massimizza il benessere comune.
6
Appunto da noi rappresentata, secondo una riflessione tratta dalle c.d. “leggi di
Murphy”.
7
Anche per questo si dice che la libertà di ciascuno incontra il limite della libertà
degli altri.
4
Capitolo 1 – Individui e società: punti fermi dall’economia preindustriale
5
to a soluzioni diverse, più disordinate e destinate, alla fine, a ritrovarsi
al punto di partenza.
Le relazioni con gli altri sono talvolta cementate dagli affetti, come
nelle famiglie, altre volte basate su comuni interessi di difesa esterna
e sicurezza interna, sulla comunanza di un valore religioso, di interessi economici8 o credenze ideologiche9; persino nel condominio, nelle
associazioni di categoria, nei gruppi criminali troviamo questo bisogno associativo degli uomini10. Tanto è vero che l’espressione “società”
esprime la sintesi degli individui e dei gruppi sociali, territoriali, economici, politici, ideologici che vi operano11. Man mano che la società
diventa più complessa, i gruppi diventano numerosi, intrecciandosi tra
di loro, oppure scomparendo quando vengono meno gli individui che
li compongono, i cui valori e le cui convinzioni non sono ereditati da
altri (anche le religioni e le lingue scompaiono, come gli uomini).
Quest’interazione tra individuo e altri individui si colloca anche
sul piano delle concezioni del mondo, delle scale di valori, del senso
della vita, delle priorità nell’organizzazione sociale. Tutti punti di
vista di altri individui, e non di una fantomatica società trasformata
in un “omone” dotato di una volontà propria, diversa da quella di
“altri individui variamente raggruppati”. La dialettica corretta non
è quella “individuo-società”, ma quella tra “noi e gli altri”; capire,
nelle varie situazioni, quali variabili influenzano il comportamento degli altri è il succo delle scienze sociali. Vedremo al capitolo 5
(spec.te. par. 5.5) che le scienze sociali hanno per oggetto lo studio
8
Sull’azienda come gruppo sociale vedi cap.2, anche per distinguerla dall’azienda
in senso materiale, come inanimato complesso di beni.
9
Con cui si cerca di superare la nostra precarietà attraverso credenze, sogni e
illusioni, spesso più importanti della realtà, come diceva Huizinga. Il tormentone
di Shakespeare secondo cui “noi siamo fatti della stessa sostanza di cui sono fatti i
sogni”, riecheggia in T.E. Lawrence (i sette pilastri della saggezza) All people dream,
but not equall..etc.etc, e nel passaggio di Blade Runner, “tutti questi momenti andranno perduti nel tempo come lacrime nella pioggia..è tempo di morire”. L’idea della vita
come insieme di sogni destinati forse a svanire per sempre è una sensazione diffusa
in ogni tempo e luogo, una delle tante riflessioni umane che costituiscono la materia
prima degli scienziati sociali, nei termini indicati al par. 5.5.
10
Questa pluralità di gruppi sociali, interdipendenti tra loro, comporta anche
quella “pluralità di ordinamenti giuridici, arricchitasi negli ultimi decenni con le organizzazioni internazionali tra stati. L’intuizione è riferita a Santi Romano, giurista
italiano della prima metà del secolo ventesimo, uno di quelli che si resero conto di
quanto diremo al par. 5.3, sull’impossibilità di esaurire il diritto nella legislazione e
negli altri “materiali”..
11
La società, per capirsi, è fatta di “piccole società” tra loro collegate secondo
profili diversi, come indicato nel testo.
La pluralità di
gruppi sociali
e “la società”
come loro
aggregazione
I
condizionamenti
reciproci
6
Capire gli
individui per
capire il gruppo,
capire il gruppo
per capire gli
individui
Parte i – Aspetti strutturali dell’organizzazione sociale
dei comportamenti, l’interazione tra gli individui12, che discutono,
si scontrano e si convincono a vicenda, in processi influenzati dalle
pulsioni, dai bisogni, dalle illusioni e dai sogni, di cui è in buona
parte fatta la vita dell’uomo.
Vedremo al capitolo 5 che le scienze sociali sono un residuo di quelle antiche riflessioni con cui gli uomini cercavano di spiegare l’universo
attraverso se stessi. Dopo che la fisica ci ha mostrato la fallacia di queste
spiegazioni, alle scienze sociali resta solo da spiegare l’organizzazione
degli uomini le loro variabili scale di valori, ovviamente “relativi”13, ma
importanti e tutelati; perché i valori sono avvertiti dagli individui, ma
esistono nella misura in cui altri individui li riconoscono, e cooperano
alla loro realizzazione. Ancora una volta il condizionamento reciproco
appare il filo conduttore dell’organizzazione sociale, e ci costringe a
capire gli individui per capire il gruppo, e a capire il gruppo per capire
gli individui. In questo modo si sdrammatizza la contrapposizione tra
tesi individualiste ovvero collettiviste14, perché il gruppo non è una entità antagonista rispetto agli individui, ma solo un insieme di individui
fluido, continuamente rinnovato con le nascite e le morti.
1.2. Consenso contrattuale e consenso politico: la selezione della
classe dirigente
Tipologie di
rapporti
interpersonali e
di consenso
Tipologie di
aggregazione
sociale: gruppi
ad appartenenza
volontaria
All’interno dei gruppi, gli individui si scambiano reciprocamente conforto materiale e morale, dal cibo, ai servizi, all’affetto, all’amicizia, per
cui è richiesto un apporto sentimentale, e che quindi non si possono
comprare, almeno direttamente. Si creano insomma nella convivenza
sociale vari livelli organizzativo-spirituali, attorno a un territorio, una
stirpe, una fede religiosa, una attività economica.
