La liberalizzazione del commercio
adeguata ai cambiamenti
dei
prodotti
tessili,
una
strategia
Parlamento europeo, Bruxelles, 25 marzo 2004
Ci troviamo alla vigilia di un importante cambiamento del commercio dei prodotti
tessili e dell'abbigliamento: tra meno di dieci mesi, i contingenti tessili che risalgono
all'accordo multifibre spariranno. Le tracce lasciate da più di trent'anni di restrizioni
al commercio sono notevoli.
Da una parte i contingenti tessili hanno contribuito a contenere la pressione delle
esportazioni dei paesi in via di sviluppo, permettendo ai paesi industrializzati di
procedere ad una ridistribuzione di alcune fasi delle attività a monte - in particolare
il processo di assemblaggio del settore dell'abbigliamento – verso paesi vicini a
basso costo di manodopera: il Messico e i Caraibi per gli Stati Uniti e la zona
EuroMed per l'Unione europea. Dall'altra, il sistema dei contingenti, pur proteggendo
il mercato dell'UE da alcuni grandi produttori, ha favorito i paesi meno avanzati e i
paesi in via di sviluppo vicini.
Il 1° gennaio 2005, l'ordine stabilito scomparirà dall'oggi all'indomani, brutalmente e
definitivamente. L'eliminazione di contingenti cambierà il paesaggio che ci è
diventato famigliare in questi ultimi anni, con numerose conseguenze
socioeconomiche ed in termini di sviluppo.
Come reagire?
Noi ci siamo dati due obiettivi ambiziosi: il controllo della mondializzazione degli
scambi dei prodotti tessili, con l'articolazione dell'apertura dei mercati e
l'elaborazione di regole giuste, che permetteranno ai produttori europei di
beneficiare di un migliore accesso ai mercati internazionali blindati in condizioni di
concorrenza leali, e di regole comuni per tutti gli operatori; e una transizione
morbida verso un mercato mondiale senza contingenti, per permettere l'integrazione
armoniosa dei paesi in via di sviluppo, soprattutto i più vulnerabili, nel commercio
mondiale.
Se la divisione internazionale del lavoro ha trasformato il paesaggio industriale
europeo, essa non ha tuttavia irrimediabilmente escluso i paesi industrializzati dalla
produzione in questo settore, che conta più di 2 milioni di addetti nell'Unione
europea a 15 – e tra poco, dopo l'allargamento, ne conterà più di 2,7 milioni - con
un giro d'affari di 230 miliardi di euro.
Sono convinto che il settore tessile e dell'abbigliamento abbia un avvenire in Europa,
pur in un contesto di globalizzazione, grazie agli investimenti, all'aumento della
gamma e alla posizione all'avanguardia a livello mondiale che abbiamo saputo creare
nel mondo della moda. Negli ultimi trent'anni, il settore ha subito profonde
ristrutturazioni volte al potenziamento della produttività e della competitività. Tali
ristrutturazioni hanno evidentemente comportato delle perdite di posti di lavoro, in
seguito ai trasferimenti e ai progressi tecnologici, i cui effetti netti non sono ancora
chiari. Altri adeguamenti saranno necessari, per potenziare la nostra posizione di
leader del settore, anche se spesso i lavoratori hanno espresso timori a proposito del
progresso e della mondializzazione. Il settore merita quindi che i poteri pubblici
considerino con attenzione l'aspetto delle esportazioni, nel senso di garantire una
concorrenza leale a livello mondiale per i produttori europei e una ottimizzazione dei
profitti fra i differenti operatori del settore nel contesto di uno scacchiere mondiale
completamente nuovo.
Abbiamo dunque basato la nostra azione nel settore su due grandi assi: uno
offensivo, con l'apertura di nuovi mercati per i nostri prodotti tradizionali e per i
prodotti nuovi, per esempio i tessuti intelligenti, e uno difensivo, con la lotta contro
le pratiche illegali, il dumping, le frodi e raccomandando a parte di tutti - e per il
bene di tutti - il rispetto delle regole del gioco.
Asse offensivo: ai negoziati multilaterali del DDA, l'Unione europea ha presentato
delle offerte ambiziose. La nostra strategia è quella dell'apertura contro apertura,
eliminando i picchi tariffari e le barriere non tariffarie e scegliendo l'armonizzazione
verso i tassi più bassi. Accanto a queste aperture multilaterali, i nostri sforzi vanno
nella direzione dello sviluppo di rapporti privilegiati con la l'America latina, attraverso
la conclusione di accordi bilaterali o regionali.
Difensivo : la fine dei contingenti avrà sicuramente come conseguenze
l'esacerbazione della concorrenza e la modifica radicale della situazione. In vista di
un tale cambiamento, le regole del gioco della concorrenza internazionale saranno
considerate con sempre maggiore attenzione. A questo proposito, sono convinto che
la questione dell'attuazione delle convenzioni dell'OIL sui diritti sociali fondamentali benché bandita a Doha dall'elenco delle questioni commerciali internazionali,
malgrado i miei sforzi a nome dell'Unione europea - si ripresenterà in tale occasione,
probabilmente su richiesta dei paesi in via di sviluppo che, a Doha, vi si erano
opposti. Ciò è tanto più probabile in quanto molti piccoli paesi in via di sviluppo che
dipendono dalle esportazioni dei prodotti tessili e dell'abbigliamento tenteranno di
