Il trattamento farmacologico del prurito cronico

Veterinaria, Anno 9, n. 2, Giugno 1995
Il trattamento farmacologico
del prurito cronico*
W.H. MILLER JR., VMD
D.W. SCOTT, DVM
Cornell University
Dal punto di vista clinico, il prurito può essere semplicemente definito come la sensazione che induce l’animale
a sfregare, leccare, mordere o graffiare la propria cute. Il
prurito non è una malattia, bensì un segno di qualche dermopatia infiammatoria sottostante o di disordini psicologici. La causa scatenante della condizione richiede una spiegazione più approfondita e non sembra esistere un’unica
risposta. Il prurito è una sensazione complessa mediata da
un’ampia varietà di sostanze chimiche pruriginose e
modulata da fattori interni ed esterni che possono variare
a seconda delle condizioni presenti e degli animali.
In presenza di prurito, il trattamento più appropriato
comprende la diagnosi eziologica rapida e l’istituzione di
una terapia specifica per il tipo di disordine riscontrato.
Questo approccio, che appare semplice a livello teorico,
non lo è invece nella pratica clinica. L’impegno diagnostico spesso viene deluso dalle limitazioni imposte dai proprietari (quali mancanza di interesse o scarsa disponibilità
economica) o incontrate in ambito clinico (quali mancata
disponibilità di test altamente specifici o poco costosi).
Anche quando sia possibile formulare una diagnosi specifica, possono mancare trattamenti efficaci oppure gli stessi
possono dimostrarsi inadatti in determinati soggetti. A
causa delle limitazioni incontrate in ambito clinico, spesso
il veterinario deve ricorrere a terapie mediche per controllare il prurito. Tuttavia, l’applicazione di queste terapie
può rivelarsi difficile o pericolosa per l’animale per la
variabilità del processo pruriginoso. Nel presente lavoro
verranno discusse le modalità terapeutiche attualmente
adottate dagli autori per controllare il prurito cronico nel
cane e nel gatto.
IL SOGGETTO AFFETTO DA PRURITO
Il trattamento del prurito non verrebbe discusso in
modo esauriente senza prima descrivere i soggetti a cui è
rivolto. Il prurito è la manifestazione più comunemente
riferita dai proprietari di cani affetti da dermopatie al
momento della visita e comporta alcune variazioni di ordine stagionale e geografico 1. La condizione può essere
*Da “The Compendium on Continuing Education for the Practicing
Veterinarian” Vol. 16, N. 4, aprile 1994, 449-462. Con l’autorizzazione
dell’Editore.
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Il trattamento farmacologico del prurito cronico
insorta per la prima volta, ricorrere stagionalmente oppure
avere carattere cronico. Nel presente lavoro, il prurito
viene definito cronico quando abbia durata pari o superiore a sei mesi. L’affezione viene manifestata mediante leccamento, sfregamento, morsicamento o graffiamento della
cute e può avere carattere localizzato (ad es. dermatite da
leccamento delle estremità), regionale (ad es. prurito delle
estremità) o generalizzato. La cute del soggetto può avere
aspetto pressoché normale oppure presentare danni estesi,
a seconda della patologia scatenante, dell’animale e della
tolleranza del proprietario verso il fastidio manifestato da
quest’ultimo.
Nei soggetti colpiti, bisogna cercare di individuare con
sollecitudine la causa del prurito e istituire un trattamento specifico. In molti casi, questo obiettivo non è molto
difficile da raggiungere, mentre lo diventa nelle forme
ricorrenti o croniche. La valutazione dei soggetti con
manifestazioni pruriginose solitamente è un processo progressivo che richiede visite ripetute e numerosi tentativi
terapeutici. Per aumentare le possibilità diagnostiche, il
veterinario necessita della collaborazione del proprietario
e dell’animale.
La compilazione di un elenco cronologico delle anomalie
riscontrate può rivelarsi di estrema utilità. Dopo la raccolta
dell’anamnesi e il completamento dell’esame clinico, spesso
il veterinario pone alcune domande a cui il proprietario
non è in grado di rispondere. Un problema molto comune
è riuscire a stabilire se il prurito sia la causa delle lesioni
cutanee riscontrate (come ad esempio nei casi di piodermite o seborrea) oppure se queste ultime abbiano avuto origine spontaneamente e siano responsabili del prurito. A
meno che il proprietario sia molto meticoloso ed esamini
spesso la cute dell’animale, questa domanda rimane senza
risposta, almeno nel corso della prima visita. La questione
può essere trascurata e le lesioni cutanee e il prurito possono essere trattati contemporaneamente con prodotti appropriati, tuttavia, se l’inconveniente si ripresenta, questa linea
terapeutica può fornire informazioni molto limitate. Un
metodo di approccio più valido prevede il trattamento
delle lesioni cutanee con farmaci adatti e la valutazione
dell’effetto che la terapia esercita sul prurito. Il proprietario deve essere avvertito che questo tipo di trattamento
non garantisce la risoluzione del processo, ma può fornire
informazioni estremamente utili ai fini diagnostici.
Dopo una o più visite, solitamente è possibile compilare
un breve elenco di diagnosi differenziali che verranno
affrontate nel modo più adatto. Le difficoltà maggiori si
incontrano nei soggetti allergici, non essendo facile disporre di test diagnostici accurati. Il trattamento farmacologico
è rivolto principalmente a questi animali.
FISIOPATOLOGIA DEL PRURITO
La sensazione del prurito è stata ampiamente studiata
ma non nel cane e nel gatto. I dati raccolti in altre specie
possono non adattarsi a questi ultimi. Il prurito è una sensazione strettamente cutanea, che tuttavia può avere origine centrale, come nelle dermatosi psicogene. Nelle dermopatie, lo stimolo pruriginoso origina a livello cutaneo e
risale verso la corteccia sensitiva attraverso le fibre nervose
amieliniche2. Poiché anche altri stimoli cutanei, fra cui
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quelli termici e dolorifici, seguono la stessa via, l’intensità
dello stimolo pruriginoso può subire modifiche a livello
della cute.
Quando il segnale pruriginoso abbia raggiunto il corno
dorsale del midollo spinale oppure la corteccia sensitiva
dell’encefalo, può subire ulteriori modifiche per effetto di
fattori emotivi, biochimici o centrali di diversa natura2.
Queste modifiche prodotte a livello centrale accrescono le
difficoltà diagnostiche poiché inducono manifestazioni
cliniche di prurito di proporzioni nettamente superiori
all’entità dello stimolo cutaneo. Ad esempio, un cane di
taglia toy può procurarsi delle automutilazioni in risposta
ad un solo morso di pulce. Se all’esame clinico vengono
riscontrate lesioni cutanee di grave entità mentre non vengono rilevati segni indicanti la presenza di pulci è possibile trascurare la diagnosi di ipersensibilità al morso del
parassita. Pertanto, nell’elenco delle diagnosi differenziali
è necessario considerare anche lo stato emozionale del
soggetto.
