UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PARMA Facoltà di Medicina e Chirurgia Corso di laurea in infermieristica L’ARRESTO CARDIACO INTRAOSPEDALIERO PROTOCOLLO INFERMIERISTICO D’ATTIVAZIONE DELLA CATENA DELLA SOPRAVVIVENZA Relatore: Chiar.ma Prof.ssa RITA DALL’OVO Laureando: GIOVANNA BUSI Anno Accademico 2004-2005 Ai miei cari genitori e ai miei fratelli, che mi hanno sostenuto ed hanno avuto fiducia in me per tutto questo tempo. Ai miei più cari amici, soprattutto Eleonora, che nei momenti difficili mi han sempre garantito la loro presenza. Al mio ragazzo che, anche se solo per un anno, ha sopportato tutti i miei sbalzi d’umore e il mio caratteraccio. A tutti i miei tutor clinici ma in particolar modo: Daniela, che ha reso reale uno dei miei sogni più grandi, Sabrina, che mi ha fatto capire quanto io valga, Ramona e Olga che mi hanno insegnato ad amare un dono della vita, i bambini. Vorrei ringraziare anche i nostri professori, ma in particolar modo i nostri tutor didattici: Paola Corazza ed Ivana Agnelli. Infine per ultimi, ma non sicuramente per importanza, chi ha vissuto con me questa splendida avventura di 3 anni tra lacrime e sorrisi: i miei compagni di corso, senza di loro sarei stata persa. Grazie soprattutto a Barbara, Chiara, Enrico e Fieramente. Per il loro affetto. Grazie di Tutto Giovanna …Non è vero che abbiamo Poco tempo: la verità è che ne perdiamo troppo... Seneca Indice Introduzione pag. 1 Capitolo 1 L’arresto cardiaco intraospedaliero - Premessa - Perché il BLSD? - Danno anossico cerebrale - L’ACC e la terapia elettrica - La defibrillazione - I defibrillatori pag. 6 pag. 6 pag. 8 pag. 11 pag. 13 pag. 20 pag. 24 Capitolo 2 Legislazione - Uso del defibrillatore in ambito Ospedaliero da parte del personale Infermieristico pag. 30 Capitolo 3 Dati statistici relativi all’ACC pag. 39 Capitolo 4 Indagine conoscitiva sull’organizzazione dell’emergenza intraospedaliera nell’ospedale di Parma e Cremona pag. 47 Capitolo 5 La catena della sopravvivenza in ospedale - Primo anello: allarme precoce pag. 69 pag. 74 - Secondo e terzo anello: RCP precoce + Defibrillazione precoce - Procedure operative con defibrillatore semiautomatico esterno - Quarto anello: precoce ALS - Algoritmo FV/TV - Algoritmo PEA - Algoritmo Asistolia - Check-list carrello dell’emergenza - Protocollo catena della sopravvivenza a 2 operatori - Protocollo catena della sopravvivenza a 1 operatore pag. 79 pag. 84 pag. 90 pag. 92 pag. 96 pag. 97 pag. 98 pag. 101 pag. 102 Capitolo 7 La collaborazione con il personale Per la rianimazione avanzata - L’assistenza durante l’intubazione Endotracheale - Applicazione degli elettrodi per elettrocardiogramma/defibrillazione pag. 110 Capitolo 8 Organizzazione delle risorse per una precoce attivazione della catena della sopravvivenza - I materiali - Formazione del personale pag. 111 pag. 112 pag. 114 pag. 103 pag. 103 - Individuazione delle aree meno raggiungibili dell’equipe ALS e disposizione di punti strategici per posizionamento dei DAE - Attivazione dell’ALS - Raccolta dati pag. 119 pag. 121 pag. 123 Conclusioni pag. 124 Allegati - Allegato 1: Questionario conoscitivo sull’organizzazione delle emergenze intraospedaliere - Allegato 2: Locandina ACC - Allegato 3: Modello “Utstein Style” intraospedaliero pag. 127 Bibliografia pag. 133 pag. 127 pag. 130 pag. 131 INTRODUZIONE Per definizione, l’emergenza è una situazione che si verifica improvvisamente, è imprevedibile, fortunatamente non frequente, può interessare una o più persone, ed esige prontezza, efficienza e decisioni immediate. L’urgenza, invece, è una condizione più frequente, in cui non esiste un immediato pericolo di vita, ma nella quale è necessario adottare entro breve tempo l’opportuno intervento terapeutico. Le possibili cause d’emergenza/urgenza in corsia possono essere: • ARRESTO CARDIOCIRCOLATORIO • ARRESTO RESPIRATORIO • TRAUMA CRANICO GRAVE • DOLORE TORACICO • EMERGENZE PSICHIATRICHE • INSUFFICIENZA RESPIRATORIA GRAVE • PROBLEMI DEL RITMO CARDIACO LETALI • EMERGENZE MEDICHE, NEUROLOGICHE • MACROEMERGENZA -1- CHIRURGICHE E Alla stregua del territorio, anche l’emergenza in ambito ospedaliero deve essere considerata come un insieme d’atti, procedure e protocolli il cui fine ultimo è la sopravvivenza del paziente e, per quanto possibile, il suo recupero fisico e psichico. Se avvenisse, ad esempio, un arresto cardiaco in un reparto non intensivo come chirurgia, ortopedia, otorino, ecc., la tempestività e l’ appropriatezza dell’attivazione della catena della sopravvivenza influenzerebbero in modo rilevante l’esito finale. Compiendo, infatti, una corretta e completa rianimazione cardiopolmonare con defibrillazione e attivando entro i primissimi minuti l’equipe ACLS (molto spesso formata da un rianimatore e un infermiere specializzato ), le possibilità di successo possono arrivare fino al 90%. Se invece, per qualsiasi motivo non fosse effettuato un BLSD immediato, e attendendo così l’arrivo dell’equipe avanzata, avremmo queste percentuali di recupero : Entro 7-10 minuti, il 20% circa Oltre i 10 minuti, il 2-8%, con danni neurologici rilevanti. Da questi semplici dati si evince quanto sia importante fronteggiare l’emergenza con determinazione, efficienza e capacità ricordando l’assioma “il tempo è miocardio”! -2- Il “Manifesto Europeo per la Medicina d’Emergenza”, pubblicato dalla European Society for Emergency Medicine, definisce il suo ambito di azione “nella diagnosi precoce e nel contemporaneo trattamento di tutte quelle condizioni che mettono a repentaglio la sopravvivenza di un intero organismo o parte di esso. Una rapida, opportuna e ben coordinata risposta riduce la durata e la gravità della morbilità e mortalità dopo un trauma e una malattia acuta”. Tali caratteristiche della medicina d’emergenza indicano chiaramente come il tempo sia il fattore più importante per un intervento medico d’emergenza. Mentre le vittime di arresto cardiorespiratorio fuori dall’ospedale sono generalmente persone relativamente sane, i pazienti ricoverati in ospedale presentano, evidentemente, malattie concomitanti di vario genere che possono abbassare la probabilità di sopravvivenza alla rianimazione. A ciò dovrebbe contrapporsi favorevolmente, almeno teoricamente, il fatto che la catena della sopravvivenza, in ospedale, risulta accorciata grazie a una contrazione dei tempi tra l’insorgenza dell’arresto cardiorespiratorio e l’arrivo del defibrillatore. Tuttavia, tale evenienza non è la regola in molti reparti, vuoi perché il defibrillatore non è immediatamente disponibile, vuoi perché il personale addestrato a usarlo è limitato. Sarebbe auspicabile che tutto il personale sanitario -3- che opera con il pubblico fosse addestrato a praticare la RCP e la defibrillazione ma, purtroppo, questa spesso non è la realtà. La disciplina richiede, quindi,capacità e conoscenza per la diagnosi e il trattamento immediato di qualsiasi affezione critica, e i corsi di rianimazione cardiopolmonare di base e non, forniscono un’introduzione alle competenze richieste. Tuttavia, una reale capacità richiede, più che insegnamento e studio, addestramento pratico e contatto con la realtà dell’emergenza. L’aumento delle pubblicazioni in questo settore, la maggiore attenzione dei media e la diffusione di una cultura laica dell’emergenza (per cui non è più inusuale che anche personale non sanitario esegua correttamente le misure di primo soccorso) rendono infine ragione dell’importanza sempre maggiore che le misure di primo soccorso rivestono nella nostra società. Con la nascita di questi corsi di formazione base di primo soccorso, l’obiettivo è proprio quello di definire, nelle diverse realtà, una figura professionale che, comunque, sia in grado di affrontare nel modo più corretto possibile una condizione di emergenza e che quindi sappia gestire in modo appropriato e consapevole qualsiasi emergenza che possa mettere a repentaglio la sopravvivenza dell’intero organismo o parte di esso. -4- In emergenza, il ruolo dell’infermiere di unità operativa è fondamentale. È questi, infatti, che più frequentemente è chiamato a valutare un caso di emergenza/urgenza a seguito di una richiesta di soccorso del parente o del vicino del letto del paziente. È quindi un suo compito prestare fin dall’inizio i primi soccorsi ed attivare precocemente, oltre al medico di guardia, anche l’equipe ACLS. Lo scopo quindi del mio lavoro, è quello di fornire un nuovo modo di gestione dei malati “critici” soprattutto nei reparti di base e non facenti parte quindi del dipartimento di area critica tramite: • Un protocollo in grado di snellire l’allertamento di un’equipe di soccorso avanzato • Riorganizzazione delle attrezzature (defibrillatori e borse) • Formazione di base e continua • Se possibile garantire una raccolta dati tramite il modello “Utstein” universalmente accettata. -5- Capitolo 1 PREMESSA Seconde stime basate su dati ISTAT e su quelli dello studio MONICA per le aree italiane, ogni anno nel nostro paese 160.000 persone sono colpite da attacco cardiaco: una persona ogni 3-4 minuti, una ogni 350 abitanti. Di queste 1 su 4 non sopravvive, ed in più nella metà dei casi la morte avviene prima di raggiungere l’ospedale, in circa il 50% dei casi come morte improvvisa (entro 1 ora dall’esordio dei sintomi) o addirittura istantanea per arresto cardiaco. D’altra parte dai dati del Registro Regionale di mortalità Emilia Romagna relativo all’anno 2004 si evidenzia che la principale causa di morte è determinata dalle malattie del sistema circolatorio in particolar modo le malattie ischemiche del cuore: Totale morti 44.601 Malattie ischemiche del miocardio 17.873 Tumori 14.218 Malattie apparato respiratorio 3.005 Traumatismi e avvelenamenti 1.899 …. -6- Dai dati sopra riportati risulta chiaramente la frequenza crescente delle urgenze/emergenze cardiovascolari e di conseguenza credo che il modo più corretto per affrontare il discorso emergenza in ambiente ospedaliero sia l’affrontare in modo globale l’evento arresto cardiaco in ospedale. Questo perché la realtà ospedaliera è estremamente variegata ed accanto a realtà come il Pronto soccorso e la Medicina d’urgenza, la Rianimazione, la Cardiologia e l’UTIC, dove il personale è addestrato ad affrontare l’emergenza dell’arresto cardiaco con pazienti monitorati o prontamente monitorabili, defibrillatori pronti, esistono altri reparti dove il personale non è addestrato in modo specifico, manca l’attrezzatura per la rianimazione e tanto più mancano i defibrillatori. -7- PERCHE' IL BLSD? Si stima che la morte cardiaca improvvisa ogni anno, nel mondo occidentale, sia pari a 500 casi l’anno per milione d’abitanti. È noto che una percentuale valutata fra l’80% e il 90% degli arresti cardiaci “primari” (cioè non sopravvenuti per condizioni terminali di altre malattie), è dovuta all’insorgere di aritmie ipercinetiche ventricolari (Tachicardia ventricolare, TV o Fibrillazione Ventricolare, FV) che possono essere attualmente risolte solo con lo shock elettrico, erogato da un defibrillatore. La sequenza operativa è quindi volta a tentare di sbloccare il circolo vizioso che si instaura: l’insorgenza di una FV causa l’inefficacia contrattile del cuore, la paralisi cardiaca induce arresto circolatorio e respiratorio che danneggia rapidamente i vari organi, primi fra i quali il cervello e il cuore stesso. Il paziente in FV è ancora recuperabile, purché s’intervenga in tempo utile. Nel giro di pochi minuti l’altezza delle onde elettriche della FV si abbassa progressivamente, sino a giungere ad una linea piatta (asistolia). A questo punto, se non si è intervenuti in tempo utile, non è in concreto più possibile recuperare il paziente. Le compressioni toraciche esterne e la respirazione artificiale servono appunto a mantenere il paziente in FV, garantendo un minimo flusso perfusorio che consente di guadagnare tempo per la defibrillazione. -8- Di conseguenza, lo scopo del BLS è quello di garantire il pronto riconoscimento del grado di compromissione delle funzioni vitali (fase della valutazione) e di supportare ventilazione e circolo (fase dell’azione) fino al momento in cui possono essere impiegati mezzi efficaci a correggere la causa che ha determinato l’arresto. Si tratta perciò di una “procedura di mantenimento”, quantunque in alcuni casi può di per sé correggere la causa e permettere un recupero completo, ad esempio quando la causa che ha determinato l’arresto,sia primitivamente respiratoria. Poiché è ampiamente documentato che la Tachicardia Ventricolare senza polso e la Fibrillazione Ventricolare, ribadisco unici ritmi defibrillabili, rappresentano i più frequenti ritmi di esordio nell’arresto cardiaco, è evidente la necessità di ampliare le abilità del BLS e di diffondere e addestrare all’uso del defibrillatore automatico esterno (DAE) per permettere un precoce utilizzo dell’unico trattamento efficace in questi casi. Parleremo quindi di BLSD poiché tutti gli operatori BLS dovrebbero essere addestrati, equipaggiati e resi idonei all’uso dei DAE. L’obiettivo principale del BLS consiste nella prevenzione dei danni anossici cerebrali attraverso procedure standardizzate di rianimazione cardiopolmonare (RCP) atte a mantenere la pervietà -9- delle vie aeree (Airway), sostenere la respirazione (Breathing) e il circolo (Circulation) ogni qualvolta si verifichi un’improvvisa cessazione dell’attività respiratoria e/o della pompa cardiaca, in altre parole ogni qualvolta un paziente: • Ha perso coscienza • Non respira • Non ha polso carotideo né segni di presenza di circolo. A quest’obiettivo si aggiunge quello di un precoce riconoscimento e intervento su ritmi defibrillabili (Defibrillation). Le manovre di BLS-D evitano il rapido instaurarsi di danni cerebrali irreversibili, prolungando la persistenza della FV nel tempo, permettono di intervenire prima che la FV si converta in asistolia. In altre parole creano i presupposti per il ripristino di un ritmo cardiaco valido e un totale recupero del paziente. La probabilità di successo della defibrillazione diminuisce del 7-10% ogni minuto dopo l’insorgenza della FV, in assenza di RCP (Fig. 1). - 10 - Fig.1 DANNO ANOSSICO CEREBRALE Nelle situazioni d’arresto cardiocircolatorio (ACC), indipendentemente dalla causa che lo ha determinato, viene meno la capacità contrattile del cuore, con conseguente impossibilità di diffusione dell’ossigeno ai tessuti, ed immediato arresto delle funzioni respiratorie. La mancanza d’apporto d’ossigeno alle cellule cerebrali (anossia cerebrale) produce lesioni che sono dapprima reversibili ma che diventano irreversibili dopo circa 10 minuti d’assenza di circolo. L’attuazione di procedure atte a mantenere un’ossigenazione d’emergenza può interrompere la progressione verso una condizione di irreversibilità dei danni tissutali. Qualora il circolo venga ripristinato ma il soccorso sia stato ritardato o inadeguato, - 11 - l’anossia cerebrale prolungata si manifesterà con esiti di entità variabile: stato di coma persistente, deficit motori o sensoriali, alterazioni delle capacità cognitive e della sfera affettiva, ecc. Le possibilità di prevenire il danno anossico dipendono dalla rapidità e dalla efficacia delle procedure di soccorso, ed in particolare dalla corretta applicazione della “catena della sopravvivenza”. L’ARRESTO CARDIOCIRCOLATORIO ELETTRICA - 12 - E LA TERAPIA L’arresto cardiocircolatorio è una condizione caratterizzata dall’assenza contemporanea di coscienza, respiro e attività circolatoria. La diagnosi di arresto cardiaco è solo clinica, quindi non necessita l’utilizzo di particolari attrezzature. Questa situazione può verificarsi senza segni premonitori ed essere la prima manifestazione della malattia coronaria, nel qual caso il cuore è spesso sufficientemente sano da permettere al soggetto di sopravvivere, purché sia soccorso precocemente, correttamente e con strumenti idonei. Può diversamente essere preceduta da sintomi molto variabili per intensità, durata e