diritto commerciale

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COLLANA
TIMONE
DIRITTO
COMMERCIALE
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Imprenditore e impresa
Diritto delle società
Contratti commerciali
Titoli di credito
Fallimento ed altre procedure concorsuali
XVI Edizione
SIMONE
EDIZIONI GIURIDICHE
®
Gruppo
Simone
Estratto
dellaEditoriale
pubblicazione
227
Tutti i diritti riservati
Vietata la riproduzione anche parziale
6/4 • Schemi & Schede di diritto commerciale
VIII Edizione • pp. 320 •  16,00
Per agevolare la preparazione in termini di rapidità
ed efficacia, sull’esempio statunitense, la didattica
più recente affianca, allo studio manualistico, alcune
avanzate metodologie come, ad esempio, la proiezione di slide per illustrare il percorso logico in cui si
sviluppa ciascun argomento.
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Schede, dunque, rappresenta un originale modello
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Il catalogo aggiornato è consultabile sul sito: www.simone.it
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Revisione del testo a cura di
Silvia Dell’Agnello
Tutti i diritti di sfruttamento economico dell’opera appartengono alla Simone S.p.A.
(art. 64, D.Lgs. 10-2-2005, n. 30)
Finito di stampare nel mese di dicembre 2011
dalla «Officina Grafica Iride» - Via Prov.le Arzano - Casandrino, VII Trav., 24 - 80022 Arzano (NA)
per conto della Simone S.p.A. - Via F. Russo, 33/D - 80123 Napoli
Grafica di copertina a cura di Giuseppe Ragno
Estratto della pubblicazione
Premessa
Questo volume, in linea con le caratteristiche di essenzialità e concretezza
della collana Timone-Last Minute, consente di acquisire una preparazione
generale sul Diritto Commerciale in tempi relativamente brevi, per soddisfare
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disposizione per il loro studio.
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per la frequenza con cui costituiscono domanda d’esame, rappresentano gli
snodi essenziali di una buona preparazione, sfrondandolo di quegli approfondimenti giurisprudenziali e dottrinali che spesso appesantiscono i testi
maggiori, dilatando ulteriormente i tempi di studio.
Nel corso della trattazione si è inoltre fatto ricorso a schemi e tavole
sinottiche, particolarmente utili sia in fase di memorizzazione che in fase
di ripasso, per evidenziare con immediatezza i collegamenti fra i diversi
istituti della disciplina.
Un breve glossario di termini specialistici o riferiti ad altri rami del diritto,
posto a conclusione della maggior parte dei capitoli, permette di avere durante
lo studio quelle definizioni che talvolta possono sfuggire, sollevando così
il lettore dall’ulteriore compito di consultare dizionari o altri testi giuridici
per recuperare il significato di tali termini.
Tra le molteplici novità analizzate dal volume si segnalano la L. 11 novembre 2011, n. 180, che ha segnato la nascita dello Statuto delle imprese,
volto a definire le norme per lo sviluppo competitivo delle micro, piccole e
medie imprese (MPMI) e la L. 12 novembre 2011, n. 183 (Legge di stabilità
2012), che ha introdotto rilevanti modifiche, in particolare, alla disciplina
del collegio sindacale e delle società tra professionisti.
Estratto della pubblicazione
Di particolare interesse per i lettori di questo volume segnaliamo:
IP6 • Ipercompendio di diritto commerciale
Edizione 2012 (in preparazione)
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lettore di leggere, organizzare mentalmente e memorizzare la disciplina in tempi brevi;
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concetti cardine;
un’esposizione sintetica ed esaustiva che consente di arrivare al “cuore” delle problematiche
di base e di cogliere la corretta consequenzialità degli istituti;
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oggetto di domanda d’esame;
un prezzo competitivo per venire incontro alle esigenze degli studenti.
In appendice: glossario dei termini specialistici e degli argomenti di approfondimento.
PARTE PRIMA
L’imprenditore e l’impresa
Capitolo Primo: L’imprenditore e l’impresa: generalità .... Pag.
Capitolo Secondo: Le categorie imprenditoriali . ................ »
Capitolo Terzo: L’imprenditore commerciale ed i suoi ausi liari ...................................................................................... »
Capitolo Quarto: L’azienda . .................................................. »
Capitolo Quinto: Concorrenza e cooperazione fra imprese:
i diritti di privativa ............................................................ »
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Capitolo primo
L’imprenditore e l’impresa:
generalità
Sommario: 1. Nozione giuridica di imprenditore. - 2. Status di imprenditore. - 3. Attività esercitata in nome proprio. L’imprenditore occulto. - 4. Inizio e fine dell’impresa. - 5. Lo statuto delle imprese.
1. Nozione giuridica di imprenditore
Concetto di imprenditore È imprenditore chi esercita professionalmente un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di
servizi (art. 2082 c.c.).
Da tale definizione si evince che i caratteri fondamentali dell’attività imprenditoriale sono:
—
—
—
—
l’esercizio di un’attività economica;
l’organizzazione;
la professionalità;
la finalizzazione alla produzione o scambio di beni e servizi.
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Parte Prima - L’imprenditore e l’impresa
Due elementi fondamentali caratterizzano l’imprenditore nei confronti degli altri soggetti che fanno capo all’impresa: l’iniziativa: cioè il potere di organizzare l’impresa attraverso l’ausilio di collaboratori ed il potere di indirizzo della stessa; il rischio: cioè la sopportazione di tutti gli oneri inerenti alla conduzione dell’impresa.
