V Relazione – Approccio spirituale

Scuola per Operatori
di Pastorale Familiare
Diocesi di Como
IV edizione, 2011-2013
I Anno, Settimana Estiva
Ain Karim
19 agosto 2011
Relazione
CHI È L’UOMO?
Don Angelo Riva
I. L’IDEA DI PERSONA
SIGNIFICATI DEL TERMINE “PERSONA”
E’ il frutto più significativo della riflessione teologica e filosofica dell’Occidente greco-ebraicocristiano. E’ la categoria antropologica più tipica della cultura occidentale impregnata dal
cristianesimo: altrove appare alquanto vaga, come nella filosofia greca, o latitante, come in altri
contesti culturali (asiatico, africano-animista…).
Distinguiamo tre aspetti sintetici.
1. Dignità della persona umana
Nella riflessione teologica:
- l’uomo è creato a immagine e somiglianza di Dio (Gaudium et spes 121);
- ha un ruolo centrale e dominante nella creazione (cfr. Gen 1-2);
- l’uomo è redento da Cristo;
- possiede un valore incommensurabile (“unica creatura che Dio ha voluto per sé stessa”, GS 24).
Nella riflessione filosofica:
- l’uomo è soggetto che ha valore di fine e non di mezzo (Kant);
- espressione della eminente dignità della persona umana è la tradizione laica dei diritti dell’uomo
(ONU, Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, 1948).
2. Relazionalità – Trascendenza
Nella riflessione teologica:
- l’uomo “immagine di Dio” è categoria relazionale;
- Genesi 1-2: l’uomo è in relazione con il cosmo creato;
- si delinea la dimensione sessuale quale punto di massima densità della relazionalità (Gen 1,26 e
Gen 2,18 ss.);
- approfondimento nella teologia trinitaria: identità della persona come relazione; declinazione
della relazionalità in termini di “amore” e “dono”;
CONCILIO VATICANO II, Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes (d’ora
innanzi siglato GS).
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- ricaduta antropologica: “l’uomo non può ritrovare pienamente sé stesso se non attraverso il dono
sincero di sé” (GS 24);
- suggestiva interpretazione circa il ritmo triadico dell’amore (unità duale e feconda) e suo riflesso
sul mistero della sessualità unitiva e feconda;
- la relazionalità è il contenuto dell’essere a immagine di Dio: in quanto chiamato all’amore l’uomo
è immagine di Dio, in quanto attuato nell’amore diventa somigliante al Dio Trinità
Nella riflessione filosofica:
- la persona è intelligenza e volontà (GS 15);
- la persona è coscienza (Gs 16) e libertà (GS 17);
- interessante approfondimento nelle diverse filosofie della relazione: la relazione è insieme radice
(ab alio) e destino (ad alium) della persona. Cfr. l’etimologia: per sé ad alium. La persona è
strutturalmente dipendente da qualcuno che la precede e la fonda. E’ inoltre strutturalmente
aperta alla relazione, anche semplicemente partendo dalla sua essenziale finitezza (nessuna
persona non basta a sé stessa). Nello stesso tempo però la persona è in-sé: non sarà mai
totalmente in alio, come parte o componente dell’altro, per quanto saldi e intimi siano i rapporti
che la congiungono all’altro (nemmeno se l’altro è il coniuge; oppure Dio, al quale pure la persona
deve la fondazione metafisica del suo essere). Non si dà un tipo di relazione di una persona con
un’altra persona nella quale l’identità di ciascuna venga a perdersi, allo stesso modo in cui la
relazione fra la molecola di ossigeno la molecola di idrogeno dà origine a una cosa nuova che è
l’acqua: la relazione e l’unione tipiche della persona richiedono che la differenza ci sia e rimanga.
3. Corporeità (unità di corpo e anima; unità differenziale)
Nella riflessione teologica:
- la categoria di persona come unità duale viene coniata all’inteno dell’approfondimento
ontologico-trinitario (persona come upostasis) e cristologico (persona come prosopon,
“maschera”; cfr. personare: suggestiva etimologia);
- tutta la storia della salvezza è imperniata sulla mediazione concreta del corpo: caro salutis est
cardo (Tertulliano);
- la persona si definisce in termini di anima corpore unus (GS 14), e non “unio”.
Nella riflessione filosofica:
- dobbiamo alla metafisica greca il merito di aver marcato della differenza fra anima e corpo (il
pensiero biblico è molto più sintetico e unitario), con il rischio però di un accentuato dualismo
(tradizione platonica), di cui non è andata completamente indenne la stesa tradizione teologica
cristiana;
- decisivo l’approfondimento filosofico dell’idea di natura (legge naturale). Alcune strutture
corporee (evidentemente non tutte) sono portatrici e incarnano valori antropologici essenziali e
universali, nei quali si condensa la vera umanità (humanum) dell’uomo: ignorarlo sarebbe una
forma di spiritualismo-dualismo antropologico. Sul versante opposto, non bisogna attribuire
indebitamente a una struttura corporea un valore antropologico essenziale e universale:
affermarlo sarebbe una forma di materialismo-biologismo antropologico. Se nel primo caso il
rischio è di profanare (violare) la corporeità della persona, nel secondo caso il rischio è di
sacralizzarla.
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“L’ordine biologico non è da rispettare in modo incondizionato che nella misura in cui esso è
in rapporto a un valore personale che è legato a questo ordine e lo trascende”2.
Non si tratta di rispettare il corpo in quanto tale, poiché altrimenti dovremmo vietare ogni
intervento su di esso (per es. quelli di tipo medico), ma di capire che in alcune strutture del
corpo e attraverso di esse viene inscindibilmente raggiunta la persona.
Per cui il corpo, con i suoi dinamismi biologici, non è a completa disposizione dei desideri
dell’uomo: non possiamo farne quello che vogliamo. Il corpo della persona non è materia
bruta per l’esercizio della libertà3: noi ne siamo i custodi, non i manipolatori a nostro
capriccio.
Rimangono due punti oscuri ed inquietanti proiettati sul mistero della persona:
- la possibilità della sua divisione interiore (GS 13);
- la prospettiva incombente della morte (GS 18).
L’IDEA DI PERSONA NELLA FILOSOFIA MODERNA E POST-MODERNA
La concezione classica della persona, che abbiamo sintetizzato, rappresenta il miglior frutto
elaborato dalla filosofia e dalla teologia classica antica e medievale. Essa è stata messa in
discussione, e per molti aspetti stravolta, dalla filosofia moderna. In particolare nell’approccio
moderno si sono andati smarrendo il secondo e il terzo significato di persona, ed è rimasto
soltanto il primo significato con la generica affermazione del valore e del primato del soggettoindividuo.
L’Io moderno presenta infatti le seguenti caratteristiche:
- l’enfasi, per non dire il mito, della libertà e dell’autonomia;
- una soggettività demiurgica sulla realtà materiale, ivi compresa la propria corporeità, grazie
soprattutto al prodigioso sviluppo tecnologico e alla pianificazione operata dall’economia di
mercato e dalle sue aggressive strategie di marketing;
- l’etica dell’auto-realizzazione;
- un’identità forte artefice di sé e del proprio destino
La critica all’Io moderno ha messo in rilievo:
- l’illusorietà della libertà individuale, coercita da molteplici condizionamenti interiori (Freud) ed
esteriori (Marx);
- il dualismo moderno fra spirito e corpo, che ha prodotto l’aggressione e il vilipendio tecnologico
della realtà materiale (vedi l’emergenza ecologica); tanto della tecnoscienza quanto dell’economia
di mercato si è così avviato un severo processo di autocritica;
- il crollo del sistema relazionale, con gli esiti della solitudine, dell’isolamento e dell’alienazione
sociale del singolo, come conseguenza del postulato dell’affrancamento dai legami tradizionali e
comunitari, condizione reputata imprescindibile per il raggiungimento dell’autonomia personale.
2
3
A. LEONARD, Il fondamento della morale. Saggio di etica filosofica, Paoline, Cinisello B. (MI) 1984, 223.
Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Veritatis splendor 48
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Ne è derivata la parcellizzazione della società in individui isolati, la crisi della solidarietà sociale,
una problematica articolazione del rapporto fra pubblico e privato, la delega al sistema legale di
quell’ordine morale un tempo affidato alla coscienza individuale e alla chiarezza della norma etica;
- la soggettività moderna come soggettività debole, frantumata, liquida (Bauman), camaleontica,
estetica (nel senso peggiore di piegata al codice del consenso, della popolarità, del sondaggio,
della dittatura dell’apparire), “griffata”.
Questi e altri rilievi sono stati messi in luce dalla filosofia post-moderna, in chiave
prevalentemente critica nei confronti della modernità, ma raramente con spunti positivi di
ricostruzione.
Anzi la filosofia post-moderna si caratterizza per il deciso rifiuto della una verità universale, dei
sistemi ideologici e delle grandi narrazioni (ivi comprese le religioni), dell’oggettività e di una
morale sistematica e vincolante, che ancora la modernità riteneva possibile costruire (Kant e
l’Illuminismo). Il post-moderno, pur contestando la compattezza dell’Io moderno e decretandone il
decentramento e la marginalità, di fatto continua ad indicare nell’individuo la misura unica
ammissibile del vero e del buono. Si tratta di una deriva nichilista, che ha avuto in F. Nietzsche il
proprio profeta.
