629-630_gandolfi:Layout 2 25-10-2012 19:15 Pagina 629 Chiesa e violenze su minori AUSTRALIA l a guarigione è lontana E l’opinione pubblica incalza i vescovi E ra il fiore all’occhiello del continente: uno dei primi protocolli al mondo su come trattare in diocesi i casi di pedofilia commessi da sacerdoti o personale legato alle istituzioni ecclesiastiche. Era infatti il dicembre 1996, quando Towards Healing (Verso la guarigione) veniva approvato per tutte le diocesi australiane (operativo nel marzo 1997), mentre a Melbourne entrava in vigore The Melbourne Response (entrambi pubblicati nella loro versione rivista del 2000 in Regno-doc. 15,2001,492). Documenti caratterizzati da una forte attenzione alle vittime e da un tratto stilistico fortemente empatico. Eppure, a 16 anni di distanza da questo impegno pionieristico, la Chiesa cattolica australiana è ora sotto il fuoco dell’accusa sia delle forze politiche di diversi parlamenti federali – in particolare di quello del New South Wales e del Victoria – sia da parte delle associazioni delle vittime, per come ha gestito i casi di cui è venuta a conoscenza. Allo stesso tempo una serie di figure episcopali che si sono impegnate in prima persona su questo fronte e che a partire da questo impegno hanno più volte formulato la richiesta di riforme strutturali all’interno della Chiesa si sono dimesse prima della fine del proprio mandato canonico, a norma del § 2 del can. 401. In un caso vi è stata anche una situazione di vero e proprio «stress». L’episodio recente che ha ravvivato la polemica si riferisce ai primi mesi del 2012, quando è stato fatto trapelare un rapporto della polizia dello stato del Victoria, di cui Melbourne è capitale, che affermava che il tasso dei suicidi tra le vittime delle violenze da parte di sacerdoti cattolici era più elevato che per altre categorie e che la Chiesa, pur conoscendo il dato, avrebbe «scelto di tacere». L’arcivescovo di Melbourne, che è dal 2001 mons. Denis Hart, ha smentito che la Chiesa fosse a conoscenza di questo dato. Inoltre, la Chiesa è accusata di aver creato una figura di referente – «il Commissario indipendente» – che nei fatti avrebbe portato le diocesi a gestire esclusivamente al proprio interno le denunce, in alcuni casi a minimizzarle e soprattutto a non portarle a conoscenza – come sarebbe d’obbligo secondo il diritto vigente in molti stati australiani – alle autorità di polizia e giudiziarie. Dimissioni episcopali Tuttavia i malumori hanno una radice lontana anche nella diocesi di Sidney (capitale del New South Wales), guidata dal presidente della Conferenza episcopale, card. George Pell, che pure aveva compiuto un gesto esemplare e unico nel 2002 quando venne accusato da un ex seminarista di violenze nei suoi confronti: si «autosospese» dall’esercizio attivo dell’episcopato fin tanto che non venne appurato che si trattava di una calunnia. Nello stesso anno, assieme all’arcivescovo di Melbourne e suo successore, mons. Hart, firmò una dichiarazione sui quotidiani di entrambe le città in cui compariva una richiesta di perdono «sincera e senza riserve a tutte le vittime di violenze e alla comunità australiana per gli errori e le ferite patiti», dopo essere stato accusato di aver imposto alle vittime, durante transazioni extragiudiziali (lecite) il silenzio, comportamento censurato dal testo del 1996 Verso la guarigione e che egli ha sempre negato d’aver attuato (Regnoatt. 