Francesco Fontana1 Le infinite vie della luce «Chi ti descriverà, luce divina che procedi immutata ed immutabile dal mio sguardo redento? Io no: perché l'essenza del possesso di te è "segreto" eterno e inafferrabile; io no perché col solo nominarti ti nego e ti smarrisco; tu, strana verità che mi richiami il vagheggiato tono del mio essere» [Alda Merini, Luce2] Forse nessun fenomeno fisico come la luce racconta così bene la storia della nostra invenzione del mondo. Nel IV secolo aC la visione era spiegata da raggi visuali che uscivano dall’occhio e, come il bastone di un cieco, sondavano il mondo esterno. L’idea si ritrova dai tempi di Euclide a Claudio Tolomeo e per tutto il Medioevo fino a Galileo. Una minoranza invece sembra aver seguito l’idea democritea delle èidola, scorze sottilissime che tutti i corpi emanano in tutte le direzioni, alle quali l’occhio è sensibile. Gli Arabi hanno dato il primo contributo fondamentale all’idea moderna della visione con la figura di Ibn alHaitham, noto col nome di Alhazen. Le sue idee sono state tradotte dal monaco polacco Vitellione – che non cita il nome dell’arabo. 1604, un tedesco ... Johannes Kepler, ispirato dalle idee di Alhazen riportate da Vitellione, scrive 3 le prime pagine moderne sulla natura della luce: la luce è un insieme di “raggi” emessi da sorgenti luminose che gli oggetti possono “deviare” in diverse direzioni, alcuni nella direzione delle nostre pupille. 1704, un inglese ... Isaac Newton pubblica4 l’Opticks nella quale espone, seguendo un rigoroso metodo sperimentale, la sua idea sulla natura corpuscolare della luce. La luce diviene un flusso di “corpuscoli”, emessi da sorgenti luminose e riflessi dai corpi, che entrano nei nostri occhi. 1 2 3 4 Insegna matematica e fisica al liceo Ferraris. Mi perdonerebbe Alda Merini di aver profanato la sua luce con la mia? Nell’opera Ad Vitellionem paralipomena quibus astronomiae pars optica traditur. In ritardo rispetto alla prima stesura (come già fu per i Principia, sebbene per motivi diversi) in parte a causa di un’aspra polemica con Robert Hooke. Questi, che era in disaccordo con l’idea newtoniana della natura corpuscolare della luce, morì nel 1703. Un anno dopo esce l’Opticks. 1 1804, ancora un inglese ... Thomas Young pubblica5 i risultati dei suoi famosi esperimenti sull’interferenza della luce. La luce non può essere spiegata con i corpuscoli di Newton, ma è costituita da “onde”, oscillazioni armoniche di un mezzo. 1905, ancora un tedesco ... Albert Einstein pubblica6 il suo articolo sull’interpretazione dell’effetto fotoelettrico. La luce non è più un’onda ma è costituita da un flusso di “corpuscoli di energia”: la sua corpuscolarità non è limitata ai soli atti di emissione come voleva Planck. Nei due decenni successivi il XX secolo darà a questi corpuscoli una connotazione assolutamente innovativa7. Lo studio dei fenomeni luminosi è stato la via per scoprire “il Paradosso” della fisica quantistica, il suo inafferrabile dualismo8, che si apprezza molto bene già nei fenomeni, classicamente considerati semplici, della propagazione e della riflessione della luce. Da qui partì Feynman nelle “Alix Mautner Memorial Lectures”9 e io, nella traccia delle prime due lezioni del maestro, procedo per “esperimenti-tipo”. Qualche dato sperimentale Esperimento 1. Sorgente di luce Una sorgente di luce isotropa e particolarmente debole è circondata da una corona di contatori10 in grado di registrare singoli fotoni (fig. 1). Durante l’emissione scatta, in modo casuale, un solo contatore per volta11. Risultato: La luce è corpuscolare, i suoi corpuscoli sono i fotoni. 