La moda vuole che Dio sia morto, ma soltanto quello

Prefazione
La moda vuole che Dio sia morto, ma soltanto quello dei cristiani: la scienza ha dimostrato
che non esiste, mentre altri dèi, più antichi o più recenti, sdoganati dalla generosità
dell’antropologia, mantengono nel mondo il diritto di rimanere vivi e in piena forma. Poiché
il Dio dei cristiani oggi è morto, in realtà lo era fin dall’inizio, e la conseguenza s’impone
logicamente: il cristianesimo in generale è un lungo e gigantesco errore, che l’Europa deve
cancellare dalla sua memoria, se vuole essere davvero emancipata, moderna, scientifica, e
globale. Si concede, al massimo, di richiamarsi alla sociologia di Max Weber e relativizzare la
damnatio capitis del cristianesimo, quando ci si volge verso l’universo protestante: quei
cristiani, almeno, con la loro etica del lavoro e del successo, se non con la loro teologia,
hanno fatto degli Stati Uniti, dopo l’Inghilterra, l’Olanda e la Prussia, la nazione vincente
della nostra modernità trionfante. Ma il cattolicesimo non ha alcuna scusa. Esso è davvero,
o poco ci manca, l’errore assoluto. Come l’asino della favola di La Fontaine, Gli animali
ammalati di peste, è da lui che vengono tutti i nostri mali, e tutti gridano “dagli” al colpevole,
in ultima analisi, di ogni ignoranza, di ogni tirannide e di ogni arretratezza.
Il Prof. Renato Oniga, eminente professore di filologia classica, si è spazientito di questa
doxa contemporanea, di cui Richard Dawkins si è fatto il volgarizzatore in lingua inglese, ma
che ha trovato più di uno zelante missionario in lingua italiana. Uscendo dalla sua materia
specialistica pur basandosi su di essa, polemizza e argomenta con vigore contro questa
collezione di postulati oscurantisti, ritenuti come verità fondamentali da buona parte di ciò
che si è convenuto di chiamare la “sfera mediatica” occidentale.
Egli si dedica altresì a dimostrare che uno dei grandi meriti del cattolicesimo, ignorato dai suoi
detrattori ignoranti, ma che dovrebbe meritargli l’apprezzamento dei non credenti meno
estranei alla storia e alla filologia, è di aver portato nel suo bagaglio e veicolato fino a noi il
fior fiore filosofico, morale e anche mitologico-allegorico, della civiltà greco-latina di cui, in
Occidente, la Chiesa di Agostino e di Girolamo ha preso il testimone tra il III e il VI secolo.
I suoi due ultimi capitoli, uno sulla nozione di “cultura”, oggi così appiattita, e l’altro sulla
nozione non meno deformata di “umanità”, stabiliscono con una precisione senza pari
come, approfondite dalla loro traduzione pagana dal greco al latino, esse hanno ricevuto dai
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Padri della Chiesa latina il loro senso pieno, senza peraltro dimenticare o tradire la loro
prima valenza nella lingua greca.
Siamo ormai stanchi dell’antifona, ripetuta dal nazionalismo della filosofia tedesca, secondo
cui la luce greca sarebbe stata affievolita se non spenta dai Romani, prima di essere
completamente sotterrata dalla Chiesa romana, e infine ritrovata nella lingua di Fichte e
nella musica di Wagner. Sono grato a Renato Oniga di aver osato prendere in contropiede
anche quest’altro dogma moderno e di aver dimostrato che, da Cicerone ad Agostino,
abbiamo di fronte una di quelle occasioni rare e meravigliose, dove la parola “progresso”
non è un abuso, ma l’esatto sinonimo di tradizione viva e di maturazione del pensiero, di
tappa in tappa, nel tempo storico.
Aggiungerei volentieri un’altra prova a queste due dimostrazioni, premesse di un lessico
della civiltà europea di ascendenza cattolica, di cui è divenuta evidente l’urgenza. Si tratta
della fortuna, nell’Europa cattolica, della nozione aristotelica di eutrapelia “piacevolezza”.
San Tommaso non si accontenta di importarla in latino nel suo mirabile Commento all’etica a
Nicomaco: ne fa una delle virtù cardinali del cristiano. Questa nozione morale complessa era
per Aristotele il privilegio dell’uomo libero e civilizzato di Atene: presupponeva il sorriso, la
leggerezza nella conversazione, il senso della distensione misurata, contagiosa e generosa.
Tommaso la generalizza e la struttura nella gioia propriamente cristiana, e pone così le
premesse di tutta la letteratura che l’umanesimo, sia italiano che francese, ha dedicato alla
urbanità, alla sprezzatura, al sorriso, alla socievolezza benevola.
È davvero un peccato che il giansenismo, questa eresia protestante nel seno stesso del
cattolicesimo, abbia costretto la teologia morale cattolica, sulle difensive fin dal secolo
XVII, a passare sotto silenzio, anche dopo la proclamazione di Tommaso come Dottore
delle Chiesa da parte di Leone XIII, l’eminente virtù dell’eutrapelia, una delle più graziose che
l’Europa pre-moderna abbia praticato, uno dei segreti della sua grande arte. Nessuna è oggi
più dimenticata e violentata.
Mi auguro che Renato Oniga non lasci senza seguito le splendide premesse poste in questo
breve, vivace e dotto saggio.
Marc Fumaroli, Académie française
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