Gian Primo Cella DAL COMPORTAMENTO ECONOMICO ALLA RAZIONALITÀ SOCIALE. ALCUNI CENNI ALLE PARTICOLARITÀ DEL MONDO RURALE 1. Razionalità sociale e istituzioni .................................pag. 3 2. L'orientamento dalle istituzioni ................................... « 9 3. Verso una razionalità cognitiva ................................... « 14 4. Particolarità del mondo rurale...................................... « 21 Riferimenti bibliografici .............................................. « 27 1. Razionalità sociale e istituzioni Conciliare l'individuo con la società, i suoi interessi con gli orizzonti della società, le sue forme di ragionamento con il sapere o la "coscienza" dell'ambiente sociale circostante, è da sempre, in modo più o meno implicito, il tema al centro della riflessione delle scienze sociali. Una riflessione preceduta da almeno due secoli di pensiero all'incrocio fra economia e filosofia morale. Il tema, trasformato in questione, ha trovato molteplici risposte, più o meno fruttuose di ulteriori riflessioni, e più o meno durature. Una molteplicità originata anche dal conflitto fra le due soluzioni estreme proposte alla questione della conciliazione, quella che riconduceva tutto all'individuo, e quella che si richiamava alla determinazione pressochè esclusiva della società. Un conflitto non solo metaforico, se pensiamo alla vivacità di quel Methodenstreit ottocentesco, che in parte coinvolgeva proprio tale questione. Talvolta, come in questi ultimi due decenni, il conflitto si è trasferito sulla scena politica, ed anche in questo caso le soluzioni estreme non sono mancate. Si pensi a quella negazione di quel "qualcosa" a cui sia attribuibile il termine società a cui si riferiva in termini espliciti, ed eticamente molto impegnativi, il leader politico più famoso della riscossa neo-liberale, ovvero la iron lady Margaret Thatcher. I conflitti sono vivaci, ma non sempre molto fruttuosi nelle scienze sociali, specie quando si trasformano in scontri con caratteri ideologici. C'è di buono che in questi ultimi tempi, anche al fine di conciliare maggiormente, dietro a individuo e società, l'economia con le altre scienze sociali, non sono mancate riflessioni che hanno introdotto atteggiamenti pacifisti, se non irenici, fra le soluzioni estreme, aspramente contrapposte. Pensiamo a grandi economisti come Arrow, con i suoi dubbi sulla possibilità di ricondurre la razionalità in modo esclusivo all'individuo isolato, a storici economici come North, che pur proveniendo dalla New Economic History si è adoperato per imporre le istituzioni sociali nel discorso economico, ad eclettici scienziati sociali come Elster, che nel mentre sottopone le scelte degli individui al vaglio e ai paradossi della razionalità Dal comportamento economico alla razionalità sociale 3 strumentale riconduce sulla scena a pieno titolo, correndo il rischio dell'ingenuità, le norme sociali adottate senza ragioni di strumentalità. Anche le riflessioni che qui propongo potranno giovarsi di questo insieme di contributi, eterogeneo nelle ispirazioni teoriche e nei percorsi analitici, ma unito da una certa volontà di ricomposizione dei frammenti delle scienze sociali. In questo quadro, adottare posizioni eclettiche non dovrebbe essere più considerato, per necessità, fonte di precarietà teorica e metodologica. L'obiettivo sarà quello di proporre un sentiero lungo il quale valutare i rapporti e i contrasti fra comportamento economico (quasi sempre individuale) e razionalità sociale, con particolare attenzione alle particolarità che questo rapporto e questa tensione assumono nel mondo rurale, o nella sfera della produzione agricola. Entro questo quadro e con questo obiettivo non dovrebbe essere necessario iscriversi a qualche particolare scuola di pensiero, per considerare, come punto di partenza, che il comportamento economico si manifesta normalmente all'interno di assetti istituzionali. Il primo rapporto che occorre quindi considerare è quello fra comportamento e istituzioni, intese in senso molto generale come insiemi di regole formali ed informali che svolgono il compito di selezione fra i tanti comportamenti possibili, sanzionandone alcuni e incentivandone altri. Una relazione che sarà meglio intesa come intercorrente fra azione e istituzioni, se si vuole con il termine azione accentuare gli aspetti intenzionali, o di significato, per i soggetti. Con i connessi problemi di scelta. Questa collocazione del comportamento economico all'interno di istituzioni, sociali o specificamente economiche, è più che mai richiesta proprio dall'obiettivo di queste note: proporre un percorso adatto in particolare ai comportamenti che hanno luogo in agricoltura. Se uno sforzo eroico di astrazione va comunque fatto per immaginare un comportamento economico nel vuoto istituzionale, tali sforzi diventano quasi impossibili, insostenibili, nel caso più specifico dell'agricoltura. Saranno solo delle strutture ed istituzioni sociali, come quelle della reciprocità familiare o tribale, per molte produzioni agricole di sussistenza (ad esempio nelle società primitive) o istituzioni politico-economiche come quelle dell'Unione Europea per l'agricoltore nostro contemporaneo, ma sempre i comportamenti, e le scelte, del mondo agricolo sono più o meno orientati dalle istituzioni. Non solo, se si pensa alla storia europea, vediamo come tutte le grandi trasformazioni 4 Dal comportamento economico alla razionalità sociale istituzionali siano passate in primo luogo attraverso l'agricoltura, a segnalarne una duratura centralità negli equilibri delle relazioni sociali e della stessa sopravvivenza umana1. Un ulteriore chiarimento è imposto dall'altro polo concettuale che ho introdotto nel titolo di queste note, dopo comportamento (o azione), ovvero razionalità sociale. Un chiarimento opportuno, visto che esso richiama uno dei più noti problemi teorici del modello economico. E' bene dire subito che non mi occuperò qui del problema centrale dell'economia del benessere che, come ci ricorda Arrow nel saggio del 1951, è proprio quello di "derivare dai desideri degli individui un massimo sociale" (1977, p.5). Ovvero del famoso teorema che a questo autore si richiama: la impossibilità di rispettare una nozione di razionalità collettiva speculare a quella di razionalità individuale, rispettando contemporaneamente una serie di assiomi che garantiscano la democraticità della scelta. Quello che qui si propone ha solo un legame metaforico con questo problema, con minori esigenze assiomatiche e senza vincoli di massimizzazione. Si vuole piuttosto richiamare con la dizione razionalità sociale l'adozione da parte dei soggetti di una logica di decisione che vada oltre il livello della razionalità individuale, ed anche che non si limiti ad un ambito di riferimento, o a un orizzonte temporale, di cortissimo periodo. Con la prima logica si favoriscono forme di cooperazione, e si tengono sotto controllo i comportamenti da free-rider. Con la seconda si attenua la "miopia" sociale, ovvero ci si convince ad agire e a decidere tenendo conto nel presente delle conseguenze nel futuro delle proprie scelte. E' evidente il legame fra le due logiche: la cooperazione sarà favorita e meglio focalizzata, continuando la metafora oculistica, con una buona correzione della miopia. Con la cooperazione e con comportamenti non miopi si favorisce la realizzazione dell'ordine sociale, conducendo alla riduzione o al controllo, se si segue il discorso di Elster (1995, pp.11-12), di due fonti di disordine: l'assenza di 1 Si pensi alla definizione dei diritti di proprietà, che ha anticipato il trionfo della società dell'individualismo possessivo (come direbbe Macpherson, 1978), e che si è tradotta innanzitutto nei processi di chiusura delle terre (su questo Dovring, 1974, pp.679-685). Si è rilevato anche che, in certi momenti, una riforma