La contropartita del rischio economico (ossia il rischio che il ricavato dal prodotto finito non possa coprire i costi pagati ai titolari dei fattori produttivi) è data dal
«profitto imprenditoriale», rappresentato dalla differenza tra i ricavi della vendita
dei prodotti ed i costi di produzione.
Definizione e significato di «attività economica» L’attività imprenditoriale consiste in «una serie di atti (affari) coordinati al conseguimento di uno stesso
fine»: questo deve essere un fine economico, consistente nella creazione di nuova
ricchezza o, stando alla lettura della legge, nella «produzione o scambio di beni o
servizi».
Tale dizione serve ad individuare i seguenti tipi di attività:
— produzione di beni (es.: manufatti di qualsiasi genere);
— produzione di servizi (es.: banca, impresa di trasporto etc.);
— scambio di beni o di servizi (es.: grossista, dettagliante, importatore etc.).
Tenuto conto del carattere «economico» (nel senso precisato) dell’attività imprenditoriale è possibile operare una prima distinzione tra chi, sotto questo profilo,
è imprenditore e chi non lo è.
Così viene generalmente considerata «attività economica» e perciò imprenditoriale:
— l’attività dell’agricoltore, che è rivolta ai fini di produzione (è imprenditore l’affittuario
di un fondo rustico);
— l’attività dei c.d. impresari teatrali, in quanto è diretta ad offrire servizi (i pubblici spettacoli) che, seppure soddisfano bisogni morali, sono tuttavia economicamente valutabili.
Non è, invece, da considerarsi «attività economica»:
— l’attività di mero godimento, come quella di amministrazione di un patrimonio da parte
del titolare (così, ad esempio, mentre è imprenditore l’affittuario di un fondo rustico, non
lo è il nudo proprietario dello stesso, anche se gode di una «rendita» sul fondo);
— l’attività dei professionisti intellettuali, degli artisti e degli inventori, in sé e per sé considerata.
Secondo la dottrina moderna, però, la terminologia «attività economica» non è mero sinonimo di attività produttiva. Il codice civile, parlando di attività economica, infatti, sottintenderebbe il riferimento al requisito della economicità come astratta idoneità dell’attività produttiva ad ottenere ricavi che coprano i costi. In questo senso è stato osservato dalla dottrina
prevalente che «per aversi impresa è essenziale che l’attività produttiva sia condotta con metodo economico, cioè secondo modalità che consentano quanto meno la copertura dei costi
con i ricavi, ed assicurino l’autosufficienza economica».
Capitolo Primo - L’imprenditore e l’impresa: generalità
7
Attività organizzata Altro carattere dell’attività imprenditoriale è quello dell’organizzazione. Esso è insito nel concetto stesso di impresa, intesa come «complesso di mezzi e di persone che dal legislatore è stato considerato nel suo aspetto dinamico e non statico».
In particolare:
— le persone che collaborano alle dipendenze dell’imprenditore costituiscono i
suoi ausiliari;
— i mezzi di cui si serve l’imprenditore costituiscono l’azienda.
È «organizzata» quell’attività che si pone come intermediaria tra il lavoro ed il
capitale, da un lato, e chi richiede beni e servizi dall’altro.
Secondo l’opinione prevalente, l’organizzazione serve ad individuare il confine
tra le attività produttive che, in quanto «organizzate», assumono il carattere di impresa e quelle attività che, pur essendo dirette a produrre beni o servizi, non assumono carattere di impresa proprio perché non sono organizzate, come ad esempio
il lavoro autonomo.
Concetto di professionalità Requisito essenziale, per l’esercizio dell’attività
di impresa, è altresì quello della professionalità.
Per «professionale» deve intendersi un’attività:
— abituale e continua (cioè non occasionale, anche se non necessariamente esclusiva);
il concetto di continuità non implica necessariamente quello di«non interruzione»: è parimenti imprenditore, infatti, anche chi gestisce un’impresa a carattere unicamente stagionale (si pensi al gestore di uno stabilimento balneare o di un albergo aperto per una sola
stagione all’anno).
Con la professionalità neppure è da confondere il concetto di esclusività: è imprenditore,
infatti, chi, oltre all’impresa, abbia una propria attività di diversa natura (si pensi ad un
medico che, contemporaneamente, gestisca una casa di cura ed eserciti la libera professione);
— tendente ad uno scopo di lucro, ossia alla realizzazione di un guadagno.
Secondo l’orientamento dottrinale prevalente, il concetto di professionalità non
si identifica con lo scopo di lucro perseguito dall’imprenditore.
Esso, in realtà, non è un elemento essenziale (vale a dire indispensabile) dell’attività imprenditoriale, ma solo un elemento naturale (può in altre parole anche essere escluso): se, infatti, di regola l’impresa è esercitata al fine di ricavarne i mezzi
di sostentamento necessari per l’imprenditore, non mancano, comunque, ipotesi in
cui il fine di lucro esula dagli scopi dell’impresa.
Estratto della pubblicazione
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Parte Prima - L’imprenditore e l’impresa
Imprese che non perseguono fine di lucro sono, ad esempio:
— le imprese mutualistiche (società cooperative e società di mutua assicurazione), il cui scopo è soltanto quello di procurare a condizioni vantaggiose beni o servizi ai propri soci i
quali, quindi, non mirano ad un lucro bensì ad un risparmio di spesa;
— le imprese esercitate dagli enti pubblici, che agiscono per la realizzazione di un fine pubblico diverso dal fine di lucro (esempio sono le Casse di Risparmio, il cui fine è quello di
diffondere nelle varie classi sociali la propensione al risparmio).
Essenziale all’impresa, dunque, non è tanto lo scopo di lucro, quanto, invece,
l’obiettiva economicità della sua gestione, cioè la capacità di coprire i costi di produzione con i ricavi dell’attività svolta.
