Ilaria CANI 3AI, Approfondimento su “Le acque di Bologna” - Febbraio 2011, Pagina 1 di 2 04
L’ACQUEDOTTO ROMANO
Un acquedotto è un'opera, più o meno complessa,
costruita per trasportare acqua da un posto ad un altro
per soddisfare vari scopi: può essere ad uso potabile, ad
uso irriguo, ad uso industriale.. La parola deriva dai due
termini latini aqua ("acqua") e ducere ("condurre").
Costruttivamente può essere realizzato in vari modi:
con canali artificiali, ovvero con tubazioni.
Nel caso di canali, il funzionamento può essere solo a
pelo libero; nel caso di tubazioni anche in pressione.
Per gli acquedotti potabili, si preferisce il
funzionamento in pressione, perché dà maggiore
garanzia di igienicità.
Molti acquedotti attraversano il paesaggio con
dei ponti o somiglianti a dei piccoli fiumi. Acquedotti
abbastanza larghi possono essere utilizzati
da imbarcazioni. Sono tipi particolari di viadotti, che anziché far superare ostacoli a strade e ferrovie,
trasportano acqua; ma, mentre con i ponti stradali si possono raggiungere punti più elevati rispetto al
percorso di base, la cosa è ovviamente impossibile per l'acquedotto.
L’acquedotto nella storia.
La necessità di costruire sistemi di trasporto e di distribuzione dell'acqua si ebbe quando le popolazioni
agricole, stanziate in prossimità del corso dei fiumi, in seguito all'incremento demografico dovettero
rendere coltivabili terreni in regioni povere d'acqua. Il contemporaneo sviluppo e moltiplicarsi di centri
abitati rese indispensabile regolare in modo razionale i deflussi disponibili, con opportune opere (canali,
serbatoi, ecc.) la cui edificazione, spesso molto impegnativa, richiese che fossero messe in comune le
risorse a disposizione di popolazioni vicine, per cui si accelerò il processo di unificazione e
coordinamento dell'organizzazione sociale di questi popoli.
Anche se di abitudine si associa l'acquedotto all’Antica Roma, in realtà la loro invenzione risale ad alcuni
secoli prima, quando, nel Medio Oriente, antichi popoli come i babilonesi e gli egiziani costruirono dei
sofisticati impianti di irrigazione. Riuscirono, unendosi, a creare
una rete di irrigazione artificiale, estesa a vaste zone dei loro
territori, che permise l'adozione di un'agricoltura
considerevolmente organizzata, base economica dei futuri imperi.
Gli acquedotti di stile romano furono usati sin dal VII secolo a.C.,
quando gli Assiri costruirono una struttura di calcare per
trasportare l'acqua attraverso una valle fino alla capitale Ninive per
una lunghezza totale di 80 km.
Anche in Cina la coltura del riso poté espandersi
considerevolmente grazie alla creazione di una vasta rete di
irrigazione alimentata dalle acque derivate dallo Yangtze Kiang e
dall'Hwang Ho. Il problema delle opere atte al trasporto e alla
distribuzione delle acque venne risolto sino da tempi antichissimi
mediante l'uso di condotte interrate di sezione opportuna.
I Romani costruirono numerosi acquedotti per portare acqua ai
centri abitati e alle industrie, con ogni probabilità sviluppando
l'esperienza degli Etruschi nel campo dell'idraulica per risolvere
problemi tecnici di notevole importanza.
La stessa città di Roma ebbe la più grande concentrazione di
condotte idriche con 11 acquedotti costruiti nell'arco di cinque
secoli, nei territori dell’Impero se ne contano circa duecento.
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Il più antico acquedotto romano è quello dell'aqua Appia, che risale al 312 acquedotto C. ed è
completamente interrato, mentre il primo esempio di acquedotto sostenuto da arcate è quello costituito
dall'Anio Vetus (272 acquedotto C.) che
veniva alimentato dalle acque dell'Aniene.
L’acqua era considerata proprietà statale
destinata ad usi pubblici, ma su concessione
speciale dell’imperatore o con il pagamento di
una tassa specifica, poteva rifornire anche case
private. Proprio grazie a questa eccezionale
abbondanza, Roma venne definita regina
aquarum ("regina delle acque").
(Acquedotto Anio Vetus.)
Gli acquedotti romani trasportavano,
con pendenza dolce e costante, solo acque
sorgive ed erano formati da condotti
impermeabilizzati con pozzi d'aerazione aperti
a intervalli regolari nelle volte. La necessità di evitare bruschi dislivelli di pendenza portò alla creazione
dell'acquedotto sopraelevato e quindi a una nuova applicazione dell'arco da ponte fluviale, le cui lunghe
teorie costituiranno la caratteristica tipologica dell'acquedotto romano.
Molte delle esperienze accumulate dagli antichi romani vennero perse durante il Medioevo e in Europa la
costruzione di acquedotti conobbe una interruzione fino al XIX secolo. L'approvvigionamento di acqua
venne garantito principalmente tramite lo scavo di pozzi, ma questo metodo creava gravi problemi di
salute pubblica quando le falde acquifere risultavano contaminate. Lo sviluppo di nuovi materiali (come il
calcestruzzo e la ghisa) e di nuove tecnologie (come il motore a vapore) consentirono significativi
miglioramenti.
Bologna.
L'acquedotto Romano di Bologna è una delle
più importanti opere idrauliche della regione e
fu realizzato intorno al 30 a.C. I romani si
approvvigionavano di acqua dal tunnel che
scavarono intorno al 100 a.C. Il posto ideale
del Castellum Acquae era proprio alle pendici
dell' Osservanza, da dove l'acqua poteva
raggiungere con sufficiente forza tutto
l'abitato. Essi avevano capito già all'epoca che
l'acqua del Setta era più pura di quella del
Reno. Infatti l'acquedotto prelevava l'acqua a
Sasso Marconi dal fiume Setta e la
convogliava fino al palazzo oggi dell'Ente
Ferrovie, angolo via d'Azeglio con via Farini,
dove c'era una vasca di decantazione. Poi da lì
attraverso il sistema delle fistulae aquariae (tubi di piombo) si distribuiva l'acqua a tutta la città, alle
terme e alle abitazioni civili. Resta da dire che, secondo uno studio del 1897 del prof. Floriano Brazzola,
l'antico cunicolo romano continuava fino a Rioveggio, ma di questo tratto si sono perse le tracce. Quello
di Bologna è l’unico ad essere completamente in cunicolo, scavato in parte nella roccia e in parte nel
terreno permeabile rinforzato con opere murarie e intonaco per garantirne l'impermeabilità. L’opera fu
mantenuta efficiente fino all'alto Medioevo. Alle cure degli ingegneri e alle maestranze dei romani
seguirono le invasioni barbariche, così che non si fecero più opere di manutenzione. Quindi l'acquedotto
cominciò a gettare meno acqua, fino a restare praticamente chiuso. Poi se ne perse anche il ricordo. Solo
nel 1881, si vide nuovamente zampillare l'acqua del Setta da una fontana, costruita per l'occasione
in Piazza Maggiore. Autore del restauro fu A. Zannoni. Tuttora l'acqua dell'acquedotto romano del Setta
contribuisce, per circa un quinto, al fabbisogno idrico della città.