caratteristiche. Da ciò deriva l’importanza di un pronto riconoscimento dei segni e sintomi dell’infarto miocardio, ossia dei così detti “segni d’allarme”, quali dolore o senso d’oppressione al centro del torace o localizzato alle spalle, al collo, alla mandibola o alla parte superiore dell’addome in corrispondenza dello stomaco, sudorazione, nausea, sensazione di “mancanza di respiro” e di debolezza. I sintomi possono comparire sotto sforzo o a riposo e con vari gradi d’intensità. L’arresto cardiaco può essere provocato da numerosissime affezioni, - 13 - CARDIOPATIE Insufficienza coronaria (acuta o cronica) su base aterosclerotica Esiti di infarto del miocardio (aneurisma del ventricolo sinistro) Spasmo coronario Coronaropatia acquisita non aterosclerotica e congenita Valvulopatia (soprattutto stenosi aortica) Endocardite infettiva Miocardite, Cardiomiopatia Tumore cardiaco ALTERAZIONI DELL’ATTIVITA’ ELETTRICA DEL CUORE Allungamento dell’intervallo Q-T Alterazioni secondarie del sistema di conduzione Aritmie ipercinetiche gravi, Blocco atrio-ventricolare Malattia del nodo seno-atriale Sindrome di Wolff-Parkinson-White ALTERAZIONI DELL’ATTIVITA’ MECCANICA DEL CUORE Rottura o dissezione di aneurisma aortico Stato di shock Tamponamento cardiaco Tromboembolia polmonare Pneumotorace ipertensivo SQUILIBRI IDRO-ELETTROLITICI Ipomagnesiemia, Ipopotassiemia Iperpotassiemia, Ipercalciemia USO INAPPROPRIATO DI FARMACI Anestetici, Antiaritmici, Digitale MANOVRE MEDICO-CHIRURGICHE Anestesia locale e generale Cateterismo cardiaco Coronarografia, Embolia gassosa Massaggio seno-carotideo Pericardiocentesi, Toracentesi, Tracheotomia Somministrazione di mezzi di contrasto iodati in soggetti allergici ALTRE CAUSE Annegamento, Folgorazione Emorragia cerebrale Intossicazione da CO Ipercapnia, Ipossia Ipotermia Tab. 1 - 14 - di natura cardiaca o extra-cardiaca, brevemente riassunte nella tabella 1. Solitamente, qualunque sia la causa, l’arresto cardiocircolatorio può manifestarsi attraverso diversi ritmi elettrocardiografici che forniscono la situazione che ci si presenta e la relativa terapia da intraprendere. I principali sono: 1. FIBRILLAZIONE VENTRICOLARE (FV) (Fig. 2) Fig. 2 Contrazioni dei ventricoli multiple e disorganizzate caratterizzano la fibrillazione ventricolare e comportano sostanzialmente un arresto cardiaco. La fibrillazione ventricolare può iniziare improvvisamente o fare seguito ad un’extra-sistole ventricolare, una tachicardia o un flutter ventricolare. Il cuore pur avendo una forte energia elettrica, - 15 - questa è talmente disorganizzata che non in grado di essere utilizzata in maniera coerente, con la conseguenza di un deficit di pompa cardiaca e quindi un’ipoperfusione tissutale. In attesa della defibrillazione elettrica, le manovre di rianimazione cardiopolmonare avviate tempestivamente possono salvare la vita del paziente. 2. TACHICARDIA VENTRICOLARE SENZA POLSO (TV) (Fig.3) Fig.3 La tachicardia ventricolare è un’aritmia ipercinetica ad attività elettrica sincronizzata; una volta iniziata, può essere sostenuta finché termina spontaneamente, o con farmaci o con cardioversione elettrica, oppure può essere intermittente. I complessi QRS sono larghi e di forma bizzarra, e la frequenza è solitamente compresa tra - 16 - 150 e 250 battiti al minuto. Il ritmo, quindi, nella maggior parte dei casi è regolare e di rado lievemente irregolare. L’attività atriale, dissociata da quella ventricolare, può non essere influenzata. Anche in questo caso, a causa dell’elevata frequenza, la gittata cardiaca non è garantita totalmente in quanto non vi è un completo riempimento del ventricolo sinistro. La tachicardia ventricolare può evolvere, se non trattata, in fibrillazione ventricolare e portare come quest’ultima, ad arresto cardiaco. La terapia anche in questa situazione è la defibrillazione elettrica. 3. ASISTOLIA (Fig.4) Fig.4 Una fibrillazione ventricolare e una tachicardia ventricolare, se non trattate, molto spesso evolvono in asistolia che si presenta al monitor come una linea isoelettrica piatta che sta ad indicare una cessazione dell’attività elettrica e meccanica del cuore. - 17 - Al suo primo riscontro è necessario escludere che si tratti di una FV fine il cui asse sia perpendicolare al tracciato elettrocardiografici, per cui bisogna verificare attraverso la visualizzazione di più derivazioni. Tra tutte le aritmie è quella a prognosi più infausta. 4. ATTIVITA’ ELETTRICA SENZA POLSO (PEA) L’attività elettrica senza polso, chiamata anche dissociazione elettromeccanica, è caratterizzata dalla conservazione della ritmicità elettrica cardiaca, ma in assenza di una funzione meccanica effettiva. Al monitor sarà presente quindi un ritmo cardiaco che può considerarsi normale ma nella effettiva realtà non è presente la funzione di pompa cardiaca. Da ciò si avrà la perdita della perfusione periferica e anche la scomparsa quindi dei polsi centrali. Alla diagnosi clinica, quindi, si presenterà un quadro di arresto cardiocircolatorio. A seconda del ritmo di presentazione di un ACC, il trattamento della patologia sarà diverso ed è perciò necessario identificare quale sia il ritmo cardiaco presente. La terapia per eccellenza dell’arresto cardiocircolatorio è la defibrillazione, ma quest’ultima non può essere applicata a tutti i - 18 - principali tipi di aritmie che ho appena descritto, per cui è necessario fare una differenziazione: RITMI DEFIBRILLABILI RITMI NON DEFIBRILLABILI Fibrillazione ventricolare Attività elettrica senza polso (PEA) Tachicardia ventricolare sp Asistolia Nello specifico prenderò in considerazione ciò che riguarda la terapia elettrica dei ritmi defibrillabili poiché attuabile in tempi molto ristretti da un infermiere che ha a disposizione un defibrillatore, al contrario di una terapia farmacologia in cui vi è richiesta anche una capacità decisionale medica. - 19 - LA DEFIBRILLAZIONE Come già ribadito, i ritmi più frequentemente responsabili dell’arresto cardiocircolatorio sono la fibrillazione ventricolare (FV) e la tachicardia ventricolare senza polso (TVsp) e in entrambi i casi l’unico trattamento risolutivo “salvavita” è costituito dalla defibrillazione, che consiste nell’erogare un’adeguata corrente elettrica (picco di corrente, misurato in ampère) che, attraversando in un breve intervallo di tempo (4/20 millisecondi), una quota sufficiente di massa miocardica (massa critica), renda il cuore refrattario all’onda di attivazione della FV, che viene pertanto interrotta. Solo una parte esigua della corrente erogata durante uno shock (il 4% circa) attraversa il cuore, dato che la maggior parte viene “assorbita” e “dispersa” o passa da un elettrodo all’altro attraverso la gabbia toracica “saltando” il miocardio. Ad ogni modo, allo stato di refrattarietà provocato dallo shock, in genere subentra il risveglio di segnapassi naturali che ripristinano l’ordine elettrico ed un ritmo organizzato. Il successo o l’insuccesso di tale manovra sono però influenzati da diversi fattori: • Soglia di defibrillazione: risente soprattutto della durata dell’aritmia. Altri fattori che possono influenzare sono: lo - 20 - stato metabolico e patologico del miocardio, la temperatura corporea, la presenza in circolo di farmaci. • Picco di corrente ed energia erogati: il fattore maggiormente correlato alle possibilità di successo della defibrillazione, indipendentemente dalla forma d’onda usata, è dato dal picco di corrente, che rappresenta quindi l’indicatore ideale d’efficacia di uno shock. Per comodità comunque, dato che la misurazione del picco di corrente che attraversa il miocardio è a tutt’oggi ancora difficoltosa in condizioni di emergenza, il parametro elettrico che viene normalmente usato per definire l’entità dello shock è l’energia. • Forme d’onda: si possono classificare innanzitutto in monofasiche o bifasiche in base al numero delle fasi. Si parla di onda monofasica quando la corrente che depolarizza la massa cardiaca si dirige in un’unica direzione, da un elettrodo all’altro. Quando invece la direzione della corrente a un certo punto si inverte, l’onda viene detta bifasica. Dal punto grafico quindi la forma d’onda bifasica è rappresentata da una prima fase sopra lo zero elettrico, e da una seconda fase al di sotto dello zero. - 21 - • Impedenza transtoracica: è la resistenza che si interpone al passaggio della corrente. Tra i fattori che la determinano, oltre all’energia selezionata, al materiale di interfaccia elettrodi-cute, al numero e l’intervallo di tempo intercorso da precedenti shock, alla fase di ventilazione e alla pressione di contatto elettrodo-cute, ci sono anche: 1. dimensione degli elettrodi: in generale, tanto più sono grandi gli elettrodi tanto minore sarà l’impedenza; tuttavia gli elettrodi troppo grandi possono dare luogo ad un inadeguato contatto con la superficie toracica, o provocare il passaggio di gran parte della corrente attraverso vie di conduzione extra-cardiache, “mancando” il cuore. Nell’adulto la maggior parte degli elettrodi dimostratisi efficaci varia da 8.5 a 12 cm di diametro. 2. posizione degli elettrodi: gli elettrodi devono essere posti in una posizione che garantisce il passaggio del massimo flusso di corrente attraverso il miocardio. La posizione raccomandata è sterno-apicale. L’elettrodo sternale è posto alla destra della parte superiore dello sterno sotto alla clavicola, e quello apicale alla sinistra del capezzolo con la parte centrale in corrispondenza della linea medio-ascellare. - 22 - Gli elettrodi autoadesivi per monitoraggio e defibrillazione sono efficaci quanto quelli a placca metallica; sono probabilmente più comodi e sicuri poiché consentono una defibrillazione a mani libere. • Correlazioni tra energia, picco di corrente, impedenza e forma d’onda: tutti questi fattori, precedentemente descritti, sono strettamente correlati. È generalmente ammesso che, a parità d’impedenza, i defibrillatori che impiegano forme d’onda monofasiche abbisognano di alte energie e quindi devono produrre voltaggi più alti rispetto a quelli necessari ad un defibrillatore bifasico; è ormai provato inoltre che, a parità di energia erogata, la defibrillazione con defibrillatori bifasici ha probabilità di successo rispetto a quelli monofasici. - 23 - più I DEFIBRILLATORI Si distinguono due categorie principali di defibrillatori, differenziate dalla capacità o meno dello strumento di fornire indicazioni sul tipo di ritmo presente e, anche, dal ruolo dell’operatore nel decidere la quantità di energia da erogare. In pratica esistono: • Defibrillatori manuali • Defibrillatori esterni automatici e semi-automatici (DAE) I defibrillatori manuali (Fig.5) sono chiamati così proprio perché è necessaria per il loro funzionamento la capacità diagnostica, decisionale e manuale di una persona, nello specifico la figura medica (a meno che non sia presente un protocollo interno al reparto che deleghi gli infermieri autonomo del manuale). Infatti all’utilizzo defibrillatore Fig. 5 il defibrillatore manuale è fornito da diverse alternative di utilizzo che, a seconda delle aritmie presenti e riconosciute sul monitor, verrà adeguato al programma desiderato. In particolare è costituito: pulsante di accensione e spegnimento, selettore del livello di energia da somministrare (espressa in Joules o Watt/sec) in corso di - 24 - defibrillazione, tasto per scegliere tra i modi sincronizzato (utilizzabile in corso di aritmie sopraventricolari, quali il flutter e la fibrillazione atriali) e defibrillazione (da usare ne trattamento della FV E TVsp), schermo monitor sul quale, oltre la traccia elettrocardiografica, compaiono in display i valori di frequenza cardiaca, il modello di defibrillazione, l’energia selezionata di corrente l’indicatore di attivazione o disattivazione degli allarmi, registratore su carta, cavo da elettrocardiografo a tre o cinque elettrodi a seconda del modello e infine sono dotati delle due piastre da defibrillazione, una delle quali dotate di pulsante di carica ed entrambe fornite di pulsante di scarica. Questi ultimi due pulsanti devono essere premuti contemporaneamente realizzare la defibrillazione. per Fig. 6 Il termine generico di defibrillatore esterno automatico (Fig.6), invece, si riferisce ai defibrillatori esterni che incorporano un sistema di analisi del ritmo in grado di indicare al soccorritore se la scossa salvavita è necessaria o no, ed un sistema di caricamento automatico. L’operatore che utilizza un defibrillatore completamente automatico deve semplicemente collegare gli elettrodi al paziente e accendere l’apparecchio, che in pochi secondi - 25 - procede all’analisi del ritmo cardiaco: se si è presenza di FV o di TV il dispositivo carica i propri condensatori ed eroga lo shock. Questo tipo di defibrillatori non è in commercio nel nostro Paese. Possiamo invece disporre di altri apparecchi detti semiautomatici, che per erogare lo shock elettrico attendono la conferma dell’operatore addestrato ed attivarli su pazienti privi di conoscenza, di respiro e di polso. Tutti i DAE vengono collegati al paziente con due elettrodi adesivi mediante cavi di connessione. Questi elettrodi adesivi hanno due funzioni: rilevare il ritmo ed erogare lo shock elettrico. I DAE possono essere distinti in : • DAE che richiedono da parte dell’operatore, una volta acceso il dispositivo, non solo l’attivazione del sistema di analisi, ma anche del caricamento prima di procedere all’erogazione dello shock elettrico. Potremmo anche definirli “DAE a 4 tasti”, in quanto la sequenza operativa prevede nell’ordine: 1. accensione (tasto ON) 2. analisi (tasto ANALYSE) 3. caricamento (tasto CHARGE) 4. shock (tasto SHOCK) - 26 - • DAE che necessitano, una volta acceso il dispositivo, dell’attivazione del sistema di analisi prima di procedere all’erogazione dello shock. Li possiamo anche definire “DAE a 3 tasti”, in quanto, in questo caso, la sequenza operativa è data da: 1. accensione (tasto ON) 2. analisi (tasto ANALYSE) 3. shock (tasto SHOCK) • DAE nei quali l’analisi del ritmo cardiaco viene attivata automaticamente all’accensione dell’apparecchio: “DAE a 2 tasti”. La sequenza operativa in tal caso prevede solamente: 1. accensione e analisi (tasto ON) 2. shock (tasto SHOCK) I DAE a 2 tasti sono ovviamente i più facili da usare. Sono particolarmente indicati nei programmi di PAD (Public Access Defibrillation, ovvero Defibrillazione Precoce nella Comunità) dato che è ampliamente dimostrato che operatori laici sono in grado di apprendere il loro corretto uso più facilmente e rapidamente di quanto non avvenga con le manovre di RCP di base. Esperienze cliniche ormai molto ampie hanno dimostrato che i DAE hanno alta specificità e sensibilità e quindi non vengono tratti in - 27 - inganno dai movimenti del paziente (ad es. convulsioni e respirazione agonica), né dai movimenti che altri causano al paziente, né da segnali e artefatti. L’analisi deve essere avviata solo se vi è certezza dell’ACC (incoscienza, assenza di respiro e polso) e dopo la cessazione di qualsiasi possibile interferenza (quali, ad esempio, quelle prodotte dalle vibrazioni dei mezzi di trasporto). Un altro vantaggio dei DAE deriva dall’uso di placche-elettrodo defibrillatore applicate al paziente mediante cavi di connessione. Questo approccio consente una defibrillazione comandata “senza mani”, che è un metodo più sicuro per gli operatori, in particolare in spazi ristretti. Le placche adesive possono inoltre consentire un migliore posizionamento degli elettrodi durante una rianimazione prolungata. Con questa tecnica però l’operatore non può esercitare la pressione che usualmente si pratica con le classiche piastre manuali. Questa pressione abbassa la impedenza transtoracica grazie al miglioramento del contatto fra cute ed elettrodi. Le placche adesive garantiscono tuttavia un simile abbassamento dell’impedenza grazie al loro migliore adattamento alla parete toracica. L’utilizzo dei DAE però non può essere utilizzato in ambito pediatrico