Dal punto di vista clinico, il prurito generalmente deriva
dalla stimolazione chimica delle terminazioni nervose
dell’epidermide. Queste sostanze chimiche possono essere
applicate dall’esterno (ad esempio espozione a piante urticanti) o avere origine a livello cutaneo in conseguenza ad
un processo infiammatorio locale2. L’elenco delle sostanze
pruriginose endogene è molto ampio ed in continua evoluzione3 e il ruolo svolto da molte di queste nella genesi del
prurito nel cane e nel gatto è sconosciuto. Le sostanze
pruriginose endogene sono prodotte dalle cellule infiammatorie e vengono rilasciate nel derma nel corso del processo infiammatorio. Alcuni mediatori (ad es. l’istamina)
sono già formati all’interno delle cellule, mentre altri (ad
es. i leucotrieni) vengono prodotti soltanto dopo l’avvio
delle reazioni a catena del processo infiammatorio.
Probabilmente molte fra le sostanze pruriginose endogene
identificate nell’uomo e negli animali da laboratorio assumono importanza nel cane e nel gatto; quelle che sembrano rivestire il maggiore interesse sono le proteasi, l’istamina, le prostaglandine e i leucotrieni4. I farmaci che verranno presi in considerazione in seguito (Tab. 1) hanno il
compito di modulare l’impatto di questi mediatori.
CORTICOSTEROIDI
I corticosteroidi sono i farmaci più comunemente utilizzati e di maggiore efficacia nel trattamento del prurito cronico. Nella pratica clinica vi è ampia disponibilità di prodotti che differiscono per costo, via di somministrazione,
efficacia, durata di azione e sicurezza di impiego. Tuttavia,
sembra esistere una relazione inversa fra la sicurezza e
l’efficacia garantite da questi prodotti. Benché i corticosteroidi siano estremamente efficaci e solitamente poco
costosi, a causa degli effetti generali che producono
nell’organismo sono i farmaci più pericolosi fra quelli adoperati per il controllo del prurito. Quando un animale
viene trattato con steroidi per periodi prolungati, non si
pone il problema se compariranno effetti collaterali, bensì
il momento in cui si svilupperanno e con quale gravità.
L’unica via per evitare l’insorgenza di effetti collaterali è di
evitare l’uso di questi farmaci. Questa soluzione, tuttavia,
spesso non è attuabile.
Veterinaria, Anno 9, n. 2, Giugno 1995
Tabella 1
Farmaci utili nel trattamento del prurito cronico
Cane
Categoria
Principio attivo
Corticosteroidia
Desametazone
Metilprednisolone
Prednisolone
Triamcinolone
Antistaminici
Clemastina
Clorfeniramina
Difenidramina
Idrossizina
Antidepressivi triciclici
Amitriptilina
Integrazione di acidi grassi
a
Gatto
Dose
Frequenza
Dose
Frequenza
0,11 mg/kg
0,88 mg/kg
1,10 mg/kg
0,88 mg/kg
Ogni 48 ore
Ogni 48 ore
Ogni 48 ore
Ogni 48 ore
0,2 mg/kg
Ogni 48 ore
2,2 mg/kg
Ogni 48 ore
Da 0,05 a 0,10 mg/kg
0,22 mg/kg
2,2 mg/kg
2,2 mg/kg
Ogni 12 ore
Ogni 8 ore
Ogni 8 ore
Ogni 8 ore
0,68 mg/gatto
2-4 mg/gatto
Ogni 12 ore
Ogni 12 ore
1,0 mg/kg
Ogni 12 ore
1 cap./9,1 kg
Ogni 24 ore
1 ml/9,1 kg
Ogni 24 ore
Questi dosaggi devono essere considerati limiti massimi e devono essere ridotti al minimo possibile.
L’impiego dei corticosteroidi negli animali da compagnia è un argomento ampiamente trattato in numerose
pubblicazioni e non verrà affrontato nel presente lavoro.
Tuttavia, per comprendere a fondo quali siano gli effetti
favorevoli e quelli dannosi di questi farmaci, è necessario
considerarne brevemente le caratteristiche. Il cortisolo
viene prodotto a livello delle ghiandole surrenali e influenza diverse funzioni organiche, fra cui il metabolismo di
carboidrati, lipidi e proteine, l’equilibrio idrico ed elettrolitico e i meccanismi immunoregolatori5. Analogamente ad
altri ormoni, la secrezione del cortisolo è controllata da un
circuito di feed-back, comunemente definito asse ipotalamo - ipofisi - surrene. Benché il cortisolo sia disponibile
per uso farmacologico, la scarsa efficacia e la brevità
dell’emivita ne limitano l’utilità.
I corticosteroidi utilizzati a scopo terapeutico sono stati
sintetizzati a partire dall’anello cortisolico, ma le modifiche apportate ne hanno aumentato l’efficacia, prolungato
l’emivita e alterato l’attività mineralcorticoide. A causa
della maggiore potenza e della più lunga durata dell’emivita, questi prodotti possono esercitare effetti notevoli a
livello di asse ipotalamo- ipofisi- surrene, metabolismo
interno, meccanismi immunoregolatori e risposte infiammatorie. Nel trattamento del prurito, il vantaggio principale dei corticosteroidi è l’azione soppressiva nei confronti
del processo infiammatorio, mentre le altre attività devono
essere considerate dannose. Gli effetti antiinfiammatori
principali di questi farmaci sembrano essere rappresentati
da alterazione della migrazione neutrofila oltre che della
circolazione e funzione linfocitaria, interruzione della
cascata dell’acido arachidonico; stabilizzazione delle membrane e riduzione della permeabilità vascolare5.
Un dogma comunemente citato in riferimento all’impiego dei corticosteroidi stabilisce che, nel trattamento del
prurito cronico, le preparazioni ad uso parenterale non
trovano alcun impiego. In linea generale gli autori concordano con questa affermazione ma accettano l’esistenza di
alcune eccezioni. A dispetto di ogni logica clinica, alcuni
cani e gatti manifestano un prurito ininterrotto che scompare per tre o quattro mesi in seguito all’inoculazione di
un’unica dose di metilprednisolone o di triamcinolone.
Poiché sulla base delle proprietà farmacologiche di queste
sostanze la durata dell’attività antiinfiammatoria dovrebbe
essere compresa fra 14 e 21 giorni6, è difficile spiegare il
protrarsi della risposta clinica. Chiedendo informazioni
precise ai proprietari si apprende ciò che accade realmente. Il prurito scompare completamente per due o tre settimane, quindi ricompare senza raggiungere, prima di tre o
quattro mesi, un grado di disturbo significativo per l’animale o per il prorietario. Se l’animale è giovane e sano, è
difficile discutere l’efficacia di questo regime terapeutico,
soprattutto nei gatti in cui i trattamenti orali comportano
delle difficoltà. Nella maggior parte dei casi, la richiesta di
corticosteroidi da parte dell’organismo aumenta e il proprietario dell’animale richiederà l’iniezione con maggiore
frequenza. È opportuno evitare di aumentare la frequenza
delle iniezioni e di utilizzare prodotti iniettabili con durata
d’azione più prolungata.