istituzionale dell'agricoltura è considerata come un presupposto necessario all'avvento dell'industrializzazione: così rileva Gerschenkron (1976, cap.VII) nella sua ricostruzione della politica agraria russa a partire dall'atto del 1861 che proclamava la abolizione della servitù della gleba. Dal comportamento economico alla razionalità sociale 5 cooperazione e l'assenza di prevedibilità. Elster rappresenta questo disordine attraverso due famosi immagini classiche. La prima richiama la visione hobbesiana della vita delle origini, come "solitaria, povera, sgradevole, brutale, breve". La seconda identifica il dramma della incertezza, nella visione della vita del Macbeth, secondo la quale essa appare come "una storia raccontata da un idiota, piena di clamori e di furia, che non significa niente". La drammaticità di queste immagini ci riconduce ai clangori della rivoluzione inglese del XVII secolo (v. Morton, 1972), tuttavia è difficile rendere meglio situazioni nelle quali i soggetti, da una parte, non potendo contare in alcun modo sull'aiuto degli altri sono condotti ad intraprendere solo comportamenti egoisti, dall'altra, sono rinchiusi nel breve periodo dall'insicurezza e dalla incertezza derivanti dalla incapacità di prevedere gli effetti delle proprie e delle altrui scelte. Con razionalità sociale, lo si sarà capito, non ci si vuole riferire ad un attributo o a dei corsi di azione della società. Quest'ultima non può mai essere considerata come un attore sociale a patto di incorrere in quella "trappola del realismo" sulla quale Simmel ci ha messo in guardia una volta per tutte. Questa concezione realistica delle strutture sociali è implicitamente seguita da una buona parte della teoria sociale, specie di ascendenza durkheimiana. Se non si intende adottare questa concezione non è tuttavia necessario aderire alla visione opposta, che attribuisce la razionalità (per il momento non meglio definita) esclusivamente ai singoli soggetti. Saranno infatti le istituzioni a strutturare, a scoraggiare o a favorire la razionalità dei singoli e, ad alcune condizioni, a sostenere l'adozione di corsi di azione coerenti con la logica della razionalità sociale. Tale impostazione dovrebbe essere già chiara dalle prime righe di questo scritto, ma su di essa si tornerà più oltre. Se rimandiamo più avanti l'esplicitazione di ciò che possiamo intendere per razionalità, qualcosa va detto ancora sull'aggettivo sociale. Esso più che un soggetto identifica un oggetto, ovvero qualifica una categoria di razionalità che partendo dagli individui singoli, orientata e strutturata dalle istituzioni sociali ed economiche-sociali, conduce a considerare in modo esplicito le conseguenze sugli altri, sui diversi assetti di convivenza sociale, delle scelte intraprese2. Ovviamente 2 L'antropologa Mary Douglas (1995, p.8) sembra, su questi aspetti, seguire una impostazione simile, ad esempio quando nella "lettura" del Mulino del 1994 così si 6 Dal comportamento economico alla razionalità sociale non di tutte le scelte relative a tutte le transazioni economiche, ma solo di quelle che coinvolgono la cooperazione degli altri, o dipendono dagli orizzonti temporali nelle quali si collocano. Gli economisti parlerebbero a questo punto di internalizzazione delle esternalità, talvolta di ottimalità paretiana, altre volte di considerazione degli altri nelle proprie funzioni di utilità. Ma sono dizioni troppo esigenti e che implicano l'adozione di un tipo particolare di razionalità, quella economico-strumentale. Dall'ottica della teoria sociale questo, come si vedrà, non è necessario. La considerazione degli altri è necessaria per favorire la cooperazione: è difficile che altri soggetti siano disposti a cooperare in presenza esclusiva di mie scelte egoiste od opportuniste. Ma si accompagna anche alle scelte che riducono l'imprevedibilità e l'insicurezza: il disordine sociale in questo caso non nasce solo dalle conseguenze disastrose su di me delle mie scelte passate, ma anche dalla reazione degli altri ad una aggregazione di scelte individuali miopi. Sempre con l'intenzione di evitare la reificazione dei concetti, specificazioni ulteriori sono richieste proprio dal significato dell'aggettivo sociale. Esso si riferisce non tanto al sistema sociale, piuttosto ad un ambito nel quale le transazioni intraprese dagli individui (o dai loro rappresentanti) si aggregano con una certa coesione, e ad un livello al quale la percezione di tale aggregazione acquista un senso per i soggetti che hanno intrapreso le transazioni stesse. Per i lavoratori di una azienda in crisi che accettano nei "contratti di solidarietà" lo scambio fra riduzione del salario e riduzione dell'orario al fine del mantenimento del posto di lavoro, il livello sociale è ritrovabile nell'insieme dei lavoratori dipendenti dalla azienda e talvolta anche nell mercato del lavoro locale o nell'intera categoria sindacale. Per i contadini di una comunità alpina che gestiscono secondo la logica della reciprocità l'utilizzazione del patrimonio forestale, l'ambito sociale di riferimento può essere composto dalla comunità ed anche dagli utenti del patrimonio ad altro titolo (escursionisti, associazioni naturaliste, ecc.). Per i lavoratori di una categoria dell'impiego pubblico alle prese con la scelta fra le diverse opzioni pensionistiche, in una situazione di possibile scambio fra pensionamento anticipato e riduzione per tutti gli appartenenti al esprime: "Viene così alla luce il motivo profondo della nostra avversione per l'uomo economico: la manchevolezza del suo concetto di responsabilità verso gli altri". Dal comportamento economico alla razionalità sociale 7 settore dell'importo delle pensioni, l'ambito sociale delle transazioni è identificabile con tutta la categoria dei dipendenti pubblici. Per i produttori di latte sottoposti alla regolamentazione dell' Unione Europea alle prese con l'alternativa fra scelte opportunistiche o l'accettazione dei tetti produttivi, l'ambito sociale può coprire tutta la agricoltura nazionale, qualora sia in gioco la sua protezione nell'ambito delle politiche agricole comunitarie. Apparirà chiaro come questa relativizzazione del termine sociale, conduca alla possibilità di tensioni fra i diversi livelli. Da questo punto di vista, le scelte frutto della razionalità sociale conducono a esiti migliori rispetto a quelle guidate dalla razionalità individuale (sono Pareto-ottimali, esattamente come nel dilemma del prigioniero la scelta della cooperazione), ma possono configurare esiti disastrosi per livelli sociali superiori, o comunque differenti (talvolta allo stesso livello, altre volte anche inferiori). E' per questo che la cautela è d'obbligo, come sono da evitare forzature idealizzanti ( o ideologiche). In taluni casi potrebbe risultare improprio l'utilizzo stesso della dizione razionalità sociale. Per ciascuno degli esempi sopra riportati è possibile trovare possibili ricadute socialmente "irrazionali" per altri livelli. E' questo il problema di cui si è occupato anche Olson (1984) nello studiare gli effetti a livello macro, sulla performance economica di interi sistemi economici, di un associazionismo sindacale particolaristico così capace di sconfiggere il free-riding a livello di base, ma così "irresponsabile" delle conseguenze generali delle proprie politiche rivendicative. Tuttavia si può affermare che, entro appropriati assetti istituzionali, è possibile che le scelte socialmente razionali ad un livello sociale inferiore (ad esempio a livello di un gruppo organizzato attraverso legami associativi) manifestino questo tipo di razionalità anche per livelli superiori, addirittura per interi sistemi socioeconomici. Quando ciò accade, i gruppi e le associazioni, fonti di disordine sociale e politico nelle teorie della democrazia liberale, si trasformano in risorse per l'ordine. E' quello