RASSEGNA “Mal d’Africa” e cuore: i misteri della fibrosi endomiocardica Antonio Grimaldi1, Ottavio Alfieri1, Paolo G. Camici1, Giovanni La Canna1, Gianna Zoppei1, Iacopo Olivotto2 1 Dipartimento Cardio-Toraco-Vascolare, Ospedale Scientifico San Raffaele e Università Vita-Salute, Milano Centro di Riferimento per le Cardiomiopatie, Dipartimento Cuore e Vasi, Azienda Ospedaliera Universitaria Careggi, Firenze 2 The epidemic of cardiovascular disease is a global phenomenon and the magnitude of its increase in incidence and prevalence in low-income countries has potentially major implications for those high-income countries that characterize the developed world. The “epidemiologic transition” provides a useful framework for understanding changes in the patterns of disease as a result of socioeconomic and demographic developments. According to the migratory flow, the burden of African immigrants in Italy is rising, and there is a need to reassess the clinical management of anything but obsolete western cardiovascular disorders also delving into the rare tropical neglected diseases. Rheumatic fever and tropical cardiac diseases, such as endomyocardial fibrosis in Africa and Chagas disease in Latin America, require a human resource framework to direct into research and intervention programs. This review will focus upon endomyocardial fibrosis, by far the most common type of restrictive cardiomyopathy worldwide, still an unsolved puzzle from a pathophysiological point of view and in need of more attention from the international community of cardiologists. In this paper the data from the literature are implemented by our personal experience at the St. Raphael of St. Francis Hospital-Nsambya and the Ugandan Heart Institute of Kampala, the capital town of Uganda. Key words. Endomyocardial fibrosis; Primary cardiomyopathies; Tropical neglected diseases. G Ital Cardiol 2011;12(5):319-326 INTRODUZIONE Le malattie cardiovascolari rappresentano una vera e propria epidemia globale, che interessa prevalentemente i paesi industrializzati, ma la cui portata sta aumentando esponenzialmente anche nei paesi in via di sviluppo. In un’epoca di flussi migratori senza precedenti, si assiste inoltre ad una vera e propria transizione epidemiologica1 per cui la presenza di un numero crescente di cittadini immigrati determina sia un incremento del tasso di ospedalizzazione per cardiopatie tipicamente occidentali, quali cardiopatia ischemica e scompenso cardiaco, che non prevedono programmi di prevenzione primaria o secondaria nei paesi in via di sviluppo, sia la recrudescenza di malattie considerate obsolete alle nostre latitudini, quali la malattia reumatica o le complicanze cardiologiche da tubercolosi. Tutto questo sta portando alla necessità di rivedere i criteri diagnostici e i protocolli terapeutici di patologie che erano quasi scomparse dalla nostra pratica clinica. Allo stesso tempo, vi sono patologie endemiche di paesi in via di sviluppo che non hanno ancora un significativo riscontro epidemiologico nel mondo occidentale. La malattia reumatica e la cardite reumatica2 da un lato e le malattie cardiache tropicali rare dall’altro, quali la fibro- © 2011 Il Pensiero Scientifico Editore Ricevuto 07.03.2011; accettato 06.04.2011. Gli autori dichiarano nessun conflitto di interessi. Per la corrispondenza: Dr. Antonio Grimaldi Dipartimento Cardio-Toraco-Vascolare, Ospedale Scientifico San Raffaele, Via Olgettina 60, 20132 Milano e-mail: [email protected] si endomiocardica (FEM) in Africa3 e la malattia di Chagas in America Latina4, impongono una fitta rete di risorse umane ed assistenziali da coinvolgere nei programmi di prevenzione, diagnosi, cura e ricerca scientifica. Si tratta in genere di patologie “orfane” in quanto scarsamente oggetto di ricerca e prive di terapie specifiche, ma meritevoli di approfondimento conoscitivo in quanto potenzialmente “importabili” con i flussi migratori anche nel nostro paese. In questa prospettiva ci siamo proposti di focalizzare l’attenzione su una malattia endemica nel continente africano: la FEM. EPIDEMIOLOGIA E PATOGENESI DI UNA MALATTIA RARA La FEM, descritta per la prima volta in Uganda nel 19485, è considerata oggi la più comune forma di miocardiopatia restrittiva, colpisce circa 10 milioni di individui