Nei trattamenti a lungo termine i corticosteroidi vengono somministrati solitamente per via orale. Il metodo più
conosciuto e sicuro per l’impiego per os dei corticosteroidi
prevede l’uso di prodotti ad azione breve che vengono
assunti a giorni alterni. Quelli maggiormente adoperati
sono il prednisolone e il prednisone. All’inizio del trattamento, il farmaco viene somministrato giornalmente fino
alla regressione del prurito, che solitamente richiede da
cinque a sette giorni. La dose iniziale dipende dall’animale
trattato e dall’intensità del prurito, benché il dosaggio del
prednisolone sia tipicamente compreso fra 0,55 e 1,1
mg/kg/die; nel gatto di solito sono necessari 2,2
mg/kg/die. Molti dividono la dose giornaliera in due somministrazioni ad intervalli di 12 ore. Gli autori, che impiegano di routine l’intera dose una volta giorno, ottengono
la stessa efficacia e riducono le probabilità di sviluppo di
effetti collaterali acuti e gravi.
Quando il prurito è stato eliminato con la terapia giornaliera, i corticosteroidi vengono somministrati a giorni
alterni riducendo il dosaggio al minimo livello accettabile.
Questo livello è determinato dal punto in cui l’animale
presenta un grattamento tollerabile, che viene definito
come prurito che non disturba la vita del soggetto, non
provoca lo sviluppo di lesioni cutanee secondarie ed è
accettabile per il proprietario. Il livello di grattamento tollerabile varia da un animale all’altro e da un proprietario
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Il trattamento farmacologico del prurito cronico
all’altro. Se l’animale trattato con corticosteroidi a lungo
termine non manifesta alcuno stimolo pruriginoso, la dose
di farmaco è troppo elevata. Quello descritto rappresenta
il modello ideale di terapia steroidea a lungo termine.
Questo approccio, benché costituisca la via più sicura di
somministrazione dei corticosteroidi, riduce al minimo gli
effetti collaterali di questi farmaci ma non li elimina del
tutto. Le terapie steroidee a lungo termine non devono
mai essere ritenute soddisfacenti. Il dosaggio del farmaco
deve essere controllato attentamente e modificato secondo
le necessità.
Se tutti i cani e i gatti potessero essere trattati seguendo
il modello ideale, non sarebbero necessari altri tipi di terapia. Tuttavia, gli autori hanno osservato che molti animali
non tollerano il prednisolone o il prednisone oppure non
possono essere controllati adeguatamente con il regime a
giorni alterni. Gli inconvenienti più frequenti sono rappresentati da gradi eccessivi di poliuria e polidpsia, polifagia,
respiro affannoso molto evidente, aggravamento del prurito fino a livelli intollerabili nel giorno in cui il soggetto
non assume il farmaco e apparente assuefazione per il prodotto (tachifilassi corticosteroidea) che appare privo di
qualunque efficacia. Questi inconvenienti rendono necessario l’apporto di modifiche al protocollo terapeutico.
Lo sviluppo di gradi eccessivi di poliuria e polidipsia è
influenzato da fattori legati all’animale e al tipo e dose di
farmaco. A seconda della posologia utilizzata, tutti i corticosteroidi possono indurre la comparsa di poliuria e
polidipsia, in particolare negli animali anziani. La riduzione del dosaggio può non correggere la condizione, soprattutto quando l’animale assume prednisolone o prednisone.
Questi prodotti posseggono una certa attività mineralcorticoide che, in alcuni soggetti, tende a provocare la comparsa di poliuria e polidipsia di proporzioni esagerate.
Queste manifestazioni possono essere ridotte o eliminate
sostituendo il farmaco con glucocorticoidi privi di attività
mineralcorticoide. Il metilprednisolone è l’unico glucocorticoide orale, ad azione breve, privo di tale attività. Questo
farmaco, somministrato secondo la posologia suggerita nei
testi di medicina veterinaria, risulta costoso e questo ne
impedisce l’uso in molti animali, soprattutto nei cani di
grossa taglia.
Se il dosaggio degli steroidi non può essere ridotto e il
metilprednisolone non costituisce un’alternativa, come si
possono risolvere la poliuria, la polidipsia e i restanti
inconvenienti descritti in precedenza? La risposta è l’uso
di un diverso glucocorticoide orale, rappresentato dal
desametazone o dal triamcinolone. Questi prodotti, in
quanto privi di attività mineralcorticoide, non tendono a
provocare lo sviluppo di poliuria e polidipsia di eccessive
proporzioni. Tuttavia, è sempre necessario valutare il
dosaggio e i fattori relativi all’animale trattato. Questi farmaci, rispetto al prednisolone, posseggono entrambi
un’emivita di maggior durata e un’azione più potente; pertanto prima di sostituire la terapia bisogna calcolare un
dosaggio che garantisca una pari efficacia. L’azione del
triamcinolone è 1+1/4 volte più potente di quella del
prednisolone, rispetto al quale il desametazone ha potenza
sette volte superiore5.
Quando viene iniziato il trattamento con triamcinolone
o desametazone utilizzando dosaggi che garantiscano un
grado di potenza equivalente, la maggior parte dei proprie64
tari riferisce la scomparsa degli inconvenienti legati al prednisolone o al prednisone e, in alcuni casi, la possibilità di
diminuire ulteriormente il dosaggio. Tuttavia, l’animale
può risentire di questa maggiore efficacia. Somministrando
il triamcinolone o il desametazone a giorni alterni, per lunghi periodi, si può verificare la soppressione dell’asse ipotalamo - ipofisi- surrene e lo sviluppo degli altri effetti collaterali legati agli steroidi sarà più precoce che utilizzando il
prednisolone.