5 6 7 Fig. 1. La sorgente emette fotoni di luce Nel suo saggio Experiments and Calculations Relative to Physical Optics. On a Heuristic Viewpoint Concerning the Production and Transformation of Light, uscito su Annalen der Physik. Nel 2005, quasi a rispettare la commemorazione del centenario dell’Annus Mirabilis di Einstein, non è accaduto nulla di altrettanto mirabile. 8 Un quesito a margine: Perché dei fotoni emerge prima l’evidenza di quello che chiamiamo il comportamento ondu latorio (1805) rispetto a quello corpuscolare (1905) mentre per gli elettroni accade il contrario? Perché il comportamento “ondulatorio” ha effetti evidenti con ostacoli o fenditure non troppo maggiori della lunghezza d’onda di De Broglie associata alla particella. Fotoni da 10 eV (UV lontano) hanno λ ≈ 100 nm. Elettroni da 10 eV (ordine di grandezza delle energie di ionizzazione) hanno λ ≈ 0.1 nm. Ostacoli e fenditure devono essere 1000 volte inferiori. Ancora minori se vogliamo vedere la diffrazione di protoni e neutroni. 9 R.P. Feynman, QED. La strana teoria della luce e della materia, Adelphi, Milano 1989. 10 I contatori possono essere ad esempio rivelatori a scintillazione costituiti da un cristallo scintillatore e da una catena di fotomoltiplicazione (fotomoltiplicatore). 11 Nel 1942 il fisiologo Selig Hecht della Columbia University dimostrò che il nostro occhio, adattato all’oscurità, è in grado di rilevare un segnale luminoso costituito da un numero di fotoni inferiore a sette. Nel 2016 un’equipe austriaca ha dimostrato che l’occhio umano riesce a rivelare, con elevata probabilità, anche un singolo fotone (J.N. Tinsley et al., Direct detection of a single photon by humans, Nature Communication 7, 2016, http://www.nature.com/articles/ncomms12172). Le nostre retine sono “set di fotomoltiplicatori biologici”. 2 Esperimento 2. Riflessione da una superficie Della luce viene fatta incidere ortogonalmente su vetro (fig. 2). Il numero di fotoni riflessi che arrivano al contatore A è il 4% del totale12. Come fa un fotone a “decidere” cosa fare alla superficie? • Potrebbe essere spiegato dalla superficie (fig. 3), costituita da un 4% opaco (riflettente) e un 96% a buchi (trasparente)? Tuttavia se levigo il vetro cambia molto il suo aspetto ma non cambia la percentuale: dunque non dipende dalla conformazione della superficie13; • Potrebbe esistere un meccanismo interno del fotone che fa sì che fotoni in una “disposizione” passino mentre in disposizione diversa siano riflessi? Ma se uso strati di vetro paralleli e uguali leggermente distanziati non cambia la percentuale del 4% all’entrata di ogni strato: dunque non sembra esserci alcun meccanismo interno che selezioni i fotoni. La riflessione parziale è un serio problema per la teoria dei fotoni perché porta nel cuore della teoria la sua natura intrinsecamente probabilistica. Risultato: Devo accontentarmi di conoscere solo la probabilità della riflessione per ogni fotone. Esperimento 3. Riflessione da due superfici Questo esperimento coinvolge entrambi i fenomeni di riflessione da una superficie e di interferenza. Viene fatta incidere della luce ortogonalmente su una lamina di vetro sottile (fig. 4). I fotoni che arrivano al contatore A possono provenire dalla riflessione sulla superficie superiore del vetro o da quella inferiore. Se dovessimo avere il 4% di riflessi ad ogni superficie ci aspetteremmo circa 8% di fotoni in A e 92% in B14. Sorprendentemente invece la percentuale di fotoni che giungono al contatore A varia con lo spessore del vetro da 0% a 16% mentre contemporaneamente quella che giunge a B varia da 100% a 84% (fig. 5). Per avere il 16% quando una superficie riflette il 4% sembra necessario che i fotoni alla prima superficie si riflettano in misura maggiore se “sanno” che esiste una seconda superficie alla distanza giusta. 