poiché essi non sono in grado di ridurre l’energia al livello - 28 - necessario alla defibrillazione pediatrica. Il livello massimo di energia consigliato per gli shock defibrillatori nei bambini è di 4 J/Kg. I DAE, monofasici o bifasici, erogano una scarica iniziale di 150200J. Per i bambini di età superiore a 8 anni, il cui peso medio è superiore a 25 Kg, questa scarica corrisponde a meno di 10J/Kg che può essere considerata accettabile. Per questo motivo è indicato l’uso del DAE in bambini di età superiore ad 8 anni o di peso superiore a 25 Kg circa. Capitolo 2 LEGISLAZIONE: USO DEL DEFIBRILLATORE IN AMBITO OSPEDALIERO DA PARTE DEL PERSONALE INFERMIERISTICO - 29 - Circa la normativa in materia di uso dei defibrillatori manuali e semiautomatici da parte degli infermieri professionali nell’ambito ospedaliero, va detto subito che manca una legislazione specifica e che i principi in argomento vanno dedotti dal combinato disposto della legislazione ordinaria e da quella relativa a settori diversi. Riguardo alla detta legislazione per settori diversi deve essere citata la L.3.4.01 n.120 (uso dei defibrillatori semiautomatici in ambiente extraospedaliero) che recita come segue: “è consentito l’uso del defibrillatore semiautomatico in sede extraospedaliera anche al personale sanitario non medico, nonché al personale non sanitario che abbia ricevuto una formazione specifica nelle attività di rianimazione cardiopolmonare”. Detta legge, nella sostanza non rivoluziona il panorama normativo (si dirà più avanti che la detta legge è la logica conseguenza dell’innovazione tecnologica e che l’uso del defibrillatore, avvenendo prevalentemente nell’area dello stato di necessità, risulterebbe comunque scriminato dalla stessa e da altre cause di giustificazione) ed introduce professionale per converso un sperequazione può utilizzare autonomamente il (l’infermiere defibrillatore semiautomatico solo in ambiente extraospedaliero) sulla quale si - 30 - tornerà più oltre e che appare solo parzialmente giustificata dalla diversità delle situazioni. Ciò conferma peraltro l’affermazione commentata più avanti (allo stato la defibrillazione è strettamente avvinta alla competenza medica). Salta all’occhio l’impiego da parte del legislatore di frasi del tipo “è consentito … anche al personale non medico”. Non c’è chi non veda che tali frasi richiamano una riserva di competenza al personale medico. Deve essere citata altresì la legge sulla emergenza sanitaria (D.p.r. 27.3.92) per la quale il personale infermieristico professionale, nello svolgimento del servizio di emergenza è autorizzato a svolgere “le manovre atte a salvaguardare le funzioni vitali, previste dai protocolli decisi dal medico responsabile di centrale”. Serve quindi una delega del medico al personale infermieristico, il quale non Resterebbe è il confermata titolare la delle centralità citate del manovre. medico. Si ritiene ancora, come per la legge sopra commentata, che le pratiche in questione possano essere affidate solo eccezionalmente all’infermiere professionale. - 31 - Dalla manualistica e dalla normativa di carattere generale si ricava quanto segue. La defibrillazione è un atto conseguente alla diagnosi di arresto cardiaco. Detta diagnosi è riservata al medico. Di competenza medica è pure la decisione riguardo all’intensità della stimolazione elettrica (terapia). Tutela e sanziona tale riserva di competenza l’art.348 del codice penale (esercizio abusivo di professione riservata) per cui “chiunque abusivamente esercita una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello stato, è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa da lire duecentomila a un milione”. E’ notorio che esistono tipi diversi di defibrillatore: a) il defibrillatore manuale; b) il defibrillatore semiautomatico; c) il defibrillatore automatico. Quanto al defibrillatore manuale serve appena sottolineare che lo stesso eroga semplicemente lo shock elettrico secondo l’intensità decisa dall’operatore. L’uso dello stesso presuppone l’emissione di una diagnosi di arresto cardiaco e la stima dell’intensità della scarica (di competenza - 32 - medica). Quanto al defibrillatore automatico è risaputo che lo stesso agisce in completa autonomia rispetto all’operatore, il quale deve solo connettere gli elettrodi. L’apparecchio analizza il ritmo cardiaco, riconosce in proprio fibrillazione e tachicardia ventricolare (con percentuali di errore trascurabili) ed eroga autonomamente lo shock elettrico. Il defibrillatore semiautomatico è simile nel funzionamento al defibrillatore automatico. In aggiunta all’operatore incombe di attivare manualmente sia la funzione di analisi del ritmo cardiaco, sia il comando di scarica, la quale pur tuttavia viene “consigliata” dall’apparecchio stesso al termine del processo di analisi (l’apparecchio si carica autonomamente). Per entrambi i modelli di DAE non servono diagnosi medica e prescrizione relativa all’intensità dello shock (terapia) alle quali provvede l’apparato. Svanirebbe dunque la minaccia di imputazione di esercizio abusivo della professione medica (art.348 c.p.). L’innovazione tecnologica in commento ha aperto la strada - 33 - all’impiego dello strumento (DAE) anche a personale non sanitario, limitatamente all’ambiente extraospedaliero. Di qui l’emanazione della richiamata legge 3.4.01 n.120, sulla quale si è già scritto. Si è scritto pure (e va sottolineato) che non esistono ancora disposizioni di legge che consentano l’utilizzo autonomo all’infermiere professionale dei DAE nell’ambiente ospedaliero (ciò che gli sarebbe concesso solo in ambiente extraospedaliero). La sperequazione non appare giustificata, atteso la preparazione che si richiede oggigiorno al personale infermieristico, attesa ancora la semplicità di impiego dei DAE e per converso il bisogno di assoluta tempestività delle manovre rianimatorie che si registra anche in corsia. La difficoltà della situazione appare superabile come segue. La defibrillazione va eseguita urgentemente (agli effetti della sopravvivenza, il tempo massimo utile non va oltre i dieci minuti dall’arresto cardiaco). Sono notorie le perdite di chances di sopravvivenza per il ritardo (10% per ciascun minuto perso) nonché i danni prodotti dalla ritardata rianimazione. - 34 - Il personale sanitario non può sottrarsi alla defibrillazione e non deve ritardarla. Presidiano e sanzionano la mancata o la cattiva esecuzione della defibrillazione le norme del codice penale in materia di lesioni ed omicidio colposi (art.589 e segg. codice penale), di rifiuto d’atti d’ufficio (art.328: “il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio che indebitamente rifiuta un atto del suo ufficio che per ragioni … di sanità deve essere compiuto senza ritardo è punito con la reclusione da sei mesi a due anni) e di omissione di soccorso (art.593: “soggiace … alla reclusione fino a tre mesi o con la multa fino a lire seicentomila … chi trovando … una persona ferita o altrimenti in pericolo, omette di prestare l’assistenza occorrente … se da siffatta condotta deriva una lesione personale la pena è aumentata … se ne deriva la morte la pena è raddoppiata”). L’urgenza della defibrillazione e le conseguenze della sua mancata o ritardata attuazione collocano le relative manovre nell’area dell’atto necessitato. Lo stato di necessità (art. 54 del codice penale: “non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé o altri dal pericolo di un danno grave alla persona, - 35 - pericolo da lui non volontariamente causato né altrimenti evitabile”) esclude la punibilità per il reato di esercizio abusivo della professione medica (art.348 c.p.). L’uso del defibrillatore in condizioni di urgenza da parte del personale infermieristico è collocabile altresì nell’area dell’adempimento di un dovere (art.51 c.p.: “l’esercizio di un diritto o l’adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica … esclude la punibilità”). In effetti gli infermieri professionali debbono essere addestrati alle manovre di rianimazione. Le manovre di rianimazione competono indubbiamente agli infermieri professionali (si veda la L.26.2.99 n.42: “… il campo proprio di attività e di responsabilità …” della professione infermieristica “… è determinato dai decreti ministeriale istitutivi dei relativi profili professionali e degli ordinamenti didattici dei rispettivi corsi di diploma universitario”) e rappresentano in ultimi analisi un obbligo per gli stessi a norma dell’art.593 c.p. (per cui è punito chiunque, avendo le cognizioni occorrenti, omette di prestare assistenza ad una persona in pericolo). L’adempimento dell’obbligo esclude il reato. - 36 - Tanto premesso valga quanto segue. Nel caso di intervento tempestivo del medico “nulla quaestio” posto che l’equipe viene diretta dallo stesso. Non mette conto stabilire chi manovra il defibrillatore manuale (anche l’infermiere professionale può farlo, riservate al medico diagnosi e prescrizione e richiamato quanto si è detto circa la formazione ed addestramento dello stesso infermiere professionale). Qualora non vi sia l’intervento del medico nei tempi anzidetti l’infermiere professionale può e deve azionare il DAE (ovviamente se disponibile). In difetto le imputazioni ipotizzabili sono quelle ex art.593 c.p. aggravate dall’evento (morte o lesioni colpose). L’uso del defibrillatore semiautomatico risulterebbe comunque scriminato ex art.51 c.p. (adempimento di un dovere) e 54 c.p. (stato di Voglio necessità). astenermi dal commentare il caso dell’infermiere professionale il quale, nei frangenti anzidetti, usa il defibrillatore manuale e salva la vita al paziente (emergendo eventualmente scriminato ex art.54 c.p.). Farebbe da contro altare allo stesso caso quello dell’infermiere il quale, nei medesimi frangenti, sbaglia la diagnosi, nuoce al paziente - 37 - e risponde a termini dell’art.348 c.p. (esercizio abusivo della professione medica) e 589 e segg. c.p. (omicidio colposo o lesioni colpose). - 38 - Capitolo 3 DATI STATISTICI I maggiori studi relativi alla rianimazione cardiopolmonare in ospedale effettuati negli ultimi anni, arrivano principalmente da paesi esteri, ma anche in Italia sono presenti alcune ricerche relative all’argomento in questione. In entrambe i casi però, succede che ogni studio differisca notevolmente per quanto riguarda i metodi utilizzati e le relative raccolte dati per cui è presente una certa disuguaglianza sui vari risultati ottenuti, soprattutto perché questi studi prendevano in considerazione strutture ospedaliere con differenti modalità di gestione delle emergenze intraospedaliere. Le tre maggiori reviews che raccolgono più di 50 articoli sulla sopravvivenza dopo arresto estremamente significative cardiaco della in variabilità ospedale, sono nell’affrontare e registrare l’evento: Mc Grath ha riferito una sopravvivenza a 24 ore del 38% (range 13%-59%) e del 15% (range 3%-27%) alla dimissione dall’ospedale. De Bard ha riportato una sopravvivenza del 39% a 24 ore e del 17% alla dimissione. Cummins e Graves rivisitando 44 articoli hanno rilevato una sopravvivenza alla dimissione variabile dal 3% al 27%. - 39 - Da ciò si può dedurre che comunque, nonostante le difformità dei vari studi condotti, si giunge a un dato molto significativo anzi diciamo il più importante, che la sopravvivenza per arresto cardiaco all’interno dell’ospedale, alla dimissione dei pazienti si aggiri intorno al 15%, dato che non si può considerare molto soddisfacente. Come già dicevo sono stati eseguiti molti studi relativi alla sopravvivenza per arresto cardiaco in ospedale e la relativa organizzazione dell’emergenza in termini di risorse strumentali ed umane ma tra quelli di cui sono a conoscenza, hanno suscitato il mio interesse per i risultati ottenuti solo alcuni. È da citare sicuramente uno fra i primi studi effettuati: lo studio di BRESUS effettuato in Inghilterra nei primi anni ’90. Questa ricerca ebbe come obiettivo quello di determinare le circostanze, l’incidenza e la sopravvivenza successive a una rianimazione cardiopolmonare. Venne effettuata un’indagine su 12 ospedali britannici per un periodo di 12 mesi e vennero registrate 3765 rianimazioni effettuate (di queste 3765, 927 nelle quali l’arresto cardiaco ebbe inizio al di fuori dell’ospedale). Di tutti casi rilevati si è potuto studiare poi la relativa sopravvivenza dopo la rianimazione iniziale, a 24 ore, alla dimissione dall’ospedale e infine ad un anno dall’evento. Questi furono i risultati: - 40 - • 39% ebbero ripresa di circolo; • 28% sopravvissero a 24 ore; • 17% erano vivi alla dimissione; • 12.5% erano vivi ad un anno dall’evento. Oltre a queste percentuali di sopravvivenza questo studio riportò anche che la maggiore probabilità di ripristino di circolo, si ebbe nei reparti di cura intensiva. Ciò dovuto alla carenza negli altri reparti di materiali, apparecchiature e addestramento. Qualche anno dopo fu effettuata una ricerca su alcuni ospedali portoghesi che studiò la sopravvivenza a seconda del ritmo iniziale di presentazione e prese in considerazione anche se le manovre di RCP di base furono iniziate oppure no prima dell’arrivo della squadra di ACLS. Si ottenne che sul 90% delle chiamate (120 chiamate registrate), il supporto di base delle funzioni vitali è stato iniziato, mentre nel 10% non erano state praticate manovre di BLS. Dei 90% (108 pazienti), il 31,5% (34 pazienti) ha avuto ripristino di circolo, mentre dei 10% (12 pazienti) solo l’ 8.3% (1 paziente) ha avuto ripristino di circolo. Un altro aspetto da citare di questo studio fu la sopravvivenza a seconda del ritmo di presentazione iniziale: fibrillazione ventricolare nell’ 8%, tachicardia ventricolare nel 24%, asistolia o PEA nel - 41 - restante 68% dei casi. La sopravvivenza in caso di fibrillazione ventricolare/tachicardia ventricolare senza polso (alla dimissione), fu del 39,4%; la sopravvivenza in caso di asistolia o PEA alla dimissione fu del 5,2%. Un altro fattore molto importante che venne considerato dal Servizio di Cardiologia del centro medico dell’esercito di Brooke del Texas, è il tempo. Infatti in questo centro venne introdotto un metodo per ridurre il tempo di intervento in ogni fase della catena della sopravvivenza. Innanzitutto dell’inserimento di questa registrarono ricerca e il poi tempo prima successivamente all’introduzione di questa. Si ricavò prima di tutto che i tempi di reazione medi dipendevano dall’ eziologia, dalla posizione del paziente nell’ospedale apparecchiature di e dalla emergenza. posizione Ma dei presidi fondamentalmente si e è dimostrato questo: La riduzione dei tempi di intervento in minuti, per l’inizio della RCP (1.3 contro 0.4), dell’arrivo della squadra di emergenza (1.6 contro 1.2), della prima defibrillazione (7.8 contro 6.6) e del primo farmaco (4.1 contro 3.8) hanno portato a un miglioramento della sopravvivenza (47% contro il 57% successivo). - 42 - Analizzando questi dati ci si può rendere conto di quante variabili possano intervenire nell’affrontare l’arresto cardiaco in ospedale ma anche nel raccogliere e confrontare dati. Si può dire quindi, che i fattori che influiscono sulla riuscita di una rianimazione cardiopolmonare possono essere suddivisi fra fattori intrinseci al paziente e fattori chiamiamoli ambientali: FATTORI DEL PAZIENTE FATTORI ESTERNI • Età • Tempi della catena della • Ritmo iniziale (FV/TV o sopravvivenza • Disponibilità di materiale Asistolia/PEA) • Patologie concomitanti • Posizione del paziente • Durata della rianimazione • Formazione del personale Riassumendo si può dire che le maggiori variabili che influiscono sull’esito di un arresto cardiaco sono: 1. L’ospedale inteso come struttura architettonica, reparti diversi, organizzazione interna. 