Nello scambio individuale ognuno valuta le proprie convenienze,
quello che prende e quello che dà. Nei già indicati gruppi ad appartenenza volontaria, come le comitive di amici, le comunità religiose
o i circoli culturali e sportivi, la pietra di paragone è la soddisfazione
12
Credo che il concetto di interazione sia più chiaro di quello di “dialettica”, e la
ritroveremo ad esempio tra stato e mercato, tra opinione pubblica e politica, tra vari
settori dell’organizzazione aziendale, e in tanti altri luoghi, come se fosse un riflesso
sociale dell’organicità della natura.
13
Vedremo al par. 5.1 che, in una dimensione sociale, tutti i valori sono relativi,
anche se di volta in volta molto importanti, ma per ora non divaghiamo.
14
Per una ampia esposizione di questi diversi modi di guardare ai comportamenti
sociali, DI Nuoscio, Il mestiere dello scienziato sociale, Liguori, 2006, soprattutto
capitolo settimo, con ampi riferimenti.
Capitolo 1 – Individui e società: punti fermi dall’economia preindustriale
7
reciproca e chi vuole è libero di andarsene15. Anche qui si capisce però
l’impossibilità, tipica di tutti i gruppi sociali, di confrontare col bilancino quello che ognuno prende dagli altri e quello che ciascuno dà agli
altri, anche perché si tratta di rapporti di lungo periodo.
Nei gruppi ad appartenenza volontaria, il biasimo resta morale, ma
diventa anche formale nei gruppi cui si deve appartenere se si possiede
un certo bene, come il condominio, o se si esercita una certa attività, come gli ordini professionali, i consorzi obbligatori o le camere
di commercio. Su questa strada si arriva ai gruppi di cui si entra a far
parte senza saperlo neppure, per il semplice fatto della nascita, come
avviene per la famiglia, il clan, la casta, la tribù, e lo stato. Questi ultimi
sono i gruppi “politici”, cui storicamente erano affidati i rapporti con
gli altri gruppi (difesa), la sicurezza interna e la giustizia. Il gruppo
politico diventa quindi il protettore dei singoli dal pericolo esterno, e
il contenitore delle relazioni bilaterali tra i singoli, il garante dell’incolumità personale e di quella patrimoniale, come vedremo di nuovo al
par. 1.3.
Vediamo ora come si seleziona la classe dirigente del gruppo sociale, che è il problema di base della politica. Finchè il gruppo è molto
piccolo, l’attribuzione dei compiti, e il riconoscimento dei ruoli, può
avvenire in base a una condivisione spontanea, a un riconoscimento
reciproco delle rispettive capacità. Si trattava, nella preistoria, prima di
tutto di capacità fisiche, in prima battuta di forza, poi di abilità nel creare e nell’utilizzare attrezzi, nel conoscere modalità di sopravvivenza o
fenomeni della natura; man mano che i gruppi diventavano più numerosi, subentravano le abilità organizzative di persone, di valori, di illusioni, di miti16, di ambizioni, di paure. L’organizzazione di tutti questi
profili creava assetti di consenso, e potrebbe essere chiamata per brevità “organizzazione del consenso”. Ne derivava un insieme di compiti,
di deleghe e di potere, che esprimeva una “classe dirigente”, coi suoi
sistemi di cooptazione e di ricambio. Sotto un altro punto di vista,
complementare a quello appena indicato, il potere politico esprime il
consenso ricevuto per la propria capacità di organizzare la convivenza,
che dovrebbe idealmente corrispondere al “buongoverno”. Il potere
L’abbandono non ha conseguenze di sorta, e si possono ignorare le telefonate, i
solleciti alla permanenza, al rinnovo della tessera, alla frequentazione della parrocchia
o del circolo, al pagamento della quota associativa. La coercizione emerge nei gruppi
cui si deve appartenere se si possiede un certo bene, come il condominio, o si esercita
una certa attività, come gli ordini professionali, i consorzi obbligatori o le camere di
commercio
16
Le “credenze” di cui riparleremo a proposito delle scienze sociali.
15
Segue:
i gruppi politici
Il consenso,
la delega e il
potere
8
I circuiti del
consenso
negoziale e di
quello politico
Parte i – Aspetti strutturali dell’organizzazione sociale
è quindi prima di tutto potere organizzativo, che poi si cristallizza in
“elites”, cioè gruppi di cultori, in cui vengono cooptati, per nascita ed
educazione, altri soggetti il cui lavoro, il cui servizio all’organizzazione
sociale, è “organizzare quelli che lavorano”. Non servono particolari
abilità naturali, anche perché gli uomini sono abbastanza simili quanto
a capacità intellettive di base, ma serve una vocazione alimentata dalla
prassi, dall’abitudine a “gestire le situazioni”, a coordinare, a collegare, a contemperare esigenze diverse, ad immaginare con costanza, a
proporre con determinazione, a valutare le proposte degli altri. In una
parola, l’importante è “credere e far credere” ad un qualche obiettivo
importante per il gruppo, in primo luogo le reali necessità organizzative, dalla difesa, alle infrastrutture, alla sicurezza. Anche se vedremo
che moltissime classi dirigenti17, soprattutto antiche, si sono cementate
attorno al senso della vita, alla spiegazione religiosa della natura, ai
sogni e alle illusioni, importantissimi nelle vicende umane.