12 Il fattore R di intensità riflessa ortogonalmente dipende dagli indici di rifrazione dei due mezzi R= ( n2−n1 )2 (n 2+ n1)2 che, con gli indici di aria e vetro (1 e 1.5 rispettivamente), dà appunto R=0.04. Le figure a stampa nel seguito sono prese dal testo di Feynman, QED, citato. 13 Feynman fa notare che Newton conosceva il fenomeno della riflessione parziale e scartò la soluzione di una super ficie fatta di “buchi” e di “chiazze” riflettenti. Newton sapeva bene che il problema era irrisolto. 14 Alla seconda superficie giunge in realtà il 96%, di cui il 4% viene riflesso: 0.96·0.04 = 0.0384 ≈ 4%. 3 La nota di Feynman su Newton Newton era a conoscenza della oscillazione dell’intensità riflessa con lo spessore del vetro e in proposito è interessante quanto annota Feynman a piè di pagina 38: «È una vera fortuna per noi che Newton fosse convinto della natura “corpuscolare” della luce, perché questo ci per mette di vedere tutte le contorsioni di una mente intelligente e non condizionata da preconcetti che si sforza di spiegare la riflessione parziale da parte di due o più superfici. (I sostenitori della teoria ondulatoria non hanno mai dovuto fare nessuna fatica per spiegare questo fenomeno). Newton ragionò come segue: nonostante le apparenze, la superficie frontale in realtà non riflette nessuna luce. Infatti, se così fosse, come potrebbe tale luce riflessa essere ricatturata allorché lo spessore è tale da non produrre nessuna riflessione? Quindi la luce deve essere riflessa dalla seconda su perficie. Per spiegare il fatto che la quantità di luce riflessa dipende dallo spessore del vetro, Newton propose la se guente idea: la luce che urta la prima superficie produce una specie di onda o di campo che viaggia con essa e ne de termina la predisposizione a riflettersi o no sulla seconda superficie. Egli chiamò questo processo “fasi di riflessione fa cile o di trasmissione facile” e suppose che esso accada ciclicamente, a seconda dello spessore del vetro. Questa ipotesi incontra due difficoltà; la prima è l'effetto delle superfici addizionali: ogni nuova superficie modifica la riflessione, come ho spiegato nel testo. La seconda è che la luce viene innegabilmente riflessa da un lago, dove non esiste una seconda superficie, quindi la superficie riflettente deve essere quella frontale. Nel caso di un’unica superfi cie, Newton disse che la luce ha una predisposizione a riflettersi. È accettabile una teoria in cui la luce sa che tipo di superficie sta urtando, e sa che si tratta di una superficie unica? Newton non mise in evidenza queste difficoltà della sua teoria sulle “fasi di trasmissione e di riflessione”, pur renden dosi conto, è chiaro, che la teoria non era soddisfacente. Ma ai tempi di Newton si tendeva a sorvolare sui punti carenti di una teoria; oggi invece uno scienziato tende a mettere egli stesso in evidenza i punti in cui la sua teoria non si ac corda con i dati dell'osservazione. Dico questo non per criticare Newton, ma per far notare un aspetto positivo del modo di comunicare della scienza d’oggi.» La teoria delle onde, con la sua idea di onda descritta nello spazio e nel tempo con due numeri – l’ampiezza, che rende conto dell’intensità massima, e la fase che permette l’annullarsi o il sommarsi di onde in un punto – e con il suo principio di Huygens-Fresnel, non ha nessuna difficoltà a spiegare questo comportamento. Le due onde che giungono al rivelatore A sono riflesse in istanti diversi dalle due superfici e possono, al crescere dello spessore percorso nel vetro, interferire in modo costruttivo o distruttivo. Solo che la teoria delle onde non spiega i “tic” dei rivelatori. Risultato: La probabilità deve essere espressa tramite due numeri, come un modulo e una fase. Ma c’è dell’altro. Scegliendo di descrivere la luce come onda, e immaginando che un fotone abbia una fase e che due fotoni riflessi dalle due superfici in istanti diversi si