Gli acquedotti nel mondo romano L’acquedotto è un sistema di canali artificiali impiegato per il trasporto delle acque. Con il termine "acquedotto" spesso intendiamo anche l’insieme delle opere di raccolta e di distribuzione dell’acqua potabile. La costruzione dei primi acquedotti risale alle popolazioni dell’antichità, più precisamente in India e Mesopotamia, ma il sistema di opere più esteso del mondo fu certamente quello dei Romani. In principio l’acqua potabile delle città proveniva da diversi pozzi scavati all’interno delle mura. Tuttavia i progettisti erano a conoscenza che l’aumento della popolazione avrebbe necessitato di ulteriori costruzioni o modifiche, poiché questi soltanto non sarebbero stati sufficienti. Per questo motivo venne proposta in molte città la costruzione di lunghi acquedotti che collegavano i vari laghi alle città. Per anni tecnici e ingegneri attuarono studi sul posizionamento delle condotte, sul livellamento, e sul percorso, scelsero particolari inclinazioni per assicurare lo scorrere dell’acqua, costruirono impianti in modo che l’acqua non subisse furti o venisse inquinata, perforarono un gallerie, quando era necessario, e costruirono pozzi verticali, finché non arrivarono alla completa realizzazione delle imponenti opere progettate. Il primo acquedotto romano fu l’acqua Appia, nel 312 a.C. una condotta sotterranea di circa 16 km, realizzata durante l’amministrazione di Appio Claudio, da cui prese il nome. Circa nel 144 a.C. troviamo l’acqua Marcia, il primo acquedotto non sotterraneo, costruito dal pretore Marcio, questo, di grandissime dimensioni, era complessivamente lungo 90 km ed era dotato di ponti-canali. Grazie a questi grandi acquedotti, l’aumento demografico non fu più un problema, e la siccità non rappresentò più una minaccia, poiché queste nuove e spettacolari opere fornivano ora milioni di litri d’acqua alle città, e ogni cittadino poteva godere di una disponibilità odierna doppia rispetto al passato. La costruzione degli acquedotti fu una delle imprese più impegnative, meglio riuscite e più apprezzate nel mondo romano, dove essi erano definiti come la "più alta manifestazione della grandezza Romana". Questi edifici erano la prova sempre più evidente delle grandi capacità tecnologiche del tempo, e del grande sviluppo della stessa civiltà. Attualmente una parte degli 11 acquedotti più importanti che regolavano la distribuzione delle acque al tempo dei romani, è ancora funzionante, e viene impiegata per rifornire molte fontane. Gran parte delle notizie che attualmente abbiamo riguardo a queste opere edilizie, le dobbiamo a Sesto Giulio Frontino, "curator acquarum" che visse durante il regno di Nerva. Grazie alla sua opera, "De aqaeductu Urbis Romae", ci è stata rivelata una preziosissima miniera di informazioni sull’edilizia idraulica a Roma ma anche in tutto il resto del territorio dell'impero romano, come i percorsi degli acquedotti, i nomi dei costruttori, l’acqua trasportata, l’ubicazione delle sorgenti, il tipo di struttura muraria e tanto altro. Dagli scritti di Frontino traspare l’orgoglio di un cives romanus di quel tempo, consapevole dell’ingegno e dell’abilità della sua civiltà nella costruzione di enormi opere pubbliche come gli acquedotti, opere incontestabilmente utili a tutti i cittadini. Imponenti arcate, ponti, canali, a costruire imponenti acquedotti, simboli della grande capacità tecnologica dell’Impero Romano. L'acquedotto Claudio (in latino Aqua Claudia), l'ottavo acquedotto romano in ordine di tempo, è stato uno dei più importanti della Roma antica, sia per le tecnologie d'avanguardia utilizzate nella costruzione, che per il notevole impegno di mano d'opera, che per l'entità delle spese sostenute per realizzarlo.