L’uso del triamcinolone o del desametazone nelle terapie a lungo termine è sconsigliato poiché il pericolo di
sovradosaggio di questi farmaci è elevato. Tuttavia, quale
soluzione adottare negli animali che non rispondono ad
altre terapie? La risposta è semplice, continuare il trattamento “non sicuro” oppure interromperlo permettendo
che l’animale ricominci a grattare raggiungendo livelli
intollerabili. Queste affermazioni non intendono incoraggiare l’uso disinvolto degli steroidi, soprattutto di quelli ad
azione protratta e più potenti, ma sottolineano la reale
situazione esistente nell’ambito della dermatologia veterinaria. Alcuni casi esulano da ogni logica clinica e rendono
necessari trattamenti con protocolli farmacologici pericolosi. Questi casi dovrebbero essere molto rari e distanziati
nel tempo. Quando un animale appartiene a questa categoria, bisogna programmare visite di controllo ad intervalli puntuali di tre mesi. Questa richiesta di visite frequenti
farà capire al proprietario la serietà del trattamento e consentirà al veterinario di rilevare i segni di sovradosaggio
corticosteroideo in fase precoce di sviluppo. I segni che
vengono tipicamente osservati comprendono infezioni
ricorrenti a livello di cute o tratto urinario, alterazione del
mantello con comparsa di peli opachi e secchi che si spezzano facilmente e che vengono sostituiti lentamente, pigrizia e depressione che suggeriscono l’esistenza di ipotiroidismo secondario e modificazioni del profilo corporeo.
Come procedere quando si manifestano i primi effetti
collaterali? Se la terapia steroidea “non sicura” è stata istituita perché inizialmente il proprietario non era interessato a proseguire le indagini diagnostiche e a provare trattamenti diversi, la comparsa degli effetti collaterali potrà
convincerlo ad adottare un approccio terapeutico alternativo. Se invece la terapia era stata istituita in seguito al fallimento di ogni trattamento precedente, non rimane che
attendere l’evoluzione delle metodiche diagnostiche e terapeutiche in campo dermatologico.
ANTIBIOTICI
Negli animali con manifestazioni di prurito spesso si
sviluppano infezioni stafilococciche secondarie a livello
cutaneo che ne aumentano l’intensità e che diminuiscono
la capacità di risposta ai corticosteroidi. La terapia antibiotica consente di risolvere l’infezione secondaria e di
ridurre l’intesità del prurito che talvolta scompare completamente per tutta la durata del trattamento. Quest’ultima evenienza può essere spiegata in diversi modi. Nella
maggior parte dei casi, il prurito dipende unicamente dalla
piodermite e dal rilascio di proteasi e di altri mediatori4 e
non dovrebbe ricomparire se non in caso di recidiva del
processo piodermitico. Raramente, l’animale riprende a
grattarsi immediatamente dopo avere interrotto la sommi-
Veterinaria, Anno 9, n. 2, Giugno 1995
nistrazione dell’antibiotico e in assenza di lesioni cutanee
primitive. A meno che il soggetto sia ipersensibile verso i
batteri responsabili dell’infezione in sedi diverse dalla
cute7, la risposta indicherebbe che l’antibiotico possiede
attività antipruriginose.
È noto che l’eritromicina e le tetracicline posseggono
effetti antipruriginosi8 ed alcuni ricercatori sospettano che
anche le cefalosporine possano svolgere un’azione
analoga9. In 45 cani affetti da allergia e privi di manifestazioni piodermitiche rilevabili macroscopicamente, la somministrazione di eritromicina ha provocato la scomparsa
completa del grattamento in due soggetti e un miglioramento notevole, benché non definitivo, in altri quattro10.
Benché la tetraciclina (solitamente associata alla niacinamide) si riveli utile nel trattamento di alcune dermopatie
autoimmuni che colpiscono il cane11, l’efficacia del farmaco nel trattamento del prurito è scarsa. La somministrazione di doxiciclina in 13 cani con atopia non ha indotto
risposte durature in nessuno dei soggetti trattati12. Non
sono disponibili dati relativi alle cefalosporine.
Benché i risultati esposti in precedenza siano degni di
interesse, la relativa validità clinica è discutibile. È importante ricordare che l’eritromicina è dotata di possibili
effetti antipruriginosi, tuttavia, il farmaco non è idoneo
per le terapie a lungo termine poiché tende a provocare la
comparsa di vomito, è costoso ed è possibile che induca
fenomeni di resistenza nella popolazione stafilococcica
naturale del cane. Questa informazione deve essere tenuta
presente nei cani con prurito e piodermite secondaria.
Ammettendo che i batteri non siano resistenti al farmaco,
quest’ultimo non solo consente di risolvere l’infezione ma
attenua anche il prurito.
ANTISTAMINICI
Gli antistaminici tradizionali H1 sono suddivisi in 6 classi, ognuna delle quali comprende numerosi prodotti diversi. Gli antistaminici differiscono fra loro strutturalmente,
mentre le funzioni e gli effetti collaterali che producono
sono simili. In generale, tutti posseggono proprietà antistaminiche, anticolinergiche, sedative e anestetiche locali8.
Queste sostanze svolgono un’azione di inibizione competitiva nei confronti dell’istamina a livello recettoriale.
Inoltre, è stato dimostrato che alcuni antistaminici possono inibire direttamente, oppure stimolare, la secrezione da
parte delle mastcellule, alterare il numero e/o l’attività dei
linfociti T e attivare altri elementi cellulari che modificano
la funzione dei mastociti13. Questi ultimi effetti sembrano
strettamente dipendenti dalle dosi di farmaco e forse dalla
specie animale.
Benché gli effetti collaterali della terapia antistaminica
dipendano dal tipo di prodotto e dal soggetto trattato, in
linea generale questi farmaci dovrebbero essere evitati o
utilizzati con cautela nei soggetti affetti da glaucoma,
disordini del sistema nervoso centrale, fenomeni di ritenzione urinaria e disordini gastrici o a carico del settore
prossimale del duodeno. La sicurezza di impiego negli animali gravidi o in allattamento non è nota. Poiché alcuni
antistaminici (soprattutto quelli appartenenti alla classe
dei fenotiazinici) comportano numerose controindicazioni, è importante conoscere a fondo un prodotto prima di
prescriverlo. Fino a quando non verranno forniti dati
specifici riferiti agli animali, bisogna considerare gli effetti
collaterali e le controindicazioni riportate per l’uomo.
Nel corso dell’ultimo decennio, sono stati approntati
altri tipi di antistaminici che non rientrano nelle categorie
tradizionali descritte in precedenza. Nella categoria H1
sono compresi i nuovi farmaci privi di effetti sedativi, che
svolgono la tipica funzione antistaminica periferica, mentre gli effetti centrali sono scarsi o nulli. Un altro tipo di
antistaminico disponibile è l’H2 bloccante. I farmaci compresi in questa categoria inibiscono competitivamente i
recettori H2 che influenzano la secrezione gastrica acida, il
miocardio e il rilascio di istamina da parte delle mastcellule e dei basofili8.
In passato, la letteratura veterinaria non attribuiva alcuna efficacia agli antistaminici tradizionali. Attualmente,
sulla base di diverse prove cliniche condotte in gruppi
ristretti di cani o gatti affetti da allergie, è noto che gli
antistaminici possono svolgere effetti favorevoli in alcuni
animali con manifestazioni di prurito. Inoltre, si sa anche
che la risposta di un animale è estremamente soggettiva.