incontrino in A in modo da dare “interferenza” costruttiva o distruttiva, dobbiamo assumere che in A arrivino sempre contemporaneamente coppie di fotoni provenienti dalle due superfici. Questa spiegazione sembra funzionare solo con fasci luminosi intensi. Esperimento 4. Riflessione da due superfici – versione a fotone singolo L’esperimento 3 può essere pensato (e realizzato) con sorgenti debolissime, nella versione a fotone singolo, per un numero di ripetizioni molto elevato (mesi di esposizione15). In ogni momento nell’apparato si trova un solo fotone, eppure con grandi numeri di ripetizioni si ritrovano gli stessi valori di probabilità. Come fa un singolo fotone a sapere che deve contribuire al valore di percentuale in A corrispondente proprio a quello spessore del vetro? Eccolo il rompicapo della fisica quantistica: l’autointerferenza del fotone con se stesso! Risultato: La probabilità deve tener conto dell’interferenza tra tutti i percorsi che il fotone può scegliere. Il calcolo della probabilità di un evento diviene il nucleo del problema. 15 Questo fece in un diverso esperimento, ripetendo quello di Young dell’interferenza da una doppia fenditura, G.I. Taylor nel 1909. 4 Le probabilità e i numeri complessi Un modo di affrontare la questione è il seguente, che richiede un po’ di matematica del quarto anno liceale. 1. A ogni evento x è associata una probabilità π(x) che come di consueto è un numero reale nell’intervallo [0, 1]. 2. Questa probabilità è calcolata con il quadrato del modulo di una ampiezza di probabilità ψ(x): (x) = |ψ(x)|² 3. Un’ampiezza di probabilità ψ è descrivibile con due numeri reali: un modulo ρ e un argomento , con ρ nell’intervallo reale [0,1]. La matematica offre un modello per l’ampiezza di probabilità: ψ può essere efficacemente rappresentata da un numero complesso nella forma di un vettore16 di coordinate polari ψ = (ρ, ). 4. L’evento x = “un determinato contatore rileva un fotone” è spesso il risultato della concorrenza (unione) di più eventi xi diversi alternativi. 5. Ciascuno di questi eventi xi è composto da una sequenza temporale di eventi xij. Evento x ottenibile da eventi xi alternativi (incompatibili) Evento xi ottenuto come sequenza di eventi xi j più semplici Il valore della probabilità (x) ha significato solo per l’evento complessivo x. I singoli eventi costituenti xij danno solo i valori delle ampiezza di probabilità ψ(xij), operando sui quali si trova la probabilità (x) cercata. Le operazioni che occorre eseguire sui numeri complessi ψ(xi) sono il modulo, la somma e il prodotto. • Per il modulo semplicemente: |ψ(x)|² = ρ². • Per le somme penseremo i numeri complessi come vettori (frecce) nel piano di Gauss e useremo il metodo punta-coda delle somme vettoriali. Qui basterà visualizzare graficamente il risultato. • Per i prodotti useremo la notazione esponenziale dei numeri complessi ψ = (ρ , θ) = ρ ei θ : ψ = ψ1⋅ψ2 = ρ1 ei θ ⋅ρ2 ei θ = ρ1 ⋅ρ2 ei (θ +θ ) = (ρ1⋅ρ2 , θ1 +θ 2) 1 2 1 2 Gli eventi sono di 3 tipi. 1. Evento elementare È un atto elementare nella storia di un fotone, come l’atto della riflessione da una singola superficie della figura 2 o il suo spostamento lungo un singolo percorso elementare Δs (ad esempio dalla superficie del vetro al contatore A). Vediamo proprio questi due esempi. 16 Feynman in QED li chiama “frecce”. 5 1) L’ampiezza di probabilità ψ(xi) = (, ) dell’evento xi = “il fotone viene riflesso sulla superficie” è data da: • un modulo ρ caratteristico di quel fenomeno: nella riflessione ortogonale sulla superficie del vetro ρ = 0.2 (ρ² = 0.04 e questo comporta che il 4% sarà riflesso). Se la riflessione ortogonale avvenisse su una superficie d’acqua avremmo ρ = 0.14 (e infatti sarebbe riflesso solo il 2%). • un argomento (contributo di fase) uguale a zero quando la riflessione avviene su una superficie meno rifrangente e uguale a π (3.14 radianti) se avviene su una superficie più rifrangente (e c’è opposizione di fase nella riflessione). Dunque nella riflessione sulla superficie in vetro della fig. 2 abbiamo ψ(xi) = (0.2, ). 