La destinazione al mercato Un ulteriore aspetto della professionalità è dato
dal fatto che l’attività economica organizzata sia rivolta al mercato e realizzi uno
scambio. L’imprenditore per conto proprio (come ad esempio chi vive dei prodotti che produce senza offrirli sul mercato) non è un’imprenditore in senso giuridico.
Liceità dell’impresa È controverso in dottrina se si possa parlare di impresa allorquando l’attività economica svolta sia illecita e cioè contraria all’ordine pubblico, al buon costume ovvero a norme imperative (es.: gestione organizzata della prostituzione). Esigenze di
tutela dei terzi che intrattengono rapporti con l’imprenditore spingono gli autori a riconoscere la qualifica di impresa in tali ipotesi, ferma restando l’applicazione delle conseguenti sanzioni penali ed amministrative a carico dell’imprenditore.
2. Status di imprenditore
L’imprenditore è assoggettato ad uno speciale regime che incide direttamente
sui rapporti giuridici che a lui fanno capo.
Questi, in particolare:
— ha la direzione dell’impresa, ne è il capo ed esercita il potere gerarchico sui collaboratori subordinati che dipendono da lui (art. 2086 c.c.);
— ha l’obbligo di tutelare le condizioni di lavoro dei propri dipendenti, adottando
tutte le misure atte a proteggerne l’integrità fisica e la personalità morale (art.
2087 c.c.);
— è sottoposto (a garanzia di coloro che, per ragioni economiche, entrano in rapporto con lui) ad un regime di particolare rigore pubblicistico (scritture contabili, obbligo di iscrizione nel registro delle imprese etc.).
Particolari esigenze pratiche, però, hanno spinto il legislatore ad adottare un regime di minor rigore formalistico nei confronti di coloro che svolgono attività economiche di limitata dimensione.
Estratto della pubblicazione
Capitolo Primo - L’imprenditore e l’impresa: generalità
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3. Attività esercitata in nome proprio. L’imprenditore occulto
Se lo scopo di lucro è elemento naturale dell’impresa è, invece, essenziale che
il suo esercizio avvenga, da parte dell’imprenditore, in nome proprio.
Dall’esercizio dell’attività in nome proprio deriva, infatti, per l’imprenditore,
l’assunzione di quel particolare rischio, che va sotto il nome di «rischio imprenditoriale» e che differenzia il lavoratore autonomo da quello subordinato.
Si noti, comunque, che le sempre crescenti dimensioni che assumono le imprese e le formule giuridiche di «deresponsabilizzazione» (es.: società di capitali, società a responsabilità
limitata etc.) attenuano o annullano, nella pratica, il requisito dell’assunzione del rischio in
proprio.
È il requisito della spendita del nome il criterio in base al quale si identifica la figura
dell’imprenditore.
A questo punto sorge il problema del cd. imprenditore occulto, vale a dire di colui che,
nella pratica, non agisce personalmente, ma — volendo non apparire — esercita la propria attività servendosi, nei suoi rapporti con i terzi, di un «prestanome».
In pratica, mentre gli atti di impresa sono formalmente imputabili al prestanome o ad una
società all’uopo costituita (cd. società di comodo), i proventi dell’attività, la direzione dell’impresa e la somministrazione dei mezzi necessari sono sostanzialmente effettuati da un altro
soggetto: l’imprenditore occulto.
Tale figura è stata creata in dottrina ed accolta da parte della giurisprudenza per ammettere la possibilità di dichiararne il fallimento, pur non avendo tale soggetto i requisiti formali per
essere assoggettabile alla procedura concorsuale. Per il principio della spendita del nome i creditori potranno chiedere e provocare il fallimento del prestanome, il quale ha agito in proprio
nome ed ha quindi acquistato la veste di imprenditore; ma spesso il prestanome gode di un capitale modesto, per cui il rischio di impresa è in pratica «scaricato» sui creditori, i quali non
possono formalmente agire nei confronti del reale dominus.
Con l’obiettivo di evitare una tale situazione, già prima che il D.Lgs. 5/2006 (riforma delle
procedure concorsuali) intervenisse a modificare l’art. 147 L.F. (che ha previsto la possibilità
di dichiarare il fallimento anche delle società occulte, del socio occulto, nonché della società
apparente), buona parte della dottrina ammetteva l’assoggettamento al fallimento del soggetto occulto (cd. teoria dell’imprenditore occulto).
I liberi professionisti ed artisti possono considerarsi imprenditori?
I liberi professionisti, gli artisti e gli inventori non sono mai — in quanto tali — imprenditori: essi lo diventano solo se ed in quanto la professione intellettuale è esplicata nell’ambito di altra attività di per sé qualificata come impresa (es.: attore che gestisce un teatro nel
quale recita, medico che gestisce una clinica privata nella quale opera).
L’art. 2238 c.c. dispone, infatti, che le norme che regolano l’impresa si applicano alle professioni intellettuali solo se l’esercizio della professione costituisce elemento di un’attività organizzata in forma di impresa.
Estratto della pubblicazione
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Parte Prima - L’imprenditore e l’impresa
4. Inizio e fine dell’impresa
Perché possa dirsi iniziata una attività d’impresa occorre che sia compiuto il primo atto di gestione diretto alla produzione o allo scambio di beni o servizi. Secondo la giurisprudenza, peraltro, è sufficiente, perché si consideri iniziata l’attività
d’impresa, anche il compimento di una serie di atti preparatori dell’attività produttiva: può, quindi, non essere necessario che si sia dato avvio alla produzione, essendo sufficiente, ad esempio, l’acquisto dei macchinari, l’affitto dei locali d’impresa,
l’assunzione di dipendenti etc. Ciò che vale è il principio dell’effettività.