Un determinato animale può non rispondere ad un certo
antistaminico ma essere sensibile ad un altro, sia appartenente alla stessa classe che a classi diverse. Per stabilire
l’efficacia degli antistaminici in un dato soggetto bisogna
provare a somministrarli. Se con il primo farmaco non si
ottiene alcun effetto, ne viene scelto un secondo e così via.
Sembra che l’efficacia degli antistaminici possa essere stabilita con un ciclo di terapia di una settimana10. La capacità di risposta dell’animale a questi prodotti può essere
determinata soltanto dopo averli provati tutti; tuttavia,
una ricerca di questo genere richiede molta collaborazione
da parte del proprietario.
Il primo studio relativo all’uso di vari antistaminici in
successione è stato pubblicato nel 1988 e ha dimostrato
che, in molti cani affetti da allergia, benché non in tutti, la
somministrazione di uno di questi prodotti comportava la
scomparsa o la diminuzione del grattamento 10 .
Ovviamente, i proprietari sono maggiormente interessati
alla cessazione del grattamento, mentre anche l’attenuazione del prurito assume notevole importanza come verrà
chiarito in seguito. Nello studio del 1988 vennero somministrate clorfeniramina, difenidramina o idrossizina a 45
cani. I risultati migliori si ottennero con la clorfeniramina
che comportò la scomparsa del grattamento in 4 cani
(8,9%). La difenidramina e l’idrossizina consentirono di
ottenere lo stesso risultato, entrambe in tre soggetti
(6,7%). L’intensità del grattamento diminuì in misura
significativa, ma incompleta, in quattro soggetti (8,8%)
con clorfeniramina, in sette (15,5%) con difenidramina e
in otto (17,8%) con idrossizina.
Poiché i risultati di questo primo studio si rivelarono
molto incoraggianti, venne condotta una seconda ricerca
su 30 cani utilizzando astemizolo, clemastina e trimeprazina14. Fatta eccezione per la clemastina, i risultati ottenuti
non furono molto significativi. Sia l’astemizolo, uno fra i
nuovi antistaminici privi di effetti sedativi, che la trimeprazina agirono ognuno su un unico soggetto (3,3%). Mentre,
nel 30% dei cani, l’uso della clemastina ridusse efficacemente l’entità del prurito in percentuale pari o superiore
al 50%. L’importanza dei risultati ottenuti con la clemastina indusse a sottoporre il farmaco a due ulteriori ricerche.
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Il trattamento farmacologico del prurito cronico
Nella prima venne osservato che, su 30 cani con manifestazioni allergiche, 8 (26,7%) smisero di grattarsi15. Nella
seconda, 7 cani su 72 (9,7%) smisero di grattarsi nel corso
del trattamento e in altri 14 (19,4%) l’intensità del prurito
diminuì in percentuale pari o superiore al 50%16. In 18
cani con atopia non è stato osservato alcun miglioramento
in seguito alla somministrazione di terfenadina, un antistaminico privo di effetto sedativo, alla dose di 5 mg/kg ad
intervalli di 12 ore17. Fra gli antistaminici sperimentati fino
ad oggi, la clemastina possiede il grado di efficacia maggiore. Se il proprietario consente l’uso di un solo prodotto,
la scelta dovrà essere diretta alla clemastina, anche se il
costo del farmaco potrebbe limitarne l’impiego.
Nel gatto, le prove di somministrazione degli antistaminici sono state condotte indipendentemente dal cane.
Inizialmente, gli autori hanno adoperato la difenilidramina, che tuttavia comportava costantemente la comparsa di
ipereccitabilità, probabilmente dovuta a sovradosaggio del
farmaco. Successivamente venne utilizzata la clorfeniramina, che rivelò una notevole efficacia accompagnata da
scarsi effetti collaterali. In complesso, circa il 73% dei 26
gatti con manifestazioni allergiche smise di grattarsi in
seguito alla somministrazione di 2 mg di farmaco ad intervalli di 12 ore18. Non vennero riscontrati effetti collaterali,
se non una lieve sonnolenza transitoria in due soggetti.
Talvolta, i gatti che presentano risposte parziali alla posologia di 2 mg ogni 12 ore rispondono in modo completo
raddoppiando il dosaggio. La clorfeniramina preparata in
forma di compresse da 4 mg possiede un sapore amaro
quando viene spezzata in due metà e alcuni gatti ne rifiutano l’assunzione (soprattutto nelle terapie a lungo termine).
Ricoprendo la parte esposta con burro o gel di vaselina, il
gusto del farmaco può essere mascherato, tuttavia le somministrazioni rimangono frequenti. Questi inconvenienti
possono essere superati utilizzando le capsule a rilascio
lento contenenti 8 mg di principio attivo. La capsula viene
aperta e 1/4 o 1/2 del suo contenuto viene mescolato al
cibo una volta al giorno. Poiché i granellini non sembrano
possedere sapore o odore sgradevoli, il farmaco verrà
assunto volontariamente dal soggetto. Questo metodo
semplifica notevolmente il trattamento.
Allo scopo di individuare un’alternativa terapeutica per
i gatti che non rispondono ai trattamenti precedentemente
descritti, gli autori hanno somministrato idrossizina, amitriptilina e clemastina in un numero limitato di soggetti.
Le prove con idrossizina e amitriptilina dovettero essere
sospese per la comparsa di effetti collaterali in tutti i soggetti trattati. In 10 gatti, la somministrazione di clemastina
alla dose di 0,34 mg ogni 12 ore non comportò alcun
miglioramentoa. Raddoppiando il dosaggio, si ottenne la
scomparsa del grattamento in 5 soggetti. I risultati ottenuti
nel gatto con l’uso della clorfeniramina e della clemastina
sono nettamente superiori a quelli ottenuti nel cane. Si
renderebbero necessari ulteriori studi utilizzando prodotti
diversi, tuttavia, le dimensioni delle compresse o delle
capsule reperibili in commercio, non consentendo di somministrare dosaggi appropriati, limiterebbero le possibilità
di ricerca.
Negli animali, la terapia antistaminica non è priva di
effetti collaterali. L’inconveniente più comune è rapprea
Miller WH Jr, dati non pubblicati, Cornell University, 1994.
68
sentato dalla sonnolenza, che solitamente ha carattere
transitorio10. Conoscendo gli effetti esercitati dai prodotti
tradizionali a livello del sistema nervoso centrale, la comparsa di sonnolenza non deve sorprendere e può anche
rivelarsi vantaggiosa. Come accennato in precedenza, lo
stimolo pruriginoso può essere modulato a livello centrale.
Un leggero grado di sedazione subclinica potrebbe essere
utile nella maggior parte degli animali con manifestazioni
di prurito, soprattutto in quelli ipereccitabili. Oltre alla
sedazione, gli altri effetti collaterali di questi farmaci sono
rari e comprendono anoressia, vomito o diarrea e anche
aumento del prurito. Queste manifestazioni si verificano
nelle fasi precoci della terapia. Nei soggetti trattati dagli
autori, alcuni dei quali hanno assunto antistaminici per
periodi superiori a 5 anni, non sono stati osservati inconvenienti a sviluppo tardivo.