in tutto il mondo2 ed è endemica nei paesi dell’Africa equatoriale6, in Brasile e in India7. Nelle aree endemiche rappresenta la seconda causa di ospedalizzazione per malattie acquisite nell’età pediatrica e nei giovani adulti, subito dopo la malattia reumatica8,9, fino a rappresentare il 20% di tutte le cause di scompenso cardiaco. Dai dati epidemiologici disponibili a livello di comunità, la prevalenza di FEM risulta più alta nel sesso maschile ed ha una distribuzione bimodale10 per quanto riguarda l’età di insorgenza, con un primo picco nei pazienti in età pediatrica e negli adolescenti, ed un secondo picco nella quarta decade di vita. Tale distribuzione potrebbe riflettere, nel primo caso, l’esposizione a fattori ambientali o infettivi in grado di causare da soG ITAL CARDIOL | VOL 12 | MAGGIO 2011 1 A GRIMALDI ET AL CHIAVE DI LETTURA Ragionevoli certezze. La presenza di un numero progressivamente crescente di cittadini immigranti determina la necessità di rivedere i principali criteri per la diagnosi ed il trattamento di malattie cardiovascolari considerate “obsolete” alle nostre latitudini, quali la malattia reumatica e la cardite reumatica, e di approfondire la conoscenza di malattie tropicali come la malattia di Chagas in America Latina e la fibrosi endomiocardica (FEM) in Africa, quale esempio di cardiopatie “neglected” nei paesi occidentali ma potenzialmente “importabili” con i flussi migratori. La FEM è la forma più comune oggi di miocardiopatia restrittiva nel mondo ed è responsabile fino al 9-20% dei casi di scompenso cardiaco. Questioni aperte. La FEM rappresenta un vero mistero dal punto di vista dell’inquadramento clinico per la molteplicità dei fattori eziopatogenetici che si sommano nel determinare uno spettro clinico assai variabile in termini di espressività e penetranza. La chirurgia ha un effetto benefico sui sintomi e sulla sopravvivenza ma un approccio sistematico richiederebbe un’accurata caratterizzazione diagnostica della malattia nelle fasi più precoci, quando cioè l’obliterazione ventricolare non sia estrema al punto da controindicare qualsiasi opzione chirurgica non trapiantologica. L’ecocardiografia rappresenta lo strumento più semplice e completo per la diagnosi di FEM, in rapporto alla capacità di definizione delle caratteristiche morfologiche e funzionali. La forma di miocardiopatia che in occidente sembra avvicinarsi maggiormente alla FEM è l’endocardite di Loeffler, della quale è nota l’eziopatogenesi infiammatoria/immunomediata nel contesto di patologie sistemiche più complesse con interessamento multiorgano. Il comune coinvolgimento miocardico nelle due forme prevede una componente infiammatoria acuta, la successiva trombosi endoventricolare secondaria al danno vascolare e la FEM con interessamento del tessuto delle valvole atrioventricolari. Si tratta di una diagnosi complessa anche nelle migliori realtà occidentali, dove solo l’integrazione di competenze interdisciplinari tra cardiologia, immunologia, medicina generale ed imaging mirato determina il corretto inquadramento diagnostico e terapeutico. Sussiste dunque una chiara necessità di risorse umane coinvolte nella pianificazione di programmi di prevenzione, diagnosi, trattamento e ricerca scientifica. Le ipotesi. La possibilità di estendere i programmi di ricerca a modelli nosologici affini presenti nel mondo occidentale può tradursi nello sviluppo di nuove strategie diagnostiche e 2 G ITAL CARDIOL | VOL 12 | MAGGIO 2011 terapeutiche. Inoltre, integrando i dati della letteratura con l’esperienza assistenziale e scientifica di gruppi di ricerca in Italia e nei territori in cui la malattia è endemica (per l’Uganda, il St. Raphael of St. Francis HospitalNsambya e l’Ugandan Heart Institute della capitale Kampala) può essere auspicabile la creazione di un registro italiano specifico per l’endocardite di Loeffler e la FEM, teso ad aumentare la sensibilità nei confronti di queste entità rare e il corretto inquadramento diagnostico e terapeutico. li la malattia in giovane età e, nel secondo, l’effetto additivo di agenti eziologici più blandi che si sommano in tempi diversi determinando manifestazioni più tardive. Ancora oggi l’eziopatogenesi rimane sconosciuta nei paesi dell’Africa equatoriale, nonostante numerose ipotesi, non