16,2002,524). Poi Pell ha dovuto gestire, nel 2004, le dimissioni del suo ausiliare, mons. Geoffrey Robinson, che si occupava attivamente da una decina d’anni degli organismi ecclesiali preposti alla gestione delle denunce. Robinson in particolare appuntava la sua dura critica – poi messa nero su bianco in un libro del 2007 Confronting Power and Sex in the Catholic Church: Reclaiming the Spirit of Jesus – su un punto nodale: a suo avviso non era sufficiente che la Chiesa «gestisse» le denunce; essa doveva «lasciarsi interrogare» nel profondo del suo essere e delle sue strutture da questa crisi. Un’idea non condivisa dall’episcopato, che nel 2008 tentò d’impedire un suo ciclo di conferenze negli Stati Uniti. In una diocesi suffraganea di Sidney, Maitland – Newcastle, nell’aprile 2011 vi è stato un altro caso di dimissioni anzitempo accolte dal papa: quelle del vescovo mons. Michael J. Malone, in carica dal 1995. L’occasione ultima sarebbe stato un reintegro nel ministero di un sacerdote accusato di violenze prima che il procedimento canonico fosse terminato. Malone aveva subito in diocesi contestazioni su come aveva gestito i diversi casi ed era stato particolarmente amareggiato dalla reazione del clero alla sua decisione di pubblicare su un quotidiano locale, nel 2010, una pubblica richiesta di scuse alle vittime per la quale i sacer- IL REGNO - AT T UA L I T À 18/2012 629 629-630_gandolfi:Layout 2 25-10-2012 19:15 doti si erano sentiti non protetti dal vescovo; il tutto lo ha portato a dichiarare d’aver chiesto di essere sollevato dall’incarico in quanto molto «provato dal punto di vista emotivo». Tuttavia i conti della diocesi con la pedofilia non sono ancora conclusi. Il successore di Malone, mons. Bill Wright, appena a un anno dall’insediamento si è trovato ad affrontare la rabbia delle vittime di un sacerdote, John Denham, ora ridotto allo stato laicale, che ha insegnato in un collegio della diocesi. In particolare vi è stata forte risonanza mediatica per il suicidio di un quarantenne padre di famiglia avvenuto nel luglio scorso e riconducibile alle violenze da lui subite a opera di Denham quando era undicenne, rivelate alla propria famiglia solo nel 2008. Mons. Wright si è comunque detto favorevole alla richiesta, a cui questo evento ha dato ancor più forza, dell’istituzione di una Royal Commission che indaghi sulla gestione delle denunce da parte della Chiesa cattolica, richiesta che ha via via acquisito adesioni anche nel clero locale, convinto che sia necessario «ripulire l’aria» in diocesi e nella Chiesa cattolica in generale. Un corollario della vicenda relativa al caso Denham si è poi avuto a fine agosto scorso, quando sempre il vescovo Wright ha dovuto dichiarare «con profonda tristezza» che uno dei propri sacerdoti, Tom Brennan, non solo ha omesso di denunciare l’ex sacerdote quando era suo preside ma che egli stesso è colpevole di violenze e atti di pedofilia. Secondo Sean Tynan, direttore del Centro diocesano per la protezione dell’infanzia, la diocesi «ha una storia di violenze sessuali su minori molto travagliata. Questa storia ha causato e continua a causare dolore alle vittime delle violenze, alle loro famiglie e alla più ampia comunità dei fedeli». Sempre in ordine di tempo, dopo le controverse e forzate dimissioni nel maggio 2011 del vescovo William Morris, della diocesi di Toowoomba (Queensland), sollevato dall’incarico dal papa per aver chiesto pubblicamente di riaprire il dibattito sul sacerdozio agli uomini sposati o alle donne (Regno-att. 10,2011,338; caso per altro slegato dalle vicende della pedofilia), altre dimissioni hanno pesato sulla Chiesa australiana: 630 IL REGNO - AT T UA L I T À 18/2012 Pagina 630 quelle, accolte il 7 giugno scorso, di mons. Pat Power, ausiliare di Melbourne da 25 anni. Compiuti i 70 anni, ha chiesto e ottenuto di tornare a essere un semplice sacerdote. Convinto da sempre che «l’intera questione delle violenze sessuali abbia portato un colpo terribile alla vita della Chiesa», come non se ne vedeva da «500 anni a questa parte» non ha mai fatto anch’egli mistero del suo pensiero: della necessità, cioè, di una profonda riforma della Chiesa. Terreno di bat taglie In questo panorama, i temi intraecclesiali, grazie alla mediatizzazione della questione-pedofilia, si