Intervento PROF. SSA OMBRETTA FUMAGALLI CARULLI POLITICA E COSCIENZA ALLA LUCE DELLA DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA Desidero rallegrarmi per l’iniziativa generale di fare dei corsi di formazione alla politica, oggi ce n’è particolarmente bisogno, non soltanto nella nostra società lombarda, ma in genere nella società italiana e il taglio che avete dato mi pare molto opportuno e anche molto utile per la formazione sia dei giovani sia di coloro che vogliono tornare a parlare di politica avendo già un’età meno giovane. A me è stato affidato un tema interessante: politica e coscienza alla luce della dottrina sociale della chiesa, dottrina sociale della quale mi occupo appunto nella mia ultima veste di Accademico Pontificio per le Scienze sociali, nominato da Papa Giovanni Paolo II nel 2003. Vi darò degli stimoli di riflessione, io ho scritto qualcosa, ma non ho una relazione compiuta, ve la posso mandare successivamente… Anzitutto vorrei rispondere a un interrogativo che può apparire ovvio. Penso che tutti sappiate rispondere a questo interrogativo: che cosa è la Dottrina Sociale della Chiesa? E soprattutto dove trovarla? Perché a volte si sente parlare di dsc in un modo non sempre esatto e non sempre a proposito. Che cos’è la dsc? La dsc è subito detto è l’insieme dei principi, degli insegnamenti, delle direttive tese a risolvere, secondo lo spirito del Vangelo i problemi sociali, economici, politici. Ecco, tutto questo costituisce la dsc. Qual è la finalità? È quella di proporre principi e valori che possano sorreggere una società degna dell’uomo. Centro della dsc è la dignità della persona umana e tutto deve convergere lì. Tra questi principi quello della solidarietà in qualche misura comprende un po’ tutti gli altri e costituisce uno dei principi basilari della concezione cristiana nella organizzazione sociale e politica. È una opinione largamente diffusa, ma non del tutto corretta, che il Magistero sociale della chiesa sia frutto delle grandi encicliche sociali che cominciano alla fine delll’800 con Rerum Novarum (nel 1891). È vero che il grande nucleo della dsc è composto dalle cosiddette encicliche sociali e dai vari discorsi sociali dei pontefici, soprattutto quelli che con periodicità rinnovano e attualizzano il pensiero allora esposto sulla questione sociale di Rerum Novarum. Così nasce 40 anni dopo Quadragesimo anno nel 1931, è un papa lombardo che la scrive Pio X, poi Mater et Magistra Giovanni XXIII, altro papa lombardo e poi Populorum Progressio Paolo VI e 1 poi Centesimus Annus Giovanni Paolo II e poi Caritas in veritate papa Benedetto XVI. Vi ho citato le più importanti, ma non le uniche encicliche sociali. Però il magistero sociale della chiesa è connaturato alla civiltà cristiana sin dall’inizio e lungo tutto il suo svolgersi. E quindi la dsc va trovata in tutto quell’insieme di fonti che costituiscono il patrimonio sociale della chiesa. Oggi abbiamo uno strumento molto utile, me lo sono anche portata, che è il Compendio della dsc, non so se voi lo conosciate, edito dal pontificio consiglio della giustizia e della pace che io consiglio sempre a tutti come strumento di riflessione e di ricerca, c’è anche un ottimo indice analitico che consente di passare da un argomento all’altro con estrema facilità. In questo volume c’è una lettera del’allora cardinale segretario di stato Angelo Sodano, che apre il Compendio, in cui il cardinale segretario di stato ricorda che la chiesa non ha mai rinunciato “a dire la parola che le spetta” sulle questioni della vita sociale. E basta leggere l’indice dei riferimenti di questo volume per avere significativa dimostrazione. Colpisce la ricchezza straordinaria delle fonti e della loro età storica. I testi fondativi della dsc sono attinti a fonti antiche e moderne che vanno dalla Sacra Scrittura ai documenti più recenti e quindi abbiamo A.T. e N.T., Concili Ecumenici, documenti