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Chiesa e violenze su minori
AUSTRALIA
l
a guarigione è lontana
E l’opinione pubblica incalza i vescovi
E
ra il fiore all’occhiello del
continente: uno dei primi
protocolli al mondo su
come trattare in diocesi i
casi di pedofilia commessi
da sacerdoti o personale legato alle istituzioni ecclesiastiche. Era infatti il dicembre 1996, quando Towards Healing
(Verso la guarigione) veniva approvato
per tutte le diocesi australiane (operativo
nel marzo 1997), mentre a Melbourne
entrava in vigore The Melbourne Response (entrambi pubblicati nella loro
versione rivista del 2000 in Regno-doc.
15,2001,492). Documenti caratterizzati
da una forte attenzione alle vittime e da
un tratto stilistico fortemente empatico.
Eppure, a 16 anni di distanza da questo impegno pionieristico, la Chiesa cattolica australiana è ora sotto il fuoco dell’accusa sia delle forze politiche di diversi
parlamenti federali – in particolare di
quello del New South Wales e del Victoria – sia da parte delle associazioni
delle vittime, per come ha gestito i casi di
cui è venuta a conoscenza.
Allo stesso tempo una serie di figure
episcopali che si sono impegnate in
prima persona su questo fronte e che a
partire da questo impegno hanno più
volte formulato la richiesta di riforme
strutturali all’interno della Chiesa si sono
dimesse prima della fine del proprio
mandato canonico, a norma del § 2 del
can. 401. In un caso vi è stata anche
una situazione di vero e proprio «stress».
L’episodio recente che ha ravvivato
la polemica si riferisce ai primi mesi del
2012, quando è stato fatto trapelare un
rapporto della polizia dello stato del Victoria, di cui Melbourne è capitale, che
affermava che il tasso dei suicidi tra le
vittime delle violenze da parte di sacerdoti cattolici era più elevato che per altre categorie e che la Chiesa, pur conoscendo il dato, avrebbe «scelto di tacere».
L’arcivescovo di Melbourne, che è dal
2001 mons. Denis Hart, ha smentito che
la Chiesa fosse a conoscenza di questo
dato.
Inoltre, la Chiesa è accusata di aver
creato una figura di referente – «il Commissario indipendente» – che nei fatti
avrebbe portato le diocesi a gestire esclusivamente al proprio interno le denunce,
in alcuni casi a minimizzarle e soprattutto a non portarle a conoscenza –
come sarebbe d’obbligo secondo il diritto
vigente in molti stati australiani – alle autorità di polizia e giudiziarie.
Dimissioni episcopali
Tuttavia i malumori hanno una radice lontana anche nella diocesi di Sidney (capitale del New South Wales),
guidata dal presidente della Conferenza
episcopale, card. George Pell, che pure
aveva compiuto un gesto esemplare e
unico nel 2002 quando venne accusato
da un ex seminarista di violenze nei
suoi confronti: si «autosospese» dall’esercizio attivo dell’episcopato fin
tanto che non venne appurato che si
trattava di una calunnia.
Nello stesso anno, assieme all’arcivescovo di Melbourne e suo successore,
mons. Hart, firmò una dichiarazione
sui quotidiani di entrambe le città in
cui compariva una richiesta di perdono
«sincera e senza riserve a tutte le vittime di violenze e alla comunità australiana per gli errori e le ferite patiti»,
dopo essere stato accusato di aver imposto alle vittime, durante transazioni
extragiudiziali (lecite) il silenzio, comportamento censurato dal testo del
1996 Verso la guarigione e che egli ha
sempre negato d’aver attuato (Regnoatt. 16,2002,524).
Poi Pell ha dovuto gestire, nel 2004,
le dimissioni del suo ausiliare, mons.
Geoffrey Robinson, che si occupava attivamente da una decina d’anni degli
organismi ecclesiali preposti alla gestione delle denunce. Robinson in particolare appuntava la sua dura critica –
poi messa nero su bianco in un libro del
2007 Confronting Power and Sex in the
Catholic Church: Reclaiming the Spirit of
Jesus – su un punto nodale: a suo avviso
non era sufficiente che la Chiesa «gestisse» le denunce; essa doveva «lasciarsi
interrogare» nel profondo del suo essere
e delle sue strutture da questa crisi.