Consenso contrattuale e consenso politico sono distinti, ma tra di
loro non ci sono confini netti, quanto piuttosto sfumature intermedie,
secondo il gradualismo delle scienze sociali, su cui torneremo al paragrafo 5.5. Il consenso contrattuale è intuitivo, puntuale, col suo “dare e
avere”, valutabile in termini di convenienza, a proposito di una singola
prestazione e controprestazione. Il consenso politico è più complicato,
perché riguarda una convivenza continuativa nel tempo, con vantaggi
e svantaggi altalenanti in un equilibrio instabile, una convenienza individuale sfuggente, variabile e meno misurabile. Nei rapporti bilaterali il “dare” e l’“avere” sono misurati sulle rispettive esigenze, mentre
l’organizzazione sociale è “multilaterale”; è quindi più facile che al suo
interno qualcuno consumi risorse prodotte da altri e viceversa, oppure
che vi siano degli sprechi, fino all’esempio, raccontato dagli economisti, di scavar buche e riempirle; quella che nell’organizzazione sociale
In questo libro parleremo spesso di “classi dirigenti”, concetto per cui valgono
le caratteristiche, indicate al par. 5.5., del linguaggio e delle scienze sociali, ma che
travalica “coloro che comandano”, estendendosi a chi si chiede, almeno in parte, i
perché delle cose, chi pensa e ha voglia di farlo. Sono domande più accessibili per
chi ha tempo senza essere soffocato dal bisogno, dalle urgenze, dalle immediatezze, e
quindi può fermarsi a riflettere. Sotto un certo profilo si tratta di “uomini liberi”, che
riescono a liberarsi la mente da bisogni che spesso sono artificiali. La classe dirigente
quindi non consiste in chi “dirige gli altri”, ma in chi dirige se stesso. In una società
organizzata come la nostra, le possibilità di essere “dirigenti di se stessi”, cioè di
costruire la nostra vita secondo una scala di valori consapevole sono incommensurabilmente più alte di quanto fossero nel passato. Perché la televisione si può spengere,
e su internet possiamo andare dove vogliamo. Se non lo facciamo non è “colpa della
società”, ma nostra.
17
Capitolo 1 – Individui e società: punti fermi dall’economia preindustriale
9
viene considerata una tendenza a vivere alle spalle degli altri è in buona parte dovuta ad asimmetrie informative e vischiosità non intenzionali18, molto più confuse rispetto ai settori dell’organizzazione sociale
basati sullo scambio. I vantaggi e gli svantaggi del vivere in gruppo
sono molteplici e confusi, ed è difficile valutare l’equilibrio tra quello
che, sul piano generale (politico) noi facciamo per gli altri e quello che
gli altri fanno per noi.
L’organizzazione pubblica della convivenza sociale si basa quindi
sul consenso politico, primo aspetto dell’organizzazione ad essere razionalizzato, ancor prima di quello economico o giuridico19. Il consenso e la coesione sono il cemento di qualsiasi tipo di gruppo sociale, a
prescindere da quella “democraticità” che ci sembra – qui ed ora – la
forma necessaria della vita sociale. Anche dittature, monarchie assolute, oligarchie autoritarie, si basavano sul consenso e cercavano di
mantenerlo; magari anche usando la violenza nei confronti di pochi,
per scoraggiare molti, e indurli ad accettare un certo assetto di potere
come “il minore dei mali possibili”; anche la minaccia di un male peggiore poteva estorcere il consenso20, ad esempio verso una dominazione straniera21.
Nei gruppi, tutti hanno sempre avvertito l’importanza di alcuni
contributi alla vita associata, come quelli militari, religiosi e organizzativi. Quest’insieme di forza, di dedizione e di organizzazione garantiva
il gruppo dalle ingerenze di altri gruppi, e consentiva di espandersi a
danno di altri gruppi. Era naturale la tendenza dei gruppi a riconoscere i meriti di quelli che organizzavano, combattevano e cementavano,
coi riti e coi miti, la coesione sociale. Era naturale dare il potere organizzativo a chi difendeva il gruppo e ne alimentava le credenze, in una
naturale alleanza-simbiosi tra potere militare e religioso. Che esprime18
Il paradosso secondo cui nella società “ognuno cerca di vivere alle spalle degli altri” non è il riflesso di un cinismo o di una cattiveria della natura umana, ma
della spontanea, inconsapevole, tendenza ad evitare i sacrifici ed acquisire i benefici.
Tendenza che può essere contrastata solo da quelle - uguali e contrarie - degli altri
individui, in modo da trovare un equilibrio.
19
Il consenso politico dipende anche da capacità di comunicazione, che occorre
tenere sotto controllo, per non farle sconfinare nella demagogia, e riuscire a controllare la politica sotto il profilo dei servizi resi all’organizzazione sociale (il che
però è proporzionale alla conoscenza diffusa, da parte degli individui, dei problemi
dell’organizzazione sociale).
20
Rispetto all’annientamento, alla pulizia etnica, all’eliminazione fisica (par. 6.1
sugli stati nazionali e relativi drammi). Ed è da ricordare la collaborazione degli ebrei
al loro stesso sterminio, durante l’olocausto.
21
Si pensi alle invasioni dell’uomo bianco, soprattutto nel continente americano
e nei caraibi.