2. Il paziente con le sue caratteristiche cliniche, le comorbidità, la terapia in atto. 3. Causa dell’arresto ed evoluzione immediata dell’evento - 43 - 4. Risultato inteso come sopravvivenza a tempi diversi, esiti. Quel che è certo è che in ospedale, al di fuori dei reparti dedicati all’emergenza, si debbono fare i conti con le due componenti che, più di altre, influiscono sull’esito: il tempo e la preparazione del primo soccorritore che deve sapere chi attivare ma deve anche sapere fare. Come primo soccorritore in ospedale possiamo sicuramente identificare l’infermiere, ed è questa figura professionale che deve conoscere ed attivare la catena della sopravvivenza con i suoi quattro anelli fondamentali. Per fare un quadro generale sulla situazione in Italia posso fare riferimento al 4^ Censimento delle strutture cardiologiche in Italia effettuato nel 2000/2001: i dati di questa ricerca si riferiscono a 687 enti di ricovero. Essi riguardano attività rivolte all’addestramento del personale mediante la realizzazione di programmi educativi e all’allestimento di protocolli diagnostico-terapeutici. Per quanto riguarda i programmi di addestramento alla rianimazione cardiopolmonare il 59.1% (406/687) degli ospedali ha realizzato programmi di addestramento per la RCP: il 60% (356/593) degli ospedali pubblici e il 53.2% (50/94) degli ospedali privati. La - 44 - frequenza con la quale sono stati realizzati questi programmi risulta maggiore negli ospedali collocati al Nord (74.4%) in confronto a quelli collocati al Centro (61.7%) e al Sud d’Italia (39.9%) ed è stata mediamente maggiore negli ospedali dotati di UTIC (69.1%) in confronto a quelli che ne sono privi (47.1%). Nella grande maggioranza (73.1%), i programmi sono stati rivolti a tutto il personale, nel 22.9% dei casi al solo personale infermieristico, nell’1.5% al solo personale medico e nel 2.5% dei casi ad altro personale. In confronto al 1995 la percentuale degli ospedali pubblici che hanno attivati programmi di rianimazione cardiopolmonare risulta più che raddoppiata (60 vs 28.8%). Invece per quanto riguarda un protocollo di intervento per far fronte all’arresto cardiaco che si verifica all’interno dell’ospedale ma al di fuori delle aree intensive, è stato realizzato nel 50.2% degli ospedali: molto più spesso, però, in quelli privati (71.3%) che in quelli pubblici (46.9%). Il protocollo è gestito in collaborazione tra il cardiologo e lo specialista rianimatore in 111 casi (32.2%), dal solo rianimatore in 107 (31%), dal solo cardiologo in 78 (22.6%) e da una combinazione di figure mediche diverse dalle precedenti in 49 (14.2%). - 45 - Nel momento dell’emergenza in 201 ospedali (58.3%) viene chiamato indifferentemente il cardiologo o l’anestesista rianimatore, in 71 (20.6%) il rianimatore, in 65 (18.8%) il cardiologo. Per quanto riguarda l’uso del defibrillatore la grande maggioranza degli ospedali (64.5%) utilizza defibrillatori tradizionali, il 19.7% defibrillatori semiautomatici, il 12.7% dispone di entrambi. - 46 - Capitolo 4 INDAGINE CONOSCITIVA SULL’ORGANIZZAZIONE DELL’EMERGENZA INTRAOSPEDALIERA NELL’OSPEDALE DI PARMA E CREMONA Allo scopo di conoscere la situazione relativa all’ospedale di Parma, ho effettuato un’analisi dei reparti non intensivi del suddetto ospedale e in più, ho voluto mettere in pratica questa ricerca anche nell’ospedale di Cremona, per poter avere un confronto di due realtà molto simili ma che organizzativamente possono risultare differenti. Per poter svolgere questo lavoro ho utilizzato un questionario (Allegato 1) rivolto agli infermieri dei reparti scelti, di 14 domande, alcune a risposta singola e alcune a risposta multipla, che vertiva su 2 componenti esenziali: la formazione alla RCP degli infermieri e l’organizzazione interna del reparto. I questionari sono stati distribuiti nel mese di settembre. A parma sono stati somministrati 110 questionari a cui hanno risposto 79 infermieri (71.8%) dei reparti prescelti. A Cremona sono stati consegnati 90 questionari a cui hanno risposto 69 infermieri (76.6%). I risultati ottenuti da entrambe gli ospedali si possono definire similari ma con qualche lieve differenza su alcuni punti. Per questo, - 47 - per ogni domanda, metterò a confronto i due grafici percentuali ottenuti. Quale tra questi corsi di formazione base di primo soccorso ha frequentato? DOMANDA 1 BLS 22% 34% 1% 4% BLSD PBLS CORSO EMERG-URG 10% ALTRO 29% NESSUNO Grafico 1 CR DOMANDA 1 20% BLS 20% BLSD 5% 5% 8% PBLS CORSO EMERG-URG ALTRO 42% NESSUNO Grafico 1 PR Da questi grafici risulta che in entrambe le aziende ospedaliere più della metà degli infermieri intervistati, ha partecipato a corsi di - 48 - rianimazione cardiopolmonare di base (BLS-BLSD): a Cremona il 63% dei rispondenti ha partecipato a corsi di rianimazione per adulto, mentre a Parma il 62%. Per quanto riguarda la rianimazione pediatrica sono ancora percentuali ridotte in quanto questo ambito, sarà sicuramente più frequentato da infermieri pediatrici rispetto alla mia popolazione d’indagine. Ma ho inserito ugualmente il PBLS in quanto volevo verificare se può essere per gli infermieri presi in questione, solo un’integrazione al proprio bagaglio culturale o comunque un accumulo di crediti ECM, come è poi risultato. Nonostante ciò, è direi quasi indispensabile conoscere la sequenza del PBLS, poiché la popolazione che si presenta in un’azienda ospedaliera ogni giorno comprende qualsiasi personaggio di ogni età. Essere formati e, quindi pronti, ad ogni evenienza, non è mai troppo. C’è da sottolineare che una buona fetta tra gli infermieri intervistati (a Cremona il 22% e a Parma il 20%), non ha mai partecipato a corsi di rianimazione cardiopolmonare. - 49 - Se li ha frequentati, per quali è certificato? DOMANDA 2 13% BLS 3%1% 3% BLSD 43% PBLS CORSO EMERG-URG ALTRO 37% NESSUNO Grafico 2 CR DOMANDA 2 6% 5% 5% BLS BLSD PBLS CORSO EMERG-URG ALTRO 23% 11% 50% NESSUNO Grafico 2 PR La certificazione è il processo grazie al quale un’agenzia o un’associazione non governativa certifica che una persona, autorizzata ad esercitare la professione, ha soddisfatto alcuni standard predeterminati specificati dalla professione per quell’area di pratica. La certificazione è stata ideata per garantire al pubblico che una professionista ha acquisito un corpo di conoscenze ed abilità in una determinata specialità. Per ciò ora la certificazione è - 50 - requisito essenziale per poter praticare e assicurare una corretta sequenza di rianimazione cardiopolmonare. La certificazione in pratica, esplicita come devono lavorare i professionisti; quindi definisce i limiti dell’autonomia degli infermieri, ma anche in cosa è autonomo. Dalle risposte ottenute ben pochi, tra quelli che hanno frequentato corsi di RCP, non sono certificati dai corsi di formazione che hanno seguito. A Cremona l’80% dei rispondenti che hanno frequentato corsi di BLS-BLSD è certificato, a Parma il 73%. Si può dire che la competenza degli infermieri viene definita dalla formazione, le conoscenze e le abilità possedute. - 51 - Quanto tempo fa li ha frequentati? DOMANDA 3 13% 4% 29% < 1 ANNO > 1 ANNO 1 ANNO 19% 2 ANNI 3 ANNI 35% Grafico 3 CR DOMANDA 3 18% 14% 9% 18% < 1 ANNO > 1 ANNO 1 ANNO 2 ANNI 3 ANNI 41% Grafico 3 PR il processo di certificazione deve anche garantire un meccanismo che attesti il mantenimento delle competenze. La maggior parte dei programmi di certificazione hanno un meccanismo di ricertificazione ogni 2-3 anni. Nella mia domanda ho semplicemente chiesto da quanto tempo erano stati frequentati i corsi e non se era stato effettuato un retraining a questi corsi, perché sono a conoscenza del fatto che solo da quest’anno nell’azienda ospedaliera di Parma (a - 52 - Cremona non ancora), è iniziato il retraining al BLS-BLSD. Per cui presumo che solo una ridottissima percentuale abbia di nuovo rifrequentato il corso. Comunque risulta in entrambe gli ospedali (a Cremona il 64%, a Parma il 59%) hanno frequentato i corsi da più di 2-3 anni. Le restanti percentuali (a Cremona il 36%, a Parma il 41%) hanno frequentato i corsi da 1 anno o meno. Ciò può far pensare che vi sia una riduzione abbastanza consistente degli infermieri che frequentino questi corsi, o semplicemente che la maggior parte degli infermieri dell’azienda li ha già praticati. - 53 - I corsi di formazione sono stati seguiti per: DOMANDA 4 FORMAZ.OBB 18% INTERESSE PERS 39% ATTIVITA' EXTRA-LAV 4% 39% ACCREDITAMENTO ECM Grafico 4 CR DOMANDA 4 FORMAZ.OBB 33% 22% INTERESSE PERS ATTIVITA' EXTRA-LAV 6% ACCREDITAMENTO ECM 39% Grafico 4 PR Questa domanda è stata posta semplicemente per capire se gli infermieri che seguono questo tipo di formazione abbiano una motivazione soddisfacente che li porti a frequentare con interesse gli argomenti trattati e non solo per ottenere i crediti ottenibili con la certificazione. La domanda era a risposta multipla ma comunque una buona percentuale (39% sia Parma che Cremona) ha barrato la casella - 54 - dell’interesse personale in unione però anche all’accreditamento ECM (33% Parma e 39% Cremona). La serie di domande successive del questionare sono indirizzate tutte ad indagare come sia preparata una determinata struttura ospedaliera a far fronte ad un evento come l’arresto cardiaco in aree non intensive. Di che presidi di emergenza è dotata la vostra unità operativa? DOMANDA 5 0% 9% 8% BORSA EMERG CARRELLO EMERG ALTRO NULLA 83% Grafico 5 CR DOMANDA 5 4%0% 14% BORSA EMERG CARRELLO EMERG ALTRO NULLA 82% Grafico 5 PR - 55 - È utile conoscere in che modo e attraverso quali presidi il personale può far fronte ad una situazione d’emergenza come l’arresto cardiaco. All’incirca i risultati ottenuti sono similari: sia nell’ospedale di Parma (82%), che in quello di Cremona (83%), l’utilizzo del carrello dell’emergenza è la prerogativa più diffusa, e direi anche la migliore. In alcuni reparti è anche risultato l’utilizzo di una borsa per l’emergenza (Cremona 8%, Parma 14%), ma che era presente sempre in concomitanza con il carrello dell’emergenza e mai come singola possibilità. Evidentemente in questi reparti hanno il buon uso di conservare una borsa dell’emergenza come “scorta”, per una possibile contemporanea presenza di più emergenze nello stesso momento. È presente però, nell’ospedale di Cremona, un inatteso 9% che ammette di non essere a disposizione di nessun presidio specifico per una possibile emergenza, ma nel caso si presenti usufruiscono soltanto di farmaci e presidi presenti nel reparto in quel momento. - 56 - È presente un defibrillatore nella vostra unità operativa? DOMANDA 6 SI 41% NO 59% Grafico 6 CR DOMANDA 6 18% SI NO 82% Grafico 6 PR Se si, di che tipo? DOMANDA 7 37% DAE MANU ALE 63% Grafico 7 CR - 57 - DOMANDA 7 24% DAE MANUALE 76% Grafico 7 PR Da questa due domande si può notare come nell’ospedale di Parma (82%) la diffusione dei defibrillatori sia più radicale rispetto all’ospedale di Cremona che solo il 59% degli infermieri facente parte dei reparti prescelti, dichiara di essere a disposizione di defibrillatore nel proprio reparto. Inoltre nell’azienda ospedaliera di Parma è stato attuato un programma ancora in esecuzione, che garantisca la presenza del defibrillatore semiautomatico esterno in tutti i reparti dell’azienda ospedaliera; infatti come si può notare dalle risposte ottenute, dell’82% che mi ha confermato della presenza di defibrillatore in reparto, il 76% è costituito da defibrillatori semiautomatici esterni (DAE), rispetto a Cremona in cui solo il 59% dei rispondenti è a disposizione di defibrillatore, del quale solo il 37% è costituito da DAE. - 58 - Ciò porta sicuramente a un vantaggio dell’ospedale di Parma rispetto a quello di Cremona, poiché sicuramente quest’ultimo avrà più difficoltà a garantire una defibrillazione precoce, a meno che ogni reparto sia dotato di un protocollo che indichi l’utilizzo del defibrillatore convenzionale anche da parte del personale infermieristico. Ciò però implicherebbe anche il riconoscimento da parte dell’operatore di un ritmo defibrillabile e, di conseguenza di un corretto utilizzo del defibrillatore manuale (vedi parte legislativa cap.3). - 59 - Ha mai eseguito una sequenza di rianimazione cardiopolmonare? DOMANDA 8 SI 33% NO 67% Grafico 8 CR DOMANDA 8 SI 46% NO 54% Grafico 8 PR - 60 - Se no, si sentirebbe pronto ad eseguirla? DOMANDA 9 30% SI NO 70% Grafico 9 CR DOMANDA 9 31% SI NO 69% Grafico 9 PR Per praticare la RCP sono richieste sia conoscenze teoriche che capacità manuali. Le conoscenze teoriche possono rimanere parte integrante delle conoscenze di un infermiere, ma senza la pratica (come è stato dimostrato da uno studio condotto sulle modalità di insegnamento di tecniche di RCP) queste capacità manuali possono essere perse. - 61 - Le domande 8 e 9 chiariscono almeno in parte questa spiegazione. Nell’ospedale di Cremona il 33% dei rispondenti non ha mai praticato una sequenza di rianimazione cardiopolmonare. Di questo 33% risulta che il 70% non si sentirebbe nemmeno pronto ad eseguirla, anche se probabilmente nel 33% sono compresi infermieri certificati al BLS-BLSD. Analogamente a Parma il 46% degli infermieri indicati non ha mai eseguito una sequenza di RCP. Di questo 46%, il 69% non si sentirebbe pronto a realizzare manovre salvavita. Per questo credo che il programma di retraining sia condizione essenziale per garantire l’esecuzione di manovre salvavita in caso di necessità. - 62 - Ha mai utilizzato un defibrillatore? DOMANDA 10 12% SI 42% NO L'HO VISTO USARE 46% Grafico 10 CR DOMANDA 10 27% 34% SI NO L'HO VISTO USARE 39% Grafico 10 PR Da questi grafici risulta che una percentuale molto ridotta tra gli intervistati ha utilizzato un defibrillatore. Nello specifico a Cremona solo il 12% ha fatto uso di defibrillatore, mentre a Parma la percentuale aumenta fino al 39%. - 63 - I corsi di formazione che ha seguito, le sono serviti per apportare delle modifiche nella gestione dei presidi e dell’emergenza in se stessa? DOMANDA 11 26% SI NO 74% Grafico 11 CR DOMANDA 11 11% SI NO 89% Grafico 11 PR Se si, in che cosa è migliorato? DOMANDA 12 UTILIZZO PRESIDI DISPOSIZIONE FISICA PRESIDI 3% 9% 39% DISPONIBILITA' DI ULTERIORI PRESIDI UTILIZZO DELLE PROCEDURE 38% 5% ISTITUZIONE DI PROTOCOLLI INTERNI 6% TUTTE Grafico 12 CR - 64 - DOMANDA 12 UTILIZZO PRESIDI DISPOSIZIONE FISICA PRESIDI 4% 8% DISPONIBILITA' DI ULTERIORI PRESIDI 34% UTILIZZO DELLE PROCEDURE 31% 9% ISTITUZIONE DI PROTOCOLLI INTERNI 14% TUTTE Grafico 12 PR I corsi di formazione oltre a fornire delle conoscenze teoriche e una capacità pratica sulle manovre di RCP, sono utili per dare degli “input” ad una eventuale organizzazione interna del reparto. Ciò l’ho chiesto appunto agli infermieri che hanno frequentato corsi di RCP. È risultato che nell’89% dei casi a Cremona e nel 74% a Parma sono serviti per apportare delle modifiche in diversi ambiti: - utilizzo presidi (39% Cremona; 34% Parma) - disposizione fisica dei presidi (6% Cremona; 14% Parma) - disponibilità di ulteriori presidi (5% Cremona; 9% Parma) - utilizzo delle procedure (38% Cremona; 31% Parma) - istituzione di protocolli interni (3% Cremona; 4% Parma) - tutte (9% Cremona; 8% Parma) - 65 - È presente un protocollo interno di attivazione precoce di personale ACLS (supporto cardiaco avanzato o di almeno un rianimatore)? DOMANDA 13 14% SI NO 86% Grafico 13 CR DOMANDA 13 12% SI NO 88% Grafico 13 PR Come sospettavo, dalle percentuali di risposta ottenute in entrambe gli ospedali, nella maggior parte dei reparti non è presente un protocollo interno per far fronte a una situazione di arresto cardiaco che necessita di manovre particolari e della presenza di personale avanzato. - 66 - A Cremona l’86% ha affermato che nel proprio reparto non è presente un protocollo specifico, mentre a Parma l’88%. È probabile poi che non tutti gli infermieri dei reparti che hanno risposto si siano a conoscenza dell’esistenza di questo protocollo. - 67 - È presente nel vostro reparto uno strumento di raccolta dati (es. una scheda da compilare dopo l’evento), relativa agli interventi d’emergenza effettuati? DOMANDA 14 0% SI NO 100% Grafico 14 CR e PR In questo caso non ho differenziato i due grafici di Cremona e Parma, perché in questa domanda i risultati ottenuti sono gli stessi. Anche per quanto riguarda una