dei pontefici, encicliche, discorsi, allocuzioni, messaggi, esortazioni apostoliche, documenti importanti della chiesa, per esempio il Catechismo è fonte più volte ripetuto della dsc, abbiamo poi documenti delle congregazioni, della Curia romana e dei pontifici consigli fra cui appunto il Pontificio Consiglio della giustizia e della pace. Ma anche abbiamo documenti della Santa Sede, per esempio la carta dei diritti della famiglia è una fonte considerata tale dalla dsc, lo stesso codice di diritto canonico che io cerco di spiegare ai miei studenti dell’università cattolica è fonte anch’esso di dsc. E nel Compendio poi, questa è una particolarità di questo Compendio che non troviamo in altre raccolte di dsc precedenti, ci sono anche dei riferimenti tratti dal diritto internazionale laico. Quasi a conferma di una scelta della chiesa odierna, cioè di trattenere un dialogo con il mondo, con i rappresentanti delle nazioni improntato alla collaborazione con il mondo nella difesa della dignità della persona. Ecco ancora la persona che torna al centro di tutto il disegno. E la chiesa che pronuncia il suo Magistero sociale, ricavandolo da tutte quelle fonti che ora vi ho indicato, è per dirla con una efficace espressione di Paolo VI, è la chiesa ancella dell’umanità. La chiesa del Concilio, grande disc orso di chiusura del Concilio in cui egli propone una chiesa al servizio. Il termine ancella, così particolare, vuole dire a servizio della persona. E questa chiesa si pone oggi quindi non meno di ieri a servizio 2 della persona, del bene comune e cerca di affrontare interrogativi vecchi e nuovi della giustizia sociale. Vediamo qualcuno di questi interrogativi, ve lo butto lì come momento di riflessione: che cosa è il bene comune?, può apparire una cosa ovvia invece non lo è purtroppo, ma che cosa deve fare la comunità politica per realizzarlo?, che cosa è l’umanesimo integrale e solidale tipico del pensiero di Maritain? Il progresso dei popoli e della pace? Sono soltanto utopie? E ancora la globalizzazione economica, oggi ormai un portato dei tempi, riceve anche una globalizzazione della solidarietà? La vita è la nuova frontiera della questione sociale? Il collasso ecologico, è un altro tema di giustizia sociale, è inarrestabile? Ecco allora se noi vogliamo trovare un interrogativo che riassume tutti questi e che è alle fonti della società giudaico-cristiana ne troviamo un altro: dov’è tuo fratello? È la domanda di dio a Caino (Gn4,9) che si appella all’umanità di ogni tempo, perché il fratello cambia via via coi tempi. È una domanda centrale nella realizzazione dell’ordine della realizzazione della creazione. Definito un po’ cos’è la dsc e quali sono gli interrogativi, dove possiamo trovare le risposte, vorrei ora affrontare un altro argomento: la dsc di fronte ai diritti umani. Grande categoria dei tempi attuali: la modernità è il tempo dei diritti umani dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo in poi siamo nella categoria dei diritti umani. Proprio quella domanda dov’è tuo fratello? È sconvolgente se pensate perché è semplice, ma insieme è estremamente impegnativa ed è al cuore di ogni politica, quando la politica intende interpellare la coscienza. Non solo la coscienza dell’uomo come singolo, ma ancora di più la coscienza della collettività. E si ripropone ogni volta che le leggi dello stato, nel caso dei diritti umani la comunità internazionale o il comportamento di un popolo, dimenticano che dio è la fonte suprema della vita, della persona e dei suoi diritti fondamentali. Allora soffermiamoci sui diritti umani. La dichiarazione universale dei diritti dell’uomo dice che i diritti umani sono uguali e inalienabili per tutti i membri della famiglia umana. In quanto tali, proprio perché uguali e inalienabili sono la base della libertà, della giustizia, della pace nel mondo. Ora, se si parte da quella domanda dov’è il tuo fratello? E