che è avvenuto negli assetti istituzionali concertativicollaborativi che si sono affermati nelle esperienze di molte democrazie centronord europee nell'ultimo mezzo secolo (cfr. Streeck e Schmitter, 1985). Le istituzioni appropriate sono necessarie, ed esse configurano soprattutto delle deleghe da parte dello stato e del sistema politico finalizzate al raggiungimento di fini importanti e condivisi (come uno sviluppo senza inflazione). Tuttavia, se si 8 Dal comportamento economico alla razionalità sociale tiene conto delle argomentazioni di Olson più sopra ricordate, questi sbocchi virtuosi a livelli sociali superiori dei legami associativi , dipenderanno anche dalle modalità di soluzione o di controllo del problema del free-riding che si adottano all'interno delle associazioni3. E' difficile, quasi per definizione, che siano utilizzabili per questi sbocchi delle associazioni abbastanza piccole da non essere vulnerate dalle conseguenze delle proprie scelte particolaristiche, se non opportunistiche. Lo saranno invece delle associazioni in grado (anche per necessità) di farsi carico delle conseguenze delle proprie scelte. Sono le associazioni che Olson definisce di tipo encompassing. 2. L'orientamento dalle istituzioni Se il comportamento economico avviene sempre all'interno del quadro fornito dalle istituzioni economico-sociali, si pongono subito delle questioni rilevanti: come si passa dal livello micro (quello del comportamento economico individuale) al livello macro (quello del condizionamento e dei vincoli istituzionali)? Come sorgono e come cambiano le istituzioni? Quali i rapporti fra strutture sociali ed istituzioni economiche? Le istituzioni economiche possono essere rappresentate, in modo sintetico, attraverso il famoso modello di Karl Polanyi che configura tre diverse forme di integrazione fra economia e società: la reciprocità, la redistribuzione e lo scambio di mercato. Le istituzioni economiche, dal punto di vista della teoria sociale, sono infatti insiemi di regole e sanzioni che hanno proprio il complito di integrare l'economia alla società, ed anche, alla fin fine, quello di difendere la società dal funzionamento stesso dell'economia. Nelle parole di Polanyi (1978, p.306): "la reciprocità sta a indicare movimenti tra punti correlati di gruppi simmetrici; la redistribuzione indica movimenti appropriativi in direzione di un centro e 3 Olson dedica notevole attenzione ai problemi dell'organizzazione dei gruppi in agricoltura, ad esempio l'American Farm Bureau Federation in Olson, 1977, pp. 153159. V. anche Olson, 1985. Dal comportamento economico alla razionalità sociale 9 successivamente provenienti da esso; lo scambio si riferisce qui a movimenti bilaterali che si svolgono fra due 'mani' in un sistema di mercato"4. Sono chiare le necessità, e i requisiti, istituzionali delle diverse forme: la reciprocità richiede gruppi sociali (parentali, tribali, di comunità) organizzati in forma simmetrica; la redistribuzione necessita di una qualche forma di centralizzazione e di autorità centrale (una amministrazione burocratica che utilizzi criteri "politici"); lo scambio di mercato, per dare luogo a relazioni di tipo integrativo, richiede l'operare di mercati autoregolati attraverso i prezzi. I gruppi simmetrici e le strutture centralizzate (con le istituzioni corrispondenti) si presentano però come strutture della società, interne alla società, funzionanti con criteri sociali (o politici). E' solo il mercato a presentarsi come struttura e istituzione autonoma, che ritrova solo al suo interno i criteri di funzionamento (i prezzi) e che si qualifica perciò come autoregolata, ovvero non necessariamente rispettosa delle esigenze della società. Sarà quest'ultima caratteristica a costituire per Polanyi quasi una ossessione analitica, e morale. Per questa distinzione Polanyi creerà la altrettanto famosa dicotomia fra economia embedded (incorporate) e disembedded nella società5. Alla prima categoria apparterrebbe l'economia nella forma della reciprocità e della redistribuzione, alla seconda l'economia nella forma dello scambio di mercato. Le forme di integrazione (o di allocazione) in quanto vere e proprie forme istituzionalizzate di organizzazione sociale delle attività economiche identificherebbero anche, in via indiretta, i tipi si sanzioni istituzionali (sociali, politiche, economiche) che regolano i rapporti fra i soggetti che prendono parte al processo economico6. Nella forma della reciprocità le sanzioni derivano dai requisiti o dalle aspettative di comportamento imposti dal sistema parentale, dalla 4 Pressochè tutti gli scritti di Polanyi sono disponibili in italiano a partire dall'opera più famosa The Great Transformation, apparsa in edizione originale negli Stati Uniti nel 1944. Molto ricca è anche in questi ultimi due decenni la letteratura "polanyiana". Per una rivisitazione critica del modello delle tre forme, e per un suo adeguamento sulla base delle riflessioni più recenti delle scienze sociali, mi permetto di rinviare a Cella, 1997. 5 Questa distinzione è stata ampiamente ripresa nei principali scritti della nuova sociologia economica: ad es in Granovetter, 1985. 6 Su questo si sofferma in particolare H.W.Pearson (1983), uno degli allievi e collaboratori più stretti di Polanyi. Questa precisazione sulle sanzioni andrà tenuta presente soprattutto per quanto si dirà nell'ultimo paragrafo di questo scritto. 10 Dal comportamento economico alla razionalità sociale comunità, dalle reti di solidarietà, dai vincoli associativi. Si tratta di aspettative generali e diffuse, la sanzione di conseguenza invaderà la vita sociale nella sua interezza, quello che è in gioco è l'appartenenza e l'identità sociali del soggetto. La sanzione inoltre sarà spesso inflitta dagli stessi attori delle transazioni. Nella redistribuzione le sanzioni, specifiche ma talvolta anche generali (penali), derivano da regole formali più o meno efficienti, emesse dall'autorità politica e finalizzate al raggiungimento dell'ordine politico. Nel mercato il motivo dei comportamenti è l'interesse individuale, i conflitti sono risolti dal movimento dei prezzi, le sanzioni sono specifiche e attengono in prevalenza, se non esclusivamente, alla sfera economica. In questa occasione le tre forme polanyiane possono essere agevolmente considerate come altrettante famiglie di istituzioni economiche (o, meglio, economico-sociali), tutte ritrovabili nel mondo agricolo, ripercorso nella storia e nella contemporaneità. Nelle reciprocità possiamo ricomprendere l'attività tradizionale agricola di sussistenza, l'agricoltura tribale della Melanesia studiata dai classici della antropologia economica (Malinowski, 1978, prima di tutti), ma anche l'organizzazione attuale delle aree di pascolo in alcune comunità alpine. Nella redistribuzione ritroviamo la gestione per ammassi delle produzioni cerealicole nei grandi imperi centralizzati dell'antichità (l'Egitto dei faraoni), ma anche l'organizzazione della produzione lattiera nell'Europa comunitaria. Nel mercato collochiamo le grandi produzioni di cereali del Mid-West, sensibili all'andamento dei prezzi alla borsa di Chicago, come le tipiche produzioni specializzate europee di ortaggi o fiori. Il modello polanyiano è, come si vede, di grande duttilità applicativa, sia in senso diacronico che sincronico, ogni volta che appare necessario cogliere ed apprezzare i rapporti fra strutture sociali ed istituzioni economiche, i diversi criteri di regolazione e di allocazione, i corrispondenti tipi di sanzioni. Il suo punto debole riguarda la questione del mutamento, ovvero delle ragioni di passaggio fra le diverse forme e quella del ruolo dell'attore, ovvero del livello micro. Ed è proprio ad una mancata specificazione di questo ruolo che si deve buona parte della sua debolezza sugli aspetti dinamici. Tale specificazione è di particolare