La necessaria
base consensuale
La forza
materiale e
la forza dello
spirito
10
Complessa e
instabile sintesi
delle volontà
individuali
La politica come
riflesso della
società
Parte i – Aspetti strutturali dell’organizzazione sociale
vano una forza esercitabile anche all’interno del gruppo, per contrastare il dissenso, in genere di altre forze anch’esse a matrice militare
e religiosa. Questo dissenso, a sua volta, se voleva prevalere, doveva
organizzarsi unendo consenso e uso della forza, contro il potere e per
un nuovo potere.
La messa in discussione degli assetti politici, comunque, non era un
evento frequente, perché ciascun individuo doveva e voleva occuparsi
delle proprie vicende personali, e solo secondariamente delle questioni
comuni, a meno di non esserne fortemente toccato personalmente; in
una buona misura, a meno che non si percepissero grandi inefficienze
e soprusi, unitamente a prospettive di miglioramento, l’organizzazione
politica, la selezione della classe dirigente, si autolegittimava in funzione della sua stessa esistenza. In base a questo misto di adesione spontanea, coercizione, abitudine, mancanza di alternative, adeguamento a
una concezione del mondo, si assestavano gli equilibri di potere, spesso giustificati adducendone una origine divina22.
Questo complessivo fondamento consensuale del gruppo si concilia
quindi con la presenza di dissensi individuali e di sottogruppi. Le divergenze, le sfumature e i distinguo, interni al gruppo riflettono questa
composizione, con una costante “ricerca di sintesi”, in relazione alla
qualità e alla quantità delle opinioni. La politica, insomma, è lo specchio delle condizioni del gruppo, delle mappe cognitive degli individui
che lo compongono, e che esprimono i loro governanti, secondo meccanismi comunque basati sul consenso. Come diceva Salvatore Satta,
sono gli schiavi che creano i faraoni, in una interdipendenza tra base e
vertice, il cui potere dipende appunto dalle “credenze” della base.
L’esatta sensazione che “il potere sta in noi”, coesiste con l’altrettanto esatta sensazione che siamo tanti e quindi ciascuno di noi ha una
frazione minima di potere. Il potere politico è solo l’espressione di
come la società riflette se stessa, del suo grado di autocoscienza. Una
delle conseguenze dell’origine umana, e non soprannaturale, del potere politico, è che esso non esprime nulla di magico, di miracolistico.
La politica non potrà risolvere i problemi esistenziali dell’uomo, e la
L’espediente dell’origine divina del potere ha funzionato finchè la gente ci ha
creduto, confermando, come vedremo al quinto capitolo, l’importanza delle credenze
e delle illusioni nelle scienze sociali. Lo capirono facilmente i primi “filosofi sociali” (Hobbes e Locke, per altri versi oggi contrapposti), che cercavano di spiegare
l’organizzazione della convivenza; non certo la natura, l’essere, Dio, il fine ultimo
delle cose, e tanti altri aspetti cui l’uomo non arriverà mai, o arriverà attraverso lo
studio della materia, non certo riflettendo su se stesso, come vedremo nel quinto
capitolo.
22
Capitolo 1 – Individui e società: punti fermi dall’economia preindustriale
11
mancanza di certezze diverse da quelle della sua inevitabile morte. La
differenza è nella consapevolezza sulla comprensione, scomposizione,
delle spinte e controspinte sociali che, tra loro combinate, determinano gli assetti del consenso, e la selezione dei governanti; erano tutte
modalità che, nella storia precedente alla riflessione sulla politica, rimanevano sottotraccia, sfuggenti, ineffabili, nascoste dietro legittimazioni soprannaturali, superstizioni e magie.
Le scoperte scientifiche, con i riflessi sociali indicati al capitolo
quinto, hanno messo in crisi la derivazione soprannaturale del potere,
mettendone in risalto la base comunque consensuale. Una volta superate le “credenze” su una fonte soprannaturale del potere politico, la
selezione della classe dirigente appare comunque consensuale, anche
se non democratica. In una certa misura il consenso dei governati garantisce il potere dei governanti, anche quando – a secoli di distanza
– gli storici utilizzano le espressioni “oppressi ed oppressori”. Anche
dopo aver compreso che il potere politico deriva dal consenso degli
individui, non da una investitura soprannaturale, resta la dialettica tra
i desideri popolari nell’immediato, e l’interesse generale di lungo periodo, a sua volta dipendente da un insieme di valori, o se si preferisce
di “credenze” nel senso indicato al par. 5.1. Le scienze sociali dovrebbero aiutare a coordinare queste due ottiche, riducendo lo sfasamento tra quello che il popolo vuole, qui ed ora, e quello di cui sarebbe
soddisfatto in prospettiva. In questo si distingue la democrazia come
“libertà di formulazione e circolazione del pensiero”, punto di partenza per affinare la selezione della classe dirigente, tra quanti possono
trascurare in parte i propri affari privati per dedicarsi all’organizzazione della società, svolgendo così anch’essi un servizio economicamente valutabile. Constatare che la selezione dei governanti dipende dal
consenso del gruppo, non da investiture sovrumane, magari simboleggiate da qualche talismano, segno del comando o spada del potere, è
già democrazia. Ma è un punto di partenza, perché i meccanismi del
consenso restano comunque inevitabilmente ambigui e indeterminati,
anche nella democrazia. Quest’ultima ha rappresentato il frutto della
razionalizzazione dei meccanismi di consenso23, ed è per molti versi
un miglioramento, soprattutto in termini di consapevolezza, rispetto
al passato, ma l’organizzazione sociale si modella sui sistemi di valori
condivisi; spesso è fuori luogo scardinare selezioni della classe dirigente più vicine alle culture delle collettività di volta in volta interessate,
A partire dai tempi del discorso di Pericle agli Ateniesi, riportato da Tucidide e
facilmente reperibile su Google.