si risponde facendo tesoro della dsc, l’enucleazione dei diritti umani presenta una sua grammatica, che è una grammatica naturale, che ai diritti accosta anche i doveri, sia del singolo, sia della comunità. Così è per il diritto alla vita e alla famiglia, l’integrità della persona, della coscienza e la sua libertà, la libertà religiosa e di credenza. Se quella è la grammatica precisa, anche la sintassi è precisa, perché 3 significa centralità della persona, promozione della pace, libertà, giustizia, solidarietà, sostenibilità dello sviluppo. La stessa emersione dei diritti umani come noi abbiamo avuto nelle carte internazionali, dopo la dichiarazione universale del ’48 dell’età moderna, dai diritti individuali, a quelli politici, a quelli sociali, è un’emersione lenta. Può apparire strano, ma se andate a vedere le carte dei diritti internazionali, a differenza delle carte o dei documenti della dsc, la promozione di quei diritti umani, la realizzazione nelle carte è davvero piuttosto lenta. Non solo, ma ha dovuto misurarsi proprio con quella domanda dov’è tuo fratello? correlandosi alla responsabilità e ai doveri. C’è un itinerario storico molto lungo, già nell’età in cui i singoli stati stavano affermando la loro sovranità, che vede nascere lo ius gentium. Nasce sulle ginocchia della chiesa, perché l’autore dello ius gentium più importante è Francisco De Vittoria, un frate, addirittura precursore dell’idea di nazioni Unite, che verranno molto più avanti nel ’48, a meno che si voglia pensare alla Società delle Nazioni. E altre tappe significative da allora sono raggiunte in età successive, qualche volta in sintonia, qualche volta in divergenza coi principi cristiani. Nella Nostra età la dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, i richiami ad essa delle carte successive sono stati indubbiamente fondamentali per il consolidamento, nella coscienza collettiva, almeno dell’importanza del rispetto dei diritti umani. Invece si è attenuata via via la coscienza dei doveri verso la comunità, che nell’animo di chi preparava la dichiarazione universale avrebbe dovuto in un certo senso controbilanciare l’espansione illimitata dei diritti con l’impegno responsabile della persona riguardo all’altro. Noi abbiamo avuto proprio l’anno scorso all’Accademia Pontificia delle scienze sociali la sessione dedicata alla dsc e diritti umani. E abbiamo visto che a più di 60 anni dall’approvazione della dichiarazione universale, nonostante gli indubbi progressi compiuti, tuttavia violazioni dell’ordine della creazione permangono e si aggravano in varie parti del pianeta. E vorrei citarvene qualcuno, basta guardarci intorno: insufficienza e assenza di rispetto della vita umana e della dignità della persona, ingiustizie di ogni genere, habitat malsano, crisi delle risorse fondamentali, stravolgimenti climatici, soprattutto diseguaglianze locali e globali, guerre, incapacità di vera solidarietà nei confronti delle regioni più deboli… tutto questo continua ad avvelenare il mondo contemporaneo che in realtà non riesce a perseguire un autentico sviluppo integrale né della persona singola, né della famiglia umana e neppure del pianeta sotto il profilo prettamente naturale delle risorse naturali. Pensiamo ad esempio al diritto umano che secondo la dsc è al 4 cuore dei diritti, la libertà religiosa. La libertà religiosa e il grado di tutela riservato dalla comunità internazionale è veramente preoccupante. Per giungere alla tutela della libertà religiosa delle confessioni, cioè quella istituzionale, noi abbiamo dovuto attendere molto. Questa è una cosa che si sa poco: la libertà religiosa è stata tutelata sì dal punto di vista del diritto individuale, ma non sotto il profilo istituzionale, quella che i canonisti chiamano libertas ecclesiae, la libertà della chiesa, non solo della nostra chiesa, ma di tutte le confessioni. La libertà istituzionale della chiesa non