Gli antistaminici H2-bloccanti vengono ampiamente utilizzati nel trattamento dell’iperacidità gastrica ed alcuni
dati recenti suggeriscono che, se usati contemporaneamente agli antistaminici H1, l’efficacia di questi ultimi
aumenta19. Gli autori hanno studiato questa possibilità
somministrando la difenidramina e la cimetidina singolarmente e in associazione e non hanno potuto confermare i
risultati del lavoro precedente20. Gli antidepressivi triciclici, di cui verrà discusso in seguito, posseggono attività H1e H2-bloccante e si rivelano molto utili nel trattamento del
prurito. L’efficacia di questi prodotti può essere riferita al
bloccaggio di entrambi i recettori istaminici o alle proprietà H1-bloccanti.
INTEGRAZIONE CON ACIDI GRASSI
A partire dalla fine degli anni ’80, è aumentato l’interesse per le proprietà antiinfiammatorie degli integratori
costituiti da particolari formulazioni di acidi grassi.
Benché sia stata rivolta maggiore attenzione verso due particolari prodotti commerciali (DVM Derm Caps [DVM
Pharmaceuticals] e Efa Vet [Efamol Vet]), sono disponibili molte altre preparazioni di efficacia pari o superiore.
Questi integratori a base di acidi grassi non sono quelli
classicamente utilizzati in caso di secchezza del pelo; infatti sono costituiti da combinazioni specifiche di acidi grassi
omega-3 e omega-6. Al momento attuale non è chiaro se il
beneficio di questi prodotti sia legato ad un singolo ingrediente o all’associazione di più sostanze.
Le ricerche relative all’influenza esercitata dagli acidi
grassi sul sistema immunitario e sui processi infiammatori
sono in costante aumento21. Benché riamangano ancora
molti punti da chiarire, soprattutto nel cane e nel gatto, è
evidente che alcuni acidi grassi posseggono, o possono
indurre, un’attività antiinfiammatoria. Si ritiene comunemente che alcuni prodotti interferiscano competitivamente
con il metabolismo dell’acido arachidonico21-23. Questa
interferenza influenzerebbe la produzione di prostaglandine e di leucotrieni, per cui, la produzione di prodotti
proinfiammatori si ridurrebbe, mentre quella di prodotti
antiinfiammatori, o dotati di minore attività infiammatoria, aumenterebbe23,24. Nel cane e nel gatto, i risultati di
numerosi studi clinici sostengono la validità di questa ipotesi, che tuttavia deve ancora essere confermata a livello di
laboratorio.
Veterinaria, Anno 9, n. 2, Giugno 1995
Sono stati pubblicati alcuni studi relativi all’efficacia del
DVM DermCaps e dell’EfaVet nei cani e nei gatti con
manifestazioni allergiche10,21,25-27 ed entrambi i prodotti si
sono dimostrati utili nel trattamento di questi soggetti. In
due studi differenti, il DVM DermCaps è stato somministrato per una settimana rispettivamente in 45 e 93 cani
con allergie. Nel primo studio, il grattamento scomparve
nell’11,1% dei soggetti10, e nel secondo, nel 18,3%25. In
entrambe le ricerche, vennero identificati cani (l’11,1% e
il 17,2% rispettivamente) in cui l’intensità del prurito era
diminuita del 50% in seguito al trattamento. Uno studio
recente, condotto utilizzando il DVM DermCaps in forma
liquida in gatti con manifestazioni allergiche, ha evidenziato che nel 40% circa dei soggetti l’assunzione dell’integratore comportava l’interruzione del grattamento26. L’interpretazione dei dati relativi ai cani e ai gatti a cui era stato
somministrato l’EfaVet presenta maggiori difficoltà poiché, in molti casi, non è stato specificato il grado di diminuzione del prurito21,27, mentre è stata riportata l’efficacia
del prodotto. È importante notare che nell’ambito di questi studi sono state adottate terapie di lunga durata.
L’uso dei due integratori può comportare lo sviluppo di
effetti collaterali, fra cui disordini gastrointestinali, aumento del prurito e orticaria, che tuttavia vengono segnalati
raramente. Attenendosi alle posologie consigliate, l’apporto calorico di questi prodotti è basso e non ne preclude
l’impiego negli animali che seguono diete ipocaloriche.
Benché manchino dati precisi in proposito, sembra che
questi prodotti possano indurre la comparsa di episodi di
pancreatite negli animali predisposti alla condizione. Se in
tali soggetti si rende necessario questo tipo di integrazione, è opportuno iniziare il trattamento con dosi limitate
aumentandole gradualmente fino a raggiungere quelle
consigliate nell’arco di due o tre settimane.
Gli integratori a base di acidi grassi possono rendersi
utili nel trattamento del prurito cronico, benché molti
punti a riguardo richiedano ancora un chiarimento. Gli
effetti favorevoli dipendono dalla frazione omega-6, da
quella omega-3 o dall’associazione delle due sostanze? Se
gli acidi grassi omega-6 rivestono un ruolo importante,
quale o quali di questi svolgono l’azione più efficace? Se le
associazioni assicurano un’efficacia maggiore dei singoli
componenti, qual è il rapporto ottimale fra gli acidi grassi?
Inoltre, qual è il dosaggio ottimale di ogni singolo prodotto? Diversi studi hanno affrontato alcuni dei precedenti
quesiti28-32, senza tuttavia ottenere alcuna risposta definitiva. In attesa di dati certi, si consiglia di utilizzare soltanto
prodotti commercializzati da diversi anni, attenendosi alle
posologie indicate dalla ditta produttrice.
ANTIDEPRESSIVI TRICICLICI
Come accennato in precedenza, il prurito può avere origine, oppure essere modulato, a livello centrale.
Classicamente, gli antidepressivi triciclici sono stati utilizzati per trattare le malattie depressive nell’uomo e i disordini comportamentali negli animali da compagnia.
Recentemente, questi farmaci sono stati impiegati nei
pazienti umani per il trattamento di numerose dermopatie
che non sembrano riconoscere un’origine psicogena33.
L’esatto meccanismo d’azione di questi prodotti non è
noto, tuttavia ne è stato dimostrato il legame, con varia
affinità, a diversi recettori fra cui quelli istaminici (H1 e
H2), muscarinici dell’acetilcolina, noradrenergici e serotoninici33. Data la notevole affinità degli antidepressivi
triciclici per i recettori H1, questi prodotti sono gli antistaminici H1-bloccanti dotati di maggiore efficacia. Oltre alle
controindicazioni descritte per gli antistaminici H1-tradizionali, gli antidepressivi triciclici devono essere evitati nei
soggetti con cardiopatie o epatopatie e in quelli con disordini convulsivi.