rilievo in questa sede. Sarà infatti il soggetto, l'attore economico, per tornare alle nostre preoccupazioni, ad adottare, sia pure orientato e incentivato Dal comportamento economico alla razionalità sociale 11 dalle istituzioni, schemi di razionalità sociale. Nell'utilizzare, almeno in parte, il modello polanyiano un rischio, forse introdotto dallo stesso pensiero del grande teorico sociale, va comunque evitato: quello di considerare la razionalità sociale come appannaggio esclusivo delle prime due forme di integrazione (e di allocazione), la reciprocità e la redistribuzione. Non è in questo senso, come si vedà, che il modello va utilizzato. In questa direzione, ci si inserisce lungo un cammino, che è stato molto ben indicato, ed in parte percorso, da North (1994, p. 26): "Costruire una teoria delle istituzioni sulla base delle scelte individuali è un passo verso una migliore armonia tra la scienza economica e le altre scienze sociali". Forse è da ridurre qualche eccesso di "individualismo metodologico", del resto piuttosto controllato nella argomentazione dell'autore, ma l'indicazione è chiara. Questa teoria delle istituzioni è ancora distante, tuttavia l'indicazione resta tracciata, ed i connessi cambiamenti richiesti alla prospettiva tradizionale degli economisti, restia ad assegnare ruoli rilevanti alle istituzioni, non sono di poco conto. Il risultato, ci dirà più avanti North iniziando ad affrontare i divergenti sentieri di sviluppo dell'America del Nord e dell'America Latina, sarà "un sistema teorico che offre una qualche speranza di collegare il livello dell'attività microeconomica con quello degli incentivi macroeconomici forniti dal sistema istituzionale" (ibid., p.162). E questi incentivi derivano dagli assetti istituzionali, così come questi sono plasmati dalle istituzioni sociali di fondo. Per capire i fallimenti delle istituzioni economiche latinoamericane, incapaci di fornire gli incentivi adatti alla modernizzazione economica, bisognerà così riandare a quelle strutture sociali centralizzate ereditate dalla tradizione spagnola, ed in particolare di quelle nate sugli altopiani della Castiglia. In questo senso, i sentieri dello sviluppo si accompagnano a dei veri e propri sentieri istituzionali (institutional path). Nel processo di relazione fra micro e macro, i due contatti che meritano una attenzione particolare sono quelli fra istituzioni sociali (e strutture macro-sociali) e comportamenti individuali, da un lato, e fra questi ultimi e le istituzioni economiche. Una impostazione efficace potrebbe essere ottenuta attribuendo all'attore delle possibilità di scelta all'interno di un quadro fornito dalle strutture o dalle istituzioni macro-sociali (la comunità di villaggio alpina nell'esempio dei pascoli), dalle istituzioni economiche (le regole di utilizzazione dei pascoli), da un 12 Dal comportamento economico alla razionalità sociale contesto istituzionale (l'insieme più o meno integrato di regole economiche, politiche, sociali). Le tre dizioni "istituzionali" non sono generiche, o considerabili come sinonimi intercambiabili, ma individuano delle situazioni differenti. Ritornando al modello polanyiano, nella transizione fra micro e macro, sono le scelte che potrebbero intervenire fra la fase 1 (istituzioni sociali o strutture macro-sociali) e la fase 2 (comportamenti economici), ma anche fra la fase 3 (istituzioni economiche) e la fase 2 in un momento successivo. In termini molto semplici, la domanda a cui si tenta di fornire una risposta in questa sede è la seguente: in quali situazioni o contesti istituzionali, è possibile che i soggetti di transazioni economiche, magari operatori del mondo rurale, adottino scelte orientate da una qualche forma di razionalità sociale? Una tale possibilità può essere favorita attraverso istituzioni, formali ed informali, che forniscono una cornice od una "struttura", che conducono a "strutturare", a orientare, ad ordinare le scelte e le decisioni dei soggetti. James Coleman (1987, p.160) parlava a questo proposito di un "algoritmo" tutto particolare, con il compito di introdurre "una istituzione che impone una particolare struttura al sistema". In questo senso è rilanciato il ruolo della sociologia nello studio dei processi economici, con dei ritorni quasi ai decenni dell'età classica, a cavallo dei due secoli (cfr. Gislain e Steiner, 1995). Sarà lo stesso Coleman ad esprimere chiaramente questo ritorno (nell'intervista a Swedberg, 1994, p.56): "ciò che è peculiare della sociologia non sono le azioni dei giocatori -che si possono assumere come date- ma piuttosto l'insieme delle regole del gioco; le strutture cioè in cui agiscono le persone: fissare gli obiettivi, costruire la struttura degli incentivi e poi lasciare che il sistema funzioni". Si potrà obiettare sulla considerazione come date delle azioni individuali, su qualche eccesso di teoria della scelta razionale, ma il programma teorico e di ricerca sembra ben tracciato, ed in buona parte condivisibile. Per muoversi lungo questa direzione non sembra però necessaria la strada forte della razionalità individuale (ovvero della razionalità economica strumentale), che andrebbe talvolta sconfitta a favore della razionalità sociale. Basterebbe seguire l'ispirazione derivante da affermazioni (inconsuete nel mainstream economico anche se non nelle altre scienze sociali) come la seguente Dal comportamento economico alla razionalità sociale 13 di Arrow:"...voglio sottolineare che la razionalità non è una proprietà dell'individuo isolato, sebbene sia normalmente presentata in questo modo. Piuttosto, essa raccoglie non solo la sua forza ma anche il suo significato più profondo dal contesto sociale nel quale essa è incorporata (embedded)" (1986, p.201). Affermazioni che bene si adattano a programmi di teoria sociale come quelli di Polanyi. Programmi e modelli che possono essere allora aggiornati ed adattati, con l'introduzione dei meccanismi di scelta dell'attore, senza risultare eccessivamente stravolti. 3. Verso una razionalità cognitiva? Per rappresentare, e interpretare le scelte che conducono verso la razionalità sociale, certo non sarà possibile limitarsi al campo della razionalità strumentale7. Occorrerà in qualche modo ragionare sui fini che i soggetti si pongono. Se, ad esempio, fine del soggetto che intraprende l'azione, o che sceglie fra diversi corsi di azione, è quello di preservare il proprio ambito sociale di riferimento, o la propria posizione entro questo ambito, si potranno meglio rappresentare molte "deviazioni" dal cammino della razionalità individuale. Si comprenderà anche come, talvolta, questi orizzonti aiutino a fare uscire il soggetto dalla "tirannia" delle microdecisioni (come direbbe Schelling), o ad evitare la frustrazione degli stessi fini individuali in conseguenza di scelte socialmente "miopi". Ma ragionare sui fini, e dunque sulla razionalità dei fini, implica di conseguenza misurarsi con una razionalità dei valori, senza i quali sarebbe impossibile giudicare i fini. Su questo cammino weberiano, si riusciranno a percepire le differenze fra le concezioni della razionalità tipiche dell'economia e quelle accettabili dalle altre scienze sociali. E' proprio su questo "ritorno" verso le scienze sociali dell'età classica che si apriva quel confronto di Chicago fra economisti e psicologi del 1985 che va ricordato come una preziosa fonte di stimoli e di intuizioni. Nella introduzione di Hogarth e Reder, una affermazione 7 Queste argomentazioni sono esposte con maggiore dettaglio, in riferimento alle ragioni di passaggio fra una forma di allocazione all'altra nel modello polanyiano, in Cella, 1997, cap. 3. 