aveva trovato nessuna tutela nella dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Quella era una dichiarazione che rispecchiava più una concezione di tipo liberale, l’individuo più che la persona. E neppure per noi europei nella convenzione europea dei diritti dell’uomo, che è sempre del’48-’50. La nostra carta repubblicana tutela in quegli stessi anni nel ’48 la libertas ecclesiae e la tutela grazie alla presenza nell’assemblea costituente dei cattolici, il famoso gruppo dei professorini dell’università cattolica Luzzati, ma soprattutto Dossetti, che anche lui era un canonista, la nostra carta repubblicana aveva sancito mirabilmente il profilo della libertà istituzionale con l’art.7 Lo stato e la chiesa sono ciascuno nel proprio ordine indipendenti e sovrani. Ma allora altrove, fuori dalla nostra assemblea costituente, era diffusa ancora l’idea, tipicamente ottocentesca, che la libertà religiosa fosse il diritto del singolo individuo o forse dei gruppi, dei fedeli associati, non delle confessioni religiose. Per arrivare a una tutela delle confessioni religiose le organizzazioni internazionali hanno dovuto fare un percorso molto lento. Paragonato invece con quello che è la dsc è molto più rapido. E neppure i patti del 1966 i patti di New York menzionano i profili istituzionali della libertà religiosa. Bisogna arrivare al 1981 per vedere tutelato nei documenti delle organizzazioni internazionali la eliminazione di tutte le forme di intolleranza e discriminazione basate sulla religione e sulla confessione. Ma è soprattutto una organizzazione multilaterale, molto spinta a suo tempo come preparazione proprio da Paolo VI e dal card. Casaroli la CSCE Conferenza per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa, oggi si chiama OSCE Organizzazione Sicurezza e Cooperazione in Europa, che nel 1989, nel documento finale della riunione di Vienna della CSCE, riconosce a livello internazionale la libertà religiosa anche nel profilo istituzionale. Addirittura l’organizzazione CSCE è la più importante delle organizzazioni internazionali perché è l’unica che ha fatto un decalogo della libertà religiosa. E fu l’intuizione allora di Paolo VI a organizzare la conferenza per promuovere la distinzione Europa e 5 chiedere che un pilastro della cooperazione e della distinzione fosse la libertà religiosa. Anche altri diritti umani nelle carte costituzionali sono tutelati molto ambiguamente. Così per esempio il diritto alla vita, il diritto alla famiglia. Troviamo la dichiarazione del loro rispetto in tutte le carte, ma la loro declinazione poi è diversa, a seconda che ci sia un’interpretazione libertaria oppure dignitaria. E a seconda anche del diverso forum in cui se ne tratta. Sempre alla Pontificia Accademia abbiamo avuto due anni fa una sessione sugli obiettivi del millennio, Millenium Goals e io avevo come compito quello di individuare quali sono gli obiettivi del millennio per quanto riguarda la famiglia. Non c’è un obiettivo del millennio che riguardi la famiglia. Ci sono degli obiettivi che intrecciano anche i problemi della famiglia, ma non la famiglia in quanto tale. Del resto anche la pianificazione familiare viene spesso imposta ai governi a livello internazionale sulla base dell’assunto che essa rappresenterebbe un mezzo per raggiungere diversi diritti umani. Per non dire poi dei tentativi di varie agenzie dell’ONU (Cairo ’94 Pechino’95) di includere tra i nuovi diritti la salute riproduttiva, che in termini delle carte delle Nazioni Unite vuol dire l’aborto, oltre che l’eutanasia, la pedofilia. In seno alle grandi organizzazioni internazionali c’è tutta una corrente perché si enucleino questi nuovi diritti, in una visione appunto libertaria, non dignitaria, domandandosi se sono espressione di una libertà che diventa poi un arbitrio senza alcun modello di riferimento o se invece debbano avere a riferimento la dignità della persona. Detto