prestano a divenire un terreno anche per battaglie extraecclesiali, dal sapore anticlericale. E spesso le vittime costituiscono, loro malgrado e in forza della propria disperazione, una sorta di testa di ponte. È anche per questo che la risposta dei presuli di Sidney e Melbourne deve in qualche modo avere carattere difensivo. Nel lungo testo apparso il 20 agosto su The Catholic Weekly, infatti, il card. Pell ammette che, pur essendo sempre stati «i diritti e le necessità delle vittime» al primo posto, «sono stati fatti in passato gravi errori»; anche se «le procedure che sono attualmente in atto sono pensate per far sì che questi errori non accadano nuovamente. La Chiesa in Australia è costantemente impegnata nel riesame e nel miglioramento di queste procedure», così com’è avvenuto con le due revisioni (effettuate da organismi indipendenti) del 1999-2000 e del 2008-2009. Seguono poi le risposte a tutte le accuse, ribadite in un libretto stampato in 100.000 copie e distribuito da metà settembre nelle parrocchie di Sidney, dal titolo Sexual Abuse. Innanzitutto sulla questione del riferire alla polizia o alla magistratura. «Verso la guarigione non sostituisce le indagini della polizia. Le accuse di violenze sessuali sono riportate alla polizia», così come richiede la legge dello stato. E non è vero che l’arcidiocesi fa sapere ai propri sacerdoti se la polizia sta indagando su di loro. Inoltre «quando la polizia sta investigando l’inchiesta di Verso la guarigione viene sospesa». Non è vero – prosegue Pell – che gli aiuti alle vittime vengono dati «in cambio del silenzio». Né che l’arcidiocesi «copra le violenze sessuali o protegga chi viene accusato»; né tantomeno che «“passi la patata bollente” ad altre autorità ecclesiastiche»: dai toni della risposta si comprende anche quanto sia sempre meno conosciuta nel suo funzionamento interno l’istituzione ecclesiale: una progressiva distanza che produce un dialogo tra sordi. Sulla stessa lunghezza d’onda anche la risposta di Melbourne. Il Parlamento del Victoria ha infatti istituito (aprile 2012) un’«Inchiesta sul trattamento delle violenze sui minori da parte delle organizzazioni religiose e non governative» che verrà presentata entro l’aprile 2013. Nella dichiarazione del 21 settembre dell’arcivescovo mons. Hart intitolata Facing the true (Affrontare la verità), si ribadisce la disponibilità della Chiesa a «collaborare pienamente all’inchiesta» e si parla anche degli «errori» che essa ha compiuto nell’affrontare il problema. Tuttavia «la Chiesa ha imparato dagli errori del passato» e ha cambiato le modalità con cui si rapporta alle vittime. Infatti i dati relativi sia al numero delle denunce sia al numero dei nuovi casi a partire dagli anni Ottanta «sono decisamente in calo». In particolare la risposta della Chiesa non è sempre stata all’altezza – dichiara Hart – quando «ha preso troppo tempo nel dare una risposta decisa ed efficace»; quando «non ha creduto alle vittime» ma «ha creduto ai perpetratori»; quando «ha chiesto il silenzio durante alcune transazioni con le vittime»; quando «ha privilegiato una risposta legale a una pastorale»; quando «ha operato in contesti non trasparenti». Se tutto questo basterà ad abbassare i toni di un clima rovente è difficile da dire: il 19 ottobre è stato reso noto un dato a cura di un docente di giurisprudenza dell’Università di Sidney secondo il quale i sacerdoti cattolici sarebbero colpevoli di pedofilia sei volte il dato medio di tutti i ministri di culto; lo stesso giorno Patrick Parkinson, docente di Diritto di famiglia della stessa università, che ha partecipato a entrambe le revisioni di Verso la guarigione, dopo che le conclusioni di una sua inchiesta sui salesiani australiani sono state lasciate cadere nel nulla, ha manifestato la volontà di uscire dalla Chiesa cattolica. Maria Elisabetta Gandolfi