23
La democrazia
come razionalizzazione del
consenso
12
Le democrazie
come libera
espressione del
consenso sociale
Parte i – Aspetti strutturali dell’organizzazione sociale
basate su clan familiari, tribali, religiosi etc..; imporre una idea astratta
di democrazia, travolgendo altre forme di espressione del consenso,
e di selezione delle classi dirigenti, più consone alle realtà locali, è altrettanto deplorevole che insidiare la democrazia, dove essa è sentita
come un valore24.
Il suffragio universale è una tecnica di espressione del consenso,
forse semplicistica, in certe situazioni a forte rischio demagogia. Il principio “ogni testa un voto” può essere rovinoso in contesti dove la gran
parte della gente si disinteressa della vita associata, ed è assorbita nel
proprio privato; sono situazioni in cui la maggioranza può diventare facile preda di ciarlatani25, demagoghi abili solo a “condurre il popolo”, come conferma l’etimologia greca dell’espressione. Quando la
formazione dell’opinione pubblica sull’organizzazione sociale è bassa,
e il contesto è fortemente drammatizzato, è frequente lo sfasamento
tra quello che le elezioni numericamente sanciscono, sull’onda delle
suggestioni, e il reale interesse generale26; il semplice meccanismo “un
uomo un voto” non sempre si adatta quindi alla diversa consapevolezza
dei problemi organizzativi del gruppo. Il fondamento consensuale del
potere è un punto di partenza, ma non basta: la storia ha visto governi
amatissimi dai popoli dove la selezione non era in base al principio “un
uomo un voto”, ma in base ai meriti, come abilità, coraggio o forza fisica, prestigio, origine familiare, ricchezza, stirpe, capacità aggregativa e
comunicativa, ispirazione religiosa e simili. Ma a pensarci meglio forse
anche questi governi si basavano sul consenso ed erano “democratici a
modo loro”, perché una classe dirigente veniva espressa in modo condiviso e consapevole. Se la maggioranza della popolazione, magari in
condizione servile, considera l’assetto sociale senza alternative, perché
ritiene giustificate quelle che a noi sembrano diseguaglianze, forse siamo ancora in un sistema “democratico”; dove il gruppo sociale sceglie
i dirigenti che crede, secondo i propri sogni e illusioni, importantissimi
nelle vicende umane.
Sull’esito fallimentare delle operazioni di forzata “esportazione della democrazia” la letteratura è pressoche sterminata (al di là del titolo provocatorio, il pamphlet
di Massimo Fini, Sudditi, Manifesto contro la democrazia, mostra che essa non è “la
fine della storia”, ma uno stadio dell’evoluzione dei gruppi sociali, e della progressiva
loro acquisizione di maggiore consapevolezza sulla loro organizzazione. Inoltre è un
buon avvertimento che le sue virtù di tolleranza, pluralismo, libertà, apertura verso
la ricerca�����������������������������������������������������������������������������
,����������������������������������������������������������������������������
non sono acquisite una volta per tutte, ma vanno ri������������������������
percorse e interiorizzate di generazione in generazione (a questa consapevolezza vorrebbe nel suo piccolo
contribuire questo testo).
25
Sul rischio dei ciarlatani nelle scienze sociali cfr. metodologicamente il par. 5.6.
26
Invito di nuovo a sfogliare Massimo Fini, Sudditi, cit.
24
Capitolo 1 – Individui e società: punti fermi dall’economia preindustriale
13
Il collegamento col consenso si perde nella misura in cui il potere
è basato sulla violenza e la coercizione verso una base parzialmente
dissenziente, che concepisce altri modi per governarsi. Per questo, la
nostra idea di democrazia, basata su “una testa un voto”, può non
essere adatta a contesti in cui la gente, rispetto a “sommare i voti”,
preferisce “pesarli” in base alle diverse capacità, conoscenze, abilità,
alleanze, relazioni di ognuno. Anche qui, la miglior forma di ingegneria costituzional-elettorale dipende dall’ambiente, dalle credenze degli
individui e dalla loro scomposizione trasparente, cercando senza mistificazioni di farsi interpreti dell’interesse generale.
L’organizzazione sociale moderna è complessa, e anche se gli individui esprimono il consenso politico, hanno al tempo stesso da fare per
lavorare, produrre, amare, curarsi, divagarsi, e non possono passare
il tempo libero a leggere di economia o di scienze politiche27; specialmente quando queste discipline si propongono con compiacimento
autoreferenziale, la riflessione sull’organizzazione sociale diventa una
fatica e l’opinione pubblica se ne distacca, manifestando le proprie
preferenze in modo istintivo, frettoloso; si arriva così a un consenso
basato su percezioni, suggestioni, deleghe, convenienze superficiali,
sensazioni di ostilità o simpatia verso una determinata visione della
convivenza, o del mondo, o verso un determinato “leader”. È comunque del tutto normale che “il popolo” legga un rotocalco di sport, di
gossip o un libro di avventura, e voti in base a una delega istintiva,
colpito più dalla comunicazione che dalla sostanza. La volontà popolare, espressa a priori, non necessariamente corrisponde a ciò di cui il
popolo ha bisogno, e di cui è soddisfatto a posteriori.