questo, e questo è il panorama con cui la chiesa si deve confrontare, e questa è stata una scelta provvidenziale quella che nelle grandi organizzazioni internazionali ci sia un delegato della Santa Sede, che fa quantomeno sentire la voce della dsc, quali sono i compiti della politica per il bene comune? Io qui vorrei riferirmi a un discorso che io non avevo sentito, ero già fuori dal Parlamento, ma avevo visto alla televisione, cioè il discorso di Giovanni Paolo II al Parlamento italiano riunito in seduta comune il 14 novembre 2002 alla Camera dei Deputati. Sono andata a rileggerlo proprio per venire qui oggi a parlare insieme a voi. Mi ricordo che quella diretta televisiva aveva consentito a molti di noi di ammirare quella figura, anche di commuoverci direi di fronte a quella figura bianca, quasi piegata su se stessa che percorreva a piedi i 200 metri dall’ingresso fino all’aula di Montecitorio e poi affrontare anche, durò 2 ore e un quarto la diretta televisiva, l’esposizione alle 6 telecamere perché il papa voleva dire la sua verità. Disse: All’amata nazione italiana, espressione che gli era particolarmente chiara e quella è certamente una verità aperta al confronto, ma non perciò non ferma nel respingere quel relativismo etico che oggi è il cancro del buongoverno. Qual è il tarlo che pian piano sta erodendo tutto? È il relativismo etico. Il discorso di quel pontefice che non si limitò a volare alto senza affrontare nessun tema specifico, ma entrò, sia pure con il garbo che lo caratterizzava anche quando doveva pronunciare parole dure, il papa disse esattamente che cosa attendeva dalla amata nazione italiana. E io ho fatto un po’ un elenco in sintesi che mi pare sia l’elenco rappresentativo di linee di un bene comune non limitato all’astrattezza delle belle parole, ma alla concretezza delle azioni concrete. Primo. La difesa della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio, sottolineando che essa sola dev’essere tutelata dalla nostra carta costituzionale. Oggi c’è il grande dibattito famiglia o famiglie di fatto, famiglie gay e così via. Secondo. Soluzioni ai problemi della denatalità, considerata grave minaccia gravante sul futuro del nostro paese condizionandone lo sviluppo, per risolvere la quale il papa disse, serve un iniziativa politica che renda socialmente ed economicamente meno onerose la generazione e l’educazione dei figli. Terzo. L’incremento della cultura, come strumento per la costruzione di una esistenza autenticamente umana. Con la cultura l’uomo diventa più uomo, accede più intensamente all’essere che gli è proprio. L’uomo conta come uomo per ciò che è più che per ciò che ha. Il valore umano della persona è in diretta ed essenziale relazione con l’essere, non con l’avere (e anche questo monito se lo confrontate con la politica di oggi la dice molto lunga). Quarto. Lo sviluppo della scuola, tutta la scuola, non solo quella cattolica, da assicurare in un sano clima di libertà e in stretta connessione con le famiglie e con tutte le componenti sociali. Quinto. La risposta ai bisogni dei più deboli, che in Italia significa soprattutto crisi dell’occupazione giovanile, povertà vecchie e nuove, emarginazioni per italiani e immigrati, bisogno di solidarietà spontanea e capillare, alla quale osserva il papa la chiesa è con ogni impegno protesa a dare il proprio contributo, ma che non può non contare soprattutto sulla costante sollecitudine delle pubbliche istituzioni. La chiesa 7 ha sempre svolto il suo impegno a difesa dei più deboli, ma non perciò deve scaricare di responsabilità lo stato, per quanto riguarda un impegno analogo. Sesto. La soluzione al penoso sovraffollamento delle carceri. Con la richiesta già esplicitata dal papa nell’anno del Giubileo, non accolta, di una riduzione della pena, che costituirebbe una manifestazione di sensibilità e insieme non mancherebbe di stimolare l’impegno di personale recupero