14 Dal comportamento economico alla razionalità sociale semplice quanto perentoria così impostava il problema: "Mentre la razionalità economica si riferisce solo ai mezzi, il concetto di razionalità nelle altre scienze sociali (come anche nel linguaggio quotidiano) tipicamente coinvolge una qualche combinazione delle razionalità di mezzi e fini" [1986, p.4]. Questo è il tracciato. Secondo questa linea di riflessione una prima possibilità, quasi una tentazione, potrebbe essere quella di distinguere fra azione orientata dalle norme sociali, ed azione guidata dalla razionalità strumentale. Si intende con la prima dizione, in senso proprio, rifarsi alle norme condivise socialmente almeno in un ambito di riferimento, non necessariamente sanzionate in termini giuridici, bensì collegate alla stima, alla riprovazione sociale, all' onore, alla tradizione, ecc. Ma l'efficacia di queste sanzioni sociali, positive e negative, dipende soprattutto dalla interiorizzazione delle norme stesse. Le norme sociali possono anche trovare una sanzione giuridica, ma non è questa a caratterizzarle in termini specifici. Questo rafforzamento del potere obbligante delle norme sociali attraverso la sanzione giuridica avveniva anche nelle società antiche o tradizionali. Si pensi a quelle "norme suntuarie", che limitavano i consumi o le spese di lusso per alcuni strati sociali. Con l'avvento delle società legali-burocratiche sono aumentate le norme sociali che ritrovano una sanzione giuridica, nel mentre si riduce la capacità di orientamento e di obbligazione derivante dalle norme sociali stesse. Tuttavia in molti casi prevale il potere obbligante derivante dalla interiorizzazione delle norme sociali anche laddove è previsto l'intervento della sanzione legale. Si pensi a molti obblighi nascenti nell'ambito familiare. Seguendo questa impostazione, la scelta fra diverse forme di allocazione o di regolazione, l'emergere o il declino di una di esse, la loro logica di funzionamento dipenderebbe in molti casi non tanto dall'operare di una qualche forma di razionalità (strumentale), quanto dall'influenza di norme sociali. Sotto altri aspetti, l'adozione di corsi di azione conducenti a scelte cooperative o non miopi, sarebbe favorita dalla interiorizzazione di norme sociali. Il saluto che si scambiano viandanti o escursionisti anonimi sui sentieri di montagna (sull'esempio del comportamento di pastori o contadini), da questo punto di vista, non sarebbe suggerito dalle possibili situazioni di bisogno in cui il viandante potrebbe trovarsi, ma dalla adozione (magari limitata nel tempo e nello spazio) di una norma di buon vicinato tipica delle aree alpine. Dal comportamento economico alla razionalità sociale 15 Così facendo l'invito di Hogarth e Reder è accolto solo in parte, solo per quanto riguarda la limitazione dell'intervento della razionalità strumentale. La razionalità dei fini è accantonata, od aggirata, attraverso l'intervento delle norme sociali. Su questo percorso, se diamo un significato proprio alle parole, verso le diverse forme di allocazione, e verso le "famiglie" istituzionali da esse rappresentate, guiderebbero azioni frutto di scelte orientate da una qualche forma di razionalità strumentale8, ma anche comportamenti orientati dalle norme sociali. E' stato Elster ad avere reintrodotto attraverso i suoi numerosi scritti, teorici ed applicativi, questa distinzione (invero tutt'altro che nuova nel pensiero sociologico). Per la spiegazione dei due problemi dell'ordine sociale (derivanti da assenza di prevedibilità e assenza di cooperazione ) già più sopra ricordati, Elster utilizza infatti due strumenti concettuali. Il primo nasce dalla teoria della scelta razionale, il secondo dalla teoria delle norme sociali. La distinzione è netta; l'autore sostiene infatti che "le norme sociali forniscono un importante tipo di motivazione per l'azione, una motivazione che non può essere ricondotta alla razionalità, né, in effetti, ad altre forme di meccanismi di ottimizzazione" [1995, 30]. La differenza dalla razionalità è indubbia anche se Elster ammette di utilizzare una nozione poco esigente di razionalità, una "nozione minimalista, secondo la quale il comportamento razionale è coerente, orientato al futuro e strumentalmente efficiente" [ibid.,56]. Nel suo Nuts and Bolts [1989] è ancora più esplicito, riguardo alla distinzione, se non alla contrapposizione, fra norme sociali e razionalità. Rafforza inoltre questa posizione replicando alle possibili obiezioni sulla strumentalità nascosta sia delle norme sociali che del comportamento orientato dalle norme stesse. Che le norme possano essere strumentali a fini sociali può essere scontato. Ma che attraverso una impostazione strettamente consequenzialista si possa spiegare l'esistenza di tutte le norme sociali è perlomeno dubbio. In merito al comportamento individuale, il sostenere che è sempre messo in atto guardando al risultato (ovvero ad evitare la sanzione sociale, che sia riprovazione o ritiro della stima), impedisce di valutare sia il peso della interiorizzazione (che permette 8 Azioni che sarebbero in questo caso spiegabili magari attraverso il modello dei costi di transazione (v. North, 1994). Sarebbero intraprese le forme che presentano i costi di transazione minori, o che permettono una riduzione di questi costi. 16 Dal comportamento economico alla razionalità sociale talvolta di escludere il ruolo della sanzione) sia la estrema debolezza di alcune eventuali sanzioni. Tuttavia, per i fini che qui ci si propone, questa distinzione non convince appieno. Innanzitutto per una possibile, e non rara, sovrapposizione fra le due fonti di orientamento dell'azione. Molti azioni guidate dalla razionalità strumentale, ad esempio nel mercato o verso il mercato, continuerebbero ad essere influenzate da norme sociali, ovvero da costrizioni istituzionali informali , per usare la terminologia di North. Sono ad esempio quelle che conducono verso la costruzione sociale della fiducia. E' in fondo un richiamo della constatazione durkheimiana dei fondamenti extra-contrattuali dei contratti stessi. Ma ulteriori esempi potremmo coglierli nella persistenza di regole nascoste di fairness in molte transazioni di mercato9. Per spiegare questa sovrapposizione, e questa sopravvivenza, delle norme sociali anche in contesti di mercato sarebbe opportuno ricorrere ad una fonte più unitaria di orientamento dell'azione dei soggetti. E' la direzione cognitiva verso la quale proprio North invita a procedere: "Il modo in cui la mente umana processa le informazioni non solo è alla base dell'esistenza delle istituzioni, ma è anche la chiave di lettura delle relazioni causali tra i vincoli informali e la costruzione dell'insieme di scelte che caratterizza l'evoluzione di breve e lungo periodo delle società" (1994,p.73). Al di là della indicazione impegnativa ed ambiziosa, è proprio di questa fonte unitaria di cui si richiama l'esigenza. L'accettazione di una norma sociale non impedisce poi l'intervento della razionalità strumentale nella scelta delle forme di regolazione attraverso la quale si potrebbero perseguire le finalità previste dalla norma stessa. Nell'ottica delle forme di regolazione qualcosa di simile è capitato sulle polemiche in merito alla liberalizzazione o meno del commercio e dell'uso delle droghe (più o meno leggere). L'accettazione di una norma (occuparsi dei cittadini con maggiore disagio), al di là delle prescrizioni giuridiche, non impedisce il manifestarsi di 9 Questa persistenza è rilevabile nella bella ed interessante ricerca di Jorion (1990) sui meccanismi della vendita del pesce nelle comunità di pescatori della costa bretone:"il fattore determinante della formazione dei prezzi non sarebbe il nudo confronto dell'offerta con la domanda, ma lo status reciproco delle parti che entrano in relazione nella vendita del pesce" (p.61). Dal comportamento economico alla razionalità sociale 17 preferenze per una forma (la proibizione) o l'altra (la liberalizzazione), giustificate attraverso argomentazioni di tipo strumentale. Ancor