recensioni, commenti e segnalazioni PSICOFISIOLOGIA

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PSICOFISIOLOGIA
COGNITIVA.
I SUBSTRATI
NEURO-FUNZIONALI
DELLA MENTE
UMANA.
Alice Mado Proverbio e
Alberto Zani (Eds).
Roma: Carocci. 517 p.
Lit 78 000
Questo volume antologico presenta un ampio spettro di
ricerche di psicofisiologia cognitiva che utilizzano diversi
paradigmi sperimentali. La prima parte del volume comprende,
oltre all’introduzione teorica, un secondo capitolo in cui viene
descritto in dettaglio l’approccio metodologico della
registrazione di segnali elettrici e magnetici di superficie e dei
potenziali transitori legati ad eventi (ERP ed ERF). La seconda
parte del libro comprende il terzo e il quarto capitolo che
presentano due diversi approcci metodologici della
psicofisiologia: rispettivamente quello della stimolazione e
registrazione dell’attività elettrica di singoli neuroni, e quello
della visualizzazione anatomica e funzionale del cervello come
PET e risonanza magnetica. La terza parte del volume, comprendente
i capitoli da 5 a 8, è tutta sul fenomeno dell’attenzione;
i diversi capitoli da 9 a 12 della quarta parte trattano la
percezione, il linguaggio, la memoria e l’apprendimento; la
quinta parte del volume (capitolo 13) è sull’integrazione
interemisferica. Alcuni degli studi riportati hanno utilizzato
più di un metodo. Infine la sesta e ultima parte (capitoli 14-18)
descrive i metodi di registrazione e analisi dei dati con la
tecnica ERP.
Oggi viene riconosciuta la necessità di stabilire più stretti
rapporti tra la ricerca comportamentale e quella fisiologica, e in
particolare tra psicofisiologia e psicologia cognitiva e questo
volume rappresenta un contributo interessante al proposito. I
curatori presentano nel primo capitolo il quadro generale di
riferimento che guida il loro lavoro e quello degli autori che
hanno contribuito all’opera. Gli psicofisiologi cognitivi
condividono un quadro generale di riferimento secondo cui gli
indici fisiologici (come ad esempio i segnali elettro-magnetici
cerebrali) che si sviluppano durante i processi mentali di
elaborazione dell’informazione delineano la codifica funzionale
di questi stessi processi mentali e sono perciò preziosi per
comprendere il modo in cui il cervello cambia con l’esperienza
e l’apprendimento. Tuttavia, vi è una importante differenza tra
coloro che considerano gli indici fisiologici come correlati dei
processi cognitivi e coloro che, come i curatori del presente
volume, li considerano invece manifestazioni dirette dei processi
cognitivi di elaborazione dell’informazione. I curatori criticano
l’uso di indici fisiologici come correlati e non manifestazioni
dei processi di elaborazione delle informazioni perché, a seconda
del compito e delle istruzioni date, la correlazione puntuale tra
le caratteristiche dei segnali elettrici, come latenza o ampiezza,
e il prodotto comportamentale, come il tempo di reazione, non
viene sempre osservata. Nella loro argomentazione i curatori
sostengono che gli indici fisiologici e gli indici comportamentali
vanno trattati alla pari come manifestazioni o segnali dei
processi, coscienti o meno, di elaborazione dell’informazione
perché sono obiettivi nella stessa misura (cioè altrettanto o
altrettanto poco). Infatti, proseguono i curatori nella loro
argomentazione, sia gli indici comportamentali che gli indici
fisiologici richiedono un’interpretazione, e un’interpretazione
alla luce delle teorie della mente. Se entrambi i tipi di indici
vengono utilizzati durante l’esecuzione di un compito, diviene
più probabile interpretarli correttamente. Certamente i metodi
di mappaggio topografico e di localizzazione cerebrale dei
segnali elettrici e magnetici forniscono utili indicazioni sulle
strutture cerebrali da cui i processi mentali scaturiscono, ma,
coerentemente con le tesi precedenti, neppure le localizzazione
anatomica ha senso senza una teoria delle relazioni mentecervello.
L’influenza simultanea e reciproca tra diversi metodi
e discipline può produrre tale teoria.