in vista di un positivo reinserimento nella società. È la concezione tipica del diritto canonico della pena medicinale, una visione non punitivo repressiva, ma preventiva. Nella filigrana di ognuna di queste richieste formulate in positivo io vedo tutta una serie di no che mi pare sia un promemoria anche per chi oggi è impegnato a fare le leggi. No alle famiglie di fatto, no alle famiglie omosessuali, no all’aborto, no all’assenza di una politica familiare, no alle limitazioni della libertà della scuola, compresa quella non pubblica, soprattutto no allo smantellamento dello stato sociale, no alla politica contro gli immigrati, no al sovraffollamento delle carceri, no alla cultura dell’avere, anziché alla cultura dell’essere. E altrettanti si e no possono vedersi in quel discorso su due punti molto importanti: l’Europa e la pace. Sulla nuova Europa il papa esprime la fiducia che anche per merito dell’Italia, alle nuove fondamenta della casa comune europea non manchi il cemento di quella straordinaria eredità religiosa, culturale e civile che ha reso grande l’Europa nei secoli. Era il messaggio alla costituzione europea, le radici cristiane dell’Europa, poi diventate solo eredità religiosa. Un sì alla visibilità delle radici cristiane, un no a un continente che consideri, dice il papa, solo gli aspetti economici e politici o indulga in modo acritico a modelli di vita ispirati ad un consumismo indifferente e ai valori dello spirito. Sulla pace che cosa dice: il bisogno di concordia e di solidarietà e di pace tra le nazioni, che è l’obiettivo indicato dal papa, è un sì ad ogni tentativo di soluzione pacifica, un no alla logica dello scontro. … vi ricordate il primo intervento in Iraq vide contrario il pontefice per una ragione: no alla guerra preventiva, perché comunque prima di ogni tentativo anche di ogni intervento di doverosa tutela, devono essere esplorate le vie diplomatiche. Gli USA invece decisero di intervenire violentemente e il papa fu contrario. Forte anche in quel discorso fu la condanna al terrorismo internazionale, soprattutto con l’uso distorto fatto delle religioni. Disse il papa: le 8 religioni sono stimolate a far emergere tutto il loro potenziale di pace, orientando e quasi convertendo verso la reciproca comprensione le culture e le civiltà che da esse traggono ispirazione. Se noi poi consideriamo l’appello pressante di Giovanni Paolo II lungo tutto il suo pontificato a favore dei valori religiosi delle fedi discendenti dal comune padre Abramo e dunque ebraismo, islam e cristianesimo, queste parole pare significano che per un cristiano è sbagliato confondere il fondamentalismo con l’islam e ritenere l’islam ispiratore degli attentati, al contrario occorre oggi più che mai il dialogo tra quelle fedi, senza il quale del resto la situazione della Terra Santa continuerà a essere insanguinata. E qui mi viene in mente un’altra figura di costituente cattolico molto amico di Lazzati e di Dossetti che era Giorgio La Pira, il cosiddetto sindaco santo di Firenze. Egli aveva 50 anni addietro proposto la strada di Isaia diceva, quindi il dialogo tra le religioni discendenti dal padre Abramo ed era vista allora come una profezia, Dialoghi del Mediterraneo, sono libri di La Pira molto interessanti…. Vorrei affrontare il tema della crisi di credibilità del potere politico, siamo nell’attualità della vita dei partiti e delle istituzioni di ogni giorno. Io credo che la crisi di credibilità del potere politico oggi abbia molte cause. Una prima causa di carattere tecnico è la legge elettorale. Al di là degli schieramenti è certo che ha privato completamente gli elettori dei loro diritti e ha privato il parlamento della sua sovranità. Ha trasferito la sovranità del parlamento ai capi dei partiti, dai quali ormai dipende la formazione dell’elenco dei nomi dei parlamentari senza che l’elettore possa scegliere tra essi. …questa legge elettorale ha