Prefazione di Sergio Corduas

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CORDUAS, S. Prefazione. In:
FISCHER, J. L.
La crisi della
democrazia, 2. ed. Torino: Giulio Einaudi, 1977. p. VII-X.
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Prefazione di Sergio Corduas
Se democrazia esiste, se non è un puro interregno, si può dire che la
sua condizione normale di vita sia la crisi. Ma l’accezione corrente del
termine è quella di crisi vitale, prevede la fine della_democrazia. La crisi
della democrazia di J. L. Fischer nasce da questo pericolo concreto ma
ha l’ambizione di risolvere piú generalmente il problema della
democrazia per l’Occidente e per l’epoca della seconda rivoluzione
industriale.
Che la prima traduzione occidentale di questo libro, ormai ignoto con
poche eccezioni anche in Cecoslovacchia, esca in Italia mi sembra
significativo se appena si pensa agli sviluppi del discorso sociale e
politico nel nostro paese a partire dagli anni sessanta. Se si dovesse
riassumere Fischer in una formula, direi che Fischer cerca il socialismo
come terza via rispetto alle democrazie parlamentari e al modello
sovietico, contrapponendosi poi - il libro è del 1933 - teoricamente e
politicamente al fascismo. Le premesse delle discussioni che corrono
oggi in Italia ci sono tutte. Né importa qui che molte discussioni siano
solo accademiche, molte posizioni confuse (quando non ipocrite):
importa la reale impraticabilità delle prime due vie e il reale pericolo dì
involuzione. Quest´ultimo problema può essere studiato anche al di
fuori del dilemma «fascista » / «antifascista», non soltanto perché questi
termini sono spesso confusi e talvolta alibistici ma perché può darsi
anche il caso di svolte antilibertarie e antidemocratiche né fasciste né –
tanto meno - staliniste: anche la terza via può avere un suo doppio.
Data la collocazione europeo-occidentale della Cecoslovacchia del
1933, l’attenzione principale di Fischer è volta alla critica del
capitalismo, alla ricerca dei contenuti positivi
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della democrazia, allo studio di quel deterioramento inevitabile (per
Fischer non meno che per Marx) della democrazia borghese da cui era
nato giusto allora il fascismo storico. Da questo punto di vista le
analogie profonde con la situazione attuale sono impressionanti. Vi
manca soltanto una dimensione che allora non esisteva, almeno in
Europa, la criminalizzazione diffusa delle società occidentali, la
degradazione
della
struttura
psico-fisica
(almeno
sul
piano
comportamentale)
dell’individuo
produttore-consumatore
.È
un
problema che riguardi molto piú i non (o non ancora) criminali che i
criminali, cosí come riguarda molto piú il sociologo e lo psicologo (che
dovrebbero lavorare insieme) che non i magistrati e le polizie (le polizie
tedesca o americana sono meno «efficienti» della nostra?)
La critica fischeriana del capitalismo, nei suoi aspetti economici e
politici, è interessante perché nasce, in condizioni di convergenza
reticente con Marx, dall’applicazione di metodi di indagine filosoficostrutturali, frutto del pensiero originale dell’autore, al discorso storicopolitico e sociologico. Così per esempio il rifiuto del modello sovietico di
società discende non da critiche parziali e a posteriori ma principalmente
dalla scoperta che tale modello è soltanto una variante (naturalmente
importante) di quello che Fischer chiama il «prototipo meccanicistico».
La stessa critica colpisce alcuni aspetti della teoria marxista. Ma
soprattutto è frutto di quei metodi di indagine l’acquisizione certamente
piú preziosa di tutto il libro: l’aggancio tra libertà/democrazia e
uguaglianza/socialismo, non come volontaristica tesi «morale» (ecco un
pericolo da evitare) e neanche come semplíce posizione politica, ma
come premessa ben motivata nella storia non meno che nella teoria, per
la costruzione di una società (veramente)
socialista, ovvero per
Fischer dell’unica società che non privilegi l´un termine del problema a
scapito dell´altro e che al tempo stesso funzioni. In altre parole il
compito non è di sommare la libertà (democratica, occidentale) e
l’uguaglianza (socialista, orientale) cosí come esistono oggi, secondo il
parere alquanto meccanico di alcuni, a ovest e a est; non è di
«socializzare» la «democrazia» (borghese) e di «democratizzare» il
«socialismo» (proletario): cosí formulato, l´obiettivo è utile ma di
prospettive corte e, soprattutto, fondamentalmente contraddittorio se
non si procede a una nuova
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sintesi del pensiero politico, se non si ripensano le posizioni di principio
del marxismo (incominciando certamente dalla lotta e dittatura di classe
e dal problema dello stato) per giungere a un nuovo programma
socialista e «marxista», a una democrazia socialista che sia, rispetto agli
odierni ordinamenti europei, cosa nuova, diversa e positiva.
Se si vuole, abbiamo a che fare con la quadratura del cerchio. Ma a un
simile e peraltro degno scetticismo non resta che scegliere tra
estremismo e cinismo (malattia anch’esso?). Nessuno sottovaluta
l’impresa (basta pensare all’impossibilità del socialismo in un solo
paese). Il problema però resta comunque quello. È inutile farsi illusioni:
il socialismo deve essere riveduto alle sue basi, deve essere rifondato
nel e per il nostro tempo. Non è questione di una prassi meno o non
stalinista. È questione di nuove premesse, nuove metodologie, nuoeve
soluzione. Sono infatti le condizioni oggettive del la società e del
mondo ad imporre oggi a un paese come l’Italia una terza via (o il suo
doppio). Ora, la coincidenza tra le condizioni oggettive e le conclusioni
teoriche di un Fischer non è affatto casuale: significa che la sinistra ha
perduto del tempo prezioso (secondo Fischer, è anche partita da
premesse sbagliate). Molti segni annunciano che tale terza via non è
teoricamente fondata e non è politicamente frequentabile. Pochi i segni
che annunciano il contrario. La critica «strutturale», globale e radicale
del capitalismo, le premesse teoriche, filosofiche e sociologiche, il
modello «strutturale» -socialista di Fischer sono certamente un
contributo importante alla progettazione, sempre piú urgente, di un
socialismo del nostro tempo.
Settembre 1977.
Sergio Corduas
Josef Ludvik Fischer è nato nel 1894 a Praga ed è morto nel 1973 a
Olomouc. È stato professore di sociologia e di filosofia a Brno e
Olomouc, rettore dell’Università di Olomouc dal 1946 al 1949 Il suo
pragmatismo
antipositivistico
iniziale
non
disconosceva
il
condizionamento sociale dell´esistenza di tutti i valori, della conoscenza
e della verità. La sua filosofia, da lui definita «integrativa» (cfr. p. 12,
nota), e la sua sociologia rientrano nell’ambito dello strutturalismo
cecoslovacco. La sua attività culturale e politica è stata sempre
orientata, prima e dopo la seconda guerra mondiale, in senso
democratico e socialista. È stato certamente una delle figure maggiori
della
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filosofia cecoslovacca e dello strutturalismo negli ultimi quaranta anni. Il
suo radicalismo e la sua intransigenza morale, mai scesa esso in
difficoltà con tutti i regimi succedutisi in Cecoslovacchia dalla fine della
prima guerra mondiale fino alla morte. Anche per questo è stato un
isolato e non si può dire che abbia creato una vera scuola, mentre ha
proseguito senza sosta, anche dopo la seconda guerra, le sue ricerche.
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