Alla fine la persona scompare, inghiottita dallo strutturalismo sociale, culturale o psicologico. La
voce unitaria dell’Io quale centro coerente, unitario e integrato della coscienza personale (così
ancora l’Io moderno pensava sé stesso) viene sostituita da una polifonia di contesti di interazione
e di influenza.
Fattori di questa disgregazione consapevole e controllata dell’Io sono:
- la persistenza dello sviluppo tecnologico, che prosegue la sua cavalcata ad onta delle voci critiche
che pur si levano nei suoi confronti. In particolare la digitalizzazione della vita contemporanea,
accanto a una miriade di virtualità e possibilità positive, domanda con insistenza una guida e un
saldo presidio etico e antropologico, se non vuole esitare nella sostituzione della vita reale con la
realtà virtuale, nella creazione di identità virtuali disincarnate, nella trasformazione della
conoscenza in puro accumulo di dati;
- la globalizzazione, che sostituisce il villaggio (con la sua relativa stabilità e coesione geografica,
culturale, sociale e relazionale) con l’estensione sconfinata del villaggio globale, invocando, e per
altro verso producendo, delle identità sradicate, plastiche, adattabili, camaleontiche, fluide.
Intuizioni di grande valore sono peraltro state espresse dal post-moderno sui limiti della scienza e
dell’economia di mercato, sulle strutture di potere spesso latenti ai margini dei sistemi oggettivi di
conoscenza
Spiragli filosofici sembrano però lasciar presagire possibili itinerari ricostruttivi. Si parla di un Io
trans-moderno o meta-moderno, imperniato sul recupero delle due dimensioni della persona che
la cultura moderna ha più colpevolmente trascurato (e che la cultura post-moderna, pur nel suo
zelo decostruttivo della modernità, ha contribuito ancor di più a seppellire): l’importanza delle
relazioni interpersonali al di là (anzi, in vista) dell’autonomia e della libertà del soggetto; il
radicamento dell’Io nella componente biologica e somatica. Guarda caso proprio i due significati
classici dell’idea di persona, prima che finissero nell’oblìo della modernità.
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Talora il recupero di questi due aspetti proviene da alcuni sviluppi della stessa ricerca
scientifica.
Le neuroscienze, ad esempio, evidenzano la comune base neurofisiologica delle somiglianze
transculturali delle modalità di conoscenza e di socialità degli individui.
Inoltre le teorie psicologiche dell’attaccamento e delle reazioni oggettuali mostrano come
le relazioni affettive primarie, fortemente basate sulla comunicazione corporea ed emotiva,
e solo in seguito mediate dal linguaggio, costituiscono il nucleo originario della soggettività.
La riflessione cristiana sulla persona, sostanza corporea di natura razionale e relazionale
(definzione ottenuta miscelando quelle classiche di Boezio e Tommso d’Aquino) costituisce un
fondamentale patrimonio ideale e culturale per la rifondazione della persona umana al di là delle
dinamiche ingenuamente dissolutorie dell’Io-centrale della modernità e dell’Io-decentrato della
post-modernità.
La teologia trinitaria costituisce l’analogato fondativo dell’idea di persona nella sua
ineliminabile tensione fra identità e relazione. Da questo punto di vista moderno e postmoderno non sono affatto costrutti culturali totalmente nuovi, ma piuttosto varianti
dell’eterna ricerca di equilibrio fra identità e relazione.
La teologia cristologica costituisce l’analogato fondativo dell’idea di persona nel suo
ineliminabile radicamento biologico e somatico, dove il corpo, al di qua di ogni scadimento
di natura biologistica, rappresenta l’epifenomeno e la rivelazione dello spirito.
II. LA VISIONE PERSONALISTA DELLA SESSUALITA’
Provando ad applicare l’idea di persona alla dimensione della sessualità, cerchiamo di elaborare un
modello di sessualità che sia all’altezza e rispettoso delle prerogative della persona umana.
Ossia:
- un modello di sessualità che non avvilisca ma esalti la dignità della persona;
- un modello di sessualità relazionale;
- un modello di sessualità che realizzi l’armonia e l’integrazione fra le due dimensioni costitutive
della persona: il corpo e lo spirito.
E’ proprio questo terzo il punto più delicato: come vedremo, dalla sua corretta o scorretta
articolazione dipende la realizzazione o la vanificazione delle altre due dimensioni della sessualità
personale. Alla mancata o scorretta integrazione fra elemento corporeo ed elemento spirituale
della sessualità personale si connette l’impossibilità di vivere la sessualità in termini
autenticamente relazionali, e tali da esaltare la dignità della persona.
DALLA SESSUALITA’ GENITALE ALLA SESSUALITÀ GLOBALE (O GENERICA)
Sessualità globale (o più semplicemente sessualità) indica la dimensione costituivamente sessuata
(cioè maschile o femminile) che caratterizza la relazione personale, senza implicare una attuazione
di tipo genitale o simil-genitale (per es. un bacio appassionato). Sessualità genitale (o più
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semplicemente sesso) indica invece quelle azioni che hanno una evidente connotazione genitale o
simil-genitale.
La sessualità globale indica il campo delle relazioni sessuate, la sessualità genitale circoscrive il
campo delle relazioni sessuali.
L’attenzione preferenziale e quasi esclusiva verso il secondo aspetto era in passato favorita da una
visione accentuatamente procreazionistica della sessualità (cfr. il modello classico),
fondamentalmente circoscritta al gesto inseminatore e all’uso degli organi genitali.
Gli studi biologici (la scoperta della caratterizzazione sessuale di ogni cellula dell’organismo
umano) e soprattutto psicologici (Freud: l’esistenza e il ruolo della sessualità infantile, anzi
l’identificazione plastica fra sviluppo sessuale e sviluppo personale, hanno messo in rilievo la
dimensione globale, unificante e totalizzante della sessualità umana (fino ai rischi di una visione
pansessualista della persona umana).
C’è un’implicazione della sessualità anche nella dimensione religiosa. La Bibbia stessa – pur
prendendo le distanze da rappresentazioni sessuate della divinità e dai culti orgiastici della
fertilità dei popoli viciniori – ha fatto abbondante uso del simbolo sessuale per esprimere la
dimensione religiosa, dal profetismo, al Cantico dei Cantici alla teologia sponsale CristoChiesa di san Paolo.
I cambiamenti sociali hanno poi implementato quella erotizzazione globale della sfera dei rapporti
sociali descritta (e perorata) da Marcuse4. Snodo decisivo è stato la qualificazione sociale e
lavorativa della donna e il suo nuovo protagonismo sociale (questione femminile). Un elemento
indubbiamente positivo (pensiamo alla positiva contaminazione da parte del “genio femminile”
delle rigide strutture maschiliste della società), anche se non privo di contraccolpi e sfasature (cfr.
la mascolinizzazione della donna e la confusione dei generi5).
MODELLI DI ANTROPOLOGIA SESSUALE ALTERNATIVI AL PERSONALISMO
Il cammino che intraprendiamo ci porterà ad evidenziare almeno quattro modelli di antropologia
sessuale, alternativi a quello personalista. Il punto nodale, come già detto, riguarda la relativa
capacità o incapacità di questi modelli di realizzare (di non disgregare) l’unità della persona
umana, articolando in maniera soddisfacente le due componenti (anima e corpo) della persona
stessa.
(1) Il modello classico (o platonico). Esso tende a esaltare lo spirito e ad eliminare o a
marginalizzare il corpo. La corporeità sessuale, infatti, è valutata negativamente, così come il
mondo oscuro delle emozioni e delle passioni che la accompagnano. Spetta al lume della ragione
intervenire nel caos dell’esperienza sessuale, mettendo ordine e valore mediante l’assegnazione
alla sessualità stessa di una finalità buona e degna: la continuazione della specie umana mediante
la procreazione. Le caratteristiche di questo modello di antropologia sessuale sono perciò lo
Cfr. H. MARCUSE, Eros e civiltà, Milano 1965. Elemento rimarcato da A. VALSECCHI, Nuove vie dell’etica
sessuale, Brescia 1973, secondo cui il sessuale assume ad un tempo un significato disalienante e associativo vitale sul
pian della socialità.Un significativo passo avanti rispetto alla mediocre dinamica affettiva vissuta nella famiglia
tradizionale (56) e una “forza di approccio più estesa e polivalente messa al servizio di una socializzazione più
profonda tra le persone” (61).
5
Pur con un taglio giornalistico più che filosofico, magnifici spunti in M. TERRAGNI, La scomparsa delle donne,
Mondadori, Milano 2007.
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spiritualismo e il pessimismo da una parte, il razionalismo e il biologismo (procreazionismo)
dall’altro.
Questo modello è operativo in gran parte della filosofia greca, e nel razionalismo moderno
dell’Illuminismo (per es. Kant).
Di solito viene attribuito anche alla teologia cristiana, alla quale si rimprovera appunto,
almeno fino alla GS del Concilio Vaticano II, una visione pessimista (Agostino) e
procreazionista (Tommaso) della sessualità.
(2) Il modello romantico. Esso tende ad assolutizzare il corpo nella dimensione psichica, emotiva,
affettiva, sentimentale (eros emozionale), fino a imporsi allo spirito, che non può che registrarne e
assecondarne l’impeto.
(3) Il modello radicale. Esso tende ad assolutizzare il corpo nella dimensione fisica, biochimica,
pulsionale (eros fisico), fino a imporsi allo spirito, che non può che registrarne e assecondarne
l’impeto.