tradito l’articolo 49 della Costituzione che dice che tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale. L’ha tradito innanzitutto perché l’art.49 dice che i partiti devono agire con metodo democratico. L’art.49 non è stato attuato né dalla prima né dalla seconda repubblica, si è lasciato la regolamentazione ai regolamenti interni dei partiti. Io credo che quello sia stato un errore, perché sarebbe stato molto meglio introdurre per legge dei criteri che consentissero quella vita democratica all’interno dei partiti grazie alla quale si possono poi determinare linee di politica nazionale condivisa, non solo dai vertici, ma dai rappresentanti della popolazione. L’art.49 è collocato badate nella parte prima della nostra costituzione, che è dedicata ai diritti e doveri del cittadino. Il nostro costituente cioè concepiva il partito e perciò la classe politica come germinante dalla società civile, perché dalla società civile bisognava trarre il 9 ventaglio dei bisogni, delle attese, delle speranze che poi il partito avrebbe soddisfatto. Invece cosa è avvenuto? Nella cosiddetta prima repubblica i partiti erano dominati dai cosiddetti signori delle tessere che bloccavano e facevano perdere il contatto con la gente….(breve racconto personale). Oggi però siamo peggiorati e la credibilità del mondo politico è crollata perché siamo alla privatizzazione del potere pubblico con partiti che, quando non sono addirittura nelle mani di un unico più o meno potente (lista Casini, lista Fini, c’è leaderismo, non c’è lista Berlusconi, ma è lui il padrone) e questi partiti privatizzati sono scollati dalla società. E qui voglio fare una riflessione più di carattere storico: noi abbiamo avuto una regressione anche di tipo culturale, non solo di tipo etico, perché nella prima repubblica i partiti, pur con tutti i loro difetti, hanno tenuto la democrazia fedele al concetto di libertà, uguaglianza e solidarietà. Invece la seconda repubblica fa un percorso inverso. Quando è nata la parola Stato? Risale a Niccolò Macchiavelli, nel Rinascimento, quando il gruppo politico aggregato attorno al principe si diceva ‘lo stato maggiore’ e diventa da quel momento in poi sinonimo di sistema politico. Era uno stato considerato capolavoro del principe, una concezione soggettiva, non oggettiva (vedi libro di Burkhart). Il concetto di ragion di stato diventa oggettivo solo successivamente. Oggi questo significato oggettivo, che significa poi istituzione dello stato collegata con il bene comune, non con il bene privato del principe, mi pare abbia ormai perso terreno. Ciò avviene in tutte le epoche che rappresentano involuzioni o negazioni del senso democratico della comunità. Per prendere un altro esempio più vicino ai nostri tempi, nell’età fascista le strutture del partito tendevano a identificarsi con quelle dello stato. Per prendere un altro esempio Gramsci nella solitudine del carcere teorizzava il partito come moderno principe. Oggi abbiamo questa involuzione: il partito che è diventato stato, ma che è diventato una persona, quindi l’involuzione peggiore che potessimo avere. È un’impostazione antidemocratica del concetto di partito con una confusione patologica tra partito e stato. Questo è il pericolo che porta alla disaffezione della gente dalla politica, lo prova l’aumento delle astensioni e delle schede bianche. Lo prova poi l’uscita del politico dai suoi luoghi attuali. Vedi la formazione di altri luoghi non istituzionali, nascono i movimenti spesso su esigenze settoriali e visioni del mondo non più generali: i gruppi pacifisti, ambientalisti e così via. Questa uscita del politico produce partiti che sono l’antipartito, ad esempio Beppe Grillo. Tutte queste involuzioni sono frutto della contemporaneità. 