raccolta dati, entrambe gli ospedali sono privi di strumenti per la valutazione della performance delle manovre di RCP e anche, quindi, di una valutazione della sopravvivenza a breve e lungo termine dopo l’evento. - 68 - Capitolo 5 LA CATENA DELLA SOPRAVVIVENZA ALL’INTERNO DELL’OSPEDALE Nel 1991, Cummins e coll. pubblicarono un articolo dov’era elaborato il concetto di catena della sopravvivenza. Tale concetto nasceva dall’osservazione che non era il singolo intervento che determinava la prognosi del paziente, per quanto tecnicamente ben condotto, ma l’organizzazione, la coordinazione e la standardizzazione di una serie di valutazioni e azioni che devono essere necessariamente eseguite da più persone insieme o in tempi successivi per fornire il trattamento cardiaco d’emergenza. Il primo obiettivo di tale trattamento non è solo quello di ripristinare l’attività cardiaca spontanea e autonoma, ma, soprattutto, di ottenere questo risultato prima che il cervello sia stato danneggiato parzialmente o definitivamente. Infatti, è proprio il cervello che determina il tempo utile d’intervento, poiché è l’organo vitale con minore capacità di resistenza all’ipossia-ischemia. Si ricorda che, nella maggior parte dei casi, un insulto ischemico cerebrale determina un danno almeno parzialmente irreversibile già entro 4-6 minuti. Per sottolineare l’importanza di questo dato, oltre 10 anni fa, Safar ha proposto di sostituire la sigla comunemente usata di RCP - 69 - (rianimazione cardiopolmonare) con la sigla RCCP ( rianimazione cerebro-cardio-polmonare). Da quanto detto sopra appare evidente la necessità che, non solo gli operatori dell’emergenza agiscano con rapidità, precisione, coordinamento e uniformità di comportamento, ma anche che tali operatori, siano chiamati e possano raggiungere il paziente nel più breve tempo possibile. Inoltre, nel tempo di attesa del personale professionalmente dedicato al trattamento avanzato del paziente in arresto cardio-respiratorio, devono essere rese fattibili, con poche e semplici manovre, la preservazione e/o sostituzione delle funzioni vitali del paziente. Per sintetizzare questi concetti, si è ricorso alla metafora della catena della sopravvivenza, in cui, come in ogni catena, tutti gli anelli sono ugualmente importanti. Così, poiché basta che un anello ceda perché tutta la catena non funzioni, la resistenza complessiva è determinata dall’anello più debole, ossia dall’evento più critico della sequenza. Classicamente, gli anelli della catena sono quattro (Fig. 7) 1. rapido riconoscimento dell’arresto cardiorespiratorio e conseguente immediata chiamata dei soccorsi (ALLARME PRECOCE) - 70 - 2. PRECOCE RCP 3. PRECOCE DEFIBRILLAZIONE 4. PRECOCE trattamento cardiaco avanzato (Advanced Life Support – ALS) Fig. 7 Il concetto di catena della sopravvivenza si basa su alcuni principi fondamentali: • se uno qualsiasi degli anelli che la compongo è inadeguato, il risultato finale produrrà comunque un basso indice di sopravvivenza dei pazienti trattati; • anche se ognuno degli anelli è ugualmente importante, come è stato già sottolineato la defibrillazione precoce è il trattamento che permette di evitare la morte nella maggior parte degli arresti cardiopolmonari. Gli arresti dovuti ad asistolia e ad attività elettrica senza polso hanno una mortalità altissima anche nelle condizioni di trattamento più favorevoli; - 71 - • il parametro fondamentale per verificare l’efficacia del sistema della catena della sopravvivenza e, quindi, del trattamento dell’arresto cardiaco, è l’indice di sopravvivenza immediato e a lungo termine, piuttosto che la valutazione dell’efficacia di un singolo anello. Recentemente sono state definite delle linee guida per la conduzione di studi, la corretta terminologia e l’analisi dei risultati delle ricerche sulla rianimazione cardiopolmonare. Tali linee guida sono definite The Utstein Style, dal luogo dove le commissioni delle sociètà internazionali le hanno redatte. Queste linee guida definiscono metodologie per la raccolta e l’analisi dei dati nell’arresto cardiaco sul territorio, in ospedale e in casi speciali ( come nei pazienti pediatrici o negli annegati). Ciò è stato fatto alo scopo di facilitare la ricerca futura nel campo della RCP e quindi di ottimizzare la funzionalità della catena della sopravvivenza in ciascuna comunità. Allo scopo di avere linee guida comuni, è stato formato l’International Liaison Committee on Resuscitation (ILCOR) che raccoglie organizzazioni come - 72 - American Heart Association, European Resuscitation Council, Heart and Stroke Foundation of Canada,ecc. L’ILCOR, nel 2000, ha prodotto e pubblicato le nuove linee guida, valide per ognuna delle organizzazioni che ne fanno parte, sulla rianimazione cardiopolmonare di base e avanzata. La catena della sopravvivenza però se viene adeguata all’ambiente intraospedaliero deve subire una lieve modifica o meglio un adattamento: infatti, grazie alla formazione del personale infermieristico alla RCP e, grazie alla diffusione dei defibrillatori semiautomatici, il secondo e il terzo anello verrebbero in pratica a combaciare poiché si esplicherebbe la sequenza del BLSD (Fig. 8) RCP DEFIBRILLA ZIONE Fig. 8 - 73 - PRIMO ANELLO: ALLARME PRECOCE Risulta intuitivo che questo anello della catena coinvolge qualsiasi persona ovunque si possa verificare un arresto cardiorespiratorio (per strada, in casa, nei luoghi pubblici o in ospedale). Per cui, qualsiasi persona che sia testimone dell’evento o che sopraggiunga sul luogo dove l’evento è avvenuto, è tenuta a verificare quanto accaduto, a rendersi conto del problema con sollecitudine e ad attivare immediatamente i soccorsi in caso di necessità. Prendendo in considerazione l’ambiente ospedale, questo compito è affidato alla figura/e infermieristica/e presenti in quel momento. Importante componente di questo anello è anche la capacità di riconoscere i sintomi d’allarme di possibile arresto cardiorespiratorio. Questa valutazione viene effettuata appunto dal primo soccorritore che nel gergo viene indicato come Leader, in quanto oltre ad essere il soccorritore che effettuerà tutte le valutazioni necessarie, sarà quello che “comanderà” l’intera sequenza di azioni degli altri operatori. Il soccorritore (o i soccorritori) che praticherà in unione al leader le manovre salvavita, è chiamato Esecutore. È fondamentale che ogni fase della sequenza sia preceduta, come ho già accennato, da una valutazione che autorizza all’esecuzione - 74 - successiva delle azioni appropriate al caso. In questo primo anello la valutazione necessaria da effettuarsi è la valutazione dello stato di coscienza della persona e di apertura delle vie aeree (FASE AAIRWAY). Per cui il leader procederà con la valutazione dello stato di coscienza che si effettua semplicemente chiamando ad alta voce la vittima e la si scuote leggermente per le spalle. Se non risponde e quindi è accertata la sua non SIGNORE MI SENTE? TUTTO BENE? coscienza, il leader avvertirà subito il suo compagno di Fig .9−10 NON È COSCIENTE PORTA IL DAE! portare DAE e carrello dell’emergenza (Fig. 9-10); il leader quindi nell’attesa porrà la vittima nelle condizioni migliori perché la sequenza venga attuata nella maniera più efficace possibile: porrà - 75 - la vittima supina su un piano rigido (se la persona si trova per terra la sequenza verrà effettuata sul pavimento, se invece si trova sul letto verificare l’eventuale necessità di porre una tavola rigida (Resque board) sotto la schiena del paziente), poiché il massaggio cardiaco se praticato su una superficie morbida non avrebbe alcuna efficacia, allineando testa, tronco e arti e ne scopre il torace. Se il paziente si trova nel letto sarà utile spostare il letto dalla parete e sfilare la testata del letto per rendere più semplici le successive manovre di rianimazione. Successivamente si dovrà provvedere ad aprire le vie aeree, ostruite dalla caduta della lingua, che non è più sostenuta dal tono muscolare. La tecnica di apertura delle vie aeree prevede tre manovre: Fig. 11 - 76 - 1. iperestensione del capo: una mano posta sulla fronte della vittima spinge all’indietro la testa (Fig. 11); 2. rimozione eventuali di corpi estranei visibili nel cavo Fig. 12 orale con l’altra mano (o con l’utilizzo dell’aspiratore se si tratta di materiali liquidi come secrezioni o vomito) (Fig. 12); 3. sollevamento del mento: con due dita dell’altra mano si provvede a sollevare la mandibola agendo sulla parte ossea del mento applicando una forza verso l’alto (Fig. 11). Se sono presenti eventuali protesi dentarie vanno rimosse solo se dislocate. Va ricordato che se esiste il sospetto di trauma (raro in ambiente ospedaliero, ma possibile) non deve essere effettuata l’iperestensione del capo ma solo il sollevamento della mandibola, per evitare che eventuali fratture vertebrali provochino lesioni mieliche. Quando il collega giunge sul luogo con tutti i presidi necessari è possibile in questa fase applicare alla vittima la cannula faringea o cannula di Mayo o di Guedel che favorisce il mantenimento della - 77 - pervietà delle vie aeree: posta tra la lingua e la parete posteriore del faringe garantisce il passaggio dell’aria attraverso le vie aeree superiori, sia in caso di respiro spontaneo che durante ventilazione artificiale. Il suo utilizzo, però, non sostituisce la manovra di sollevamento del mento ed iperestensione del capo che va comunque effettuata (Fig. 13). È opportuno utilizzare la cannula solo se non sono presenti riflessi faringei, che potrebbero Fig. 13 stimolare il vomito; la misura corretta della cannula può essere stimata prendendo la distanza dall’angolo della bocca al lobo dell’orecchio. La cannula deve essere inserita con la concavità rivolta verso il naso e, una volta introdotta fino ad apprezzare il palato molle, ruotata di 180° e introdotta fino a far combaciare l’anello rigido della parte terminale con l’arcata dentale. - 78 - SECONDO E TERZO ANELLO: RCP PRECOCE + DEFIBRILLAZIONE PRECOCE Una volta garantita la pervietà delle vie aeree (FASE A) occorre valutare se l’attività respiratoria è presente (FASE B- BREATHING). Il leader si pone a fianco della vittima e: • Guarda se il torace si espande; • Ascolta se ci sono rumori respiratori; • Sente sulla propria guancia l’eventuale flusso di aria. Fig. 14 Questa manovra (GAS) (Fig. 14) deve essere effettuata per 10 secondi, mantenendo la pervietà delle vie aeree con la tecnica prima descritta. È necessario in questa fase non confondere l’attività respiratoria con il cosiddetto respiro agonico o gasping, che consiste nella presenza di contrazioni dei muscoli respiratori non efficaci per la ventilazione: il - 79 - torace non si espande e non è presente flusso di aria. Il gasping può comparire nei primi momenti dopo la perdita di coscienza e mantenersi per pochissimi minuti. Se la vittima ha un’attività respiratoria spontanea, ma rimane incosciente, è necessario garantire la pervietà delle vie aeree evitando che la lingua vada ad ostruire il faringe. In questo caso può essere utilizzata la posizione laterale di sicurezza (Fig. 15), che permette di: • Mantenere il capo iperesteso; • Prevenire eventuali inalazioni di materiale gastrico rigurgitato; • Mantenere il corpo in una posizione Fig. 15 stabile su un fianco. La presenza di attività respiratoria deve comunque essere verificata regolarmente. Se invece la vittima non respira il leader, che già si trova alla testa del paziente poiché ha effettuato la manovra del GAS, dovrà somministrare 2 insufflazioni di emergenza. La ventilazione - 80 - Fig. 16 artificiale si realizza tramite il sistema pallone di Ambu + maschera collegato a una fonte di ossigeno (se disponibile, collegare anche un reservoir al pallone di Ambu) forniti dall’esecutore, che già aveva preparato (Fig. 16). Le insufflazioni sono lente e progressive, della durata di 2 secondi; in questo modo è meno probabile il passaggio di aria in esofago e la distensione gastrica. Il leader dovrà assicurarsi che la maschera sia ben aderente e di misura appropriata poiché il risultato sarebbe un’ipoventilazione, con conseguente inefficacia della manovra. Dopo avere praticato le 2 insufflazioni d’emergenza è necessario valutare la presenza o meno di circolo, della quale si occuperà di nuovo il leader. Questa fase è indicata come FASE CCIRCULATION. Per valutare la presenza di attività circolatoria occorre cercare i segni di circolo ed il polso carotideo; il polso alla carotide è ampio e - 81 - di facile accesso, ma a volte può non essere percepito anche se presente. Pertanto per valutare se è presente il circolo si raccomanda di cercare per 10 Fig. 17 secondi segni di circolo come colpi di tosse, movimenti, atti respiratori normali e contemporaneamente valutare la presenza del polso carotideo (Fig. 17). Se sono presenti segni di circolo e il polso carotideo non è apprezzabile, il circolo si deve considerare presente. Se il polso o segni di circolo sono presenti il leader inizierà la ventilazione, mantenendo una frequenza di 12 atti/minuto. Se il polso o i segni di circolo sono assenti l’esecutore avvierà l’analisi del ritmo attraverso il DAE. Qualora il DAE non fosse disponibile si inizia la rianimazione cardiopolmonare alternando 15 compressioni toraciche a 2 insufflazioni. - 82 - CIRCOLO ASSENTE DAE non disponibile DAE disponibile RCP: ventilazioni/compressioni ANALISI del ritmo Quindi se non è presente il DAE, il leader informerà l’esecutore dell’assenza di circolo che inizierà ad effettuare le compressioni toraciche (quest’ultimo aveva già effettuato la ricerca del punto di repere durante la valutazione del circolo da parte del leader)(Fig. 18). Fig. 18 - 83 - PROCEDURE OPERATIVE CON DEFIBRILLATORE SEMIAUTOMATICO ESTERNO Rispetto alle procedure avanzate di rianimazione cardiopolmonare (ALS), i tentativi di rianimazione con il DAE sono più semplici poiché prevedono un minor numero di opzioni terapeutiche. Infatti possono essere effettuate soltanto la defibrillazione semiautomatica e la RCP di base. Come abbiamo visto, all’arrivo sulla scena dell’evento, i due soccorritori assumo funzioni e compiti specifici: un infermiere si occupa della valutazione del paziente (leader) e l’altro del DAE (esecutore). Riconosciuto l’ACC, il soccorritore che si occupa dell’apparecchio avvia le procedure di defibrillazione. Il Leader, che in questo momento non ha compiti, richiede l’intervento della squadra ALS avendo cura di allontanarsi almeno 2 metri dal DAE se deve utilizzare un telefono portatile. Il soccorritore−DAE dispone l’apparecchio accanto all’orecchio sinistro del paziente: collocarsi a sinistra del paziente garantisce un migliore accesso ai controlli del DAE ed una più facile applicazione delle placche di defibrillazione. Tutti i DAE possono essere utilizzati seguendo 4 semplici punti: - 84 - 1. Accendere il dispositivo: il DAE inizia ad emettere messaggi vocali e a registrare, se previsto, suoni ambientali e voci degli operatori. 2. Collegarlo al paziente: gli elettrodi devono essere collegati al defibrillatore (se il modello non li prevede già connessi) e posizionati sul torace del paziente, rispettivamente in posizione sottoclaveare destra e sulla linea ascellare media sinistra all’altezza del capezzolo, inizia la registrazione del tracciato ECG (valutare la stato del torace del paziente: se bagnato asciugare bene, se molto villoso depilare la zona per favorire l’adesione degli elettrodi/placche). 