2) L’ampiezza di probabilità ψ(xi) = (, ) dell’evento xi = “spostamento Δs del fotone” è data da: • • un modulo ρ approssimativamente uguale a 1. un argomento (contributo di fase) uguale alla variazione di fase del vettore nel tempo Δt impiegato per percorrere Δs: c 2π ϑ = ω Δ t = 2 π f⋅Δ t = 2 π λm Δ t = λ Δ s m m dove f è la frequenza del fotone, λm e cm rispettivamente le sue lunghezza d’onda e velocità nel mezzo attraversato. Feynman descrive lo sfasamento paragonando il fotone ad un orologio a una lancetta il cui tempo scorre alla velocità angolare ω = 2π f. Dunque nel percorso Δs abbiamo ψ(xi) = (1, 2π Δs/λm). 2. Evento risultato (della unione) di più eventi incompatibili alternativi È il caso di fotoni che giungono a un rivelatore attraverso diversi percorsi possibili, come nella ri flessione da due superfici della figura 4. Si calcola l’ampiezza di probabilità ψ dell’evento x unione di eventi incompatibili xi come somma delle ampiezze dei singoli eventi elementari ψ (xi). ψ( x) = ψ( x1 ) + ψ( x 2) + ... + ψ(x n ) Le somme dei vettori sono visualizzabili con il metodo punta-coda (vedi più oltre la fig. 24). 3. Evento risultato (della composizione) di più eventi semplici successivi È il caso di fotoni che giungono a un rivelatore attraverso una successione temporale di eventi diversi, come i fotoni che giungono al rivelatore A della figura 4 dalla riflessione sulla superficie inferiore. Infatti questi fotoni17: (1) vengono trasmessi dalla superficie superiore, (2) attraversano il vetro, (3) vengono riflessi dalla superficie inferiore, (4) riattraversano il vetro e (5) vengono trasmessi dalla superficie superiore. L’ampiezza di probabilità dell’evento xi composto da eventi indipendenti xij è data dal prodotto delle ampiezze (xij) dei singoli eventi componenti. ψ( xi ) = ψ(x i 1)⋅ψ( xi 2 ) ⋅... ⋅ψ(x i n) 17 Trascuriamo per semplicità i percorsi in aria dei fotoni dalla sorgente alla superficie superiore e dalla superficie su periore al rivelatore, che, essendo gli stessi, sfasano gli argomenti nella stessa misura e non influiscono significativamente sui moduli. 6 Dove, per la regola del prodotto di numeri complessi: ψ = ψ1⋅ψ2⋅...⋅ψn = (ρ1 , θ1 ) ⋅(ρ2 , θ2 )⋅... ⋅(ρn , θ n) = (ρ1⋅ρ2 ⋅... ⋅ρn , θ1 +θ 2+...+θ n) Applicazione alla riflessione da due superfici (fig. 4) Sia sv lo spessore del vetro. Dobbiamo sommare le ampiezze ψI del I percorso (fotone riflesso dalla superficie superiore) e ψII del II percorso (fotone riflesso dalla superficie inferiore): ψ = ψI + ψII Il caso I è l’evento semplice già visto sopra: ψI = (0.2, π) Il caso II è costituito da eventi semplici successivi e dobbiamo calcolare il prodotto delle ampiezze. Per far questo moltiplichiamo i moduli dei singoli eventi e sommiamo i loro argomenti: evento semplice 1) trasmissione alla superficie superiore 2) attraversamento dello spessore sv in vetro 3) riflessione alla superficie inferiore 4) riattraversamento dello spessore sv in vetro 5) trasmissione alla superficie superiore modulo argomento 0.98 0 1 2π sv/λv 0.2 0 1 2π sv/λv 0.98 0 A) Calcoliamo ψII per uno spessore di vetro pari a un quarto della lunghezza d’onda in vetro del fotone, sv = λv/4: ψII = (0.98 · 1 · 0.2 · 1 · 0.98, 0 + π/2 + 0 + π/2 + 0) = (0.19, π) I vettori sono paralleli ed equiversi e la somma vale ψI + ψII = (0.2, π) + (0.19, π) = (0.39, π) La probabilità di rivelare il fotone è così π(x) = 0.39² = 15% B) Se si calcola ψII nell’ipotesi di uno spessore di vetro di mezza lunghezza d’onda, sv = λv/2: ψII = (0.19, 