Riflessione biblica:
Ascensione – Pentecoste: una lettura ebraico-cristiana
Pentecoste è una festa annuale di pellegrinaggio a Gerusalemme. In Israele infatti il pellegrinaggio
è detto ascensione, salita (cf. 1Sam 2, 19; Sal 24, 3-4; 87; 95). Gesù stesso salì a Gerusalemme con
i suoi genitori per la festa (Lc 2, 41-42). Si sale perché Dio, che abita nei cieli, ha stabilito la sua
dimora in luoghi elevati, soprattutto sul monte di Sion a Gerusalemme. E questo è vero sempre da
un punto di vista teologico, anche se geograficamente in realtà si scende, percorrendo la strada che
dalla Galilea (Nazareth) porta in Giudea (Gerusalemme).
Nella storia della salvezza Mosè ha compiuto una sorta di ascensione, in quanto è salito sul monte
Sinai (Es 24, 12.15.18), ascendendo verso il luogo dove era sceso il Signore (Es 19, 18). Poi Mosè è
ridisceso con il dono della Torah (comunemente tradotta con Legge), che Israele deve accogliere e
accettare (Es 32, 15; 34, 29).
Anche Gesù è stato protagonista di un’ascensione, con la differenza che Egli è asceso direttamente
al cielo (Mc 16, 19; Lc 24, 50-53; At 1, 3-14), dopo la promessa dello Spirito santo, che è disceso il
giorno di Pentecoste (At 2, 1-13).
Quindi sia la Torah sia lo Spirito santo sono discesi verso gli uomini, evidenziando così lo stretto
legame esistente tra queste due realtà, entrambe espressione dell’amore di Dio per Israele e per
l’umanità (Dt 7,7-8: “Il Signore si è legato a voi e vi ha scelti, non perché siete più numerosi di tutti
gli altri popoli siete infatti il più piccolo di tutti i popoli, ma perché il Signore vi ama e perché ha
voluto mantenere il giuramento fatto ai vostri padri, il Signore vi ha fatti uscire con mano potente e
vi ha riscattati liberandovi dalla condizione servile, dalla mano del faraone, re di Egitto”; At 1, 8:
“ma avrete forza dallo Spirito santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in
tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra”.).
Ambedue si pongono come interpretazione della creazione di Dio. La Torah con la Rivelazione di
Dio sul Sinai interpreta e comprende tutta la creazione di Dio che si è avuta nella Genesi, così come
il dono dello Spirito santo che si è avuto a Pentecoste interpreta e comprende la nuova creazione
che si è inaugurata con Gesù Cristo (At 2, 22-36) nuovo Adamo (Rm 5, 12-21).
Vi è un’analogia di fondo tra la descrizione della Pentecoste di Luca e la Rivelazione sinaitica, cioè
vi è il chiaro intento lucano di ascrivere la Pentecoste nell’ambito delle teofanie
veterotestamentarie, quale realizzazione di esse.
«Venne all’improvviso dal cielo un rombo, come di vento che si abbatte gagliardo, e riempì tutta la
casa dove si trovavano. Apparvero loro lingue come di fuoco che si dividevano e si posarono su
ciascuno di loro; ed essi furono tutti pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue
come lo Spirito dava loro il potere d’esprimersi » (At 2, 2-4).
«Appunto al terzo giorno, sul far del mattino, vi furono tuoni, lampi, una nube densa sul monte e un
suono fortissimo di tromba: tutto il popolo che era nell’accampamento fu scosso da tremore. Allora
Mosè fece uscire il popolo dall’accampamento incontro a Dio. Essi stettero in piedi alle falde del
monte. Il monte Sinai era tutto fumante, perché su di esso era sceso il Signore nel fuoco e il suo
fumo saliva come il fumo di una fornace: tutto il monte tremava molto. Il suono della tromba
diventava sempre più intenso: Mosè parlava e Dio gli rispondeva con voce di tuono. Il Signore
scese dunque sul monte Sinai, sulla vetta del monte, e il Signore chiamò Mosè sulla vetta del monte.
Mosè salì » (Es 19, 16-20; cf. anche Es 3, 2ss; Lv 9, 23s; Dt 4, 11s; 1Re 19, 11-13; Is 6; Ez 1; Sal
18, 8-16; 68, 8; 77, 16-19; 97, 1-6).
La discesa di Dio sul monte Sinai avviene per rivelare delle Parole, che sono viste dalla tradizione
rabbinica come fuoco: “Le parole della Torah sono paragonate al fuoco, infatti entrambi furono dati
dal cielo ed entrambi sono eterni. Se un uomo si accosta al fuoco ne viene riscaldato, se ne sta
lontano resta raffreddato; lo stesso avviene per le parole della Torah: se un uomo si fa strada in esse,
quelle parole divengono per lui fonte di vita, se se ne separa quelle parole lo uccidono” (Sifre
Deuteronomio, 143a).
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Le lingue di fuoco che si posano sugli apostoli con il dono della glossolalia rappresentano la
ricomposizione della frattura operatasi a Babele (Gn 11, 1-9 poi ripreso da Dt 32, 7s), dove gli
uomini furono divisi e dispersi a causa della loro prometeica volontà di raggiungere il cielo, senza
accogliere quanto da esso discende. Con il miracolo delle lingue si è ricomposta l’unità del genere
umano, a cui giunge l’universalità e l’unicità della Parola pur nella molteplicità dei suoi significati e
delle lingue in cui si esprime (At 2, 5-11: Si trovavano allora in Gerusalemme Giudei osservanti di
ogni nazione che è sotto il cielo. Venuto quel fragore, la folla si radunò e rimase sbigottita perché
ciascuno li sentiva parlare la propria lingua. Erano stupefatti e fuori di sé per lo stupore dicevano:
‘‘Costoro che parlano non sono forse tutti Galilei? E com’è che li sentiamo ciascuno parlare la
nostra lingua nativa? Siamo Parti, Medi, Elamiti e abitanti della Mesopotamia, della Giudea, della
Cappadòcia, del Ponto e dell’Asia, della Frigia e della Panfìlia, dell’Egitto e delle parti della Libia
vicino a Cirène, stranieri di Roma, Ebrei e proseliti, Cretesi e Arabi e li udiamo annunziare nelle
nostre lingue le grandi opere di Dio’’).
Annarita Caponera
Docente di ecumenismo all’Istituto Teologico di Assisi
Consigliere Nazionale MEIC
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