(4) Il modello moderno (o cartesiano). Esso tende a manipolare il corpo, facendolo oggetto della
libertà trasformatrice dello spirito, grazie anche all’ausilio determinante della tecnologia.
A suo modo questo modello si pone come sintetico rispetto ai due precedenti: infatti l’Io
soggettivo (lo spirito), ostaggio dell’assolutezza dell’eros (emozionale e/o fisico), sottomette e
strumentalizza il corpo nel tentativo di capitalizzare il massimo possibile di eros emozionale e/o
fisico.
Si tratta della forma moderna dello spiritualismo, affatto differente da quella classica (platonica),
perché
- ottimista (e non pessimista) nei confronti del corpo,
- razionalista, ma di una razionalità strumentale, scientifica e tecnologica (e non metafisica o
umanistica),
- desacralizza radicalmente il corpo, facendone materiale da costruzione e trasformazione (anzichè
sacralizzarlo in termini biologisti).
La versione più estrema di questo modello è rappresentata oggi dalla cosiddetta ideologia del
genere, secondo la quale il corpo non è portatore di alcun significato essenziale e universale
(affermarlo sarebbe scadere nel biologismo), e quindi la via è aperta alla perfetta e totale
plasmabilità del corpo stesso da parte dello spirito umano (avvalentesi delle sempre più sofisticate
risorse tecnologiche).
DALL’EROS ALL’AGAPE: I NODI SALIENTI DELL'ANTROPOLOGIA SESSUALE PERSONALISTA
Ispirandoci alla prima parte dell’enciclica Deus caritas est di Benedetto XVI, individuiamo i due
aspetti della sessualità personale (rispettivamente corporeo e spirituale) con i nomi di eros e
agape. Nell’eros possiamo poi distinguere6 un elemento fisico e bio-chimico (attrazione) e un
elemento psichico ed emozionale (innamoramento). L’eros è quindi il campo della pulsione fisica e
del sentimento emotivo, riassumibili anche nella categoria del desiderio (o bisogno) sessuale.
6
Si tratta di una distinzione più didattica che reale, poiché non si dà emozione psichica che non abbia una base biochimica, né la pulsione bio-chimica viene vissuta senza una risonanza e un coinvolgimento emotivo.
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Anche nell’agape possiamo distinguere due aspetti: un elemento spirituale inter-personale (dono
o, propriamente, amore) e un elemento trans-personale (generatività).
Il modello personalista propone:
- secondo una prospettiva fenomenologica-descrittiva, la necessità di passare dall’eros all’agape
(trascendenza), senza rimuovere o dimenticare l’eros, ma avendo cura di non restare intrappolati
nelle sue dinamiche egocentriche e narcisiste;
- secondo una prospettiva ontologica, la spiritualizzazione o personalizzazione dell’eros da parte
dell’agape, in maniera tale che l’eros diventi espressione e comunicazione dell’agape;
Questi due obiettivi sono in antitesi ai modelli romantico e radicale, che postulano invece
l’assolutizzazione rispettivamente dell’eros emozionale e dell’eros fisico.
- sempre secondo una prospettiva ontologica, l’unificazione fra eros agape, in modo che risalti
l’unità duale della persona in quanto spirito (agape) e corpo (eros);
Questo terzo obiettivo è in antitesi con il modello moderno, che distorce l’identità del
corpo, manipolandola spiritualisticamente.
- infine, secondo una prospettiva assiologica, la valorizzazione dell’eros quale linguaggio
dell’agape;
Questo quarto obiettivo è in antitesi con il modello classico, che valuta negativamente e
tendenzialmente sacrifica il valore e la dignità del corpo.
1. L’EROS (attrazione-innamoramento)
Comprende:
- l’eros fisico (dimensione bio-chimica), denominabile attrazione sessuale;
- l’eros emozionale (dimensione psichica), denominabile innamoramento sessuale.
Entrambi i livelli dell’eros manifestano le caratteristiche di
- differeza fra genere maschile e genere femminile
(l’eros fisico manifesta una diversità cromosomica, ormonale, fenotipica e gestazionale fra
maschio e femmina)
(l’eros emozionale manifesta fa maschio e femmina una diversità variamente interpretata
dalle teorie psicologiche secondo le coppie attivo-passivo, centrale-perierico, positivoricettivo…);
- apertura e tensione alla relazione e all’unità.
E’ evidente come tanto l’attrazione sessuale quanto l’innamoramento sono innescati dal
dimorfismo sessuale, cioè dalla differenza fra maschi e femmina.
Inoltre è da rimarcare che, a differenza dell’animale, la sessualità umana presenta
un’origine non puramente biogenetica, ma psico-genetica.
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L’eros (il desiderio) sessuale, che rappresenta dal punto di vista cronologico e fenomenologico, la
prima articolazione dell’esperienza umana della sessualità, giace in una fondamentale ambiguità.
Ne analizziamo prima il versante positivo, poi quello problematico (che, certo, nella misura in cui
non venisse educato, finirebbe per mangiarsi il versante positivo).
(1) Come lascia presagire il grido di giubilo di Adamo nell’Eden alla prima vista di Eva (Gen 2,23),
l’esperienza dell’eros (fisico e/o emozionale) è anzitutto rivelazione dell’altro e anche rivelazione
di sé. Adamo è sorpreso dalla presenza di Eva, si sente attratto verso di lei, e in questa attrazione
sperimenta la promessa di un compimento pieno di sé (carne della mia carne, osso delle mie ossa),
che potremmo chiamare semplicemente felicità. Ancor più a fondo, nell’incontro con Eva, Adamo
ha come il presagio di quale possa essere la sua identità più profonda, di cui era
insoddisfattamente alla ricerca, ramingo nell’Eden degli animali e delle piante. L’identità della
persona nasce dalla relazione (ab alio), non è mai pre-costiuita a monte di essa.
L’esperienza dell’eros non è però un possesso pacifico e acquisito (anzi, questa ne è l’illusione e la
tentazione mortale, come vedremo), ma una strada aperta, che l’eros stesso ha dischiuso e che
invita a percorrere e approfondire. Il senso di questo approfondimento, e anche del suo possibile
tradimento, lo chiariremo tra poco. Per ora ci soffermiamo a rimarcare la valenza positiva
dell’eros. L’eros è esperienza di apertura alla vita, all’altro, alla propria identità, alla domanda di
senso e di felicità radicata nelle viscere dell’essere umano.
Dal punto di vista teologico, l’eros è realtà benedetta e provvidenziale. Non è certo decadimento
da un’originaria perfezione, non è prigionia dello spirito nel corpo o condanna ad una passionalità
insolente, come lo spiritualismo classico di ogni tempo e latitudine ha cercato di far intendere, ma
è elemento qualificante del disegno creativo di Dio.
Quando poi la dimensione sessuale-sponsale, come vedremo, sarà addirittura assunta a
rivelazione dell’economia storico-salvifica, questa pertinenza dell’eros al piano divino
apparirà in tutta la sua pregnanza e profondità.
Realtà provvidenziale, perché l’eros rappresenta l’innesco fondamentale della relazionalità umana
e della scoperta di sé, la vibrazione di vita che il Creatore ha collocato nel recesso più profondo e
nella fibra più sensibile della nostra umanità per poter attuare il suo disegno di amore. Non
saranno pochi (li vedremo subito) gli ostacoli da superare per sfuggire la trappola della chiusura
narcisistica e avventurarsi lungo la strada della relazione autentica, ma nulla potrebbe attuarsi del
disegno divino di salvezza senza la spinta propellente innescata dal desiderio sessuale.
Anche la stessa apertura alla trascendenza religiosa, che vedrà un giorno l’uomo cimentarsi
nella relazione con Dio suo creatore e padre, prende l’abbrivio da questa prima e
fondamentale ex-stasi della persona umana, da questo esodo primordiale verso la terra
promessa e verso un compimento, che peraltro potrà essere solo donato per grazia.
(2) Già una semplice fenomenologia dell’eros-desiderio ci dice però che nell’incontro fra l’uomo e
la donna è in gioco non solo la gioia, ma anche il timore, non solo la sorpresa, ma anche la paura.
L’esaltante percezione di una felicità promessa si accompagna a quella di una conflittualità latente.
L’eros è mistero, e, come ogni mistero, è affascinante e tremendo al tempo stesso. Il motivo del
turbamento che ci assale è evidente: l’esperienza dell’eros spariglia le carte dell’esistenza,
scompagina l’immagine egocentrica di sé (e poi all’improvviso sei arrivata tu…), sconvolge l’assetto
di vita finora consolidatosi.
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E’ quindi ora di passare a indagare il lato oscuro e magmatico del desiderio sessuale.
L’eros, lasciato a sé stesso, né costruisce la relazione fra l’uomo e la donna, cui pure ha dato avvio,
né garantisce il raggiungimento della propria identità e felicità. Anzi. Ciò potrà avvenire solo nella
misura in cui l’uomo saprà avviare un cammino di trascendimento dell’eros stesso, pur senza
eliminarlo né superarlo. Trascendimento che significa: presa di distanza dalle forme puramente
impulsive ed emotive dell’eros, distacco dalla loro attrattiva immediata e avvolgente (Gen 2,24a:
l’uomo lascerà la casa di suo padre), evitamento di atteggiamenti fusionali e “incestuosi” (incastus) con tali forme, attivazione di una dinamica di dono (Gen 2,24 b: i due saranno una sola
carne).