3. Avviare l’analisi del ritmo: quando le placche sono adese, prima di avviare l’analisi, si deve evitare ogni tipo di interferenza avendo cura di sospendere la RCP, non toccare il paziente e non usare apparecchi telefonici nelle immediate vicinanze del DAE. La valutazione del ritmo dura da 5 a 15 secondi, a seconda del modello di DAE. Se è presente un ritmo che richiede lo shock, l’apparecchio ne da annuncio con messaggi visivi e vocali. Come abbiamo visto precedentemente, i DAE a due tasti attivano automaticamente l’analisi. - 85 - 4. Erogare la scarica, se necessaria. Mentre il DAE effettua l’analisi e prima di erogare la scarica, l’operatore deve sempre enunciare ad alta voce il messaggio di “allontanarsi dal paziente”, accertandosi che ciò sia effettivamente avvenuto. Nella gran parte degli apparecchi che ne sono dotati, schiacciando il tasto “ANALISI” si dà inizio al caricamento dei condensatori se è stato individuato un ritmo da trattare. L’inizio del caricamento è segnalato da un suono, da una voce sintetizzata o da un indicatore luminoso. La somministrazione dello shock provoca di solito contrazioni della muscolatura del paziente, come del resto succede utilizzando un defibrillatore convenzionale. Dopo che è stata impartita la scarica, non si controlla il polso, ma si deve premere immediatamente il pulsante di analisi iniziando un altro ciclo di valutazione del ritmo cardiaco. Se la FV persiste, il dispositivo lo renderà noto e verrà così ripetuta, per la seconda e terza defibrillazione, la progressione caricamento-shock in rapida sequenza (vedi algoritmo:Fig. 19) Si raccomanda di non procedere ad alcuna valutazione del polso tra una defibrillazione e la successiva. Imporre una valutazione del polso tra le defibrillazioni ritarderebbe la rapida identificazione - 86 - ed il tempestivo trattamento di una FV persistente, interferirebbe con le capacità valutative del DAE ed incrementerebbe le possibilità di errore da parte dell’operatore. Analogamente gli infermieri che hanno soccorso il paziente e i presenti sulla scena dell’evento, non devono toccare il paziente mentre il DAE analizza il ritmo, carica i condensatori e, ovviamente, mentre si eroga lo shock. Con l’uso dei DAE, gli effetti negativi della temporanea sospensione della RCP sono superati dai benefici indotti dalla defibrillazione. Gli standard internazionali accettano un periodo massimo di 90 secondi per diagnosticare l’ACC, effettuare l’analisi ed erogare le tre scariche. FIBRILLAZIONE VENTRICOLARE PERSISTENTE → Dopo la terza defibrillazione vengono valutati il polso carotideo e gli altri segni della presenza di circolo. Se assenti, si deve iniziare a praticare la RCP per un minuto (4 cicli di ventilazioni/compressioni). Trascorso tale periodo, il DAE inizia una nuova analisi del ritmo. In caso di persistenza di FV, si inizia una nuova sequenza di tre scariche, senza fermarsi a valutare il polso fra uno shock e l’altro. Se anche questi tentativi non danno risultato, rivalutato il polso, si procede ancora a RCP per un - 87 - minuto e quindi, se necessario, ad una nuova “tripletta” di scariche (vedi algoritmo Fig. 19). → SHOCK NON INDICATO Quando il DAE segnala che lo shock non è indicato ed il paziente è in arresto cardiaco (assenza di polso appena verificata se si tratta di una prima analisi, o verificata nuovamente se l’analisi è successiva ad uno shock) si deve praticare la RCP per un minuto. Al termine del minuto, il DAE inizia una nuova analisi del ritmo. DEFIBRILLAZIONE IN SITUAZIONI PARTICOLARI → • Paziente in ipotermia grave (raro in ospedale): la sequenza va limitata ai primi tre shock. Se inefficaci, in attesa di disponibilità ALS, praticare la RCP nel miglior modo possibile. • Paziente bagnato o in prossimità di acqua: il paziente va rapidamente spostato su superficie asciutta; il torace va asciugato e deterso prima di applicare gli elettrodi per la defibrillazione. • Donna in gravidanza: adottare il protocollo abituale di defibrillazione. - 88 - Fig. 19 Risponde? NO Respira? apri le vie aeree NO 2 insufflazioni Polso e segni di circolo? Se assenti ANALISI SHOCK INDICATO SHOCK NON INDICATO DEFIBRILLA FINO A 3 VOLTE Polso e segni di circolo? Se assenti RCP PER 1 MINUTO Se indicato Polso e segni di circolo? Se assenti RCP PER 1 MINUTO Se polso o segni di circolo ricompaiono Respira? NO È cosciente? NO insuffla ogni 5 sec. mantieni aperte le vie aeree Prosegui con l’algoritmo DAE sino a disponibilità di ALS - 89 - QUARTO ANELLO : PRECOCE ALS Come già detto, durante l’analisi del ritmo da parte del DAE, l’infermiere che non si occupa dell’utilizzo del DAE (leader), si deve occupare della chiamata all’equipe di ALS. Ogni struttura ospedaliera utilizza metodi diverse per avvisare della necessità di personale avanzato e, inoltre, ogni struttura, contatta professionisti differenti a seconda delle abitudini della struttura. Per questo sarebbe utile uniformare in tutte le realtà ospedaliere, uno stesso metodo per attivare la stessa equipe specializzata. Ciò potrebbe essere risolto utilizzando un numero predefinito e facile da ricordare e che sia esclusivo per tutta l’azienda ospedaliera (allegato 1), che attivi un equipe ALS costituita da un rianimatore e da un infermiere provenienti da una rianimazione. Si potrebbe utilizzare una locandina che evidenzi in modo ben chiaro questo numero. Alla chiamata di allarme dovrebbe rispondere direttamente l’equipe ALS. Se questa fosse già impegnata in un’altra emergenza sarebbe utile delegare equipes alternative in sostituzione della principale di riferimento. Attivare questo tipo di soccorso è essenziale poiché la sola sequenza di RCP è utile ed efficace per ripristinare un ritmo - 90 - cardiaco soddisfacente, ma prima di tutto potrebbe non essere sufficiente a risolvere l’arresto cardiaco e in secondo luogo, anche se vi è la ripresa di un ritmo spontaneo, si potrebbe rendere necessario la somministrazione di farmaci per stabilizzare il ritmo cardiaco, praticare manovre invasive (quali intubazione endotracheale), interpretare l’elettrocardiogramma a 12 derivazioni e seguire, poi, determinate sequenze per i ritmi che si presentano (vedi algoritmi Figg. 19-20-21 ). Questa squadra pluridisciplinare di intervento è a disposizione non soltanto dei pazienti ricoverati, ma anche per la popolazione che ogni giorno si trova nelle aree di servizi diagnostici, nelle sale d’attesa, nei servizi di ristorazione, ecc. (in collaborazione con il personale del 118). - 91 - FIBRILLAZIONE VENTRICOLARE/TACHICARDICA VENTRICOLARE SENZA POLSO (FV/TV) Supporto cardiaco vitale avanzato nell’adulto Valuta gli ABC Continua la RCP finchè non è posizionato il defibrillatorea FV/TV presenti al monitor Defibrilla fino a 3 volte se richiesto dal persistere di FV/TV (200 J, da 200 a 300 J, 360J)b Ritmo dopo i primi 3 shocks?c FV/TV persistente o ricorrente Continua la RCP Intuba subito Assicurati un accesso ev Adrenalina 1 mg ev in bolode ripeti ogni 3-5 minuti Defibrilla 360 J entro 30-60 secondibf Ripristino della circolazione spontanea Attività elettrica senza polso (Vedi) Asistolia (Vedi) Controlla i segni vitali Sostieni le vie aeree Assisti la respirazione Somministra i farmaci appropriati per pressione arteriosa, frequenza cardiaca e ritmo Somministra farmaci di probabile beneficio (Classe IIa) in caso di FV/TV persistente o ricorrentegb Defibrilla a 360J da 30 a 60 secondi dopo ogni dose di farmacobf La sequenza dovrebbe essere farmaco-shock, farmaco-shock Fig. 19 - 92 - Classe I: Utile ed efficace Classe IIa: Accettabile, probabilmente utile ed efficace Classe IIb: Accettabile, possibilmente utile ed efficace Classe III: Non utile, non efficace Sconosciuto ............................................... ...... a) Il pugno precordiale è un'azione di classe IIb in caso di arresto di cui si è testimoni, senza polso e senza defibrillatore immediatamente disponibile. b) I defibrillatori automatici esterni a onde bifasiche scaricano a livelli di energia inferiori. In alcune circostanze cliniche, gli shock iniziali e ripetuti a questi livelli inferiori di energia sono accettabili. c) Il trattamento dell'arresto cardiaco ipotermico è diverso di qui in avanti. Vedi l'Algoritmo dell'Ipotermia. d) Il dosaggio raccomandato di adrenalina è 1 mg ev in bolo ogni 3-5 minuti. Se questo approccio fallisce, possono essere prese in considerazione le seguenti posologie classe IIb: - Intermedio: adrenalina 2-5 mg ev in bolo, ogni 3-5 min - 93 - - Crescente: adrenalina 1 mg, 3 mg, 5 mg ev in bolo, a distanza di 3 minuti. - Elevato: adrenalina 0,1 mg/kg ev in bolo ogni 3-5 min. e) Il Bicarbonato di sodio 1 mEq/kg è un farmaco di classe I se il paziente ha un'iperpotassiemia nota preesistente. f) Sequenze multiple di shocks sono accettabili in questo caso (classe I), specialmente quando la somministrazione di farmaci è ritardata. g) La sequenza dei farmaci è la seguente: - Lidocaina 1,1-5 mg/kg ev in bolo. Prendi in considerazione la possibilità di ripetere ogni 3-5 minuti fino ad una dose massima di 3 mg/kg. Una dose singola di 1,5 mg/kg è accettabile nell'arresto cardiaco. - Bretilio 5 mg/kg in bolo. Ripeti dopo 5 minuti a 10 mg/kg. - Solfato di magnesio 1-2 g ev in caso di torsione di punta , sospetta ipomagnesemia. FV refrattaria. - Procainamide 30 mg/min nella FV refrattaria (dose totale massima 17 mg/kg). h) Il Bicarbonato di sodio 1 mEq/kg ev viene usato come segue: Classe IIa - 94 - - Acidosi preesistente che corrisponda al bicarbonato, se nota Sovradosaggio da antidepressivi triciclici - Per alcalinizzare le urine nel sovradosaggio di farmaci. Classe IIb - Nell'arresto protratto, se intubato - Al ritorno della circolazione spontanea nell'arresto protratto Classe III - Acidosi lattica ipossica - Acidosi ipercapnica - 95 - ATTIVITÀ ELETTRICA SENZA POLSO (PEA) Supporto cardiaco vitale avanzato nell’adulto ACC A− B − C Connessione monitor-defibrillatore PEA Controllo vie aeree Accesso venoso Adrenalina 1mg ev ogni 2-3 minuti Atropina 3 mg ev bolo se FC< 60 bpm Ricerca e correggi cause potenzialmente reversibili Fig. 20 - 96 - ASISTOLIA Supporto cardiaco vitale avanzato nell’adulto ACC A− B − C Connessione monitor-defibrillatore ASISTOLIA Asistolia Ventricolare Conferma asistolia Adrenalina 1 mg ev ogni 2-3 minuti RCP per 3 minuti Valuta il ritmo Atropina 3 mg ev a bolo monosomministrazione Controllo vie aeree Appena possibile Accesso venoso Ricerca e correggi cause potenzialmente reversibili Pacing Considera termini sforzi rianimatori - 97 - Fig. 21 Presidi e farmaci per un corretto allestimento del carrello dell’emergenza. Tabella 2 MATERIALI Defibrillatore Elettrocardiografo (fornito di pasta conduttrice ed elettrodi) Aspiratore di mucosità portatile, di buona potenza (nei casi in cui manchi il vuoto centralizzato) Bombola d’ossigeno, fornita di flussimetro e riduttore (nei casi in cui manchi un impianto centralizzato) Tavola rigida per il MCE Sfigmomanometro o dispositivo automatico per la determinazione non invasiva della pressione arteriosa Fonendoscopio Cannule oro-faringee di varie misure Cannula di Safar Pallone autogonfiabile Pallone “va-e-vieni” Tubi di connessione dei palloni alla fonte di ossigeno Maschera facciali di varie misure Raccordi angolari maschera-pallone Materiale per intubazione tracheale: - laringoscopio con set completo di lame rette e curve; - pinze di Magill (per adulti e pediatrica); - tubi tracheali di varie misure - guide da tubi da varie misure - raccordi angolari e corrugati per tubi tracheali Kit da cricotiroidotomia Sonde da aspirazione tracheale Sonde naso-gastriche a una e due vie Cateteri vescicali e durometri Kit da drenaggio toracico - 98 - Siringhe e aghi di varie misure Agocannule per cannulazione venosa periferica Cateteri di varie misure per cannulazione venosa centrale Lacci emostatici Cerotti Lubrificante per tubi e sonde Guanti sterili, telini e garze sterili, materiale chirurgico (pinze, aghi, porta-aghi, fili) Sostanze antisettiche Soluzioni per infusione endovenosa: - cristalloidi (soluzione fisiologica, glucosio, soluzione elettrolitica) - plasma expanders (emagel, destrano) Deflussori e prolunghe Rubinetti a tre vie Supporti da flebo FARMACI Adrenalina Dopamina Isoproterenolo Dobutamina Calcio cloruro Atropina Digitale Cordarone Lidocaina Mexiletina Nitroprussiato di sodio Trinitroglicernia Tiopentone sodico Propofol Diazepam Morfina - 99 - Prometazina Clorfenamina Succinilcolina Miorilassante non depolarizzante (a scelta tra i più diffusi quali pancuronio bromuro, vecuronio bromuro, atracurium besilato) Aminofillina Furosemide Metilprednisolone Idrocortisone Naloxone Mannitolo NaHCO3 - 100 - Protocollo catena della sopravvivenza a 2 operatori 1°infermiere (Leader) Chiamo e scuoto il paziente: è cosciente? 2° infermiere (Esecutore) F A S E NO Chiamo il 2° infermiere e chiedo DAE e carrello dell’emergenza Posiziono il paziente supino su un piano rigido e lo scopro Arrivo con DAE e carrello dell’emergenza Iperestendo il capo e rimuovo eventuali corpi estranei: assicuro pervietà vie aeree Preparo cannula di Mayo e maschera+ambu+reservoir collegati a fonte d’ossigeno Manovra del GAS per 10 secondi: respira? Preparo DAE accanto al paziente Valuto il torace del paziente (eventuale tricotomia e asciugatura) Collego elettrodi al DAE Applico le placche al torace F A S E B + C NO 2 insufflazioni Ricerca del polso carotideo e presenza eventuali segni di circolo: è presente circolo? NO Avvio l’analisi del ritmo Allarme all’equipe ALS e reperisco accesso venoso (se non già presente) appena possibile - - Posiziono mascherina per ventilazioni artificiali A scarica consigliata: eseguo comandi del DAE (scarica e riavvia analisi) scarica non consigliata: avverto il leader e inizio RCP per 1 minuto Ricerco punto di repere e pratico 15 massaggi cardiaci esterni Eseguo 2 insufflazioni e conto i cicli fino a 4 cicli (circa 1 minuto) Riavvio analisi del ritmo PROSEGUI COME DA ALGORITMO DAE FINO ALL’ARRIVO DELL’ALS - 101 - F A S E D R C P Protocollo catena della sopravvivenza a 1 operatore 1° infermiere (Leader) Chiamo e scuoto il paziente: è cosciente? NO Allarme all’equipe ALS e porto il DAE al letto del paziente Posiziono il paziente supino su un piano rigido e lo scopro Accendo il DAE e lo pongo vicino al paziente Iperestendo il capo e rimuovo eventuali corpi estranei: assicuro pervietà vie aeree Manovra del GAS per 10 secondi: respira? NO Applico cannula di Mayo, prendo maschera+ambu+resorvoir e pratico 2 insufflazioni di emergenza Ricerca del polso carotideo e presenza eventuali segni di circolo: è presente circolo? NO Valuto il torace del paziente (eventuale tricotomia e asciugatura) Collego elettrodi al DAE Applico le placche al torace Avvio l’analisi del ritmo - scarica consigliata: eseguo comandi del DAE (scarica e riavvia analisi) e si continua secondo algoritmo DAE - scarica non consigliata: inizio RCP per 1 minuto contando i cicli F A S E A F A S E B + C F A S E D Posiziono mascherina per ventilazioni artificiali Eseguo 2 insufflazioni Ricerco punto di repere e pratico 15 massaggi cardiaci esterni Rapporto ventilazioni/compressioni 15:2 Per 4 cicli continui (1 minuto circa) Riavvio analisi del ritmo PROSEGUI COME DA ALGORITMO DAE FINO ALL’ARRIVO DELL’ALS - 102 - R C P Capitolo 6 LA COLLABORAZIONE CON IL PERSONALE PER LA RIANIMAZIONE AVANZATA (ALS) I protocolli di alcuni reparti prevedono che l’infermiere di reparto assista del personale di soccorso di livello superiore nel prestare interventi di rianimazione avanzata (Advanced Life Support, ALS). Le manovre più consuete nell’assistenza a questi operatori sono: • L’assistenza durante l’intubazione endotracheale • L’applicazione degli elettrodi per l’elettrocardiografia/defibrillazione • L’assistenza nella terapia endovenosa L’ASSISTENZA DURANTE L’INTUBAZIONE ENDOTRACHEALE Tra le più importanti procedure di assistenza ai pazienti figurano il ripristino e il mantenimento della pervietà delle vie respiratorie e la prevenzione dell’aspirazione di materiali estranei. Nell’assistenza di questo tipo, lo strumento migliore è rappresentato dal tubo endotracheale (seguito dal Combitube ® e dalla maschera laringea). Il motivo di ciò è che il tubo endotracheale è inserito direttamente nella trachea, garantendo un passaggio sicuro per l’aria, per l’ossigeno e per i farmaci che possono così essere immessi nei - 103 - polmoni. Inoltre, i tubi per adulti sono dotati di un manicotto gonfiabile che espandendosi “sigilla” la trachea e impedisce l’eventuale aspirazione di