Quanto alla fine dell’impresa, essa si verifica nel momento in cui è effettivamente cessata ogni attività d’impresa.
L’accertamento del preciso momento di cessazione era importante, prima della riforma
fallimentare, perché da quel momento si computava l’anno, decorso il quale l’imprenditore
commerciale non poteva più essere dichiarato fallito (art. 10 L.F.).
L’art. 10 L.F., nel testo novellato dalla riforma del 2006, ha abbandonato il criterio della
cessazione dell’attività, adottando quello formale della cancellazione dal registro delle imprese per far decorrere il termine annuale per la dichiarazione di fallimento delle imprese sia individuali che collettive.
5. LO STATUTO DELLE IMPRESE
Con la L. 11-11-2011, n. 180 nasce lo Statuto delle imprese, con il quale si intendono recepire le indicazioni contenute nello Small Business Act per l’Europa, voluto dalla Commisione europea nel 2008 e attuato con la direttiva del Presidente del
Consiglio del 4 maggio 2010, volto a definire le norme per lo sviluppo competitivo
delle micro, piccole e medie imprese (MPMI).
Tra le finalità dello Statuto è previsto: il sostegno per l’avvio di nuove imprese, in particolare da parte dei giovani e delle donne; la valorizzazione del potenziale di crescita, di produttività e di innovazione delle imprese, con particolare riferimento alle MPMI e, infine, l’adeguamento dell’intervento pubblico alle esigenze
delle MPMI.
I principi che concorrono a definire lo statuto - tra i quali spiccano la libertà di
iniziativa economica e concorrenza, la semplificazione burocratica, la progressiva
riduzione degli oneri amministrativi a carico delle imprese, il diritto delle imprese
all’accesso al credito informato, corretto e non vessatorio e, infine, le misure di semplificazione amministrativa - sono prevalentemente finalizzati a garantire alle imprese condizioni di equità funzionale, operando interventi di tipo perequativo per le
aree sottoutilizzate, nel rispetto dei principi fissati dall’articolo 107 del Trattato sul
funzionamento dell’UE. Si enuncia anche il principio della libertà di associazione
tra imprese.
Estratto della pubblicazione
Capitolo Primo - L’imprenditore e l’impresa: generalità
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Sono poi disciplinati i rapporti tra imprese e istituzioni, in un’ottica di semplificazione e trasparenza.
Il Governo è delegato ad emanare norme finalizzate ad eliminare i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, al riordino degli incentivi alle imprese, e,
infine, alla loro internazionalizzazione.
Si dispone che le certificazioni rilasciate alle imprese da enti autorizzati sostituiscono le verifiche delle autorità competenti, fatte salve eventuali responsabilità
penali.
Il provvedimento reca varie disposizioni sulle politiche pubbliche riguardanti
le MPMI. Sono previste diverse misure con cui lo Stato favorisce la ricerca, l’innovazione, l’internazionalizzazione e la capitalizzazione e la promozione del Made in
Italy. In particolare, il Ministro dello sviluppo economico, sentite le regioni, deve
adottare un piano strategico di interventi. Viene poi istituito il Garante per le MPMI,
con la finalità, fra l’altro, di monitorare l’impatto dell’attività normativa, anche del
Governo e delle regioni, e dei provvedimenti amministrativi sulle MPMI, prevedendo un interscambio tra il Garante e gli enti e le istituzioni interessate, fra cui, principalmente, Parlamento, Governo ed enti territoriali.
Si prevede, inoltre, l’emanazione di una Legge annuale per le MPMI, al fine di
attuare lo Small Business Act. Il provvedimento, da presentare alle Camere entro il
30 giugno di ogni anno, è volto a definire gli interventi in materia per l’anno successivo e reca, oltre a una o più deleghe, norme di immediata applicazione per favorire e promuovere le MPMI.
Il provvedimento, infine, stabilisce che le regioni promuovano la stipula di intese in sede di Conferenza Stato-regioni per il coordinamento delle competenze normative sugli adempimenti amministrativi delle imprese e per conseguire livelli ulteriori di liberalizzazione dell’attività d’impresa.
Estratto della pubblicazione
Capitolo secondo
le categorie imprenditoriali
Sommario: 1. L’imprenditore agricolo. - 2. L’imprenditore commerciale. - 3. Gli enti
pubblici economici. - 4. L’impresa sociale. - 5. L’impresa familiare. - 6. L’azienda coniugale. - 7. Il piccolo imprenditore.
1. L’imprenditore agricolo
In ordine alla particolare natura dell’attività esercitata (cd. criterio qualitativo), gli imprenditori si distinguono in:
— agricoli (art. 2135 c.c.);
— commerciali (art. 2195 c.c.).
In considerazione, invece, delle dimensioni dell’impresa (cd. criterio quantitativo), si distinguono in:
— piccoli imprenditori;
— imprenditori medio-grandi.
Infine, in relazione al numero dei soggetti che esercitano e dirigono l’impresa
(cd. criterio personale), si distinguono in:
— imprenditori individuali;
— imprenditori collettivi (o società).
Nozione e disciplina giuridica L’art. 2135 c.c. definisce imprenditore agricolo «chi esercita una delle seguenti attività: coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali e attività connesse».