Quando ciò non avviene, l’eros degenera in erotismo, che è prigionia della pulsione e cattività del
sentimento. La relazione si impelaga nella dinamica narcisista, col duplice, nefasto esito della
perdita dell’altro (usato, strumentalizzato, sedotto e abbandonato, qualche volta anche distrutto,
come già Freud aveva teorizzato asserendo la facile traslazione del desiderio sessuale da eros a
thanatos) e dello smarrimento di sé (della propria identità e felicità) nelle nebbie della solitudine e
dell’isolamento. Nell’assolutizzazione di sé, l’eros divenuto erotismo prende come regola suprema
il piacere, mura l’individuo nella propria ricerca disperata di soddisfazione sensibile e interrompe
la relazione con l’altro, alla quale pure aveva dato avvio. Masochismo (verso di sé) e sadismo
(verso l’altro divenuto ormai vittima e preda) assurgono a destino ineluttabile dell’erotismo fuori
controllo.
1. Perdita dell’altro
Ciò che l’eros attiva è una forma iniziale ma ambigua di relazione. Essa può trascendersi in
direzione dell’agape, ma può anche naufragare, poiché l’abbrivio tentato dall’io verso
l’altro viene repentinamente risucchiato dai tentacoli del self interest. Lasciato a sé stesso
l’eros si manifesta egocentrico e narcisista, come se i due soggetti si ponessero di fronte
frapponendo uno specchio a doppia argentatura. Non si può dire che non ci sia relazione
all’altro, ma il baricentro della relazione cade sull’intensificazione o almeno il
mantenimento dell’ebbrezza emotiva (cosa evidentemente molto problematica, non
foss’altro per l’incidenza dell’elemento temporale), se non addirittura (nelle forme di
affettività più immature e ossessivo-compulsive) sulla diminuizione o soluzione della
tensione emotiva. La verità emozionale (cioè la soluzione della tensione emotiva suscitata
dall’attrazione sessuale) diventa criterio della verità della relazione.
Impercettibilmente ma realmente, nell’erotismo l’attenzione della persona si sposta
dall’altro a quello che si sente a contatto con l’altro. Progressivamente l’altro viene a
scomparire, l’io si chiude sui propri stati mentali ed emotivi e la relazione progressivamente
si depaupera fino a sfinirsi nel classico “non provo più niente per te”.
2. Nevrosi e solitudine dell’Io
L’appagamento erotico presenta evidenti caratteristiche di tormentosità e di
esperimentalismo. E’ tormentato perché la soddisfazione accordata alla pulsione emotiva,
certo piacevole sul piano del benessere, garantisce una stasi soltanto momentanea alla
spinta pulsionale, che poi riemerge di prepotenza. L’appagamento dello stimolo rivela
inoltre una deriva inerziale vero forme progressivamente sottocompensate, il che obbliga a
rilanciare di continuo verso l’alto la soglia dell’appagamento stesso, alla ricerca di sempre
nuove ed eccitanti emozioni.
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Un esito particolarmente negativo della dinamica involutiva dell’eros, con riflessi non solo
etici ma anche di tipo psico-patologico, è rappresentato dalla personalità narcisista.
Il narcisista sessuale vive almeno apparentemente di una grandioso senso di sé, che lo
spinge a continue avventure predatorie, atteggiamenti esibizionistici che riscuotono
ammirazione, predilezione per la promiscuità e l’infedeltà sistemica, mancanza di vera
empatia verso l’altro. In realtà al di sotto di tutto questo soggiace una profonda, benché
inconscia, insoddisfazione di sé, talvolta persino un vero e proprio odio, che alimenta una
sfibrante dinamica nevrotica che cerca appagamento o risoluzione nelle ripetute avventure
amorose. L’ammirazione ricevuta o la conquista effettuata non segnano però che una
momentanea sospensione della pulsione nevrotica, che da lì a poco risorgerà
prepotentemente: perché il narcisista sa che c’è sempre un ammiratore o una preda
migliore da inseguire, mentre, inconsciamente, poiché non si vuole bene, l’ammirazione
ricevuta la percepisce come fondamentalmente falsa. Ne deriva una tensione continua
verso un futuro indefinito e irraggiungibile, poiché non ha presente. La possibilità vale più
della realtà, e il cercare più del trovare. In una parola: il narcisista è, al di là delle apparenze,
perfettamente solo e infelice.
3. Crollo dell’eros
Assunto in dosi massicce e stordenti, l’egocentrismo narcisista dell’erotismo (fisico e/o
emozionale) non degrada soltanto la dignità dell’altro e la realizazazione dell’io, ma anche
lo stesso eros. Dal momento che l’appagamento dell’erotismo deve essere sentito, si
verifica una concentrazione di attenzione sui propri stati psichici, in un continuo e crescente
scrutinio di questi: ma distogliere l’attenzione dall’oggetto che la provoca, e concentrarsi
sull’emozione stessa, è il modo più sicuro per troncarla7.
L’erotismo vissuto senza mediazioni, senza riflessione, senza esercizio della virtù del dono,
produce un effetto fissante (nel senso psicologico) e raggelante sull’eros, che ne paralizza lo
sviluppo e la maturazione. Interessanti studi sui giovani universitari americani rivelano
come la relazione sessuale genitale risulti alla fine una seducente scorciatoia nella
conduzione delle relazioni interpersonali, in quanto molto meno impegnativa rispetto per
esempio al dialogo e alla tessitura di una relazione sessuata non genitale. L’esito finale,
però, è quello da un lato di una sessualità genitale banalizzata a semplice consumo,
dall’altro di una vistosa immaturità relazionale e analfabetismo affettivo, che rende fragili,
precarie e sofferte le relazioni8.
4. Degrado del corpo
Un ulteriore effetto prodotto dall’erotismo a briglia sciolte è la divisione che si viene a
creare non solo con l’altro, ma all’interno dello stesso io. Agitato dal demone dell’erotismo,
l’uomo vede scindersi la propria unità personale di corpo e anima: il corpo viene ingaggiato
Studi psicologici mostrano come la causa principale dell’impotenza sessuale maschile sia di carattere prevalentemente
psicologico, da ricercarsi nei livelli eccessivi di ansia da prestazione che affliggono gli uomini maschi nel compimento
dell’atto sessuale. Non c’è come la preoccupazione di essere sessualmente potenti, e il porselo come meta da dimostrare
anzitutto a sé stessi, per scoprirsi impotenti. Il diventare osservatori di sé stessi è esattamente il processo che distacca
dallo stato emotivo e impedisce il suo verificarsi.
8
Da questo punto di vista è tutto da dimostrare l’assioma secondo il quale l’attuale generazione del sesso libero e
disinibito sia davvero in grado di vivere una sessualità gaia e spensierata, ludica e leggera, rispetto alla colma di
inibizioni e frustrazioni nevrotizzanti che avrebbe caratterizzato la precedente generazione dei costumi sessuali
rigidamente controllati. Si tratta con ogni probabilità di una lettura superficiale. Il rilevamento delle persistenti
perversioni sessuali a livello giovanile e soprattutto della fragilità estrema dei rapporti personali (“poltiglia relazionale”,
secondo un’efficace espressione) denotano la realtà di una generazione giovanile tanto libera quanto sofferta e
impacciata nel venire a capo dell’enigma della propria sessualità.
7
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come strumento di ricerca del piacere, risucchiato nel meccanismo perverso della ricerca
del piacere attraverso di esso. Levigato, palestrato, “rifatto”, cosmeticizzato, assoggettato a
un durissimo regime di sfruttamento intensivo perché abbia a produrre quanto più possibile
di eros fisico ed emotivo, il corpo appare in esilio e cattività rispetto, alla prepotenza dello
spirito che lo doma e lo spreme nell’inesausta ricerca di un appagamento sempre di là da
venire.
In conclusione, l’attrazione sessuale, e l’innamoramento che la intensifica e (almeno per un po’ di
tempo) la stabilizza, sono l’espressione di un fondamentale bisogno di relazione, costitutivo della
persona umana. Non è bene che l’uomo sia solo (Gen 2,18). Ma l’attuazione malaccorta di tale
bisogno rischia di produrre
- la strumentalizzazione dell’altro,
- la solitudine dell’io,
- il crollo dell’eros
- l’uso strumentale e degradante del proprio corpo.
Il primato dell’io si traduce nella forma della strumentalizzazione, della cattura, addirittura della
distruzione dell’altro. E l’io non esce dalla sua solitudine. L’eros, dal canto suo, avvitandosi in una
sorta di iperbolica bulimia di sé stesso, imbocca una deriva paranoide, perde, per un elementare
meccanismo di inflazione e assuefazione, ogni attrattiva e mordente. Vanno senz’altro
interpretrati in questa direzione i molteplici segnali di stanchezza e saturazione che connotano il
pansessualismo delle società occidentali a intensivizzazione erotica coatta.
L’esito finale è la compromissione delle relazioni – che non di rado esitano a veri e propri
terremoti relazionali e fallimenti esistenziali – e l’infelicità latente. Come una sorta di bulimia che,
pur soddisfacendo l’appetito, finisce per sfasciare lo stomaco. E’ l’infelicità infernale del sanza
speme vivemo in desìo di Paolo e Francesca (Inferno, IV, 42).
(3) Come detto, l’assolutizzazione dell’eros nella cultura sessuale contemporanea si alimenta ai
due fondamentali modelli offerti rispettivamente dalla cultura radicale e dalla cultura romantica.