materiale gastrico nei polmoni. Nel neonato e nel bambino piccolo è la stessa trachea che, essendo più stretta, garantisce la chiusura attorno al tubo. I pazienti che hanno bisogno dell’intubazione endotracheale sono, in genere, quelli che presentano arresto cardiaco o respiratorio; le vittime di traumi le quali necessitano il controllo delle vie aeree e della somministrazione di ossigeno (circostanza rara nei reparti di degenza) e, infine, i pazienti con insufficienza o difficoltà respiratorie conseguenti a overdose di stupefacenti o farmaci,a edema polmonare, all’asma, all’asfissia o a reazioni anafilattiche. La preparazione del paziente per l’intubazione Prima che il medico inserisca il tubo endotracheale, vi potrebbe essere chiesto di iperossigenare il paziente. Potrete farlo facilmente mediante un pallone di Ambu (un’erogazione ogni 2 secondi). Quindi l’operatore principale sistemerà la testa del paziente in modo da allineare la bocca, la faringe e la trachea. Il tubo endotracheale verrà inserito, attraverso la bocca, dopo la rimozione della cannula orale. Talvolta l’inserimento avviene per via nasale. Il tubo verrà fatto passare nella faringe e nella laringe, fino a quando non - 104 - oltrepassi le corde vocali e giunga nella trachea. Per effettuare la procedura è di necessario l’uso di un laringoscopio, utilizzato anche per spostare la lingua e altri elementi ostruenti che si trovano sul tragitto del tubo. Allo scopo di manovrare correttamente il tubo dopo che esso ha oltrepassato le corde vocali, è necessario che l’operatore le possa visualizzare. Potrebbe venirvi chiesto di esercitare una delicata pressione sulla cartilagine cricoidea per permettergli di vedere tali strutture. Voi premete allora il pollice e l’indice contro entrambi i lati della gola, all’altezza della parte media della gola, sopra la cartilagine cricoidea, la cartilagine a forma di anello che si trova appena sotto alla cartilagine tiroidea (il cosiddetto pomo d’Adamo). La procedura è nota come pressione sulla cartilagine cricoidea o manovra di Sellick (Fig. 22-23-24) Fig. 22 - 105 - Fig.23 Fig. 24 Una volta che il tubo sia stato posizionato correttamente, il manicotto viene gonfiato con una siringa da 10 cc. Tenendo il tubo, l’operatore principale ne verifica il corretto posizionamento utilizzando il laringoscopio; quindi, con uno stetoscopio, ausculta il torace da entrambe i lati sia la zona dell’epigastrio (l’area della parte superiore dell’addome che si trova immediatamente al di sotto dell’apofisi xifoidea). Se il tubo è stato posizionato correttamente, si potrà udire il rumore caratteristico dell’aria che penetra nei polmoni, ma non si udirà nessun rumore in sede epigastrica il quale, se fosse presente, indicherebbe l’ingresso di aria nello stomaco piuttosto che nei polmoni. La posizione del tubo, se errata, deve essere immediatamente corretta estraendolo, riossigenando il paziente e ripetendo il tentativo di intubazione. - 106 - Il tubo posizionato correttamente viene fissato con del cerotto. Tutta la procedura, a partire dall’ultima respirazione artificiale, fino alla registrazione successiva all’inserimento del tubo dovrebbe essere eseguita in meno di 30 secondi. La respirazione artificiale del paziente intubato Se vi verrà richiesto di ventilare un paziente intubato, dovrete ricordare che qualsiasi movimento, benché minimo, può comportare lo spostamento della cannula endotracheale. Osservare la graduazione sul lato della stessa. Nel soggetto adulto medio di sesso maschile, per esempio, il segno di 22 centimetri deve trovarsi in corrispondenza delle arcate dentarie, quando la cannula è posizionata correttamente. Se la cannula si sposta, dovete riferirlo immediatamente al responsabile dell’intubazione. Ponete particolare attenzione a non interferire con il posizionamento del tubo endotracheale. Se questo viene erroneamente spinta verso l’interno, molto probabilmente si immetterà nel bronco principale destro, privando il polmone sinistro dell’afflusso di ossigeno. Se, invece, viene erroneamente spinta verso l’esterno, potrà scivolare nell’esofago e inviare l’aria o l’ossigeno allo stomaco anziché ai polmoni, con conseguente deficit di ossigenazione del sangue del paziente. Si tratta di una complicanza letale se non viene identificata. - 107 - Mantenete il tubo fermo appoggiato con due dita di una mano. Utilizzate l’altra mano per manovrare il pallone di Ambu. Il paziente sottoposto a intubazione endotracheale offre minore resistenza alle ventilazioni: per questo non sono necessarie entrambe le mani per comprimere il pallone. Se state ventilando un paziente che respira, dovete effettuare le erogazioni il più possibile in sincronia con gli sforzi respiratori del paziente, in modo che questi possa inspirare il maggiore volume di aria possibile. È anche possibile aiutare il paziente ad aumentare la frequenza respiratoria, se necessario, fornendo respirazioni aggiuntive interposte a quelle del soggetto. Vi sono alcuni elementi di prudenza da ricordare: • Prestate molta attenzione a come si presenta la respirazione. Riferite qualsiasi mutamento della resistenza. L’aumento della resistenza durante le ventilazioni con il pallone di Ambu è uno dei primi segni di aria attraverso una lacerazione polmonare, con riempimento nello spazio pleurico. Un mutamento della resistenza può anche essere indicativo del tubo scivolato nell’esofago. • Durante ogni tentativo di defibrillazione togliete il pallone dal tubo. Se non lo fate, il peso di questo dispositivo potrebbe alterare il posizionamento del tubo stesso. - 108 - • Rilevate qualsiasi mutamento dello stato mentale del paziente. Un paziente il cui il grado di vigilanza migliori potrebbe dover essere immobilizzato per evitare l’estrazione del tubo. Inoltre, viene generalmente utilizzata una cannula orofaringea per impedire al paziente di mordere il tubo endotracheale. La ricomparsa del riflesso faringeo, mentre il paziente riacquista conoscenza, potrebbe rendere necessario estrarre parzialmente la cannula orofaringea. Infine, nel corso di un arresto cardiaco, in assenza di un accesso venoso attraverso il quale effettuare la somministrazione di farmaci, vi potrebbe essere chiesto di sospendere la ventilazione e di togliere il pallone di Ambu. L’operatore responsabile (medico o infermiere) potrà immettere una soluzione, per esempio di adrenalina, nel tubo endotracheale. Per far aumentare la velocità di passaggio nel sangue attraverso l’apparato respiratorio, l’operatore vi potrà quindi chiedere di iperventilare il paziente per alcuni minuti. - 109 - APPLICAZIONE DEGLI ELETTRODI PER ELETROCARDIOGRAMMA (ECG)/DEFIBRILLAZIONE L’interpretazione dell’ECG, normalmente, non compete all’infermiere, ma al medico presente. Tuttavia, allo scopo di risparmiare tempo, potrebbe esservi richiesto di assistere l’operatore che effettua l’esame. Dovete verificare l’attrezzatura. Dovete sapere come accendere il monitor, come registrare una striscia, come cambiare la batteria, come cambiare il rotolo di carta. Vi potrà essere chiesto di applicare gli elettrodi al torace del paziente. Sono queste le cose che più spesso è necessario fare mentre l’operatore principale è impegnato con il paziente. - 110 - Capitolo 7 ORGANIZZAZIONE DELLE RISORSE PER UNA PRECOCE ATTIVAZIONE DELLA CATENA DELLA SOPRAVIVVENZA Come avevo già descritto precedentemente nel capitolo sui dati statistici, le maggiori variabili che concorrono nella buona riuscita di una rianimazione cardiopolmonare, possono essere suddivise in due grandi categorie: 1. variabili relative al paziente 2. variabili esterne I fattori che derivano dal paziente in se stesso, in questo frangente possono essere trascurate. Questo non perché importanti, ma per la ragione che molte di queste non possono essere corrette (come ad es. il sesso e l’età), come lo possono essere invece le variabili esterne (tempi, materiali, formazione, ecc.). Unendo insieme le diverse variabili, si può agire su di esse in questo modo: • disponibilità di materiali : DAE e presidi, questi ultimi intesi come carrello dell’emergenza fornito di tutto il necessario • formazione del personale: corsi di BLSD e relativo retraining • istituzione di un’equipe ALS a disposizione esclusiva per emergenze in ambiente ospedaliero - 111 - • individuazione delle aeree raggiungibili dal team ALS in qualche minuto • installazione di punti strategici per la diffusione dei DAE (se non fosse possibile averne uno per ogni reparto) • ististuzione di un’equipe ALS e sua attivazione uniformemente accettata • predisporre una raccolta dati (tipo Utstein Style) per la valutazione dei risultati I MATERIALI Per garantire lo svolgimento corretto di tutti gli anelli della sopravvivenza, è necessario che gli operatori abbiano a disposizione tutto l’occorrente indispensabile a una situazione d’emergenza come l’arresto cardiaco. Il primo dispositivo essenziale di cui ho parlato fino ad ora è il defibrillatore. Questo strumento deve essere scelto in base alle leggi vigenti, di cui ho già parlato, che indicano l’utilizzo da parte di personale sanitario non medico, solo di defibrillatori semiautomatici esterni; inoltre deve essere scelto anche in base alle esigenze di ogni unità operativa; un esempio particolare è quello della cardiologia che oltre a dover praticare delle defibrillazione, può - 112 - presentarsi anche l’esigenza di una cardioversione elettrica che può essere praticata solo con defibrillatore convenzionale (quindi in questo caso un defibrillatore di tipo manuale-semiautomatico nello stesso apparecchio). Inoltre sarebbero utili nelle aree non intensive, raggiungibili dall’equipe con tempi un po’ più lunghi, defibrillatori con possibilità di monitoraggio e di pacing esterno, di acquisizione della traccia elettrocardiografica a 12 derivazioni e di trasmissione a distanza. Qualsiasi tipo di defibrillatore si intenda utilizzare, deve però contenere una memory card su cui venga registrata qualsiasi manovra durante l’intervento e in alcuni modelli anche le voci degli operatori. Attraverso un software apposito in grado di analizzare i dati registrati, si scarica periodicamente questa scheda permettendo una “visione” successiva degli interventi effettuati. Un altro presidio essenziale per la buona riuscita della catena della sopravvivenza è il carrello dell’emergenza. Questo carrello deve essere fornito dei materiali e dei farmaci necessari in ogni possibile situazione di emergenza, secondo una ben precisa check-list da seguire, che ho già indicato in precedenza (v Tabella 2). - 113 - Ogni reparto deve essere dotato del carrello dell’emergenza, fornito di tutti i materiali indicati nella lista e se non utilizzato, periodicamente controllato (materiale presente, scadenze presidi e farmaci, buon funzionamento degli strumenti come il laringoscopio con le relative lampadine delle lame, ecc.). Ogni unità operativa dovrebbe delegare una persona addetta specificatamente a questo lavoro di rifornimento e controllo. Il carrello deve essere posto in luogo facilmente raggiungibile da tutti e il suo passaggio non deve essere ostacolato da altri oggetti, quali armadi, sedie o tavoli. Sarebbe utile anche “protocollare” i diversi cassetti del carrello: intendo dire indicare attraverso un etichetta ben chiara e comprensibile tutto ciò che è contenuto in quel determinato cassetto o ripiano, in modo che anche personale esterno al reparto come l’equipe ALS possa raggiungere con facilità e senza perdita di tempo i diversi materiali e farmaci necessari. FORMAZIONE DEL PERSONALE Già nel 1992 l’ European Resuscitation Council (ERC) ha emanato queste linee guida: - 114 - “……Gli ospedali europei dovrebbero prevedere programmi di addestramento di tutti medici nella RCP avanzata” “……Gli ospedali europei dovrebbero prevedere programmi di formazione che garantiscano che tutto il personale coinvolto direttamente nell’assistenza ai pazienti sia obbligatoriamente addestrato ed esercitato nelle esecuzione della RCP” Ad oggi sappiamo che ben poche realtà hanno messo in atto queste linee guida. I corsi di BLSD sono necessari a tutto il personale sanitario non medico affinché, attraverso la certificazione di esecutore BLSD, possa utilizzare il defibrillatore semiautomatico esterno. Il corso, della durata di 8 ore, si pone l’obiettivo di formare il discente sia nella rianimazione cardiopolmonare a 2 soccorritori, sia nella defibrillazione precoce utilizzando i defibrillatori semiautomatici. La prima metà del corso riguarda le procedure di BLS a 2 soccorritori. In essa si descrive il danno anossico cerebrale, i segni di attacco cardiaco, le finalità del BLSD, i segni di ostruzione delle vie aeree e le procedure da attuare in caso di arresto cardiocircolatorio. La parte pratica è strutturata a stazioni di lavoro nelle quali i discenti si esercitano ripetutamente nelle manovre rianimatorie con pallone - 115 - autoespansibile ed effettuando le compressioni toraciche esterne secondo quanto previsto dai protocolli descritti. Nella seconda metà del corso si svolgerà la parte relativa alla defibrillazione precoce, nella quale si descrivono i principi elettrici che regolano l’uso della corrente elettrica a scopi terapeutici, l’epidemiologia della morte cardiaca improvvisa, l’importanza della tempestività dell’intervento con il defibrillatore, le procedure da seguire per essere efficaci e sicuri. Anche in questo caso vengono utilizzate le stazioni di lavoro per esercitarsi ripetutamente nelle manovre descritte. Alla fine delle esercitazioni pratiche si effettueranno le valutazioni certificative, sia teoriche che pratiche. Qualora il candidato superi la valutazione prevista, viene rilasciata la certificazione dell’Italian Resuscitation Council. Ogni singola Azienda oltre alla formazione di tutto il personale infermieristico, deve occuparsi del lavoro di retraining continuo negli anni (1 ogni anno), che preveda alla fine la sola prova pratica, in modo da mantenere nel tempo conoscenze, capacità, protocolli acquisite. Vorrei segnalare un progetto portato a termine dal gruppo A.C.R.O. (Arresto Cardio-Respiratorio Ospedaliero) dell’Azienda Sanitaria di - 116 - Firenze. Questo gruppo ha richiamato la mia attenzione perché non ha istituito semplicemente un programma di trattamento dell’arresto cardiaco già in corso, ma per una sua prevenzione; più esattamente per una prevenzione dell’arresto cardiaco da asistolia o attività elettrica senza polso (PEA), ritmi, come abbiamo visto, non defibrillabili. Nella pratica è stato istituito uno score per la valutazione del livello di gravità in pazienti ricoverati in degenza ordinaria: è stato proposto il controllo periodico di alcuni parametri per rilevarne precocemente le variazioni che possono precedere l’insorgenza di asistolia o PEA . I pazienti dei reparti di degenza ordinaria sono valutati dal personale all’ingresso e periodicamente, ricevendo un punteggio che utilizza il MEWS (Modified Early Warning Score) che valuta i seguenti parametri: temperatura corporea; pressione arteriosa sistolica; frequenza cardiaca; frequenza respiratoria; valutazione neurologica semplice e Glasgow Scale; diuresi. Un punteggio elevato o un suo incremento attiva il sistema di emergenza. Dai dati ottenuti dall’A.C.R.O. durante il periodo di prova di questo progetto si può dire che: la rilevazione è facilmente eseguibile, non necessita di attrezzature sofisticate o costose, richiede tempo limitato e non incide sui carichi di lavoro del personale di reparto; - 117 - oltretutto dei pazienti degenti solo i 2/3 avevano raggiunto punteggio molto basso (0 e 1) e circa l’85% aveva punteggio inferiore a 3; pertanto solo il 15% dei pazienti (punteggio ≥ 3) richiede un monitoraggio più attento ed è su questi pazienti che occorre concentrare l’attenzione incrementando la frequenza dei controlli per prevenire l’insorgenza di ACC per asistolia o PEA. Anche in questo caso quindi la maggiore variabile di questo progetto era la formazione e il lavoro degli infermieri a garantire l’attuazione di questa prevenzione. - 118 - INDIVIDUAZIONE DELLE AREE MENO RAGGIUNGIBILI DELL’EQUIPE ALS E DISPOSIZIONE DI PUNTI STRATEGICI PER IL POSIZIONAMENTO DEI DAE L’azienda ospedaliera di Parma è strutturata in padiglioni. L’equipe ALS essendo in sede presso un servizio di rianimazione e non potendo essere presente in tutti i padiglioni dell’azienda è necessario identificare quelli più lontani quali possono essere il padiglione Cattani, il padiglione Barbieri e la 1^ Clinica medica. Anche i servizi ambulatoriali, i viali dell’ospedale, la cucina, le aree universitarie, gli uffici, la mensa sono zone più difficilmente raggiungibili. Per i reparti appartenenti ai padiglioni Cattani, Barbieri e 1^Clinica medica sarebbe utile, come ho già indicato prima, la presenza di defibrillatore manuale-semiautomatico con possibilità di monitoraggio, ECG 12 derivazione e trasmissione del tracciato. Per le altre zone non appartenenti a reparti di cura come i viali dell’ospedale, sarebbe utile il posizionamento di una sorta di cassetta di sicurezza facilmente apribile, come quella degli estintori, posta all’ingresso della struttura più vicina e contenente un - 119 - defibrillatore semiautomatico e una almeno una poket mask, il minimo per effettuare una sequenza di BLSD. Anche nel servizio mensa, nella cucina, negli uffici, nelle aree universitarie sarebbe consigliato l’utilizzo di questa soluzione. Naturalmente saranno necessari dei segnali per individuare questi punti DAE . Nelle aree ambulatoriali, che possono essere raggiunte entro qualche minuto dall’equipe ALS sarebbe consigliato un defibrillatore semiautomatico, come in tutti i reparti non intensivi quali le aree chirurgiche, internistiche e di endoscopia. Nelle aree di degenza è importante valutare l’area di copertura del defibrillatore soprattutto in senso temporale, cioè quanto tempo occorre per il suo collegamento ad un qualunque paziente dell’area servita. - 120 - ATTIVAZIONE DELL’ALS L’equipe ALS è costituita da un medico rianimatore più un infermiere della stessa unità operativa, che sono addestrati alla rianimazione cardiopolmonare avanzata. Per i medici del TEAM deve essere intrapresa una formazione omogenea di approccio all’A.C.C. con partecipazione ai corsi B.L.S.