Sono attività agricole essenziali:
— la coltivazione del fondo, ovvero quell’attività rivolta allo sfruttamento delle
energie naturali della terra; non basta tuttavia, perché vi sia impresa, la mera raccolta dei frutti, ma occorre, al contrario, una vera e propria attività di coltivazione, cioè un’attività diretta ad ottenere i prodotti della terra (seminazione, coltivazione e, quindi, raccolta dei prodotti);
— la selvicoltura, ossia quella particolare attività agricola diretta alla produzione
del legname; è chiaro, anche sotto tale profilo, il riferimento ad una complessa
attività di coltivazione, per cui non rientra tra i «selvicoltori» chi si limita a raccogliere il legname prodotto dal bosco senza esplicare altre attività dirette a tale
produzione;
Capitolo Secondo - Le categorie imprenditoriali
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— l’allevamento di animali, per il quale, con la nuova formulazione dell’art. 2135
c.c., superandosi l’esclusivo riferimento al bestiame (tradizionalmente allevato
sul fondo ed il cui allevamento costituisce una forma di sfruttamento del fondo
medesimo), sono ricompresi tutti gli allevamenti di animali, includendovi anche
l’apicoltura, l’avicoltura, nonché gli allevamenti di animali in batteria e l’acquacoltura.
Sono attività agricole connesse:
— quelle dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione di prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall’allevamento di animali (attività connesse tipiche);
— le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l’utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell’azienda normalmente impiegate nell’attività
agricola esercitata, ivi comprese le attività di valorizzazione del territorio e del
patrimonio rurale e forestale, ovvero di ricezione ed ospitalità (es.: agriturismo).
In ragione del maggiore rischio che grava sull’attività agricola (determinato dalla particolare incidenza delle condizioni climatiche e delle vicende legate al ciclo
vitale degli animali), l’imprenditore agricolo è esonerato dalla tenuta delle scritture contabili, non è assoggettato al fallimento e deve iscriversi nella sezione speciale del registro delle imprese.
Giova ricordare che l’art. 1 del D.Lgs. 99/2004, come modificato dal D.Lgs. 101/2005, ha
definito la figura di imprenditore agricolo professionale: «chi, in possesso di conoscenze e
competenze professionali, dedichi alle attività agricole di cui all’art. 2135 c.c., direttamente,
o in qualità di socio di società di persone o cooperative o di amministratore di società di capitali, almeno il 50% del proprio tempo di lavoro complessivo e ricavi dalle attività medesime
almeno il 50% del proprio reddito globale da lavoro».
In caso di insolvenza, l’imprenditore agricolo non è assoggettabile al fallimento né alle altre procedure concorsuali, ma il D.L. 98/2011, conv. in L. 111/2011 ha
previsto che, nell’attesa di una revisione complessiva della disciplina in materia, egli
possa accedere agli accordi di ristrutturazione dei debiti e di transazione fiscale, previsti rispettivamente dagli artt. 182bis e 182ter L.F.
2. L’imprenditore commerciale
Nozione e disciplina La nozione di imprenditore commerciale comprende, per
esclusione, tutte quelle attività che non rientrano nell’attività agricola.
Di conseguenza è imprenditore commerciale qualsiasi imprenditore (non piccolo) che eserciti una delle attività elencate nell’art. 2195 c.c., vale a dire:
— attività industriale diretta alla produzione di beni o di servizi;
Estratto della pubblicazione
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Parte Prima - L’imprenditore e l’impresa
attività intermediaria nella circolazione dei beni;
attività di trasporto per terra, acqua o aria;
attività bancaria o assicurativa;
attività ausiliarie delle precedenti.
La disciplina fissata dal legislatore per l’imprenditore commerciale è assai ampia e comprende, tra l’altro, l’obbligo dell’iscrizione nel registro delle imprese, la
tenuta delle scritture contabili, la soggezione al fallimento ed alle altre procedure
concorsuali in caso di insolvenza (cd. statuto dell’imprenditore commerciale).
3. Gli enti pubblici economici
Gli enti pubblici economici sono una particolare categoria di enti pubblici, i quali non agiscono ponendo in essere atti amministrativi, bensì negozi di diritto privato, per la realizzazione di un’attività commerciale.
Attraverso di essi lo Stato talvolta tende alla realizzazione di un guadagno, ma
il più delle volte tende a perseguire un interesse pubblico.
Lo Stato, infatti, si può servire di loro:
— per operare interventi economici di controllo (ad esempio «calmierare» il prezzo di un
bene sul mercato, producendolo e vendendolo ad un costo inferiore a quello dei beni analoghi prodotti dai privati; oppure aiutare economicamente un settore in crisi dell’industria,
che riveste interesse nazionale);
— per assicurare dei servizi pubblici essenziali, non adeguatamente coperti da ditte private;
— per sviluppare, con intervento proprio, il progresso di un settore dell’economia nazionale.
Essi perseguono pur sempre, infatti, interessi pubblici e la disciplina dettata (dal
codice civile o da altre leggi) per gli imprenditori privati e la relativa attività d’impresa si aggiunge o si sovrappone alla disciplina istituzionale.
In particolare:
— gli enti pubblici economici sono soggetti all’iscrizione nel registro delle imprese (art. 2201
c.c.) ed alle disposizioni del libro V del codice civile;
— le controversie con i dipendenti rientrano nella competenza del giudice ordinario del lavoro;
— in caso di insolvenza, non sono assoggettati a fallimento ma soltanto alla procedura di liquidazione coatta amministrativa;
— godono di posizione economica privilegiata, poiché operano spesso in virtù di concessioni amministrativo in regime di monopolio;
— sono sottoposti, però, a pressanti vincoli e controlli pubblicistici.