di più. Il permanere di una norma sociale, non delimita una volta per tutte i suoi ambiti di influenza e di "costrizione". In talune situazioni sembra quasi che i soggetti, più o meno orientati dalle costrizioni sociali informali, possano decidere in merito agli ambiti di applicazione di una norma, nei confronti della quale si continua a manifestare sensibilità, se non deferenza. La diffusione delle assicurazioni sulla vita (permessa dal superamento di norme sociali tradizionali), non ha fatto scomparire la sanzione sociale esistente verso la utilizzazione del criterio del prezzo sulle questioni attinenti alla vita umana. Si è allora in qualche modo costretti a ritornare all'invito perentorio di Hogarth e Reder, ricordato più sopra. Se la ricerca di una fonte di orientamento unitaria dell'azione è auspicabile, difficilmente questa fonte può essere ritrovata nella razionalità strumentale, ed in quest'ambito nella più esigente e rigorosa delle forme di razionalità, quella economica. Dovremo semmai ricercare una forma della razionalità più comprensiva, una categoria più ampia della quale faccia parte sia la razionalità strumentale sia, in una posizione ancor più particolare, quella economica. Che la razionalità economica possa assumere una posizione più generale sembra oltremodo difficile. Entro questa forma più comprensiva potranno trovare spazio forme di razionalità sociale10. Più che mai convincente sulla non giustificata applicabilità generale della razionalità economica è ancora l'intervento di Arrow [1986] presentato in occasione del convegno di Chicago del 1985 fra psicologi ed economisti. Il punto di partenza di Arrow, lo ho ricordato più sopra, riguarda il ruolo del contesto sociale nel formarsi e nella espressione della razionalità. In effetti, continua Arrow, la assunzione di razionalità non è strettamente connessa alla formulazione di una teoria economica. Per di più quando le teorie cercano applicazioni dirette tendono a fondarsi su assunti di altra natura, senza i quali sarebbe ingestibile il modello di razionalità. Fra questi assunti quello secondo il 10 E' interessante notare, come ricorda Lechi (1993, pp.53-54), che secondo Buchanan non ha senso parlare di "razionalità sociale", in quanto non sarebbero giustificati due livelli di razionalità, quello individuale e quello collettivo. La sola reazionalità sarebbe quella individuale, ed alle scelte collettive si arriverebbe attraverso processi di contrattazione e scambio 18 Dal comportamento economico alla razionalità sociale quale tutti gli uomini avrebbero la stessa funzione di utilità. Ma , si chiede Arrow con un paradosso devastante, quale posto ci sarebbe per gli scambi, ad esempio nei mercati finanziari interpretati dai modelli macro-economici, se tutti gli attori fossero simili? Un altro assunto non facilmente sostenibile riguarda la presunzione di razionalità che ogni attore deve attribuire non solo al comportamento dell'attore con cui scambia, ma a quello di tutti gli altri attori. Una catena non plausibile, a meno di immaginare qualcosa di vicino ad una costruzione sociale della razionalità (come si affermava in partenza). Lo stesso assunto di perfetta informazione condurrebbe ad effetti paradossali, anche in questo caso verrebbero resi inspiegabili le transazioni. Una ragione degli scambi, ad esempio nei mercati finanziari, riguarda proprio la differenza di informazione fra gli attori. Ma in tal caso l'assunto cade. L'adozione del modello di razionalità economica condurrebbe dunque a conclusioni molto distanti dai fenomeni osservati. Esattamente come nella ben nota, e divertente, osservazione secondo la quale non ci potrebbe mai essere denaro sulla strada, perchè qualcun altro avrebbe già provveduto a raccorglierlo. L'affermazione finale è ancor più trasgressiva, ed evocativa, degli inviti di North. Le analisi future, conclude Arrow [1986, 214], dovranno adottare più efficaci assunti di computability nella formulazione delle ipotesi di comportamento economico, ma "questo è probabile presenti non poche difficoltà, innanzitutto perchè non ogni cosa è calcolabile, ma anche perchè ci sarà in questo senso un inerente imprevedibile elemento nel comportamento razionale. Qualcuno sarà felice di questa conclusione". La ricerca di una fonte unitaria di orientamento delle azioni non implica certo la risoluzione dei problemi derivanti dal carattere politetico del concetto di razionalità, ovvero dalla pluralità di sensi con cui il concetto stesso è usato. Un carattere che bene ha messo in luce Boudon ispirandosi a Wittgenstein: "non si può sperare di ottenere un accordo su alcuna definizione la quale supponga implicitamente che il termine sia non politetico" [Boudon 1993, 340]. Si tratta in questo caso, come accade per il termine causa nel linguaggio scientifico ed anche per il termine uguaglianza nelle scienze sociali, di una sorta di a priori linguistico. Viene usata cioè una sola parola per identificare un tipo di parole. E' indubbio che la trasformazione in senso non politetico del termine razionalità possa Dal comportamento economico alla razionalità sociale 19 rafforzare la metodicità del discorso scientifico nelle scienze economico-sociali. E' quello che accade con il concetto semplificato di razionalità strumentale, ed ancor di più con quello di razionalità economica. Ma il vantaggio della metodicità, può essere compensato, e superato, dagli svantaggi del riduzionismo. La famiglia di parole, e di concetti, che tendiamo a nominare con il termine unico di razionalità, continua ad essere molto affollata. E continua a comprendere, ci ricorda Boudon (ibid., p.415) significati che vanno da quello utilitaristico, a quello teleologico (la razionalità strumentale identificata dalla Zweckrationalität weberiana), a quello normativo (la Wertrationalität weberiana), a quello tradizionale, fino a quello cognitivo. Tutto quello che possiamo fare è quello di adottare il significato unitario che più permette di rispettare la politeticità del termine. Nulla di più. La proposta di Boudon è quella di utilizzare una concezione "ostensiva" di razionalità . Propone cioè di definire la razionalità come si usa in linguistica, presentando con il termine l'oggetto o il processo che rappresentano il significato della parola che si vuole definire. Da questo punto di vista sarà definita come razionale o orientata dalla razionalità, ogni azione della quale è possibile affermare come il soggetto avesse delle "buone ragioni" per intraprenderla.11 Questa concezione ostensiva si avvicina molto al significato cognitivo della razionalità. E' una fonte unitaria dell'agire ma rispetta il carattere polititetico della razionalità. E' un suggerimento prezioso per il percorso che stiamo qui conducendo, perchè su di essa sarà possibile fare operare sia i condizionamenti delle strutture macrosociali, sia quelli del contesto istituzionale. In questo quadro la razionalità sociale, non sarà configurabile tanto come frutto della sconfitta della razionalità individuale (economico-strumentale, soprattutto), quanto come un orientamento delle scelte del soggetto, con origine da una una fonte unitaria, che ha chances di affermazione quando le condizioni istituzionali (in combinazione con le strutture macro-sociali) lo favoriscano. 11 Il cammino delle "buone ragioni" è perfezionato da Boudon in un lavoro successivo, dal titolo evocativo ed inconsueto nelle scienze sociali Le juste et le vrai (1995). In esso si adotta una versione morbida del modello cognitivista (ovvero che non contiene una teoria dell'apprendimento), partendo dal presupposto "che l'azione del soggetto debba essere analizzata come avente un senso per lui stesso, e questo senso si riconduce nella maggior parte delle situazioni esaminate dalla sociologia, dalla storia, dall'economia a un sistema di ragioni percepite dal soggetto come solide" (p.289). 