Se il potere politico si fonda sempre e comunque sul consenso del
gruppo, le forme migliori per esprimere questo consenso possono
cambiare. Non è quindi detto che la democrazia rappresentativa, come
meccanismo di espressione e formalizzazione del consenso, sia una
condizione irreversibile; irreversibile speriamo che sia la maturazione
dei gruppi sociali sulla propria organizzazione, e sul suo fondamento
consensuale, non soprannaturale, magico o ancestrale; non è però un
punto di arrivo, quanto di partenza, che va mantenuto e adattato alle
contingenze, ai valori, al diverso peso socioculturale dei diversi indiviQuesta carenza di tempo e di informazione si ha soprattutto in una società
complessa, specializzata, dove gli individui non hanno tempo per conoscere, essendo
impegnati giustamente nei propri problemi personali. La maggior parte degli uomini
impiega la vita per queste cose, primum vivere, come dice il proverbio, e per questo
chi si dedica a “filosofare” deve impegnarsi per essere fruibile, ed utile, da chi giustamente “preferisce vivere”.
27
Consenso
politico e
necessità
di delega
La democrazia
come
consapevolezza
14
Il contributo
degli studiosi
sulla natura
del consenso
politico
L’illusoria
formalizzazione
parascientifica
delle variabili
che determinano
il consenso
politico
Parte i – Aspetti strutturali dell’organizzazione sociale
dui, nella consapevolezza dell’interdipendenza tra l’aiuto da ciascuno
dato alla comunità e quello dato dalla comunità a ciascuno di noi28.
Lo scienziato sociale contribuisce alla democrazia attivandosi per
questa consapevolezza, aiutando in modo costruttivo a riflettere sui
valori, anziché propagandandone qualcuno a danno di altri. Un buon
servizio alla collettività da parte degli studiosi è farle evitare frasi ingenue del tipo “la politica è al servizio del popolo, io sono il popolo e
quindi la politica è anche al mio servizio”. A questo scopo è fondamentale la cerniera che di volta in volta si crea tra consenso contrattuale,
bilaterale, e consenso politico, dove ciascuno è una parte infinitesimale
di tendenze collettive, che possono fare a meno di ciascuno di noi,
come singolo. Ai fini del consenso politico il singolo conta come una
frazione minima di un gruppo, dove giustamente il capo del governo,
o semplicemente il sindaco, non ha tempo per dilungarsi sui problemi
di ciascuno.
In questo quadro sono certamente possibili ipotesi, collegamenti,
relazioni di causa effetto, che qualche volta appaiono persino intuitive,
ma si intrecciano e col tempo si modificano. Vedremo al par. 5.2 le
forzature di formalizzare il consenso politico nei teoremi e nei grafici
che gli economisti cercano di esportare verso la politica dalla loro materia, e che lasciano perplessi, come vedremo, già in economia, come
vedremo al paragrafo 5.2. Già i comportamenti individuali dipendono da una serie di ragioni difficili da scomporre e coordinare, in cui
troviamo incertezze, ambiguità, contraddizioni; se è persino difficile
capire gli intrecci di bisogni, valori e sentimenti che muovono i comportamenti di un singolo individuo, figuriamoci interpretare i valori,
gli interessi, le illusioni di milioni di persone che interagiscono in un
gruppo sociale.
Sulla politica, come sull’economia, si possono fare molte riflessioni,
ma cercare di rivestirle con le forme esteriori della logica matematica,
come per i teoremi di Arrow e Wicksell o altri tentativi analoghi, appare un’illusione. Nessun elettore, o nessun dimostrante, e neppure
nessun terrorista, si sofferma infatti a ponderare con precisione pro e
contro di benefici o sacrifici presenti e futuri, dove si sovrappongono
È un riflesso di quel rapporto di interscambio “non misurabile”, tipico delle
organizzazioni sociali; dove ognuno cerca di trovare l’equilibrio più conveniente tra
quello che dà e quello che riceve dal gruppo. C’è questo equilibrio instabile dietro
all’esortazione Kennediana, “non pensare a cosa può fare il tuo paese per te, pensa
a ciò che puoi fare tu per il tuo paese”; la stessa riflessione è dietro al punto di vista,
più cinico, secondo cui nell’organizzazione sociale ognuno cerca di vivere alle spalle
degli altri.
28
Capitolo 1 – Individui e società: punti fermi dall’economia preindustriale
15
aspetti diversissimi; alcuni dei quali si possono isolare, ma non certo
schematizzare in formule ed equazioni; queste ultime non ci potranno
certo aiutare a misurare il consenso, spiegando perché piccoli gruppi
coesi condizionano la politica anche contro interessi più generali, ma
che procedono in ordine sparso.
Sulla politica, di cui riparleremo al capitolo 5 nell’ambito generale
delle scienze sociali, si è trasferito anche un retaggio della tendenza
dell’uomo verso il sogno, le “credenze” e il soprannaturale; mi riferisco alla tendenza a sopravvalutare la politica, come fosse un moderno sostituto di Dio29, in grado di rimediare magicamente alle storture
della convivenza sociale, creare sviluppo, salute, felicità e benessere;
l’opinione pubblica invoca la politica come fosse la divina provvidenza, davanti a qualsiasi cosa la turbi, chiedendosi “la legge che fa” e “il
governo che fa”. Fino a chiedere al governo e alla legge interventi che
sono fuori dalla sua portata: il peggio è che il governo, per comprensibile desiderio di consenso e coesione sociale, o per timore di deludere
la piazza, asseconda questa tendenza, con interventi legislativi inevitabilmente di facciata, perché su terreni in cui la legge non ha potere30.