Nel cane, per il controllo del prurito, sono stati utilizzati
due antidepressivi triciclici, rappresentati dalla doxepina e
dall’amitriptilina34,35. I dati a sostegno dell’uso di questi
prodotti nel gatto sono pressoché inesistenti. Benché la
doxepina sembri essere ampiamente utilizzata34, l’unica
pubblicazione relativa all’efficacia del farmaco ha segnalato
risultati deludenti; infatti, su 30 cani trattati non è stata
ottenuta alcuna risposta14 e in quattro soggetti sono stati
riscontrati effetti collaterali. I dati riguardanti l’amitriptilina sono migliori. Il farmaco, somministrato in 31 cani con
manifestazioni di allergia alla dose di 1 mg/kg ogni 12 ore,
ha provocato la scomparsa del grattamento in 5 soggetti
(16,1%) e la diminuzione dell’intensità del prurito di oltre
il 50% in altri 535. Un cane manifestò segni di sonnolenza
nel corso della somministrazione del farmaco e in un altro
venne rilevata la comparsa di vomito e di anomalie comportamentali, che resero necessaria l’interruzione del trattamento. Se queste cifre verranno confermate in un numero
più elevato di cani con manifestazioni allergiche, l’amitriptilina potrebbe rivelarsi uno dei farmaci non steroidei di
maggiore efficacia per il trattamento del prurito cronico.
Nell’uomo, la terapia con antidepressivi triciclici viene
interrotta riducendo lentamente il dosaggio del farmaco.
Questo metodo non si applica nei cani che hanno assunto
il farmaco per una o due settimane, mentre, nelle terapie a
lungo termine può rendersi necessaria la riduzione graduale delle somministrazioni. In un cane su 4 che avevano
assunto antidepressivi triciclici per un periodo prolungato,
gli autori hanno rilevato la comparsa di comportamenti
anomali a 18 ore di distanza dall’interruzione improvvisa
della terapia. Questo fenomeno non è segnalato in altri
soggetti, ma potrebbe essere riscontrato con maggiore frequenza vista la crescente diffusione del farmaco.
AGENTI CITOTOSSICI
Quale soluzione è possibile adottare nei soggetti con
dermatiti atopiche croniche che non rispondono alle diverse terapie non steroidee trattate in precedenza, che non tollerano o non assumono corticosteroidi e che non reagiscono all’immunoterapia? Nella maggior parte dei casi, il proprietario chiede che l’animale venga soppresso per via eutanasica. Ammettendo che il prurito non sia di origine centrale, la terapia immunosoppressiva può rivelarsi utile.
L’esperienza riferita dagli autori è limitata al trattamento di
sei cani con dermatite atopica non controllabile per mezzo
di agenti citotossici che hanno fornito risultati validi. Il farmaco utilizzato era l’azatioprina, dotata sia di attività
immunosoppressiva che antiinfiammatoria8. Il farmaco
deve essere assunto giornalmente alla dose di 2,2 mg/kg
fino ad ottenere il controllo del prurito (solitamente dopo
69
Il trattamento farmacologico del prurito cronico
due o tre settimane), quindi la frequenza delle somministrazioni viene ridotta fino al minimo livello accettabile.
Nei soggetti trattati dagli autori si sono rese necessarie
somministrazioni a giorni alterni.
Questa forma di trattamento è radicale e potenzialmente pericolosa per la vita del soggetto ed è opportuno considerarla soltanto quale ultima risorsa. Il farmaco e i test di
laboratorio indispensabili per il monitoraggio del soggetto
sono costosi. A causa delle dimensioni delle compresse di
azatioprina, è difficile trattare i cani di peso inferiore a 12
kg. Inoltre, la polvere prodotta spezzando le compresse
può essere pericolosa per il proprietario al quale bisogna
sconsigliare tale manovra. Presso le farmacie, per mezzo di
uno speciale dispositivo a cappa aspirante la polvere viene
incapsulata consentendo di eseguire il trattamento nei cani
di piccola taglia. Questo ulteriore intervento può accrescere il costo del prodotto e potrebbe rivelarsi più efficace un
altro farmaco. Al momento attuale, gli autori non posseggono alcuna esperienza relativa ad altri prodotti o
all’applicazione di questi trattamenti nei gatti con manifestazioni di prurito.
ASSOCIAZIONE DI FARMACI
Se il prurito è scatenato da un unico mediatore, non è
necessario prendere in considerazione la somministrazione
simultanea di diversi farmaci antipruriginosi nello stesso
soggetto. Tuttavia, è possibile che numerosi mediatori
distinti agiscano contemporaneamente generando il prurito. Un determinato farmaco potrebbe eliminare in parte lo
stimolo pruriginoso ma non essere in grado di interrompere il grattamento a causa dell’influenza esercitata dagli altri
mediatori, come dimostrano le risposte parziali agli antistaminici, all’integrazione con acidi grassi e agli antidepressivi
triciclici. Le ditte produttrici di farmaci per uso veterinario,
riconoscendo questa possibilità, in passato hanno messo in
vendita alcune associazioni di steroidi e antistaminici.
Questi prodotti sono stati ritirati dal commercio poiché
mancavano dati in sostegno della loro efficacia.
Attualmente, lo sviluppo di questi dati potrebbe consentire
la riutilizzazione di questi farmaci nella pratica clinica.
La prima esperienza degli autori sull’efficacia delle terapie associate riguardò lo studio iniziale del DVM
DermCaps20. In otto cani non venne registrata alcuna risposta all’integratore e fu necessario ricorrere alla somministrazione di prednisone a giorni alterni per controllare il prurito. Quando veniva stabilita la dose di mantenimento, la
terapia veniva integrata con il DVM DermCaps. Dopo due
settimane di somministrazione associata, venne chiesto ai
proprietari di ridurre il dosaggio del prednisone. In tutti i
cani fu possibile diminuire il livello di mantenimento degli
steroidi in percentuale compresa fra il 25% e il 50%20.
La seconda prova di associazione riuniva il prednisone e
un antistaminico rappresentato dalla trimeprazina. I due
farmaci vennero somministrati prima singolarmente e poi
associati in trenta cani con dermatite atopica14. La risposta
al prednisone fu eccellente; infatti venne rilevata in una
percentuale di cani superiore al 50%. L’azione della trimeprazina, utilizzata singolarmente, fu molto scarsa, mentre l’associazione dei due farmaci esercitò effetti favorevoli
nel 76% circa dei soggetti. Nello stesso lavoro14 venne
70
segnalato che, nei cani con dermatiti atopiche, l’aggiunta
di trimeprazina alla terapia con prednisone a giorni alterni
consentiva di ridurre il dosaggio dello steroide dal 30% al
50% nel 75% dei soggetti. In conclusione, è possibile ritenere che fra gli steroidi e gli antistaminici esista una forma
di sinergismo.