Gli enti pubblici economici sono stati oggetto, a partire dai primi anni novanta, di un rapido processo di ristrutturazione finalizzato a limitarne l’incidenza sulla spesa pubblica e assicurarne una gestione più efficiente. Questo processo, che prende il nome di privatizzazione,
si articola in due tappe fondamentali che vedono, rispettivamente, la trasformazione dell’ente
Estratto della pubblicazione
Capitolo Secondo - Le categorie imprenditoriali
15
pubblico in società per azioni con capitale interamente o per la maggioranza posseduto dallo
Stato e la successiva dismissione della quota pubblica.
4. L’impresa sociale
Il D.Lgs. 155/2006 ha introdotto nel nostro ordinamento l’impresa sociale, riconoscendo tale qualifica a tutte le organizzazioni private che esercitano in via stabile e
principale un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio
di beni e servizi di utilità sociale diretta a realizzare finalità di interesse generale.
Elementi caratterizzanti, quindi, sono l’assenza dello scopo di lucro ed il perseguimento di finalità di interesse generale. Il 24-1-2008 il Ministero dello sviluppo economico e della solidarietà sociale ha firmato 4 decreti attuativi del suddetto provvedimento.
I quattro decreti riguardano, rispettivamente: la qualificazione dei ricavi per rientrare
nell’ambito dell’impresa sociale; le linee-guida per le modalità relative a operazioni di trasformazione, fusione, scissione e cessione dell’impresa; le linee-guida per redigere il bilancio sociale e l’elenco degli atti e documenti da depositare presso il registro delle imprese. In quest’ultimo caso il D.M. 24-1-2008 è stato modificato dal D.P.C.M. 26-1-2011, n. 51.
5. L’impresa familiare
L’impresa familiare — istituto introdotto dalla L. 151/1975, nell’ambito della
riforma del diritto di famiglia — è quella impresa cui collaborano il coniuge, i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo grado (art. 230bis c.c.).
In essa il legislatore ha voluto realizzare la eguale partecipazione dei familiari
in proporzione alla qualità e quantità del lavoro prestato, equiparando, altresì, espressamente il lavoro della donna a quello dell’uomo.
Questo tipo di impresa è caratterizzato dunque dall’apporto dei familiari all’attività imprenditoriale, senza che venga in alcuna considerazione il rapporto capitale-lavoro, proprio
della piccola impresa: conseguentemente è possibile che vi partecipino persone diverse dai
«familiari», non nella qualità di soci, ma in una posizione di subordinazione.
In base a ciò, essa dovrà ritenersi impresa commerciale allorquando eserciti una delle attività di cui all’art. 2195 c.c. Inevitabile, in quest’ultimo caso, sarà l’assoggettabilità della stessa alle procedure concorsuali.
All’impresa familiare possono partecipare anche i minori (privi della capacità
di agire); costoro, però, nel voto sono rappresentati da chi esercita la potestà su di
essi.
Dell’impresa familiare possono far parte inoltre i figli naturali del titolare che siano stati riconosciuti: la legge, infatti, non restringe il novero dei partecipanti ai parenti legittimi.
Si ricordi, infine, che la legge non richiede l’obbligo della convivenza in un’unica famiglia (quella del titolare) di quanti operano nell’impresa familiare.
Estratto della pubblicazione
16
Parte Prima - L’imprenditore e l’impresa
Quali sono i diritti riconosciuti ai membri del nucleo familiare che
lavorano nell’impresa familiare?
Al familiare che presta in modo continuativo la sua attività di lavoro nella famiglia o nell’impresa familiare e che non ha altro tipo di rapporto (societario etc.) con il titolare dell’azienda, la
legge riconosce un diritto di partecipazione all’impresa, dal quale derivano ulteriori diritti:
— diritto al mantenimento, secondo la condizione patrimoniale della famiglia;
— partecipazione agli utili dell’impresa familiare, ai beni acquistati con essi, nonché agli
incrementi dell’azienda, anche in ordine all’avviamento;
— diritto di prelazione sull’azienda in caso di divisione ereditaria o di trasferimento
dell’azienda stessa.
Ai fini della determinazione degli utili occorre procedere alla formazione di periodici bilanci e conti profitti e perdite.
Il titolare, anche se non è obbligato alla tenuta delle scritture contabili, è però
tenuto ad una documentazione idonea a consentire ai familiari di esercitare, in sede
di rendiconto, il controllo sulla gestione e sui risultati della stessa.
Spettano al titolare le decisioni concernenti la gestione ordinaria: egli vi provvede in piena autonomia e non è previsto alcun obbligo di previa consultazione o
comunicazione ai familiari che collaborano.
Spettano, invece, alla maggioranza dei componenti dell’impresa le decisioni concernenti:
—
—
—
—
l’impiego degli utili e degli incrementi;
la gestione straordinaria;
gli indirizzi produttivi;
la cessazione dell’impresa.
Spettano, infine, a tutti i partecipanti (unanimità) le decisioni inerenti al trasferimento del
diritto di partecipazione all’impresa familiare.
6. L’azienda coniugale
La L. 151/1975, con cui è stata attuata la riforma del diritto di famiglia, ha modificato radicalmente la regolamentazione giuridica dei rapporti patrimoniali tra i coniugi,
sostituendo al regime legale della separazione quello della comunione dei beni.
Ai sensi dell’art. 177, 1° comma, lett. d), c.c., cadono in comunione immediata le aziende costituite dopo il matrimonio e gestite da entrambi i coniugi; in tal caso si ha impresa coniugale su azienda coniugale ed entrambi i coniugi sono considerati imprenditori.