4π sv/λv) = (0.19, 2π) = (0.19, 0) I vettori sono paralleli ma di versi opposti e la somma vale ψI + ψII = (0.2, π) + (0.19, 0) = (0.01, π) La probabilità è π(x) = 0.01² = 0.01% C) Se si calcola ψII nell’ipotesi di uno spessore di vetro estremamente sottile, sv ≈ 0: ψII = (0.19, 0) I vettori, paralleli ma di versi opposti, hanno somma ψI + ψII = (0.2, π) + (0.19, 0) = (0.01, π) La probabilità risulta π(x) = 0.01² = 0.01% Questo spiega la figura 5, compreso il valore nullo della probabilità a spessore zero. 7 La riflessione della luce C’è ancora una sorpresa e molto da imparare nella semplice riflessione da una superficie dell’esperimento 2. Quell’atto di riflessione non va considerato un evento semplice (come si è fatto nel calcolo di ψI qui sopra), ma anch’esso risulta dalla sovrapposizione (interferenza) di più percorsi alternativi. Consideriamo una sorgente di fotoni S, un contatore P, schermato da una barriera opaca Q, e uno specchio18 (figura 19). Secondo le leggi della riflessione di Cartesio la riflessione avviene in un solo punto preciso, in accordo con il principio di Fermat del minimo tempo: i fotoni che si riflettono in punti diversi semplicemente non giungono in P. Secondo la fisica quantistica invece la riflessione dei fotoni è un evento più complicato. 18 Qui supponiamo una riflessione del 100% e quindi ρ=1. 8 Supponiamo di suddividere lo specchio in un gran numero di parti riflettenti sufficientemente piccole A … M tra le quali G occupa la posizione della riflessione classica (figura 24). La riflessione avviene in tutti i punti dello specchio. Ogni singolo percorso SP ha un’ampiezza di probabilità (xi) non nulla che in figura è rappresentata dai vettori sotto il grafico dei tempi. La probabilità che arrivi un fotone in P è: (x) = |(xi)|² dove i vettori i sono sommati con il “metodo punta-coda” come nella parte inferiore della figura 24. Ogni (xi) ha quasi lo stesso modulo . Invece gli argomenti i(t) cambiano a seconda dei diversi tempi necessari per andare da S a P e descrivono l’orientamento dei vettori (xi) in P.19 I contributi EFGHI sono i più importanti. Perciò si dice che “il raggio si riflette in G”. Nell’area attorno al percorso del tempo minimo (FGH), ci sono minime variazioni di (stazionario) e qui si trovano i contributi (xi) più significativi all’ampiezza totale (x). Ecco emergere il principio di Fermat: laddove il tempo di percorrenza è stazionario (minimo) si ha il massimo contributo alla riflessione. 19 I vettori nel tempo ruotano in senso orario. 9 1) Chiusura a tratti alterni di uno spazio di riflessione laterale Che succede se lascio scoperta solo una regione laterale ABC dello specchio? Come si nota in figura 6, la rapida variazione del tempo di percorrenza per i fotoni che si riflettono tra A e C (e con essa la rapida variazione degli argomenti (t)) fa sì che i vettori (xi) si “arrotolino” su se stessi dando risultati nulli o comunque molto piccoli: Figura 6. Riflessione da una regione laterale ABC. (xi) ≈ 0 e non ho luce in P. Si dice che lì non avviene riflessione. Se alla regione ABC asporto metà superficie riflettente nel modo ordinato descritto dalla figura 7 ho di nuovo un po’ di luce in P. Si dice che si tratta di un reticolo di diffrazione in riflessione.20 Figura 7. Riflessione dalla stessa regione laterale ABC dopo aver rimosso un opportuno 50% della superficie riflettente. 2) Riduzione di uno spazio di riflessione laterale Un altro modo di rendersi conto di questo paradosso è quello di considerare, con riferimento alla figura 8, la probabilità di avere un fotone da S a P riflesso da uno specchio S’ disposto lateralmente: • se lo specchio S’ è grande, tutte le ampiezze (xi) si annullano e la probabilità totale è vicina a zero: per questo si dice che vale la legge della riflessione di Cartesio-Fermat; • se S’ è sufficientemente piccolo, |(xi)|² > 0 e in P c’è luce: si dice che la luce fa diffrazione sugli ostacoli (se però chiudo troppo S’, la luce è debole e presente ovunque21) Figura 8. Traiettoria di riflessione 20 L’eliminazione deve dipendere dalla frequenza. Se cambio frequenza non ho luce in P, ma in un punto spostato. 