Entrambi manifestano, con accenti diversi, la tendenza a disaggregare l’eros dall’amore. C.S. Lewis
vi intravede giustamente un significato demoniaco9. Il modello radicale disgrega l’eros fisico da
tutto il resto. Suoi fenomeni tipici sono la pornografia, il feticismo e la prostituzione. Il modello
romantico disgrega l’eros emozionale da tutto il resto. Suo fenomeno tipico è l’idealizzazione
irrealistica della persona amata.
La cultura radicale propone il puro spontaneismo della sessualità, pensata come il luogo
della pura espressività del corpo. Anche qui è all’opera un’antropologia dualista che scinde
l’unità della persona e riduce il corpo a puro strumento di piacere nelle mani dell’Io libero.
Vi concorre anche un’ideologia scientista applicata alla sessualità, volentieri ricondotta al
modello animale (per es. il famoso rapporto del zoologo Alfred Charles Kinsey sulla
condizione sessuale dell’uomo e della donna); oppure la volgarizzazione, spesso molto
approssimativa, del pensiero psicoanalitico, e del suo programma di liberazione sessuale.
A queste condizioni diventa quasi impossibile parlare di un’etica sessuale (l’unico vero
comandamento è lo spontaneismo assoluto), se non nella forma di un’etica “igienista”
9
Cfr. C.S. LEWIS, I quattro amori. Affetto, Amicizia, Eros, Carità, Jaca Book, Milano 1992 (or. Ingl. 1960), 87-106.
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(evitare la trasmissione delle malattie contagiose) o nella forma debolissima di un’etica del
“rispetto” dell’altrui libertà (ma se c’è consenso reciproco, tutto è praticamente permesso).
La cultura romantica proclama l’egemonia assoluta del sentimento. Suo tratto caratteristico
è l’attrazione fatale: il sentimento si contorna di un’aura di incantesimo, di meraviglia, di
magica armonia degli affetti. E’ un sentimento “fatidico”, “spettacolare”, che non si può
governare (diventerebbe inautentico, falso) ma solo prendere atto che c’è (o magari che
non c’è più).
Anche in questo caso il progetto di un’etica sessuale appare alquanto malfermo. Il
sentimento, da sé solo, è per definizione quanto di più instabile e ondivago possa esserci.
Precario, illusorio, smascherato dalla psicanalisi nelle sue complesse alchimie, destrutturato
socialmente ed esposto a derive narcisiste (“due cuori e una capanna”), il sentimento si
svela essere base altrettanto futile e fragile della sessualità quanto lo è il puro erotismo del
corpo.
La vulgata mass-mediale prende atto di questo dato e non se ne preoccupa più di tanto,
anzi sembra quasi compiacersene. “Gli amori vanno e vengono, le storie nascono e
finiscono”, gracchiano senza sosta i talk-show televisivi sull’argomento. Tanto più oggi, che
non siamo più nel tempo delle grandi passioni e dei sentimenti duraturi. Il nostro è il tempo
dell’effimero e del relativo, anche in amore, che è assoluto ed eterno…finchè dura!
“L’amore liquido”, afferma Z. Bauman.
L’impegno della fedeltà appare, in questa luce, il relitto di un passato di severa inibizione
dei costumi sociali: un’inutile cocciutaggine, più che una virtù. La gelosia stessa viene il più
delle volte considerata ridicola e arcaica.
L’esito complessivo è quello di una (insostenibile) leggerezza del sesso (“la leggerezza e la gioiosa
futilità dell’amore fisico”, M. Kundera), i cui miti sono l’orgasmo travolgente (cultura radicale) e il
bacio interminabile (cultura neo-romantica).
Così la sessualità e gli affetti diventano spesso il luogo della disumanizzazione e della disintegrazione della persona. Anziché la maturazione e l’unificazione personale finiscono per
prevalere forme di infantilismo sessuale e di regressione adolescenziale. E’diventata ormai
espressione corrente quella di “adolescenza interminabile” (T. Anatrella) per designare la
situazione spirituale dell’uomo occidentale riguardo i costumi sessuali. Non si tratta
semplicemente di un prolungamento cronologico della “fase di uscita verso il mondo adulto” (il
mondo caratterizzato dalle responsabilità sociali della famiglia e del lavoro), prolungamento che
pure esiste e non manca di suscitare grappoli di inconvenienti. Più a fondo, si tratta del
consolidamento di una struttura psicologica adolescenziale che, anche nel caso di adulti, può
conoscere fasi fossilizzate di fissazione e di regressione.
Tipico della relazione sessuale adolescenziale – a qualunque età anagrafica essa si realizzi –
è l’immaturità personale e relazionale, un difetto di consolidamento della libertà e della
capacità di dono, per cui il rapporto è a forte rischio di deriva narcisista. Più che di
incontrare l’altro, si cerca di conoscere sé stessi, ci si mette alla prova attraverso l’altro, non
solo per quanto attiene le performance erotiche, ma soprattutto per quel senso di autoidentificazione e auto-stima che tali performance promettono di realizzare.
In qualche caso il desiderio di tenerezza dell’adolescente esprime il bisogno inconscio di
prolungare con il (la) partner quella relazione di dipendenza e di sicurezza affettiva con i
genitori che si percepisce essere ormai insufficiente e sul punto di essere abbandonata.
Allora avviene che il rapporto sessuale è vissuto senza che venga realmente trasformata
l’affettività infantile. Non ci sono modificazioni di struttura nella relazione, ma il semplice
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passaggio dal seno materno (o dal bambolotto di peluche) al(la) prescelto(a) fuori della
famiglia. Non ancora adulti, ciò che salta fuori è una relazione da bambinoni.
Proprio la “sindrome del bambinone” è ciò che affligge gran parte dei comportamenti
sessuali di persone anagraficamente anche adulte. Comportamenti che talvolta vengono
spacciati come “disinvoltura”, “libertà. “emancipazione”, “anti-conformismo”, o altro
ancora, ma che, nella sostanza, nascondono la realtà di una sessualità immatura,
inceppatasi in forme più o meno compulsive di fissazione e incapace di autentica
padronanza di sé. Dietro ogni gigolò o playboy che dir si voglia c’è, in fondo, un itinerario di
maturazione umana, affettiva e oblativa, che non è giunto a destinazione.
2. L’agape (amore-dono)
L’agape rappresenta la dimensione spirituale della sessualità, denominabile dono o amore.
E’ in forza dell’agape che l’eros viene essere liberato dalla sua tendenza egocentrica (erotismo),
attraversato da una fibrillazione di auto-donazione e di trascendenza e così restituito all’originaria
destinazione relazionale.
L’intenzione della persona viene distolta da sé ed concentrata sull’altro. L’altro viene visto non
come un bene per-me, ma come un bene in-sé, da amare per quello che è, e non per quello che fa
o per quello che dà (il che scivolerebbe inevitabilmente verso una relazione di tipo strumentale)10.
(1) Ma qual è l’essenza intima del dono?
Esso è fondamentalmente espressione della totalità personale. Quindi è insieme fisico, emozionale
e spirituale.
Chiaramente l’essenza, la struttura portante del dono personale è di natura spirituale, e consiste
nella volontà illuminata, guidata dall’intelligenza e potenziata all’esercizio delle virtù (fra cui, in
particolare, quella della castità). L’amore è essenzialmente una decisione una scelta. E’ un’azione
che ha la sua scansione temporale dai prodromi dell’innamoramento (e prim’ancora
dell’attrazione) al compimento della decisione11.
Ne viene allora che del dono di sé fa costitutivamente parte anche la dimensione fisica ed
emozionale della persona, cioè l’eros. Non c’è dialettica insanabile, ma riconciliazione possibile fra
eros ed agape12. Soltanto che, nel mistero dell’amore personale, l’agape gioca il ruolo della
“sostanza” e del compimento, mentre l’eros gioca il ruolo della (necessaria) premessa e
dell’anticipazione (l’eros è l’innesco, lo chauffeur dell’agape).
(2) L’affermazione dell’agape quale essenza dell’amore personale deve però saper render ragione
di un sospetto imbarazzante: l’apparenza di perdita, scacco, sconfitta, rinuncia all’autonomia e
La parla dell’agape non è “tu devi essere come voglio io”, ma “è bene che tu esista”, così come sei (cfr. J. PIEPER,
Sull’amore, Morcelliana, Brescia 1974, 35-48). A livello didattico possono essere assai utili alcuni espedienti
sloganistici: “gareggiare a chi arriva prima a rendere felice l’altro”, “tu sei più importante di me”, “non ti vogilo bene
perché mi piaci, ma mi piaci perché ti voglio bene”, “dono è insieme un ‘no’ a me e un ‘do’ a te”…
11
Si inserisce qui il legame intrinseco fra sessualità e matrimonio, quest’ultimo inteso non come mero istituto sociale o
cerimonia simbolica, ma come consenso della volontà di un uomo e una donna che dà origine, per entrambi, a un nuovo
stato di vita (la famiglia). Approfondiremo in seguito, bella continuazione del discorso, questo aspetto: se la verità del
eros è l’amore-dono, la verità dell’amore è il matrimonio (e ulteriormente ancora: la verità del matrimonio è il
sacramento cristiano).