Un’idea non condivisa dall’episcopato,
che nel 2008 tentò d’impedire un suo
ciclo di conferenze negli Stati Uniti.
In una diocesi suffraganea di Sidney,
Maitland – Newcastle, nell’aprile 2011 vi
è stato un altro caso di dimissioni anzitempo accolte dal papa: quelle del vescovo mons. Michael J. Malone, in carica
dal 1995. L’occasione ultima sarebbe
stato un reintegro nel ministero di un sacerdote accusato di violenze prima che il
procedimento canonico fosse terminato.
Malone aveva subito in diocesi contestazioni su come aveva gestito i diversi
casi ed era stato particolarmente amareggiato dalla reazione del clero alla sua
decisione di pubblicare su un quotidiano
locale, nel 2010, una pubblica richiesta
di scuse alle vittime per la quale i sacer-
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doti si erano sentiti non protetti dal vescovo; il tutto lo ha portato a dichiarare
d’aver chiesto di essere sollevato dall’incarico in quanto molto «provato dal
punto di vista emotivo».
Tuttavia i conti della diocesi con la
pedofilia non sono ancora conclusi. Il
successore di Malone, mons. Bill
Wright, appena a un anno dall’insediamento si è trovato ad affrontare la rabbia delle vittime di un sacerdote, John
Denham, ora ridotto allo stato laicale,
che ha insegnato in un collegio della
diocesi. In particolare vi è stata forte risonanza mediatica per il suicidio di un
quarantenne padre di famiglia avvenuto nel luglio scorso e riconducibile alle violenze da lui subite a opera di
Denham quando era undicenne, rivelate alla propria famiglia solo nel 2008.
Mons. Wright si è comunque detto
favorevole alla richiesta, a cui questo
evento ha dato ancor più forza, dell’istituzione di una Royal Commission
che indaghi sulla gestione delle denunce
da parte della Chiesa cattolica, richiesta
che ha via via acquisito adesioni anche
nel clero locale, convinto che sia necessario «ripulire l’aria» in diocesi e nella
Chiesa cattolica in generale.
Un corollario della vicenda relativa
al caso Denham si è poi avuto a fine
agosto scorso, quando sempre il vescovo
Wright ha dovuto dichiarare «con profonda tristezza» che uno dei propri sacerdoti, Tom Brennan, non solo ha
omesso di denunciare l’ex sacerdote
quando era suo preside ma che egli
stesso è colpevole di violenze e atti di
pedofilia.
Secondo Sean Tynan, direttore del
Centro diocesano per la protezione dell’infanzia, la diocesi «ha una storia di
violenze sessuali su minori molto travagliata. Questa storia ha causato e continua a causare dolore alle vittime delle
violenze, alle loro famiglie e alla più
ampia comunità dei fedeli».
Sempre in ordine di tempo, dopo le
controverse e forzate dimissioni nel maggio 2011 del vescovo William Morris,
della diocesi di Toowoomba (Queensland), sollevato dall’incarico dal papa
per aver chiesto pubblicamente di riaprire il dibattito sul sacerdozio agli uomini sposati o alle donne (Regno-att.
10,2011,338; caso per altro slegato dalle
vicende della pedofilia), altre dimissioni
hanno pesato sulla Chiesa australiana:
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quelle, accolte il 7 giugno scorso, di
mons. Pat Power, ausiliare di Melbourne
da 25 anni. Compiuti i 70 anni, ha chiesto e ottenuto di tornare a essere un semplice sacerdote.
Convinto da sempre che «l’intera
questione delle violenze sessuali abbia
portato un colpo terribile alla vita della
Chiesa», come non se ne vedeva da
«500 anni a questa parte» non ha mai
fatto anch’egli mistero del suo pensiero:
della necessità, cioè, di una profonda riforma della Chiesa.
Terreno di bat taglie
In questo panorama, i temi intraecclesiali, grazie alla mediatizzazione della
questione-pedofilia, si prestano a divenire un terreno anche per battaglie extraecclesiali, dal sapore anticlericale. E
spesso le vittime costituiscono, loro malgrado e in forza della propria disperazione, una sorta di testa di ponte.