20 Dal comportamento economico alla razionalità sociale 4. Particolarità del mondo rurale La conciliazione degli obiettivi individuali con le esigenze sociali, l'orientamento del comportamento individuale derivante dagli assetti istituzionali, l'adozione da parte dei soggetti di forme di razionalità sociale acquistano un significato del tutto particolare nel mondo rurale, della tradizione così come della contemporaneità. Un ambiente nel quale la razionalità individuale di tipo economico-strumentale, tipica della regolazione e della allocazione attraverso la forma del mercato, incontra vistosi limiti, fisici, sociali, istituzionali. La considerazione di queste particolarità, e di questi limiti, introduce un punto di vista che non è comune nella analisi dei fatti economici, specie ad opera della stessa scienza economica. E' un punto di vista che potremmo definire "sostanzialista" se non avessimo il timore di riaprire quel dibattito, quasi un conflitto, fra sostanzialisti e formalisti che ha scosso per lunghi anni le riflessioni e le ricerche della antropologia economica. Uno di quei conflitti che, come si diceva agli inizi, potrebbe essere agevolmente ricomposto attraverso l'adozione di schemi più eclettici, e di posizioni più pacifiste. Pur con questa sensibilità, potremmo comunque dire che l'adozione degli schemi formalisti ha impedito, ed impedisce, di cogliere le specificità (anche sul piano dei modelli di razionalità) che presentano situazioni produttive o di transazione come quelle diffuse in agricoltura12. I limiti fisici riguardano sia la produzione in situazioni di rischio (specie di tipo metereologico), sia la necessità di "internalizzare" le esternalità. Nella 12 Sono comunque gli antropologi economici ad aver dedicato più attenzione alle particolarità della situazione agricola, specie in riferimento aglli aspetti legati alla "questione contadina", ovvero, come nota Wilk (1997, p.45), "del più vasto gruppo di individui presenti nel nostro pianeta". Le domande in proposito riguardano soprattutto la "diversità" della logica produttiva dei contadini all'interno della stessa produzione agricola. Le conclusioni tratte dalle ricerche antropologiche non concordano. Alcune, come quella di Scott (1976) sottolineano i fondamenti del sistema contadino "sull'ordine morale e su una logica economica che opera a livello comunitario e non individuale" (Wilk, 1997, p.47). Altre (ad es. Popkin, 1979) riconoscono invece, sotto gli atteggiamenti comunitari di copertura, l'operare di una vera e propria razionalità economica strumentale. Dal comportamento economico alla razionalità sociale 21 situazione di rischio sono coinvolti i produttori agricoli a pressochè ogni livello della scala di stratificazione, non solo i grandi produttori rivolti al mercato ma anche i piccoli contadini dediti a coltivazioni per l'autoconsumo. La internalizzazione non riguarda tutta la produzione per la totalità dei produttori (ad esempio non i nomadi), tuttavia coinvolge almeno una parte di coltivazioni per tutti. I limiti sociali riguardano soprattutto la popolazione contadina (che rappresenta la grande maggioranza della popolazione attiva in agricoltura) ed identificano gli stretti legami fra strutture familiari, ed anche tribali e comunitarie, e strutture produttive. I limiti istituzionali, già ricordati più sopra, sono generalizzati in tutte le epoche e in tutte le società e si traducono in forti costrizioni (formali ed informali) al comportamento economico. Tutti questi limiti comportano vincoli notevoli alla espressione della razionalità economica individuale. Per di più essi agiscono talvolta rafforzandosi a vicenda. I limiti sociali, ad esempio, possono aggravare le situazioni di rischio, rafforzando anche per cause emotive le difficoltà cognitive (v. le ricerche di Tversky e Kahnemann, 1981) in cui comunque i soggetti incorrono per la valutazione di tali situazioni. I limiti istituzionali, a loro volta, possono imporre con sanzioni le esigenze di internalizzazione. Nel complesso la necessità di intraprendere corsi di azione orientati alla cooperazione e alla prevedibilità (ovvero rifuggenti dalla "miopia") è più pressante rispetto ad altre situazioni produttive, o ad altri sistemi di transazioni economiche. A queste necessità non sempre i soggetti saranno però in grado di rispondere in termini di razionalità sociale. A questi limiti è imputabile un certio "conservatorismo" rilevabile negli ambienti agricoli, e nel mondo contadino soprattutto (cfr. Wilk, 1997, pp.164-165. Da qua anche una certa improbabilità di una manifestazione a livello individuale del comportamento innovativo. Saranno piuttosto assetti istituzionali opportuni a favorire l'innovazione, permettendo una piena espressione delle potenzialità della razionalità sociale. In questi casi, attraverso opportune reti di relazioni sociali istituzionalmente favorite, anche le difficoltà cognitive potranno essere tenute sotto controllo (così sostiene Mary Douglas, 1995, p.21). In altri termini, tali limiti possono essere rappresentati come conseguenze di tre particolarità fortemente caratteristiche della produzione agricola. La prima 22 Dal comportamento economico alla razionalità sociale riguarda la "atipicità" della merce terra (osservata da Polanyi); la seconda è connessa all'ampio intervento della politica, o delle politiche, nei compiti di regolazione delle attività e delle transazioni in agricoltura; la terza deriva dalla estesa presenza nel settore di risorse comuni ( quelle individuate nel famoso articolo di Hardin del 1968 su "Science", Tragedy of the Commons) per le quali il problema fondamentale è di regolarne l'uso per preservarne la validità economica nel lungo periodo (si tratta di risorse idriche per l'irrigazione, foreste, pascoli, aree di pesca, ecc.). La caratterizzazione della terra come merce "fittizia" (fictitious commodity) è presente in Polanyi già in The Great Trasformation (del 1944). Essa appartiene ad una terna di elementi (lavoro, terra, moneta) la cui descrizione come merce si rivela del tutto fittizia. Permettere di assogettare queste merci alla logica di mercato, condurrebbe alla distruzione della società. Certamente i mercati, in una società di mercato, sono essenziali anche per queste "merci", ma nel momento in cui si ammette questo va anche riconosciuto che la società, a pena della sua sopravvivenza, pone continui limiti al funzionamento di questi mercati. Questo è rilevabile con chiarezza dalla storia sociale del XIX secolo, che può essere considerata come il risultato di un doppio movimento: "l'estensione dell'organizzazione del mercato rispetto alle sue merci vere e proprie era accompagnata dalla sua limitazione rispetto a quelle fittizie" (1974, p.98). La funzione economica, è solo una delle molteplici funzioni vitali della terra, in questo è accomunabile al lavoro. E' significativo come, almeno un trentennio prima degli inizi della diffusione della sensibilità per la difesa ambientale, Polanyi facesse derivare da questo carattere della terra delle considerazioni più che mai attuali13. E' sorprendente come da queste caratteristiche costanti della terra e del lavoro, non siano state tratte dalla scienza economica conseguenze adeguate per quanto attiene al comportamento dell'attore ed ai suoi modelli di razionalità. Ha prevalso l'uso metaforico del termine merce. 