12
La dialettica apparentemente insanabile fra eros e agape costituisce da sempre il dilemma del pessimismo – di
derivazione agostiniana – che attanaglia la teologia morale sessuale di matrice protestante, e di cui è emblema l’opera di
A. NYGREN, Eros e agape, Il Mulno, Bologna 1971.
10
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all’auto-realizzazione, autodistruzione masochistica che sembra accompagnarsi al dono di sé. Tale
ombra viene corretta e compensata dalla prospettiva della reciprocità. L’amore in sé stesso è
gratuito e disinteressato, sempre pronto a muovere il primo passo verso l’altro senza dettare
previe condizioni, e ciò ne fa l’altezza e la purezza. Ma ciò a cui l’amore tende non è l’oblazione
solitaria e scarificale del singolo, bensì la reciprocità e la corrispondenza, il reciproco
riconoscimento, e ciò ne fa il compimento e la perfezione ultima. Ciò che si oppone a gratuità,
come a suo contrario, è il vile interesse utilitaristico e strumentale, ma non la reciprocità. L’amore
gratuito è incondizionato ma non disinteressato: al contrario è interessatissimo, e precisamente
alla costruzione della comunione, dell’unità della coppia.
E’ importante rimarcare, per sfuggire a una sorta di falso eroismo e di angelismo
disincarnato dell’amore sessuale, che proprio il lasciarsi amare rappresenta uno degli
aspetti (per nulla semplice) del dono personale, ossia l’accogliere e non rifiutare il dono
dell’altro. L’amore che non domanda reciprocità, ma anzi orgogliosamente la rifiuta, non è
affatto più puro e più nobile di quello che la reciprocità la invoca e la accoglie, ma vale
precisamente il contrario: sarebbe un dono di sé all’altro manchevole di una dimensione,
quella di donare all’altro l’accettazione del dono che egli fa. Sarebbe un dono di sé che
mortifica e svilisce il dono di sé dell’altro e quindi non valorizza appieno l’altro, che pure
proprio con il dono di sé si vorrebbe affermare. E’ solo accogliendo la reciprocità del dono
da parte dell’altro che gli faccio dono della mia accoglienza, gli dono di donare, e nello
stesso tempo gli confermo la preziosità del suo dono. Colui che si rifiuta di accogliere il
dono dell’altro in fondo non ha ancora abbandonato l’attaccamento a sé, perché donarsi è
anche il ricevere dall’altro con animo di accoglienza13, mentre rifiutarsi è sinonimo di
affermazione di sé nella propria orgogliosa capacità di amare.
Il dono di sé nella prospettiva della reciprocità rappresenta l’unica alternativa agli estremi
diametralmente opposti del sadismo (amore di sé fino al sacrificio dell’altro) e del masochismo
(amore dell’altro fino al sacrificio di sé).
Rappresenta anche la via del recupero e dell’integrazione personale dell’eros. Il dono di sé, infatti,
proprio perché reciproco, non è la negazione dell’eros, né del bisogno di affetto, né del piacere,
bensì la loro affermazione nell’affermazione della persona dell’altro come valore (personale)
sommo. Le componenti dell’eros sessuale (il desiderio, il bisogno, il piacere, l’autorealizzazione)
non vengono certo sacrificate e proscritte, bensì raggiunte per altra via, grazie e attraverso il dono
dell’altro, esattamente come il soggetto si impegna a procurare quegli stessi beni all’altro14.
(3) Posto nella dimensione della reciprocità, il dono insieme manifesta e porta a soluzione quella
dimensione co-estensiva dell’essere dell’uomo che è la morte (cfr. GS 18).
Il dono, infatti, in quanto scelta libera, implica da un lato il morire al proprio desiderio narcisista,
dall’altro la rinuncia implicita a tutte quelle scelte alternative e incompossibili con la scelta fatta.
La prospettiva del dono reciproco guida all’elaborazione del lutto di questa morte incombente e
ineluttabile. Nella prospettiva del dono, infatti, si rendono possibili sia una rinuncia che non
“Ogni vero amore è senza calcolo, e,ciononostante,ha ugualmente la sua ricompensa; esso, addirittura, può ricevere
la sua ricompensa solo se è senza calcolo…Colui che nell’amore ricerca come ricompensa solo la gioia dell’amore,
riceve l gioia dell’amore…Colui invece che ricerca nell’amore qualcosa di diverso dall’amore, perde l’amore e, al
tempo stesso, la gioia dell’amore” (BERNARDO DI CHIARAVALLE, De diligendo Deo, citato in J. PIEPER,
sull’amore, Morcelliana, Brescia 1974, 153).
14
“Gustare il piacere sessuale senza tuttavia trattare la persona come un oggetto di godimento, ecco il nocciolo del
problema di morale sessuale” (K. WOJTYLA, Amore e responsabilità, Marietti, Casale M. 1968, 51, or. polacco 1960).
La chiave di soluzione è appunto l’antropologia del dono.
13
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Relazione | Chi è l’uomo?
diventi masochismo, sia il superamento dell’incapacità a rinunciare che porterebbe
inevitabilmente alla soluzione narcisistica e quindi alla solitudine.
Naturalmente il superamento della dimensione di morte implicata nell’atto del dono è tutt’altro
che pacifica e indolore. Assomiglia piuttosto al dolore di un parto. Anzi, la relazione e il dono sono
per definizione il terreno della vulnerabilità e dell’esposizione ai colpi dell’altro. D’altra parte la via
è tracciata, e può essere solo questa, poiché è solo morendo che si dona la vita, è solo salendo in
croce che la vita risorge. Amare e donare significa disporsi alla sofferenza e al ferimento da parte
dell’altro. Per non soffrire la miglior cosa sarebbe non amare niente e nessuno: ma in questo
modo l’uomo rimarrebbe nella sua solitudine, pur sempre mortale.
(4) C’è ancora uno scoglio da superare per il personalismo sessuale del dono. Permane infatti un
dubbio residuale: chi mi garantisce che il dono-di-me nella relazione sessuata e sessuale non sia in
realtà il travestimento di un dono-a-me? Esiste un criterio in grado di esorcizzare definitivamente il
sospetto di narcisismo che continua a gravare anche sulla prospettiva del dono gratuito e
reciproco?
Questo criterio esiste,ed è la realtà dell’altro, nella sua corporeità e concretezza somatica. Il colpo
di lancia decisivo, in grado di lacerare la barriera del narcisismo, e di far sgorgare purissime l’acqua
e il sangue del dono personale, è l’accoglienza dell’altro nella sua realtà concretissima e corporea.
Il dono di sé è autentico nella misura in cui si parametra sull’altro così com’è, e non come lo
vorremmo. Ma il così-come-è dell’altro è refertato in maniera inequivocabile non solo da
caratteristiche emozionali e spirituali, ma anzitutto dal suo corpo. Riemerge qui ancora una volta
la centralità decisiva del corpo tipica della prospettiva personalistica. L’abbandono della
concretezza somatica dell’altra persona per l’astratto che si desidera, è segno sicuro che il
desiderio (eros) sta prendendo il sopravvento sulla realtà, pregiudicando il suo trascendimento in
agape. Il dono di sé, se vuole rimanere tale, deve rimanere orientato alla concretezza somatica
dell’altra persona. Un termine di confronto oggettivo, non legato al mio desiderio, allora sta lì, di
fronte a me, ineludibile, non manipolabile, e mi invita ad uscire da me, a donarmi, per accoglierlo
in tutta la sua concretezza. Solo così è possibile una auto-trascendenza non effimera né solo
intenzionale. L’alternativa a questo è il ricadere nella dinamica narcisistica15.
Quale sono le conseguenze di questa necessaria polarizzazione del modello personalistico
sul corpo?
Dal punto di vista della sessualità globale (relazione sessuata), il dono viene così a
configurarsi come (i)per-dono. La capacità di accoglienza e di ri-accoglienza dell’altro che
non è come io l’avrei desiderato (cioè il perdono) costituisce la dimensione più profonda del
dono di sé.
Dal punto di vista della sessualità genitale (relazione sessuale), il dono di sé all’altro viene a
configurarsi come apertura alla generatività dell’amore. E’ proprio nella relazione sessuale
genitale che l’incontro con l’altro riveste al massimo grado la concretezza dell’incontro
corporeo, oltre che emozionale e spirituale. La logica dell’agape, per essere autentica e non
fittizia, chiede che proprio nell’incontro sessuale genitale l’altro venga preso in carico nella
sua concretezza non solo spirituale ed emozionale, ma anche fisica, e che nessuna di queste
dimensioni abbia ad essere piegata al desiderio soggettivo.
Per di qui passa la radicale linea di displuvio fra l’autentico personalismo e la sua contraffazione dualistica e
spiritualistica (come vedremo).
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(5) In questo modo abbiamo raggiunto il vertice ultimo dell’amore, la cuspide estrema dell’agape.
Nella dimensione inter-personale (tradizionalmente nota come fine o significato unitivo della
sessualità umana), si innesta intrinsecamente e inseparabilmente una dimensione trans-personale,
che è appunto la generatività, l’apertura alla fecondità dell’amore (tradizionalmente nota come
fine o significato procreativo della sessualità umana).
Come meravigliosamente adombrato nella dinamica amorosa del mistero trinitario16, l’amore
possiede per essenza una struttura triadica, un ritmo ternario, trinitario: l’Io e il Tu dell’agape non
possono racchiudersi nella prospettiva ultimamente mortale e mortificante della
complementarietà (come erroneamente preconizzava Platone nel Convivio), perché sarebbe un
destino di solitudine a due, ma devono aprirsi alla generazione dell’Oltre, rappresentato dal figlio,
e dalla promessa di vita e di eternità che il figlio pota con sé.