Si innesca così, tra gruppo sociale e politica, una spirale di illusioni
e delusioni continue; è una spirale che ricorda le antiche tendenze a
considerare i governanti come l’anello di congiunzione tra il mondo
degli uomini e quello degli Dei (si pensi ai conquistadores spagnoli agli
occhi dei popoli precolombiani).
Rispetto alla società agricolo-artigianal mercantile, di cui diremo
al paragrafo 1.3, i progressi sono invece stati dovuti alle scienze fisiche e alle loro applicazioni tecnologico-produttive, non alla politica.
Quest’ultima riceve forza della società con cui interagisce, senza avere
una razionalità superiore, da cui attendersi miracolistiche terapie rispetto alla consapevolezza sociale diffusa31. Anzi, per avere consenso,
Tendenza generale su cui da ultimo Piero Angela, La politica, Mondadori, 2011,
secondo cui appunto la politica “pur essendo soltanto uno degli elementi del sistema
ne è diventata la protagonista assoluta, oscurando tutti gli altri.
30
Ainis, La legge Oscura, Laterza, 2000, ricorda il vizio culturale secondo cui
ciascun problema potrebbe essere risolto da una nuova legge, dall’inflazione, al buco
nell’ozono, all’aids, alla pedofilia. Io aggiungerei l’illusione che lo sviluppo, la crescita
economica e la ricchezza si possano creare per decreto. La legge è certamente un
elemento di una buona organizzazione della società, ma in eccesso è nociva. La riflessione sulle scienze sociali è anche una ricerca di cosa si può fare, con la legge, nei
singoli settori della convivenza.
31
Come rilevato in precedenza, al paragrafo 1.1, né “il legislatore” né “la società”,
sono entità diverse dagli individui, ma aggregazioni di individui, che interagiscono
con altri individui, li condizionano e ne vengono condizionati.
29
La sopravvaluta
sopra della
politica: illusioni
e delusioni
16
Tecnicismi
elettorali e selezionedella classe
dirigente
La pluralità
dei possibili
gruppi dotati
di autorità e la
relatività dello
stato territoriale
Parte i – Aspetti strutturali dell’organizzazione sociale
e perseguire la coesione sociale, la politica è spesso costretta anche a
ipocrisie, cautele e sfasamenti. Perché la politica, con le regole che
promulga32, ripropone le emozioni, le contraddizioni, le incertezze, le
ansie, le suggestioni, le ambiguità della società che la esprime. Attendersi troppo dalla politica crea solo illusioni e delusioni, alternanze
tra polvere e altari, effetti di annuncio e stasi, burocrazia e sostanziale
immobilismo.
Senza la consapevolezza di quanto sopra, l’ingegneria costituzionale dei sistemi elettorali serve a poco. I tecnicismi elettorali del proporzionale, del maggioritario, del presidenzialismo, del turno unico o del
doppio turno33, incidono poco sulla maturità di un popolo, sulla sua
coesione, il suo equilibrio, nonché le spinte emotive contingenti, cui
dovesse trovarsi soggetto34; le aspettative eccessive verso l’ingegneria
costituzionale riflettono la sopravvalutazione della legislazione, e della
politica, rispetto alla familiarità con l’organizzazione sociale da parte
dell’opinione pubblica; se questa consapevolezza esiste, molti meccanismi elettorali si equivalgono, ma se la società è immatura, ognuno di
essi è destinato a fallire. Tanto è vero che le repubbliche delle banane
cambiano sistema costituzionale ogni pochi anni, ma questa è un’altra
storia.
L’organizzazione politica non coincide necessariamente con lo stato
territoriale, come oggi siamo abituati a concepirla, perché la storia ha
conosciuto una pluralità di altri gruppi sociali dotati di poteri coercitivi, di forza militare35; anche le organizzazioni economiche, come
le leghe di mercanti e artigiani36, quando volevano contare qualcosa,
dovevano diventare politiche, o allearsi con organizzazioni politiche.
La relatività dello stato territoriale37 riemerge nell’attuale globalizzazione, nei flussi migratori, nelle interdipendenze planetarie, finanziarie
o ambientali, che travalicano le capacità dei governi. Insomma, l’uomo
Alla quale spesso gli economisti fanno riferimento come deus ex machina per
risolvere i problemi.
33
Meccanismi enunciati dai volumi di scienza della politica, come quello, assai
noto e ben costruito, di Pasquino, edito dal Mulino.
34
Come le umiliazioni esterne successive alla prima guerra mondiale, le crisi economiche, le paure per radicali stravolgimenti sociali, che portarono la Germania, una
delle culle della civiltà europea, verso il totalitarismo nazista.
35
Cui corrispondeva una pluralità di istituzioni e di ordinamenti giuridici, ben
prima che ne parlassero grandi giuristi come Santi Romano.
36
Si pensi alle arti del comune di Firenze nel medioevo.
37
Allo stato territoriale si accompagnavano anche le illusioni (“le credenze” nel
senso di cui al par. 5.1) sull’onnipotenza legislativa e il dirigismo economico, uno dei
fili conduttori del testo (par. 3.4).
32
Capitolo 1 – Individui e società: punti fermi dall’economia preindustriale
17
è un animale sociale, non necessariamente un animale statale, e lo stato
nazionale, con “un territorio, una stirpe, un governo, una legge” non è
certo l’unico mondo possibile, anche se di fatto molto frequente.