13 Si veda questo passo: "La natura verrebbe ridotta ai suoi elementi, l'ambiente ed il paesaggio deturpati, i fiumi inquinati, la sicurezza militare messa a repentaglio e la capacità di produrre cibo e materie prime, distrutta" (Polanyi, 1974, pp.94-95). Un drammatico misto di Hobbes e di Macbeth, per riprendere le immagini riportate più sopra. Dal comportamento economico alla razionalità sociale 23 L'ampio intervento delle logiche della politica in agricoltura costituisce una particolarità sulla quale è difficile non concordare. Esso identifica un settore in cui "il peso delle scelte politiche incide in modo decisivo sui meccanismi economici" (Lechi,1993, p.44). Questo carattere potrebbe sconvolgere il discorso degli economisti solo se si resta legati al tradizionale modello della razionalità individuale di tipo economico-strumentale. Altro è, come ci suggerisce ancora Lechi (p. 45), se si coglie l'opportunità per approfondire la logica di comportamento degli attori, nonchè la formazione dei fini ed il peso dei valori. Il modello di razionalità da adottare potrebbe essere simile a quello proposto nelle ultime righe del precedente paragrafo, non alieno dalla considerazione dei valori, attraverso le "buone ragioni" dei soggetti. Le politiche di intervento in agricoltura contribuiscono tutte a strutturare il campo di azione dei soggetti (come direbbe Coleman), anche se nel loro insieme possono costituire un insieme altamente eterogeneo. In molti casi, attraverso compiti selettivi dei comportamenti, possono favorire l'adozione di forme di razionalità sociale, ma in certe situazioni l'ambito di riferimento può essere altamente ristretto, non più ampio di piccoli gruppi di produttori. E' opportuno così proporre una distinzione fra le grandi categorie di politiche. La più famosa è quella proposta da Rausser (1982) e si fonda sulla distinzione fra politiche PERT's (political economic resource transaction policies) e politiche PEST's (political economic-seeking transfer policies). Le politiche del primo gruppo sono rivolte all'aumento dell'efficienza del sistema attraverso la riduzione dei costi di transazione presenti nel sistema privato, correggono fallimenti del mercato, e forniscono beni pubblici. Sarebbero insomma rivolte all'aumento del benessere sociale. Il secondo tipo di politiche ha compiti di redistribuzione della ricchezza da un gruppo ad un altro, secondo il loro potere di pressione, e non è direttamente coinvolto con problemi di efficienza. Le due politiche sono rappresentate da Rausser con la popolare immagine dell'economia come una torta: " Le politiche PERT's espandono la misura della torta, quelle PEST's allocano le porzioni servite" (Rausser e Foster, 1990, p.641). Le prime sono tipicamente di fonte pubblica, le seconde originano dai settori privati, ma possono essere incluse nei programmi di governo qualora si riveli necessario ottenere l'appoggio di quei gruppi potenti che potrebbero boicottare 24 Dal comportamento economico alla razionalità sociale proprio le politiche PERT's. Queste ultime favoriranno l'adozione di forme di razionalità sociale (rivolte verso la cooperazione e la prevedibilità) con ambiti di riferimento ampi ed elevati. Gli ambiti coinvolti dalle seconde saranno molto più ristretti, e questo dipenderà soprattutto dal grado di "miopia" e di irresponsabilità dei gruppi di pressione relativi14. La tragedia dei commons è l'immagine hobbesiana con la quale si è simbolizzato il degrado, la distruzione dell'ambiente derivanti dall'uso da parte di molti individui di una risorsa scarsa in comune. I problemi della fornitura, e della regolazione, di queste risorse hanno generato un interessante filone di ricerca nelle scienze sociali, che si affianca, con solo qualche sovrapposizione, a quello più consolidato dedicato allo studio dei public goods. Al centro di queste ricerche stanno contributi come quello di E.Ostrom (1990). Il punto di partenza è sempre la definizione del problema data da Hardin, efficacemente rappresentata dall'esempio del pastore "razionale" in un pascolo "aperto a tutti": ogni pastore riceverà un beneficio diretto dall'aumento senza limiti del pascolo per gli animali di sua proprietà, ma sopporterà in futuro solo una parte dei costi (o dei danni) risultanti dall'utlizzazione eccessiva (overgrazing). La tragedia è proprio quella a cui conduce il perseguimento "razionale" (e illimitato) dei propri interessi individuali in un ambiente limitato, senza cooperazione e con scelte fortemente miopi. La tragedia sfocerà nel disordine. Il grave problema di regolazione che si pone, ricorda la Ostrom, ha suscitato proposte contrastanti di soluzione: "I sostenitori della regolazione centralista, della privatizzazione, e della regolazione attraverso i soggetti direttamente coinvolti hanno spinto le loro prescrizioni di politiche in una varietà di differenti arene" (1990, p.1). L'avvicinamento al modello polanyiano delle tre forme di allocazione e di regolazione è evidente, anche se, come spesso accade, viene sottaciuto. Le soluzioni sono ritrovabili non solo nel Leviatano (il centralismo) o 14 Lechi (1993, p.92) , a questo proposito, introduce la distinzione fra azioni "altruistiche" (favorite dalle politiche PERT's) ed azioni "egoistiche" (rivolte alle, o favorite dalle, PEST's). Forse una tale distinzione è eccessiva, in quanto entrambi i tipi di politiche possono favorire una uscita dalla semplice razionalità individuale. Mi sembra più rilevante considerare l'ampiezza ed il livello dell'ambito sociale di riferimento, ed il grado di responsabilità delle associazioni degli agricoltori. Le istituzioni possono comunque favorire la adozione di una vera e propria razionalità sociale. Dal comportamento economico alla razionalità sociale 25 nella privatizzazione (l'operare nel mercato di diritti di proprietà privati), ma anche in una sfera che molto si avvicina a quella polanyiana della reciprocità, nella quale le attività di controllo o di monitoraggio, e di erogazione delle sanzioni, non sono condotte da autorità esterne, ma dagli stessi partecipanti alle transazioni. Significativi esempi di successo nella regolazione di problemi che vanno dalla utilizzazione delle aree di pesca alla partecipazione a sistemi di irrigazione, possono essere iscritti proprio a questa terza forma, efficace soprattutto quando può fondarsi su appropriate, e coerenti, strutture sociali (ad esempio popolazioni stabili e confini ben definiti)15. Anche in questo caso siamo di fronte alla necessità di indagare in ordine alle forme istituzionali che possano favorire l'adozione di criteri di razionalità sociale. Le istituzioni create dai soggetti proprio per risolvere i propri problemi di appropriazione dei commons sembrano favorire particolarmente l'uso di questi criteri. Anche le indicazioni finali del contributo della Ostrom, bene si iscrivono nella visione di razionalità che si è più sopra sostenuto: "I costi e i benefici devono essere scoperti ed apprezzati da individui che usano le loro capacità di giudizio in situazioni altamente incerte e complesse, che sono rese ancor più complesse nella misura in cui gli altri si comportano strategicamente" (1990, p.210). E' il cammino della razionalità cognitiva, ed in questo quadro le istituzioni potranno favorire la comparsa della razionalità sociale. L'insegnamento tratto dalle ricerche della Ostrom può in qualche modo fornire una considerazione conclusiva coerente con lo spirito di queste note: la razionalità sociale difficilmente può essere imposta dall'esterno, essa piuttosto va ritrovata e favorita in nuovi rapporti fra azione individuale e istituzioni. E' arduo pensare che solo il mondo agricolo possa aver bisogno della diffusione di tale razionalità. 15 E' questa corrispondenza con appropriate strutture sociali che distingue queste forme di regolazione da altre istituzioni volontarie presenti nel settore agricolo (come il Codex Alimentarius, nato in ambito FAO) e che soffrono per la debolezza sanzionatoria (cfr. Gaeta, 1996). 26 Dal comportamento economico alla razionalità sociale Riferimenti bibliografici Arrow, K.J., 1977 Scelte sociali e valori individuali, (ediz.orig. 1951), Milano, Etas Libri. Arrow, K.J., 1986 Rationality of Self and Others in an Economic System, in Hogarth e Reder, 1986, pp. 201-215. 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