Punto saliente è dunque l’inscindibilità fra l’agape interpersonale e l’agape transpersonale.
Il personalismo sessuale cristiano lo ha affermato con grande chiarezza nell’enciclica
Huamane vitae di Paolo VI (1968)17, là dove (n. 14) si afferma l’inscindibilità fra significato
unitivo e significato procreativo della sessualità umana.
Ne viene che non può darsi una generatività autenticamente personale che non sia
sessuale, poiché, al di fuori dell’incontro sessuale spirituale e corporeo, la generatività
stessa ne uscirebbe stravolta in termini disumani come mero processo tecnologico18.
Reciprocamente non può darsi una relazione unitiva che non sia aperta alla generatività,
poiché in caso contrario il dono stesso dei coniugi sarebbe inficiato da un elemento di
egoismo narcisistico e di menzogna19. Il dono agapico di sé, che l’eros ha propiziato nella
coppia, non può fermarsi alla persona incontrata, se vuole tenersi lontano dai tentacoli
dell’erotismo narcisista, ma deve aprirsi ulteriormente al terzo, al figlio. L’eros, tentato di
chiudersi su sé stesso e sulla gratificazione reciproca dei partners nell’uso della sessualità
genitale, viene mantenuto aperto, proprio grazie alla disponibilità alla procreazione,
all’ulteriorità del figlio, nel quale i coniugi trovano nuovi spazi di donazione reciproca. Come
i cerchi concentrici destati d una goccia caduta sulla superficie dell’acqua, l’eros sessuale,
che non devia sul binario morto del narcisismo, si dilata ad abbracciare tendenzialmente il
tutto20.
Ma occorrerebbe rovesciare la prospettiva: è la Trinità il modello e l’analogato della coppia umana feconda. La
coppia umana feconda è solo analogia del mistero trinitario, secondo la cui “immagine” essa è stata pensata e creata. Ed
è chiamata a diventarne nella storia sacramento, cioè segno visibile e reale, come vedremo.
17
Esplicitando il dettame della GS: “Il carattere morale del comportamento non dipende solo dalla sincera intenzione e
dalla valutazione dei motivi, ma va determinato secondo criteri oggettivi, che hanno il loro fondamento nella dignità
stessa della persona umana e dei suoi atti, criteri che rispettano, in un contesto di vero amore, il significato totale della
mutua donazione e della procreazione umana” (n. 51).
18
Questo è il fondamentale criterio di discernimento etico delle tecnologie di riproduzione artificiale, annunciato
dall’Istruzione Donum vitae II, B, 4-5 (1987) recentemente ribadito dalla Istruzione Dignitas personae (n. 16).
19
Aspetto esplicitato dalla Esortazione apostolica di Giovanni Paolo II Familiaris consortio: “Quando i coniugi,
mediante il ricorso alla contraccezione, scindono questi due significati che Dio Creatore ha inscritto nell’essere
dell’uomo e della donna, e nel dinamismo della loro comunione sessuale, si comportano come arbitri del disegno
divino e manipolano e avviliscono la sessualità umana, e con essa la persona propria e del coniuge, alterandone il
valore di donazione totale. Così al linguaggio nativo che esprime la reciproca donazione totale dei coniugi, la
contraccezione impone un linguaggio oggettivamente contraddittorio, quello cioè del non donarsi all’altro in totalità:
ne deriva non soltanto il positivo rifiuto all’apertura alla vita, ma anche una falsificazione dell’interiore verità
dell’amore coniugale, chiamato a donarsi in totalità personale” (n. 32).
20
Anche oltre la morte: il figlio rappresenta da sempre, nella simbolica umana, il conato di immortalità con il quale la
coppia amorosa coraggiosamente lancia la sua sfida al tempo e alla morte.
16
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Relazione | Chi è l’uomo?
Contro questo fondamentale principio dell’antropologia sessuale personalista si sono levati
accenti di forte critica, che hanno cercato di rinvenire l’eziologia del principio di
inscindibilità
- o nell’atavico sospetto nutrito dalla morale cristiana nei confronti delle opportunità
tecnologiche (a cui si connette, in un raddoppio di interpretazione malevola, l’intenzione
più o meno subdola attribuita alla Chiesa cattolica di frenare l’emoraggia del libertinismo
sessuale, per mantenere una posizione di controllo e di potere sui costumi sociali e sulle
coscienze)
- o nel residuato dell’antica impostazione biologistica-procreazionistica.
In realtà nulla di tutto questo è in gioco nel principio di inscindibilità, ma semplicemente la
verità della persona, della sua corporeità e delle sue relazioni sessuali.
Chiaramente l’antropologia personalista della sessualità si pone qui violentemente in
contrasto con l’evoluzione del costume, che invoca per l’appunto la piena separazione della
sessualità dalla generatività (in nome di una gestione più libera e spensierata, nonché
igienicamente controllata, della sessualità stessa; all’interno del matrimonio in vista di una
migliore, meno ansiosa e più spontanea sessualità coniugale21), come anche della
generatività dalla sessualità (in vista di una procreazione programmata, più accorta,
medicalmente assistita e terapeuticamente certificata, come recita l’ambigua espressione
“salute riproduttiva”).
III. PERSONALISMO SESSUALE E TEOLOGIA MORALE
1. La” nuova” teologia morale sessuale
Per lungo tempo la morale sessuale tradizionale ha inteso spiegare il mistero della sessualità
umana partendo dalla sua dimensione procreativa. E’ un dato di fatto ampiamente documentato.
Sarebbe però stupido e miope leggere questo dato in chiave unicamente critica, e perfino
denigratoria, nei confronti della morale ecclesiastica tradizionale.
In primo luogo perché la dimensione unitiva non è mai stata del tutto assente nella teologia
morale sessuale tradizionale. Non lo è nel discorso biblico, non lo era neanche nell’elaborazione
teologica ad esempio di Agostino (pensiamo al tema del mutuum adjutorium), specie se
confrontata con la visione smaccatamente biologista presente in alcune correnti filosofiche del
tempo (ad es. lo stoicismo).
In secondo luogo perché si dimentica il debito obiettivo che la riflessione teologica sempre paga, e
non potrebbe essere diversamente, alle forme della cultura e del costume antropologico ed etico
del tempo. Da questo punto di vista neanche la predicazione di Gesù potrebbe andare esente da
“E’ comune oggi accostarsi al tema della procreazione responsabile a partire dalle esigenze dell’amore coniugale,
che vengono presentate spesso come bisogno di unità della coppia (significato unitivo della sessualità). Si dice che
bisogna sottolineare la dimensione personalistica del rapporto coniugale più che la biologia della sessualità genitale.
Si sostiene spesso, in questa linea di pensiero, che la coppia, in funzione della necessità di esprimersi spesso in modo
genitale il proprio amore, sarebbe giustificata a sopprimere la dimensione procreativa del gesto sessuale, onde poterlo
vivere con più frequenza, con meno ansietà e anche con più spontaneità…E’ pienamente condivisibile la
preoccupazione di salvare l’amore coniugale. Infatti qualsiasi attentato all’amore coniugale, da qualunque parte
venga, dovrà essere sempre negativamente valutato. Su questa affermazione non è difficile ottenere il consenso
generale. Ciò che risulta più difficile comprendere è che, con la soppressione della capacità procreativa (cioè con
qualsiasi forma di contraccezione), non si salva affatto l’amore in quanto coniugale” (C. BRESCIANI, Matrimonio e
famiglia, in AA.VV., L’agire morale del cristiano (a cura di L. MELINA), Jaca Book, Milano 2002, 293 (sottolineatura
nostra).
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critiche, per es. per quanto riguarda la sua evidente ignoranza, tipicamente pre-scientifica, sulla
reale natura dei fenomeni naturali. La morale della Chiesa non va quindi misurata sul suo carattere
eventualmente retrò (naturalmente siamo noi oggi a dirlo, potendo usufruire di ben altri strumenti
concettuali!) o sulla sua evidente acerbità rispetto alle acquisizioni da noi oggi possedute (chi lo
afferma fa opera di fastidiosissima saccenteria culturale, tipica del professorino probabilmente
ingolfato da accesso di autostima), bensì sulla sua reattività ai cambiamenti culturali, ossia sulla
sua capacità di recepire il cambiamento culturale e sociale, di valorizzarlo e di assimilarlo, in vista
di una reale progressione nella conoscenza e nella conformità delle strutture culturali ecclesiali
alla pienezza del Regno. Non senza un periodo più o meno prolungato di crisi, disorientamento e
travaglio indotto dalla non facile ermeneutica e metabolizzazione della novità storica e culturale.
Oggigiorno la teologia morale sessuale non parte più dalla dimensione procreazionistica della
sessualià, ma da quella unitiva-relazionale (la fenomenologia dell’eros, del desiderio sessuale). La
svolta è chiarissima nella GS22 e corrisponde perfettamente al sentire contemporaneo: una morale
sessuale imperniata sull’aspetto biologico-procreazionistico non sarebbe più adeguata alle nostre
forme culturali e sociali. Ma il senso di questa “svolta” va inteso nel modo appena precisato, onde
evitare un approccio eccessivamente tranchant, addirittura manicheo, sulla storia della teologia
morale cristiana anteriore al Concilio Vaticano II.
2. Vero e falso personalismo nella teologia morale sessuale
Quanto abbiamo precedentemente esposto ha la pretesa di rappresentare il vero senso del
personalismo sessuale, assunto e fato proprio dalla teologia morale contemporanea.