-D. e A.L.S. I Medici saranno tenuti ad effettuare audit clinici periodici sui casi trattati. Gli Infermieri dovranno partecipare ai corsi B.L.S.-D. ed, almeno in qualità di auditors, ai corsi A.L.S. Il TEAM sarà attivato dall’Infermiere di Reparto o del Servizio che accerta il sospetto A.C.C. Lo stesso Infermiere inoltre avvisa il Medico di Guardia del Reparto. Nell’attesa dell’arrivo del TEAM verranno messe in atto tutte le manovre previste dal B.L.S.-D. a cui dovranno essere formati gli operatori ospedalieri. Il TEAM sarà attivabile tramite cicalino con numero unico affidato di volta in volta al Medico del TEAM, oppure tramite chiamata con interfono (ove tecnicamente realizzabile). Questo numero, di cui ho già parlato in precedenza, deve essere facilmente ricordabile e sarebbe utile facilitare la memoria utilizzando una locandina che - 121 - indichi chiaramente il numero da digitare e in che casi (vedi allegato 2), posti o vicino al telefono o sul carrello dell’emergenza o sul DAE. In questo modo si può pianificare un sistema di allertamento unico, pratico e veloce in modo da perdere il minor tempo possibile. Il TEAM dovrà accorrere sul luogo della chiamata munito di Defibrillatore manuale-semiautomatico portatile. Il Medico del TEAM dovrà essere in grado di eseguire sul luogo le prime manovre di rianimazione avanzata grazie alla attrezzatura e ai farmaci presenti sul carrello di emergenza del Reparto e al Defibrillatore-Pacing che ha portato; egli dovrà inoltre sovrintendere all’eventuale trasferimento del paziente presso un’area intensiva. La turnistica dei Medici attivabili per l’E. I. dovrà essere integrata/sovrapposta a quella per la guardia divisionale e dovrà tenere conto delle realtà di ogni ospedale (organizzazione delle guardie, distanze tra i reparti e le aree intensive dell’Ospedale (P.S., UTIC, Rianimazione). In ogni Ospedale devono essere individuati un Responsabile Medico ed un Responsabile Infermieristico della E. I. che stileranno mensilmente la turistica dei TEAM. - 122 - RACCOLTA DATI Per un’analisi dettagliata dell’attività di defibrillazione precoce, è necessario garantire una raccolta dati secondo uno stile universalmente accettato e che quindi sia uniforme per tutti. Il modello “Utstein Style” è il miglior metodo di raccolta dati per la verifica della catena della sopravvivenza all’interno dell’ospedale, in quanto copre tutte le fasi della risposta dalle variabili del paziente, all’evento e alla prognosi (v. allegato 3). Utilizzare questo metodo di raccolta dati serve per uniformare anche i criteri di raccolta dati presenti già in alcune Aziende in modo da ottenere le stesse informazioni, più facilmente assimilabili a percentuali finali sulla valutazione delle prestazioni. Questo modello deve essere anche affiancato a una valutazione sulla tempistica: è necessario valutare se con questo progetto vi è una riduzione sui tempi d’intervento. Accumulando tutti questi dati poi, si può verificare se il sistema adottato per la defibrillazione precoce migliora la situazione oppure no, valutando qual è la variabile ancora carente e adottare le contromisure necessarie per renderla poi accettabile. - 123 - CONCLUSIONI L’emergenza intraospedaliera deve essere concepita come una catena di procedure e atti da affrontare non in modo caotico, ma con protocolli ben definiti e condivisi da tutto il personale. Spesso, durante un emergenza, non vi è un buon controllo dell’emotività da parte del personale sanitario, decidendo al momento, senza nessuna obiettività e metodica. Tutto ciò può essere dovuto (in gran parte) alla mancanza di protocolli, alla sporadicità dell’evento, alle conoscenze dei singoli operatori o al tentativo di demandare all’equipe ALS decisioni e interventi. Al contrario, l’applicazione di protocolli specifici consenta la riduzione dell’emotività, la condivisione e la standardizzazione (orizzontale e verticale) delle procedure e il raggiungimento di risultati ottimali, che in questo ambito significano maggiori probabilità di sopravvivenza per la persona oggetto delle cure. La formazione specialistica deve essere in grado di stimolare l’integrazione e la interdipendenza tra i diversi professionisti dell’Unità Operativa, visto che nessuno, da solo, è in grado di produrre risultati eccellenti nell’assistenza in fase di emergenza. Lo - 124 - dimostrano gli studi e le ricerche praticate in questi ambito che dimostrano ancora la bassa percentuale di sopravvivenza per morte cardiaca improvvisa in ospedale. Per favorire il miglioramento di questi spiacevoli dati sarebbe utile creare un piano di gestione delle emergenze all’interno dell’ospedale: • La divulgazione all’interno dell’ospedale della defibrillazione, sia tramite l’aumento della disponibilità ai defibrillatori, sia autorizzando maggiormente il personale infermieristico al loro utilizzo • Da ciò deriva anche la necessità di pianificare la formazione di base ad un preciso programma di aggiornamento a scadenze predeterminate; i corsi devono fornire gli strumenti teorici e pratici relativi alle tecniche assistenziali e agli aspetti gestionali ed organizzativi dell’emergenza, nonché alle responsabilità dei singoli professionisti • La disposizione strategica dei dispositivi DAE e del carrello dell’emergenza in modo da ridurre la tempistica al minor tempo possibile • L’utilizzo di un modello di raccolta dati universale (Utstein Style) in modo da poter ottenere studi e ricerche successive, - 125 - allo scopo di apportare le necessarie modifiche al progetto per ottenere un miglioramento continuo dei risultati in termini di sopravvivenza L’ottica attraverso cui è possibile leggere lo svolgersi di un evento d’emergenza è duplice: da un lato, esso può costituire un momento di forte stress per tutta l’equipe; dall’altro, offre sicuramente un banco di prova per le abilità e le conoscenze acquisite dai singoli professionisti. L’infermiere deve scegliere il ruolo del protagonista, per le proprie competenze, e promotore di esperienze positive e gratificanti e di raccogliere le sfide per essere espressione di una alta qualità professionale. - 126 - ALLEGATI ALLEGATO 1: QUESTIONARIO INDAGINE CONOSCITIVA SULL’ ORGANIZZAZIONE DELLE EMERGENZE INTRAOSPEDALIERE Salve a tutti sono una studentessa del 3^anno del corso universitario di scienze infermieristiche, prossima alla laurea. Questo questionario che vi propongo, riguardante la formazione del personale sanitario nella rianimazione cardiopolmonare e nella sua pratica clinica ( nello specifico corsi di BLS-BLSD e per chi li avesse frequentati anche corsi avanzati di rianimazione cardiopolmonare quali ACLS, AMLS, etc.), mi sarà utile da completamento alla mia tesi di laurea, che vertirà per l’ appunto sull’ argomento appena descritto. Per questo motivo vi chiedo gentilmente di leggerlo attentamente e rispondere con sincerità alle poche domande qui sotto esposte, assicurandovi che vi ruberà solo qualche minuto. Il questionario sarà anonimo, ma vi richiederò qualche dato personale. Grazie mille per la vostra collaborazione e il vostro, per me prezioso, aiuto. Una futura collega. SESSO : M F ETA’ ANNI DI SERVIZIO UNITA’ OPERATIVA QUESTIONARIO 1) Quale tra questi corsi di formazione base di primo soccorso ha frequentato? □ BLS □ BLSD □ PBLS □ Corso emergenza-urgenza □ Altro □ Nessuno 2) Se li ha frequentati per quali è certificato? □ BLS □ BLSD □ PBLS □ Corso emergenza-urgenza □ Altro □ Nessuno 3) Quanto tempo fa li ha frequentati? □ < 1 anno fa □ > 1 anno fa □ 1 anno fa □ 2 anni fa □ 3 anni fa 127 4) I corsi di formazione sono stati seguiti per ( è possibile barrarne più di una ) : □ formazione obbligatoria □ interesse personale □ attività extra-lavorativa □ accreditamento ECM 5) Di che presidi di emergenza è dotata la vostra unità operativa? □ Borsa dell’ emergenza (farmaci, devices per la gestione delle vie aeree, ecc) □ Carrello dell’ emergenza □ Altro □ Nulla, vengono utilizzati farmaci e presidi in dotazione al reparto in quel momento 6) È presente un defibrillatore nella vostra unità operativa? □ SI □ NO 7) Se si di che tipo? □ DAE (defibrillatore semi – automatico esterno) □ Manuale 8) Ha mai eseguito una sequenza di rianimazione cardio-polmonare? □ SI □ NO 9) Se no si sentirebbe pronto ad eseguirla? □ SI □ NO 10) Ha mai utilizzato un defibrillatore? □ SI □ NO □ L’ho visto usare 10) I corsi di formazione che ha seguito ( se ne ha seguiti ) le sono serviti per apportare delle modifiche nella gestione dei presidi e dell’ emergenza in se stessa? □ SI □ NO 11) Se si in che cosa è migliorato? (è possibile barrarne più di una) □ utilizzo dei presidi □ disposizione fisica dei presidi □ disponibilità di ulteriori presidi 128 □ utilizzo delle procedure □ istituzione di protocolli interni □ tutte 12) È presente un protocollo interno di attivazione precoce di personale ACLS (supporto cardiaco avanzato o di almeno un rianimatore)? □ SI □ NO 13) E’ presente nel vostro reparto uno strumento di raccolta dati (es.una scheda da compilare dopo l’evento) relativa agli interventi d’emergenza effettuati?Se si specificare di che tipo. □ SI □ NO 129 EQUIPE ALS 130 EMERGENZA INTRAOSPEDALIERA RAPPORTO DI RIANIMAZIONE CARDIOPOLMONARE 5. INTERVENTO 1. DATA EVENTO ____\____\_______ ALS NOME______________ COGN ______________ 2. LUOGO o o o o o o o MED URG PS UTC-CARD DCG MED RAD AMBULATORI o DOT o GIN o PED o SALA OP o LUOGHI PASSAG o _________________ o NESSUNO o FARMACI E.V. o ACCESSO ARTERIOSO o INTUBAZIONE o VENT. MECCANICA o MONITOR ECG. o PM TRANSTORACICO ETA’ ______________ SESSO M RICOV.DA. ___\___\____ 4.MONITORATO? 3. TESTIMONI? COD. REGIONALE ____________________ o SI o NO o SI o NO F INFORMAZIONI SULL’EVENTO 6. CAUSA IMMEDIATA 8. CONDIZIONE INIZIALE 10. RITMO INIZIALE FV COSCIENTE? O SI O NO ARITMIA TV RESPIRO SPONTANEO ? O SI O NO PEA IPOTENSIONE POLSO PRESENTE? O SI O NO BRADICARDIA DEPRESSIONE RESPIRATORIA ASISTOLE RITMO SINUSALE 9. TEMPI EVENTO METABOLICA SEGNARE GLI ORARI DEGLI EVENTI E I RELATIVI ISCHEMIA MIOCARDICA MINUTI DI INTERVALLO TRA UN INTERVENTO E CPR INTERROTTA ORA ____:_____ L’ALTRO NON SO MOTIVO ALTRO__________________ SINCOPE/ESORDIO ___:___ ROSC 7. TENTATIVO DI RCP? SI(SEGN.TUTTO) o COMP.TOR o DEFIBRILL. o VIE AEREE NO (UNA RISPO) o CONST.DEC. o CONSID. INUT o DNAR INIZIO BLS min_____ ___:___ = 1° DC SHOCK min_____ ___:___ = INTUBAZIONE min_____ ___:___ = DECESSO CONSIDERATO INUTILE DNAR RIPRISTINO DI CIRCOLO SI ORE ____:______ NO MAI ROSC NON SOSTENUTO 20’ >20’ < 24 ORE < 24 ORE 1° DOSE ADRENALINA___:___ = min_____ INFORMAZIONI SULL’ESITO 10. TEMPO DI RISVEGLIO 12. SE NO, CAUSA DECESSO CARDIACA NEOPLASIA TRAUMA ALTRO ORA ____:____ DATA____\____\_____ 11. ESITO DELL’EVENTO DIMISSIONE DALL’OSPEDALE 13. CODICE ICD DATA _____\_____\_______ LUOGO DIMISSIONE DOMICILIO_____________________ ALTRO OSP._____________________ ALTRO _________________________ CPC (ALLA DIMISSIONE) Glasgow Coma Score ____________ CPC (cerebral performance category) 1=buona 2=moderata 3=grave 4=comatoso 5=morte cerebrale 131 16. FONTE DATI CARTELLA CLINICA CERTIFICATO MORTE MEDICO CURANTE AUTOPSIA ALTRO______________________ ALTRE INFORMAZIONI 17. SOCCORRITORI 1° I.P. . NOME 2° I.P. RICOV.DA ____\____\_____ Team ALS MEDICO I.P. 18. TEMPO DI INTUBAZIONE ___:___ Giorno mese anno CODICE REGIONALE 19. ALTRE TERAPIE DURANTE L’EVENTO (VEDI SOTTO) ORA COMMENTI PARAMETRI RITMO DEF (J) FARMACI CONTROLLARE CHE LE INFORMAZIONI SIANO ACCURATE E COMPLETE Allegato 3 : Modello “Utstein Style” intraospedaliero 132 DOSE BIBLIOGRAFIA • F. Della Corte, Manuale di medicina d’emergenza Edizione 2002 • H.D. Grant, Pronto Soccorso e interventi d’emergenza Edizione 2002 • J.E. Tintinalli, Medicina d’emrgenza Edizioni 1997 • Italian Resuscitation Council, BLS-D Basic Life Support Early Defibrillation 3a Edizone Marzo 2003, Manuale per operatori sanitari • American Heart Association, Manuale ACLS Trattamento avanzato dell’emergenza cardioresipratoria Edizione 1997 • Atti del XVIII Congresso Nazionale ANIARTI, Accreditamento e certificazione in area critica Bologna 10-11-12 Novembre 1999 • Tunstall-Pedoe H., Bailey L., Chamberlain D.A., Marsden A.K., Ward M.E., Zideman D.A., Survery of 3765 cardiopulmonary resuscitation in British hospitals (the BRESUS Study): methods and overall results, British medicine Journal 1992 • Granja C., Cabral G., Vieira A.,Outcome of cardiac arrests in a Portuguese hospital--evaluation of a hospital cardiopulmonar resuscitation program at one year. Rev Port Cardiol. 2001 Oct;20(10):943-56. English, Portuguese. • Kinney K.G., Boyd S.Y., Simpson D.E., Guidelines for appropriate in- hospital emergency team time management: the Brooke Army Medical Center approach, gennaio 2004 • 4^ Censimento delle strutture cardiologiche in Italia, Federazione italiana di cardiologia, Anno 2000 133 • Dott.ssa Anna Maria Ferrari, Atti Convegno provinciale, Defibrillazione precoce sul territorio ed in aree ospedaliere non intensive, 1999 • Convegno dei Medici dell’emergenza Territoriale Cesena, La defibrillazione precoce: protocolli e problematiche, Ospedale Infermi di Rimini 1998 • Richard O Cummins, MD, Cochair; Douglas Chamberlain, MD, Cochair; Mary F Hazinski, MSN, RN;ecc., Recommended Guidelines for Reviewing, Reporting, and Conducting Research on In-Hospital Resuscitation: The In-Hospital 'Utstein Style' • A.Gentili, M. Nastasi, L.A. Rigon, C. Silvestri, P. Tanganelli, Il paziente critico clinica e assistenza infermieristica in anestesia e rianimazione, Edizione 1993 • Gruppo A.C.R.O. – Azienda Sanitaria di Firenze, Prevenzione dell’arresto cardiaco intraospedaliero: uno score per la valutazione del livello di gravità in pazienti ricoverati in degenza ordinaria, 2002 134