21 Coerentemente con il principio di Huygens-Fresnel e la sua spiegazione della diffrazione con ostacoli (o fenditure) di dimensione inferiore a λ. Ma anche con il principio di Heisenberg con incertezza piccolissima sulla posizione: se Δx << λ, allora Δpx >> p. 10 La propagazione della luce Dunque la riflessione da una superficie non è un evento semplice ma la somma di eventi alternativi (di riflessioni in punti diversi dello specchio). Accade lo stesso alla propagazione rettilinea della luce. Quando una sorgente S emette fotoni che raggiungono un contatore P, l’evento è il risultato di tutti i possibili percorsi liberi di fotoni da S a P (figura 32). La propagazione della luce avviene lungo tutti i percorsi liberi che uniscono S e P. Percorsi vicini ad A e B si annullano tra loro; così accade a percorsi vicini a F e G. Al contrario, percorsi come C, D, E si sommano con contributi significativi. Perciò diciamo che “il raggio segue il percorso rettilineo SDP” di tempo minimo (Fermat). Com’è possibile rendersi conto di una cosa tanto paradossale? Almeno in due modi: 1) Posso chiudere a tratti alterni in modo ordinato il 50% dello spazio di propagazione, come fatto con lo specchio (reticolo di diffrazione in riflessione). 2) Posso ridurre lo spazio libero a una fenditura sempre più stretta. Per semplificare senza modificare la sostanza, posso considerare solo i percorsi rettilinei spezzati da S a P (figura 35). La situazione è più semplice e il comportamento è analogo. 11 1) Chiusura a tratti alterni di uno spazio di propagazione laterale Se lascio aperti solo i percorsi vicini ad A, in P non arriva luce, ma se ne chiudo il 50% in modo ordinato e alterno, in P ho di nuovo luce: si dice che si tratta di un reticolo di diffrazione in trasmissione. 2) Riduzione di uno spazio di propagazione laterale Se lascio solo una fenditura D disposta lateralmente (figura 9): • se la fenditura D è grande (D >> λ), tutte le ampiezze (xi) si annullano e la probabilità totale di avere luce in P è vicina a zero: si dice per questo che la luce si propaga in modo rettilineo; • se D è sufficientemente piccolo, allora |(xi)|² > 0 e in P c’è luce: si dice che la luce fa diffrazione dalle fenditure (se però chiudo troppo D, se D << λ, la luce è debole e presente ovunque. La fenditura D è assimilabile a una sorgente puntiforme isotropa debole; cfr. la nota 21). Figura 9. Trasmissione da una fenditura. L’analisi di due comportamenti della luce “classicamente” semplici come la propagazione e la riflessione offre uno scenario interessante. Uno dei motivi di interesse sta nel fatto che una rivoluzione di paradigma scientifico trasforma eventi familiari, prima considerati semplici, in fenomeni complessi. Il successo di una tale rivoluzione sta nella maggior potenza della nuova teoria e il prezzo da pagare è la riduzione del ruolo svolto dal senso comune. Eventi semplici nell’antichità furono i moti decelerati in presenza di attrito, che nel ‘600 sono stati sostituiti dai moti rettilinei uniformi e nel ‘900 dalle linee geodetiche dello spaziotempo. La rivoluzione delle traiettorie luminose, cui si è accennato qui, è un’altra ancora, della quale forse non è stata ancora scritta l’ultima pagina. 22 22 Mi riferisco al dibattito sull’interpretazione della meccanica quantistica. Diverso è il caso, affidato al futuro e a un nuovo paradigma, di problemi come l’unificazione di meccanica quantistica e relatività. 12