In genere l’organizzazione politica deriva da una sintesi di vari livelli di governo e di competenze, una specie di insieme di scatole cinesi,
o di matrioske russe, se si preferisce (paragrafo 1.3). I gruppi familiari
formavano il clan, i clan formavano il villaggio, i villaggi formavano la
contea, e così risalendo fino al regno, al protettorato, allo stato tributario di altri. Vassalli, valvassori e valvassini, città libere, possedimenti
di organi religiosi, esprimevano il profilo territoriale, che si intrecciava
con quello etnico, economico (leghe di mercanti) e confessionale, tutte
organizzazioni “non territoriali”.
La formalizzazione democratica del consenso politico può non
essere replicata a livello locale. Possiamo avere stati democratici ma
centralistici, oppure organizzazioni decentrate, ma non democratiche.
Uno stato democratico, ma centralistico, si è avuto in molte fasi della moderna Francia repubblicana; in questi casi il governo centrale
nominava governatori locali, come i satrapi dell’impero persiano o i
proconsoli dell’antica Roma, con la differenza che il governo francese era democraticamente eletto. Al contrario, sono concepibili sistemi, come quello feudale, fortemente decentrati, ma non democratici.
Molti poteri locali erano tuttavia democrazie dirette “ante litteram”,
senza averne la consapevolezza, grazie alla conoscenza diretta tra quelli che oggi chiameremmo “amministratori e amministrati”; nel senso
che, quanto più piccolo è il gruppo, è tanto più possibile una delega
diretta basata sulla conoscenza reciproca, e sulla fiducia nella capacità
di amministrare al meglio gli affari comuni del gruppo, utilizzandone
anche la forza, a condizione di mantenere sempre una sufficiente dose
di consenso. Questa delega non sussisteva invece quando i poteri locali
erano imposti dall’esterno, come per i feudatari o i governatori, anche
se – tuttavia – una certa dose di consenso, sia pure coartato, era pur
sempre necessaria, nell’interesse stesso del potere dominante da cui
proveniva la delega38.
Anticamente, i poteri centrali usavano le comunità locali come oggetto di tassazione, esattori di imposte in capo ai loro appartenenti, con
un flusso di ricchezza dalla periferia al centro; quest’ultimo si occupava di altri aspetti politico strategici, senza interferire molto di più nella
Machiavelli narra in proposito che Cesare Borgia, dopo aver utilizzato un governatore senza scrupoli, tale Ramiro De Lorqua, per ridurre all’obbedienza una provincia, lo fece poi uccidere per ingraziarsi gli abitanti e smarcarsi dalle sue malefatte.
38
La pluralità di
organizzazioni
politiche
Decentramento,
centralismo e
democrazia: le
competenze dei
vari livelli di
governo e rinvio
al “federalismo
fiscale”
L’organizzazione
pubblica locale
“crescente”
18
Parte i – Aspetti strutturali dell’organizzazione sociale
vita delle collettività locali. Nel contesto successivo alla produzione
aziendal-tecnologica, le comunità locali, in quanto più vicine ai cittadini, sono divenute invece ottime erogatrici di servizi pubblici locali, in
materia di sanità, istruzione, trasporto locale e arredo urbano, gestione
rifiuti, igiene e decoro locale, sport e cultura; questa organizzazione
formalizzata, pubblicistica, si riallacciava, in molti dei settori suddetti,
alle iniziative religioso-caritatevoli che, su base locale, venivano organizzate anche in precedenza, ad esempio attraverso le misericordie, le
opere pie, le mutue assistenze, etc.. Riprenderemo il tema al par. 9.4 a
proposito di imposte locali e di federalismo fiscale.
1.3. L’organizzazione politico-militar-religiosa della società preindustriale
Produzione
agricola e
potere “politico
militare”
Preminenza
generale della
politica rispetto
all’economia
Nella società preindustriale la politica, basata sui legami etnico religiosi,
costituiva l’unico gruppo sociale, da cui dipendevano le attività economiche, per lo più agricole, artigianali e mercantili. La principale fonte
di ricchezza era lo sfruttamento della terra, e delle risorse naturali, conquistate e difese dal potere militare, facente capo appunto alla politica.
Non a caso, i gruppi sociali più numerosi, e coesi, erano gli eserciti e il
potere militare espresse per secoli anche il potere politico, in un circuito
che mi viene facile esprimere con l’antico aforisma è l’aratro che traccia il
solco, ma è la spada che lo difende39. Oltre che alla difesa, la forza militare
serviva anche alla conquista, di terre, di pascoli, di territori di caccia,
di risorse minerarie e forestali. Neppure allora, come oggi, la ricchezza poteva essere creata da atti di volontà politica, dipendendo invece
dall’impegno, dall’iniziativa, dal lavoro e dal suo coordinamento; tuttavia la politica, con la sua organizzazione militare, poteva determinare
allocazioni vantaggiose delle risorse e condizioni favorevoli di scambio.
Sono le interrelazioni tra politica ed economia, già in queste remote fasi
storiche, con una netta prevalenza della prima.
La forza coercitiva delle istituzioni politiche decideva l’allocazione
delle risorse nell’economia agricola, sia per i feudi, sia per i grandi latifondisti, di solito espressione del potere, sia per i piccoli proprietari. Il
dominio eminente della politica sulle risorse del territorio si manifestava chiaramente sulle miniere, concesse in uso a privati, ma di proprietà
pubblica. Il resto dell’economia, mercantile e artigianale, non era in
Alla cui efficacia comunicativa, suggestiva, ed esplicativa sulle condizioni
dell’economia agricola, nulla toglie la sua utilizzazione da parte del regime fascista,
come uno dei tanti motti che si facevano dipingere sui muri.
39