Esso peraltro ha dovuto fare i conti – specie nelle turbolenze della prima stagione post-conciliare,
ma in qualche caso ancora ai nostri giorni – con una versione subdola e ingannevole di
personalismo, la quale, muovendo da una insufficiente valutazione della corporeità umana
(sbrigativamente degradata come realtà “biologica”), non riesce a conservare il vero senso della
persona umana e della sua (inscindibile) unità di anima e corpo.
In sostanza questo falso personalismo finisce per identificarsi con quel quarto modello di
antropologia sessuale che abbiamo precedentemente chiamato modello spiritualista moderno (o
cartesiano).
I limiti più evidenti di questo falso personalismo sono:
- l’asserzione fin troppo incauta e sbrigativa sul presunto “biologismo” (o “procreazionismo”) della
morale sessuale tradizionale: di fatto il rischio paventato di cadere in posizioni biologiste viene
agitato come uno spettro, spesso in maniera del tutto incongrua, allo scopo di smantellare buona
parte delle convinzioni etiche e normative della tradizione;
- una cattiva lettura dell’elemento somatico e corporeo della persona umana, sbrigativamente
declassato a “elemento puramente biologico”, ignorando invece, a una lettura più attenta, la sua
capacità di incarnare valori etici personali essenziali e universali;
La GS afferma che il fondamento del matrimonio è “l’intima unione, in quanto mutua donazione, di due persone”
(GS 48). “Il mutuo dono di sé stessi, provato da sentimenti e gesti di tenerezza…pervade tutta quanta la vita dei
coniugi”, quindi tutta la sessualità generica, e avvolge in particolare anche il compimento degli atti sessuali coniugali, i
quali “favoriscono la mutua donazione che essi significano e arricchiscono vicendevolmente in gioiosa gratitudine gli
sposi stessi” (GS 49).
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- l’enfasi posta sulla libertà della persona, sulla sua capacità di auto-determinazione e autorealizzazione. La libertà spirituale della persona assume così una posizione dominativa,
manipolativa e oggettivamente nei confronti del corpo (o meglio, del “puramente biologico”);
- una posizione che, dal punto di vista filosofico, possiamo qualificare dualista (rottura dell’unità
della persona), spiritualista (dominio oggettivante dello spirito sul corpo), e anche,
paradossalmente, biologista: non nel senso del biologismo tradizionale, che sacralizzava il corpo
come intangibile, ma nel senso di non riuscire a vedere nel corpo altro che il “meramente
biologico”, da cui deriva la sua totale de-sacralizzazione, spogliato com’è di ogni significato
personale e consegnato al potere e alle grinfie della libertà soggettiva, “armata” dalle risorse della
tecnologia23;
- la distruzione dell’idea di persona umana: se andiamo ai tre significati salienti del termine
persona, che abbiamo illustrato in precedenza, ci accorgiamo che il terzo (la corporeità della
persona) viene fondamentalmente travisato; il secondo (la relazionalità della persona) viene
fondamentalmente svuotato e vanificato24; rimane solo il primo significato (la dignità della
persona umana), un significato però alquanto aleatorio e declamatorio, sempre più simile a una
infrastruttura esterna destinata a collassare perché non più appoggiata a nulla di sostanziale 25.
L’impatto del nuovo personalismo sulla teologia morale cattolica, in particolare sul suo versante
normativo, si è rivelato ovviamente fragoroso. Anche perché le nuove tesi sostenute si allineavano
abbastanza facilmente alla vulgata del costume contemporaneo diffuso, suscitando in tal modo
anche un forte e compiaciuto interesse mass-mediale.
Siccome la sessualità ha a che fare con il corpo, e quella che viene proposta è una lettura
differente e difforme del significato personale del corpo, si può dire che tutta l’etica sessuale
tradizionale ne è uscita frastornata. La questione della contraccezione ha rappresentato
sicuramente l’acme del dibattito sul vero e falso personalismo, ma si può dire che ogni altro
aspetto dell’etica sessuale tradizionale (dall’autoerotismo ai rapporti sessuali pre-matrimoniali,
dall’omosessualità alle questioni poste dall’identità di genere) ne è stato coinvolto.
Lo schema è quello consueto: accusa di biologismo rivolta alla norma etica tradizionale; enfasi
sulla dignità e sulla libertà della persona (che, si dice, “non prende lezioni da ciò che è meramente
fisico” e “deve essere liberata dalla biologia”); riformulazione della norma di azione relativa ai
desideri e ai progetti del soggetto o della coppia.
L’esempio probabilmente più lampante di adozione di un falso personalismo in teologia morale
sessuale è rappresentato dall’opera dell’americano A. Kosnik26
23
Paradossalmente questo falso personalismo è rimproverabile di quel limite (il biologismo nella considerazione del
corpo della persona umana) che pretende di affibiare alla teologia morale tradizionale. Certamente si tratta di un
biologismo di diversa natura rispetto a quello classico (biologismo che de-sacralizza il corpo, mentre quello classico lo
sacralizzava), ma la dignità della persona umana (che è anche il suo corpo: non ha un corpo da usare!) ne esce
globalmente malconcia.
24
Proprio la vicenda della sessualità umana che abbiamo precedentemente descritto – l’incapacità dell’eros di
trascendersi verso l’agape, con il conseguente destino di avvolgimento dell’eros su sé stesso (erotismo), di solitudine
narcisistica dell’io e di perdita e smarrimento della relazione con l’altro – documenta significativamente come una
concezione impoverita della persona non possa che portare alla crisi e all’oblìo delle sue relazioni.
25
Come abbiamo detto, proprio questa è stata la traettoria del passaggio dalla modernità alla post-modernità: dall’Io
forte e centrale del moderno all’Io debole e decentrato del post-moderno.
26
Cfr. A. KOSNIK e altri, La sessualità umana. Nuovi orientamenti nel pensiero cattolico americano, Brescia 1978 (or.
ingl. 1977).
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L’autore afferma chiaramente che la GS ha segnato una vera e propria rottura rispetto alla
tradizione teologica precedente27, inficiata dal peso dell’eredità biologista del pensiero
agostiniano e tomista.
L’idea di persona, sulla quale si polarizza il nuovo discorso teologico morale, è declinata nei
termini di creatività, attuazione delle proprie potenzialità, continua scoperta ed espressione
di sé, auto-realizzazione libera e consapevole.
In questo contesto il corpo sembra non avere più alcun messaggio da rivolgere alla
soggettività della persona28, ma, al contrario, è la soggettività della persona a disporre
liberamente del corpo, senza limiti se non quelli posti dalla persona stessa.
Certamente un criterio di eticità è dato, nel campo dell’agire sessuale, dall’obiettivo di
costruire relazioni di comunione con l’altra persona (Kosnik parla della necessità di
“superare la solitudine” e di raggiungere l’integrazione con l’altro), ma questa cifra
relazionale appare senza contenuto concreto, vaga e indefinita, aperta a qualsiasi
contenuto. Secondo l’autore non si può escludere a-priori che, in certe circostanze, anche
l’adulterio, o la copula oralis, o il rapporto omosessuale, o le relazioni sessuali multiple con
il consenso del coniuge possano costruire una valida relazione fra le persone. Indicazioni
troppo restrittive per la libertà individuale, che pretendessero di fondarsi sulla corporeità
della persona, peccherebbero indubbiamente di biologismo.
La conseguenza è la possibilità, asserita, di valutare, alla luce di particolari aspirazioni e
desideri personali, come soltanto fisiche alcune azioni (autoerotismo, contraccezione,
rapporti sessuali pre-matrimoniali), anche quando esse siano direttamente volute.
Un influsso obiettivo, anche se non così travolgente, è ravvisabile anche all’interno del panorama
teologico morale italiano. Su tutti il libro di A. Valsecchi, Nuove vie dell’etica sessuale, Brescia
1973.
Citiamo alcuni rapidi passaggi.
“Si tratta di accordare il primato alla persona e ai suoi beni più tipicamente spirituali,
piuttosto che ai meccanismi e processi biologici, i quali non possono mai avere per sé stessi
un valore assoluto: è allora ‘naturale’ che si sacrifici la perfezione fisica della copula o dei
suoi processi biologici, se diversamente non è possibile ottenere un proporzionato bene
personale dei coniugi” (pp. 155-156).
Occorre modificare la rigidità della norma, che aveva senso solo nel quadro di una visione
procreazionistica della sessualità, a favore di una maggiore flessibilità normativa (p. 92).
Occorre “riconoscere la piena bontà dell’amplesso anche quando venga intenzionalmente
privato della sua destinazione feconda” (p. 98).
Occorre interrogarsi sulla possibile validità dei rapporti sessuali pre-matrimoniali (pp. 109-110).
Occorre un atteggiamento possibilista verso l’omosessualità (p. 165).
E si tratterebbe solo dell’inizio: significativamente un successivo scritto di Kosnik (contenuto nel volume Dimensions
of Human Sexuality, New York 1979) è intitolato Of Beginnings, Not Ends (pp. 202-235).
28
Scompare per es. l’argomento, così chiaro nella GS, del significato procreativo della sessualità. Anzi, l’autore, dopo
aver asserito che il Vaticano II ha esplicitamente rifiutato la priorità del fine procreativo della sessualità, propone di
rielaborare lo stesso fine nei termini di finalità creativa della persona e della coppia (pp. 65-66).
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