È anche per questo che la risposta dei
presuli di Sidney e Melbourne deve in
qualche modo avere carattere difensivo.
Nel lungo testo apparso il 20 agosto su
The Catholic Weekly, infatti, il card. Pell
ammette che, pur essendo sempre stati «i
diritti e le necessità delle vittime» al
primo posto, «sono stati fatti in passato
gravi errori»; anche se «le procedure che
sono attualmente in atto sono pensate
per far sì che questi errori non accadano
nuovamente. La Chiesa in Australia è
costantemente impegnata nel riesame e
nel miglioramento di queste procedure»,
così com’è avvenuto con le due revisioni
(effettuate da organismi indipendenti)
del 1999-2000 e del 2008-2009.
Seguono poi le risposte a tutte le accuse, ribadite in un libretto stampato in
100.000 copie e distribuito da metà settembre nelle parrocchie di Sidney, dal titolo Sexual Abuse.
Innanzitutto sulla questione del riferire alla polizia o alla magistratura.
«Verso la guarigione non sostituisce le
indagini della polizia. Le accuse di violenze sessuali sono riportate alla polizia», così come richiede la legge dello
stato. E non è vero che l’arcidiocesi fa sapere ai propri sacerdoti se la polizia sta
indagando su di loro. Inoltre «quando la
polizia sta investigando l’inchiesta di
Verso la guarigione viene sospesa».
Non è vero – prosegue Pell – che gli
aiuti alle vittime vengono dati «in cambio del silenzio». Né che l’arcidiocesi
«copra le violenze sessuali o protegga
chi viene accusato»; né tantomeno che
«“passi la patata bollente” ad altre autorità ecclesiastiche»: dai toni della risposta si comprende anche quanto sia
sempre meno conosciuta nel suo funzionamento interno l’istituzione ecclesiale: una progressiva distanza che produce un dialogo tra sordi.
Sulla stessa lunghezza d’onda anche
la risposta di Melbourne. Il Parlamento
del Victoria ha infatti istituito (aprile
2012) un’«Inchiesta sul trattamento delle
violenze sui minori da parte delle organizzazioni religiose e non governative»
che verrà presentata entro l’aprile 2013.
Nella dichiarazione del 21 settembre dell’arcivescovo mons. Hart intitolata Facing the true (Affrontare la verità), si ribadisce la disponibilità della Chiesa a
«collaborare pienamente all’inchiesta»
e si parla anche degli «errori» che essa ha
compiuto nell’affrontare il problema.
Tuttavia «la Chiesa ha imparato dagli errori del passato» e ha cambiato le
modalità con cui si rapporta alle vittime.
Infatti i dati relativi sia al numero delle
denunce sia al numero dei nuovi casi a
partire dagli anni Ottanta «sono decisamente in calo».
In particolare la risposta della Chiesa
non è sempre stata all’altezza – dichiara
Hart – quando «ha preso troppo tempo
nel dare una risposta decisa ed efficace»;
quando «non ha creduto alle vittime»
ma «ha creduto ai perpetratori»; quando
«ha chiesto il silenzio durante alcune
transazioni con le vittime»; quando «ha
privilegiato una risposta legale a una pastorale»; quando «ha operato in contesti
non trasparenti».
Se tutto questo basterà ad abbassare
i toni di un clima rovente è difficile da
dire: il 19 ottobre è stato reso noto un
dato a cura di un docente di giurisprudenza dell’Università di Sidney secondo
il quale i sacerdoti cattolici sarebbero
colpevoli di pedofilia sei volte il dato medio di tutti i ministri di culto; lo stesso
giorno Patrick Parkinson, docente di Diritto di famiglia della stessa università,
che ha partecipato a entrambe le revisioni di Verso la guarigione, dopo che le
conclusioni di una sua inchiesta sui salesiani australiani sono state lasciate cadere
nel nulla, ha manifestato la volontà di
uscire dalla Chiesa cattolica.
Maria Elisabetta Gandolfi