Ove si tratti di azienda appartenente ad uno dei coniugi prima del matrimonio ma gestita
da entrambi, cadono in comunione solo gli utili e gli incrementi (art. 177, 2º comma, c.c.); si
ha, così, impresa coniugale su azienda non coniugale (anche se entrambi i coniugi devono
considerarsi imprenditori).
Estratto della pubblicazione
Capitolo Secondo - Le categorie imprenditoriali
17
Non si ha, invece, né impresa coniugale né azienda coniugale nel caso di aziende appartenenti ad uno solo dei coniugi costituite prima o dopo il matrimonio, ed ugualmente gestite da uno
solo di essi: imprenditore sarà soltanto il coniuge che è titolare e gestore esclusivo dell’azienda,
mentre gli incrementi di tale attività imprenditoriale nonché i beni destinati all’esercizio dell’impresa, se costituita dopo il matrimonio, cadono in comunione de residuo (art. 178 c.c.).
Occorre altresì ricordare l’introduzione nel nostro ordinamento, con la L. 55/2006, dei
«patti di famiglia» (ex artt. 768bis-768octies c.c.), atti a disciplinare la successione dell’azienda dall’imprenditore ad uno o più discendenti.
7. Il piccolo imprenditore
Nozione L’art. 2083 c.c. stabilisce che «sono piccoli imprenditori i coltivatori diretti del fondo, gli artigiani, i piccoli commercianti e coloro che esercitano un’attività professionale organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti della famiglia».
Il piccolo imprenditore è esonerato dalla tenuta delle scritture contabili; è soggetto all’iscrizione nel registro delle imprese, anche se a mero scopo di certificazione anagrafica (pubblicità-notizia).
Piccolo imprenditore e fallimentoIl concetto di piccolo imprenditore era definito non solo dal codice civile ma anche dalla legge fallimentare (R.D. 267/1942),
che utilizzava, anche in seguito alla riforma delle procedure concorsuali (D.Lgs.
5/2006) un criterio di tipo quantitativo ai fini della individuazione della relativa figura.
L’uso di tale criterio aveva creato non pochi problemi di coordinamento con la
nozione di piccolo imprenditore fornita dal codice civile descritta sopra, fondata invece su di un criterio qualitativo ed aveva favorito il prospettarsi di tesi diverse in
ordine alla prevalenza dell’una o dell’altra nozione.
Il problema del coordinamento tra le due definizioni di «piccolo imprenditore»
è stato risolto dal D.Lgs. 169/2007 (cd. decreto correttivo alla riforma delle procedure concorsuali).
Esso ha definitivamente soppresso nell’art. 1 L.F. ogni riferimento alla nozione di «piccolo imprenditore» ai fini dell’esenzione dell’applicazione della disciplina del fallimento e delle procedure concorsuali. La qualifica di piccolo imprenditore, quindi, ai fini del fallimento,
non deriva più dal tipo di attività svolta o dalla prevalenza del lavoro proprio o della famiglia
sul capitale, come stabilito dalla nozione codicistica di cui all’art. 2083 c.c., ma dipende da parametri quantitativi di natura aziendalistica, che rappresentano elementi variabili, correlati tra
loro e che esprimono il sistema dell’azienda (assetti organizzativi e patrimoniali, strutture operative, risultati raggiunti) e il sistema in cui agisce.
I requisiti di non fallibilità e la nuova area di esenzione dal fallimento saranno esaminati
più approfonditamente nella parte quinta, al cap. 1.
Estratto della pubblicazione
18
Parte Prima - L’imprenditore e l’impresa
La L. 8 agosto 1985, n. 443 In materia di piccolo imprenditore è d’obbligo un
cenno alla legge quadro per l’artigianato 443/1985.
A norma di tale legge, è «imprenditore artigiano colui che esercita personalmente, professionalmente e in qualità di titolare, l’impresa artigiana, assumendone la
piena responsabilità con tutti gli oneri ed i rischi inerenti alla sua direzione e gestione e svolgendo in misura prevalente il proprio lavoro, anche manuale, nel processo
produttivo».
Tale legge sembra aver ribadito quello che (anche sotto il profilo storico) è l’aspetto essenziale e caratterizzante dell’impresa artigiana, e cioè la presenza diretta del lavoro anche
manuale dell’artigiano, che deve sempre dirigere personalmente l’impresa: il bene fornito o
il servizio prestato devono essere direttamente opera sua.
Successivamente, la legge 20 maggio 1997, n. 133 ha provveduto ad eliminare la preclusione alla costituzione di società artigiane a responsabilità limitata unipersonale o in accomandita semplice, adeguando le forme operative delle aziende artigiane nazionali a quelle ammesse ed esistenti negli altri paesi della Comunità.
Infine, la legge 5 marzo 2001, n. 57 (Disposizioni in materia di apertura e regolazione
dei mercati) ha consentito alle imprese artigiane di costituirsi o trasformarsi nella forma della
società a responsabilità limitata pluripersonale, per cui restano precluse agli artigiani le sole
forme della società per azioni ed in accomandita per azioni.
Glossario
Capacità di agire: idoneità di un soggetto giuridicamente capace a compiere effettivamente attività rilevanti per il diritto. La capacità di agire si acquista al compimento del 18° anno
di età.
Comunione dei beni: regime patrimoniale legale della famiglia, in mancanza di diversa
convenzione stipulata tra i coniugi. Essa si fonda sulla comune proprietà dei coniugi su determinati beni.
Diritto di prelazione: è il diritto ad esser preferito ad ogni altro soggetto, a parità di condizioni, nella stipula di un determinato contratto.
Figli naturali: figli nati da genitori non coniugati.
Liquidazione coatta amministrativa: procedura volta alla liquidazione, con l’intervento
di organi amministrativi, del patrimonio di imprese la cui attività riveste un interesse pubblico.