Esemplificazione degli assunti precedenti è la discussione
della relazione tra tempi di reazione (TR) e segnali elettrici
(ERP). Nell’approccio tradizionale della psicofisica venivano
e vengono utilizzati i tempi della risposta dei soggetti a
determinate stimolazioni per studiare l’organizzazione
funzionale cerebrale e le asimmetrie emisferiche. Ad esempio,
stimoli visivi di natura spaziale o verbale vengono presentati
alternativamente negli emicampi visivi destro e sinistro per
intervalli di tempo inferiori a quelli necessari a muovere gli
occhi. A seconda del tipo di stimolo e dell’emicampo visivo
interessato la precisione della risposta di riconoscimento o la
rapidità di risposta dei soggetti sperimentali è più o meno
efficiente fornendo così indicazioni sul tipo di stimolo e di
informazione, spaziale o verbale, che l’emisfero controlaterale
all’emicampo visivo utilizzato è preposto ad elaborare. Ora,
questa tecnica non consente di esaminare l’attività funzionale
delle diverse aree degli emisferi cerebrali, perché fornisce
soltanto un indice generale di attivazione dell’emisfero
medesimo, e non informazioni sui singoli stadi di elaborazione
dell’informazione nell’intervallo tra ricezione dello stimolo ed
esecuzione della risposta. Inoltre, la tecnica dei TR si basa
tradizionalmente su ipotesi di tipo seriale dell’elaborazione
dell’informazione, ossia sull’assunzione implicita che se un
compito diviene più complesso richiede stadi aggiuntivi
dell’elaborazione dell’informazione. A differenza dei TR, gli
ERP permettono di avere indicazioni sull’attivazione dei
sottosistemi cerebrali funzionali (responsabili dei diversi stadi
di elaborazione). D’altro canto, però, i TR possono dare
indicazioni preziose sulle strategie decisionali dei soggetti.
Assunto che i due metodi misurino aspetti in parte diversi
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dell’attività cognitiva, l’uso combinato delle due tecniche
aumenta l’attendibilità di entrambi gli strumenti di misura. Il
tipo di compito e di istruzione data, se per esempio è importante
la rapidità oppure la precisione della risposta, attiva strategie
decisionali diverse che modificano le dinamiche di elaborazione
non per un solo stadio del processo ma tutto il processo
decisionale. Nel secondo capitolo viene descritto dettagliatamente
l’approccio metodologico della registrazione di segnali
elettrici e magnetici di superficie e dei potenziali transitori
legati ad eventi e vengono affrontati alcuni tipici problemi,
come ad esempio il fatto che ad un’ottima risoluzione temporale
non corrisponda una risoluzione spaziale altrettanto ottimale.
La descrizione dei metodi è particolarmente chiara.
Come esempio di un altro tipo di approccio metodologico
vorrei citare il terzo capitolo. Non soltanto il metodo è illustrato
chiaramente ma anche i risultati e il loro significato sono resi
comprensibili e interessanti anche per chi non ha familiarità
con questo tipo di ricerche. L’autore racconta come attraverso
diverse fasi della ricerca siano stati recentemente identificati i
neuroni e i meccanismi neurali responsabili della percezione
delle posizioni e distanze dall’osservatore degli oggetti
nell’ambiente circostante come stabili nonostante i movimenti
degli occhi causino continui cambiamenti nelle immagini
retiniche. Responsabili della stabilità delle immagini sono dei
neuroni che reagiscono agli stimoli visivi indipendentemente
dalle loro proiezioni sulla retina. Infatti, oltre ai neuroni classici,
che reagiscono alle immagini retiniche, e ai neuroni detti gazedependent,
che reagiscono alla posizione degli occhi nelle
orbite, sono stati trovati dei neuroni, chiamati real-position,
che sono ancorati a posizioni spaziali costanti localizzate su
zone della faccia di cui rappresentano una proiezione nello
spazio peripersonale. In questo capitolo vengono anche discusse
le possibili omologie di alcune zone della corteccia parietale
nella scimmia e nell’uomo e viene proposta un’affascinante
ipotesi basata sui risultati sperimentali e cioè che vi possano
essere due modi di codificare l’informazione sullo spazio
visivo egocentrico: 1) rappresentazioni dinamiche dello spazio
dove le relazioni con l’osservatore non siano critiche e che
potrebbero essere utilizzate nell’esplorazione visiva, delle quali
sarebbero responsabili i neuroni gaze-dependent; 2) una
rappresentazione statica dello spazio peripersonale come quella
costruita dalle cellule real-position, che potrebbe essere utilizzata
per scopi motori e interazioni dirette con gli oggetti, dove
insomma le relazioni tra oggetti e osservatore sono critiche.
Nell’insieme il libro è pregevole perché presenta interessanti
contributi sui principali filoni di ricerca in psicofisiologia
cognitiva e perché alla chiarezza nell’esposizione dei metodi e
dei risultati unisce la discussione su possibili diverse
interpretazioni dei risultati rilevando anche che alcune questioni
importanti restano controverse. La lettura di questo libro può
risultare utile oltre che agli psicofisiologi, anche ai ricercatori
e agli studiosi di altre aree della psicologia cognitiva. A questo
proposito vorrei sottolineare l’utilità di pubblicare sia volumi
originali in italiano che traduzioni italiane di testi scientifici in
inglese per facilitare la comunicazione e lo scambio tra studiosi
di diverse discipline. La comprensione del lavoro di ricerca
svolto in discipline diverse dalla propria può essere facilitata
dall’uso della propria lingua. Devo infine purtroppo rilevare la
mancanza di indici per autori e per soggetto.
Patrizia Potì
Consiglio Nazionale delle Ricerche, Roma
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