Gli studi relativi all’efficacia delle associazioni di farmaci
proseguono. Al momento attuale, sono state portate a termine due ricerche, nel cane, basate sull’associazione del
DVM DermCaps con vari antistaminici. Entrambi i lavori
hanno dimostrato che le terapie associate sono più vantaggiose dei trattamenti eseguiti con un unico farmaco. Nel
35% circa dei 23 cani allergici che non rispondevano al
DVM DermCaps o alla clorfeniramina usati singolarmente
venne rilevata una risposta soddisfacente alla loro associazione28. In uno studio analogo, su 30 cani, il 10% rispose
all’associazione fra DVM DermCaps e l’antistaminico clemastina15. Anche nel gatto esistono fenomeni di sinergismo. In 11 gatti con manifestazioni allergiche, la somministrazione contemporanea di DVM DermCaps, in formulazione liquida, e clorfeniramina comportò la scomparsa del
grattamento in 6 soggetti (54,5%), mentre la precedente
assunzione dei due farmaci separatamente non aveva prodotto alcun beneficiob. Gli studi attualmente disponibili
sull’efficacia delle associazioni di farmaci devono essere
considerati lavori preliminari a causa del numero limitato
di animali studiati. L’uso migliore delle terapie associate
dipende dal grado di collaborazione del proprietario e
dallo schema terapeutico applicato al soggetto. Poiché questo tipo di terapia consente di ridurre il prurito e la necessità dei corticosteroidi ma non di eliminarli, bisogna che il
proprietario sia disposto ad eseguire diverse prove e comprenda che qualsiasi riduzione dei fabbisogni di corticosteroidi costituisce un vantaggio. Non tutti i proprietari o i
soggetti da trattare sono idonei per questo tipo di studi.
Attualmente, è consuetudine iniziare le prove cliniche
associando farmaci non steroidei con il DVM DermCaps.
Ogni prodotto adatto viene somministrato insieme all’integratore per un periodo di sette giorni, al termine del quale
viene valutata l’efficacia del trattamento. Se non viene
riscontrata alcuna risposta, viene provata l’associazione
successiva. Se l’animale smette di grattarsi, la somministrazione di uno dei due farmaci deve essere immediatamente
sospesa per valutare se la risposta dipende da uno dei prodotti o dalla loro associazione.
Benché alcuni studi abbiano dimostrato l’esistenza di
un’azione sinergica fra i corticosteroidi e i farmaci non steroidei14,20, gli autori sconsigliano l’uso dei prodotti associati disponibili in commercio. Quelli maggiormente diffusi
in passato comprendevano un antistaminico e un corticosteroide. Somministrando correttamente quest’ultimo,
l’animale assumerebbe l’antistaminico a giorni alterni, frequenza che consente al farmaco di svolgere effetti scarsi o
nulli. Al contrario, utilizzando in modo appropriato l’antistaminico, l’animale potrebbe sviluppare una condizione
di iperadrenocorticismo iatrogeno poiché lo steroide verrebbe somministrato giornalmente se non più volte
nell’arco della giornata. La garanzia di sicurezza delle
associazioni di corticosteroidi e farmaci non steroidei si
b
Scott DW: dati non pubblicati, Cornell University, 1994.
Veterinaria, Anno 9, n. 2, Giugno 1995
ottiene unicamente utilizzando preparazioni singole di
ogni componente. In primo luogo bisogna stabilire la
richiesta di corticosteroidi e successivamente associarvi il
secondo farmaco. Se quest’ultimo esercita effetti favorevoli, la dose del corticosteroide dovrebbe poter essere ridotta in percentuale pari o superiore al 25%.
University, Ithaca, New York. I Dr. Miller e Scott sono
Diplomates dell’American College of Veterinary
Dermatology.
Bibliografia
1.
CONCLUSIONI
Nel corso degli ultimi cinque anni sono state condotte
numerose prove cliniche rivolte al trattamento del prurito
mediante farmaci non steroidei. Nel presente lavoro sono
state descritte quelle che hanno dimostrato un’efficacia
significativa. Gli autori hanno studiato altri tipi di farmaci,
fra cui papaverina, acido acetilsalicilico, vitamina E, vitamina C e zinco, ottenendo tuttavia risultati deludenti10,12,20,36. Altri trattamenti (quali la crisoterapia4), comunemente utilizzati in dermatologia, non sono stati provati in
animali con manifestazioni di prurito cronico e potrebbero fornire effetti farmacologici vantaggiosi. Anche altri
prodotti antiinfiammatori non steroidei, utilizzati per il
trattamento di affezioni non dermatologiche negli animali
da compagnia37, potrebbero rivelarsi utili nei casi di prurito cronico. Al momento attuale sono disponibili, o in via
di sperimentazione, moltissimi farmaci che possono svolgere notevoli effetti antipruriginosi. I prossimi 5 o 10 anni
potrebbero riservare molte novità e forse si potrà arrivare
a fare a meno dei corticosteroidi.
In riferimento al carattere di successo - o - fallimento di
alcune prove farmacologiche, spesso si commenta che i
proprietari non accettano questo tipo di approccio. L’interesse e le possibilità economiche del proprietario e lo schema terapeutico possono impedire l’uso dei farmaci trattati
nel presente lavoro, ciononostante molti clienti, avendone
l’opportunità, sono disposti a provare uno o più farmaci
non steroidei. È auspicabile che tale possibilità venga
sfruttata prima dello sviluppo di gravi effetti collaterali
dovuti agli steroidi. L’uso dei farmaci descritti nel presente lavoro o in altre pubblicazioni richiede alcune raccomandazioni. I farmaci non steroidei forniscono percentuali di efficacia inferiori ai corticosteroidi. In qualunque
serie di casi o di prove cliniche, i risultati possono essere
entusiasmanti o deludenti. La potenziale validità di un farmaco non deve essere valutata prima di avere completato
il protocollo in almeno 20 soggetti. Se i primi risultati ottenuti sembrano promettenti, è necessario studiare il prodotto in un numero maggiore di individui per definirne la
reale efficacia. Probabilmente molti farmaci forniscono
risultati soltanto nel 10% dei soggetti, i quali, tuttavia, ne
traggono sollievo e di cui i proprietari sono soddisfatti.
Quando vengono provati numerosi farmaci a rotazione, si
possono prevedere percentuali di risposta superiori al
40%10. Con il progredire delle ricerche in campo dermatologico, sicuramente i casi di iperadrenocorticismo iatrogeno saranno destinati a diminuire.
Note sugli Autori
I Dr. Miller e Scott sono affiliati al Department of
Clinical Sciences, College of Veterinary Medicine, Cornell
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
9.
10.
11.
12.
13.
14.
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