Scritture contabili: documenti in cui si registrano le operazioni o i singoli atti dell’impresa commerciale, nonché la situazione del suo patrimonio ed il risultato economico dell’attività svolta.
Capitolo terzo
l’imprenditore commerciale
ed i suoi ausiliari
Sommario: 1. Acquisto della qualità di imprenditore e capacità di esercitare l’impresa.
- 2. L’iscrizione nel registro delle imprese. - 3. Comunicazione unica per la nascita e l’avvio di impresa. - 4. Segnalazione certificata di inizio attività (SCIA). - 5. La tenuta delle
scritture contabili. - 6. La collaborazione all’attività imprenditoriale. - 7. Gli ausiliari subordinati dell’imprenditore. - 8. L’institore. - 9. I procuratori. - 10. I commessi. - 11. Altri lavoratori subordinati.
1. Acquisto della qualità di imprenditore e capacità di
esercitare l’impresa
La qualità di imprenditore commerciale si acquista per il solo fatto di esercitare professionalmente una attività economica di natura non agricola.
Nessun altro adempimento è richiesto, in quanto l’iscrizione nel registro delle
imprese ha solo efficacia dichiarativa. Tale qualità si perde per cessazione effettiva
dell’attività a prescindere dalla cancellazione dal registro delle imprese.
Il rischio che si ricollega all’esercizio dell’impresa e l’importanza del ricorso al credito,
con conseguente necessità di tutelare i terzi che lo hanno concesso, giustifica una particolare
disciplina in materia di capacità ad esercitare un’impresa commerciale.
Così:
— l’assolutamente incapace (minore non emancipato, interdetto) non può in nessun caso
iniziare l’esercizio di un’impresa commerciale; può, invece, continuare l’esercizio di
un’impresa commerciale che a lui pervenga per successione o donazione, previa autorizzazione del Tribunale, su parere del giudice tutelare (artt. 320 e 371 c.c.);
— l’inabilitato può soltanto continuare l’esercizio di un’impresa commerciale, se autorizzato dal Tribunale, su parere del giudice tutelare e con l’assistenza del curatore per gli atti
eccedenti l’ordinaria amministrazione;
— il minore emancipato può essere, invece, autorizzato anche ad iniziare l’esercizio di una
nuova impresa commerciale e, naturalmente, a continuare quello di un’impresa già esistente (in tal caso ha piena capacità anche per gli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione, pure se estranei all’esercizio dell’impresa).
L’autorizzazione è data dal Tribunale, su parere del giudice tutelare e sentito il curatore
(art. 397 c.c.).
Estratto della pubblicazione
288
Indice Generale
3.Requisiti della cambiale........................................................................................... Pag. 227
4. Categorie di obbligati e rapporti tra essi.................................................................. » 228
5. L’accettazione della tratta......................................................................................... » 229
6. La girata.................................................................................................................... » 230
7. Legittimazione del portatore della cambiale............................................................ » 231
8. L’avallo..................................................................................................................... » 231
9.Il pagamento della cambiale..................................................................................... » 233
10. Le azioni cambiarie ed il protesto............................................................................ » 234
11. Le azioni extra-cambiarie......................................................................................... » 235
Capitolo Terzo: L’assegno bancario e l’assegno circolare
1. L’assegno bancario................................................................................................... 2.Disciplina giuridica.................................................................................................. 3. La circolazione dell’assegno.................................................................................... 4. L’assegno circolare................................................................................................... »
»
»
»
237
238
239
241
»
»
»
»
»
»
»
243
244
245
248
249
250
254
»
»
»
»
»
»
257
258
259
260
261
263
1. Nozione.................................................................................................................... 2. La procedura............................................................................................................. 3.Effetti del concordato............................................................................................... 4.Accordi di ristrutturazione dei debiti e transazione fiscale...................................... 5. La soppressa amministrazione controllata............................................................... »
»
»
»
»
266
267
268
269
270
1. Nozione e limiti........................................................................................................ 2. Organi....................................................................................................................... 3.Disciplina.................................................................................................................. »
»
»
270
271
271
1.
2.
3.
4.
5.
»
»
»
»
»
272
273
273
274
275
Parte Quinta
Procedure concorsuali
Capitolo Primo: Il fallimento
1. Cenni generali........................................................................................................... 2. Caratteri e limiti della procedura fallimentare......................................................... 3. Presupposti del fallimento........................................................................................ 4. La dichiarazione di fallimento: A) L’iniziativa........................................................ 5.Segue: B) Il procedimento........................................................................................ 6.Segue: C) Effetti della dichiarazione di fallimento.................................................. 7. Gli organi preposti al fallimento.............................................................................. 8. La procedura fallimentare ordinaria: A) Conservazione e amministrazione del pa
trimonio.................................................................................................................... 9.Segue: B) L’accertamento del passivo..................................................................... 10.Segue: C) L’accertamento e la liquidazione dell’attivo........................................... 11.Segue: D) La chiusura del fallimento....................................................................... 12.Il concordato fallimentare........................................................................................ 13. L’esdebitazione del fallito........................................................................................ Capitolo Secondo: Le altre procedure concorsuali
Sezione Prima - Il concordato preventivo
Sezione Seconda - La liquidazione coatta amministrativa
Sezione Terza - L’amministrazione straordinaria delle grandi imprese
Generalità................................................................................................................. Presupposti soggettivi ed oggettivi........................................................................... Procedimento ed organi............................................................................................ Chiusura.................................................................................................................... La procedura d’urgenza per il risanamento aziendale.............................................. Estratto della pubblicazione
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