contrastare l'ondata cinese.
Il settore tessile e dell'abbigliamento è un settore particolarmente importante per i
paesi in via di sviluppo, che rappresentano il 50% delle esportazioni mondiali di
prodotti tessili e il 70% delle esportazioni mondiali del settore dell'abbigliamento.
Per molti di questi, tale settore rappresenta la principale fonte d'esportazione, che in
alcuni casi raggiunge il 90% delle esportazioni di prodotti industriali. Il settore
rappresenta così, secondo i paesi, dal 20 al 60% dell'occupazione industriale. Per
alcuni paesi si può effettivamente parlare di dipendenza economica dal settore.
Tale dipendenza economica è spesso aggravata da una concentrazione delle
esportazioni su uno o due mercati, di solito l'Unione europea e gli Stati Uniti, che
assorbono la maggiore parte delle importazioni mondiali di tessili e di abbigliamento.
L'UE da sola è destinataria del 31% delle importazioni mondiali del settore
dell'abbigliamento. Per certi paesi, la dipendenza rispetto a uno di questi due
mercati dell'importazione può raggiungere più del 90% delle esportazioni totali. È il
caso, per esempio, di Albania, Tunisia, Marocco, Croazia e Romania per l'Unione
europea e di Lesotho, America centrale e Messico per gli Stati Uniti.
Grazie ai contingenti, molti paesi sono riusciti a sviluppare le loro esportazioni di
prodotti tessili e dell'abbigliamento e a integrarsi dell'economia mondiale, con tutti i
vantaggi e gli inconvenienti che la maggiore esposizione alla mondializzazione ha
provocato. L'integrazione commerciale ha effettivamente contribuito alla crescita
economica, ma la loro posizione rimane molto fragile e rischia di essere sconvolta
dalla potenza devastatrice di alcuni grossi paesi esportatori asiatici, che secondo le
interpretazioni saranno i principali beneficiari dell'eliminazione dei contingenti.
A questo punto è impossibile non dare voce ad un pensiero che accomuna tutti gli
operatori del settore, ovvero il ruolo della Cina quale prima potenza tessile
mondiale. Noi controlliamo da molto vicino la situazione, che è preoccupante. Quello
che posso dire oggi è che le autorità cinesi sono consapevoli della grande
importanza di evitare che tali risultati possano ripetersi per i prodotti che saranno
liberalizzati nel 2005; in caso contrario, le conseguenze per i paesi in via di sviluppo,
compresi i paesi che si affacciano sul Mediterraneo, e per l'industria europea,
sarebbero molto gravi e provocherebbero l'adozione di numerose misure di
salvaguardia.
Come sottolinea la comunicazione della Commissione dello scorso ottobre, il nostro
approccio alla Cina si deve basare su più punti: innanzitutto insistere sul fatto che la
Cina rispetti scrupolosamente gli impegni presi con l'OMC, compresa l'apertura dei
suoi mercati anche nel settore tessile; in secondo luogo, controllare le condizioni di
produzione in Cina, per evitare pratiche di concorrenza sleale di qualsiasi genere; in
terzo luogo, privilegiare il dialogo e la cooperazione per risolvere tali problemi e,
infine, non rinunciare all'utilizzo degli strumenti di difesa commerciale di cui dispone
l'UE, che nel caso del commercio con le Cina costituiscono un vero arsenale.
Ciò non significa che la fine dei contingenti porterà necessariamente all'interruzione
dello sviluppo o al rallentamento della crescita economica. Il processo è molto più
complesso e la ricetta per aumentare la competitività e conservare le quote di
mercato richiede numerosi ingredienti.
In primo luogo, una volontà in tal senso da parte degli operatori nazionali, che si
traduca in adeguate politiche interne; la trasparenza dei riferimenti giuridici; quadri
giuridici ed istituzionali efficaci che garantiscano la trasparenza e la coerenza delle
misure; infrastrutture di trasporto e telecomunicazioni di buona qualità; un servizio
pubblico affidabile; una manodopera qualificata e, ovviamente, una politica
commerciale efficace e adeguata al paese o alla regione in cui si applica. In secondo
luogo, una strategia da parte dell'industria volta al miglioramento della competitività
e all'avvicinamento ai bisogni del mercato.
I paesi meno avanzati devono poter accedere senza ostacoli ai mercati dei paesi
sviluppati, per i prodotti per i quali essi possiedono un vantaggio relativo sui mercati
mondiali. Essi devono inoltre poter accedere ai mercati dei paesi in via di sviluppo
competitivi come la Cina e l'India.
È poi fondamentale saper coglier tutte le opportunità per beneficiare della
mondializzazione. Pertanto, in seguito alla sua comunicazione sui prodotti tessili
dell'ottobre 2003, la Commissione ha istituito un gruppo di alto livello composto da
rappresentanti della Commissione europea, degli Stati membri e dei diversi operatori
del settore, incaricato di esaminare le possibili iniziative e proporre raccomandazioni
ai responsabili politici nazionali ed europei su una serie di misure volte a potenziare
la competitività del settore tessile e dell'abbigliamento in previsione dell'eliminazione
dei contingenti. Tali misure, elencate nella comunicazione della Commissione,
riguardano in particolare:

promuovere, nel quadro dell'agenda di sviluppo di Doha dell'OMC, la
riduzione significativa e l'armonizzazione dei dazi doganali in modo da
facilitare l'accesso al mercato e l'eliminazione delle barriere non tariffarie,

completare la zona euro-mediterranea entro la fine del 2004 in modo da
garantire la libera circolazione dei prodotti tessili nei paesi che applicano le
stesse norme di origine e un sistema concordato di cooperazione
amministrativa,

concentrare le preferenze commerciali dell'Unione europea sui paesi più
poveri e offrire a tali paesi la possibilità di procurarsi le materie prime per la
fabbricazione degli articoli di abbigliamento esportabili verso l'Unione europea
senza perdere le preferenze commerciali,

valutare la possibilità di utilizzare l'etichettatura per facilitare l'accesso al
mercato europeo dei prodotti fabbricati conformemente alle norme sociali e
ambientali internazionali,

intervenire per rafforzare i diritti di proprietà intellettuale e lottare contro le
frodi e la contraffazione,

aumentare la vigilanza per contrastare le pratiche commerciali sleali,

esaminare l'utilizzazione del marchio "made in Europe” per promuovere
prodotti europei di qualità e offrire una migliore informazione ai consumatori.
Nel corso del mese di luglio, la Commissione intende presentare una relazione sui
risultati attesi, che sarà naturalmente trasmessa al Parlamento.
Siamo consapevoli della difficoltà di dare una risposta adeguata ai problemi creati
dall'eliminazione dei contingenti e dell'urgenza di attuare le strategie adeguate entro
la fine del 2004, in modo da permettere al settore tessile e dell'abbigliamento
europeo di competere al meglio nel 2005.
Voglio essere chiaro: la risposta non sarà quella di prorogare l'applicazione dei
contingenti tessili: indietro non si torna. Ho notato che in alcuni Stati del Nord,
qualcuno, in particolare i produttori tessili americani, con i loro omologhi turchi e con
il sostegno di qualche paese africano, ha proposto proprio questo. E pare inoltre che
alcuni rappresentanti dell'industria europea (ovvero l'Italia) siano tentati di seguire
la stessa via.
Tali iniziative provenienti dai paesi industrializzati non sono, a mio parere, molto
produttive. Preferisco, da parte mia, allestire, con gli operatori del settore, strategia
offensive, che non saranno del resto incompatibili con la protezione degli interessi
dei piccoli paesi produttori più vulnerabili.