10 La seconda crisi riguarda il primato della coscienza. Io non so se abbiano ragione quegli intellettuali che parlano di cadute delle evidenze etiche, come di caratteristica della contemporaneità. Non sono neanche in grado di prevedere come e quando si possa uscire da questa situazione. È certo che la distinzione tra pubbliche virtù e vizi privati non è mai stata così massicciamente accettata. Ma oggi non c’è più neanche la consapevolezza del limite tra lecito e illecito e tutto si risolve con un’alzata delle spalle o una risata spesso anche volgare. E c’è di peggio. La coscienza come concetto basilare della dsc sembra ormai travolta da una concezione che nega in radice il diritto della persona a seguire la prescrizione della legge morale. Il Compendio della dsc porta su questo punto dei testi chiarissimi: pone in collegamento l’autorità come forza morale e il diritto alla obiezione di coscienza. Con testi del catechismo, dell’Evangelium Vitae dice che il cittadino non è obbligato in coscienza a seguire le prescrizioni delle autorità civili se sono contrarie alle esigenze dell’ordine morale, ai diritti fondamentali della persona o agli insegnamenti del Vangelo. Poi richiamando l’Evangelium Vitae continua: le leggi ingiuste pongono gli uomini moralmente retti di fronte a drammatici problemi di coscienza quando sono chiamati a collaborare ad azioni moralmente cattive hanno l’obbligo di rifiutarsi. Su questa lex iniusta non es lex la legge ingiusta non è legge c’è una tradizione antichissima del diritto canonico. I gesuiti vennero combattuti molto dai regimi assolutisti perchè come congregazioni religiose non erano legate al principe assoluto di turno, ma al papa, ma anche perché scrivevano dei volumi De occidendo tiranno e soprattutto per questa ragione vennero sciolte. … Ancora da EV: oltre a essere una legge morale questo rifiuto è anche un diritto umano basilare che proprio perché tale la stessa legge civile deve riconoscere e proteggere. Torna il diritto umano, ma se voi guardate nelle carte internazionali dei diritti il diritto all’obiezione di coscienza non c’è mai. E ancora chi ricorre all’obiezione di coscienza deve essere salvaguardato non solo da sanzioni penali, ma anche da qualsiasi danno sul piano legale, disciplinare economico e professionale. Questo è il magistero dei papi, ma tutte queste belle idee vanno concretamente attuate dalla chiesa. E qui vorrei concludere ricordando che il magistero sociale della chiesa dà questo compito non tanto alla gerarchia ecclesiastica, ma piuttosto ai laici. Ci sono tre norme del diritto canonico che spesso neanche gli ecclesiastici conoscono: riguardano due doveri fondamentali del laico (il codice del 1983 rivoluziona quello del 1917 che non considerava i laici altro che in due norme, in una 11 i laici erano inferiori agli ecclesiastici). Il Concilio invece ha dato grande importanza al laicato…ci sono due canoni dedicati all’impegno dei laici nell’animare le realtà temporali, cioè in politica. Uno è il canone 225: è dovere dei laici di animare le realtà temporali di spirito evangelico, cioè di fare una politica ispirata ai principi della dsc. L’altro canone 227 parla del diritto alla libertà nel temporale riconosciuto al laico come diritto che il laico può rivendicare sia riguardo alla società temporale, sia a quella ecclesiastica. Nei confronti della società ecclesiastica è la libertà religiosa (il laico non può essere condizionato dalla gerarchia e questo spesso viene dimenticato) e poi il diritto alla libertà riguarda anche la società civile cioè io laico devo essere libero rispetto a te stato a fare quello che ritengo giusto nell’ambito dello spirituale e del temporale. C’è una norma che invece riguarda i chierici canone 287 par.2 i chierici non abbiano parte attiva nei partiti politici e anche nella direzione di associazioni sindacali a meno che, a giudizio dell’autorità ecclesiastica, non lo richiedano la difesa dei diritti della chiesa e la promozione del bene comune. Il dovere di incarnare nella vita pubblica la dsc è esclusivamente dei laici… 12