mutuamente esclusive, che includono l’effetto cardiotossico dell’infiltrazione eosinofila secondaria ad infezioni parassitarie comuni nelle aree endemiche e infezioni da agenti quali il Plasmodium species11, lo schistosoma, la microfilaria12, gli elminti13, agenti virali del tipo Coxsackie B e Arbovirus, e il Toxoplasma gondii14. Sono stati inoltre evocati fattori patogenetici quali predisposizione familiare15, autoimmunità16 e fattori chimici ed ambientali come l’esposizione a sostanze (cerio)17. Infine, è stato ipotizzato un ruolo per specifici fattori dietetici quali la malnutrizione cronica e l’ingestione abituale di tuberi di cassava (tapioca) associata ad un regime dietetico molto carente in termini di aminoacidi quali il triptofano18,19. Studi condotti in comunità africane e rivolti a considerare la FEM come variante delle sindromi ipereosinofile non sono risultati esaustivi in tal senso. Da una parte, nelle fasi iniziali della FEM è stata riscontrata una relazione inversa tra ipereosinofilia e durata di malattia, e sussiste una indubbia analogia tra alcune manifestazioni della FEM e le sindromi da ipereosinofilia, quali l’endocardite di Loeffler (come discusso più avanti). Dall’altra, l’eosinofilia è assente nei reperti bioptici ed autoptici20 delle lesioni endocardiche fibrotiche e trombotiche; le forme aberranti di eosinofili degranulati non sono presenti nel sangue e nell’aspirato midollare dei pazienti affetti da FEM e non vi sono differenze significative nella concentrazione media delle proteine basiche rispetto ai soggetti normali21. Inoltre, la prevalenza di infezioni parassitarie, noto trigger per l’eosinofilia, non è significativamente maggiore nei pazienti colpiti da FEM rispetto alla popolazione generale21,22. PRESENTAZIONE CLINICA ED INQUADRAMENTO DIAGNOSTICO L’esordio e le manifestazioni cliniche della malattia appaiono alquanto disomogenei, con uno spettro variabile da forme lievi a prevalente coinvolgimento del ventricolo destro e senza segni rilevanti, a forme dominate dallo scompenso cardiaco avanzato. L’esiguità di dati omogenei su campioni di popolazioni intra- ed extraospedaliere non consente di stabilire se le differenti espressioni cliniche della malattia siano correlate a forme realmente distinte sul piano della penetranza ed espres- LA FIBROSI ENDOMIOCARDICA sività o se invece rappresentino le fasi intermedie di un unico processo evolutivo. I criteri maggiori e minori per la diagnosi di FEM10,23 sono stati definiti sulla base di aspetti tipici delle fasi avanzate di malattia e degli stati precoci descritti negli studi autoptici (Tabella 1). La possibilità di eseguire uno screening diagnostico a tappeto su cluster familiari in villaggi a bassissimo tenore socio-economico ed esposti ai fattori eziopatogenetici precedentemente descritti, potrebbe far luce sulla natura degli stadi precoci di malattia senza sintomi manifesti (infraclinical disease) e sull’eventuale evolutività clinica, nonché favorire l’occasione per approfondire le conoscenze sulla base costituzionale. Infatti, nello studio di Mocumbi et al.10 la prevalenza familiare di FEM in Mozambico è risultata elevata (19.8%). Tuttavia solo il 22.7% dei soggetti con evidenza di FEM allo screening ecocardiografico presentava i sintomi; la maggior parte dei soggetti aveva i pattern ecocardiografici morfo-funzionali compatibili con la diagnosi ma senza manifestazioni cliniche di malattia. Anche dall’analisi seppur limitata derivante dall’esperienza del nostro gruppo in Uganda presso il St. Raphael of St. Francis Hospital-Nsambya (Figura 1) e l’Ugandan Heart Institute della capitale Kampala, si evince che la maggior parte dei casi di FEM intraospedalieri osservati (3 su 4) corrispondevano a forme avanzate di malattia con estesa obliterazione ven- Tabella 1. Criteri ecocardiografici per la diagnosi e la stima di severità della fibrosi endomiocardicaa. Criteri Criteri maggiori Placche endomiocardiche di spessore >2 mm Chiazze endomiocardiche sottili (≤1 mm) coinvolgenti più di una parete ventricolare Obliterazione dell’apice ventricolare destro o sinistro Trombi o ecocontrasto spontaneo senza disfunzione ventricolare severa Retrazione dell’apice ventricolare destro (“notch” apicale) Disfunzione della valvola atrioventricolare da intrappolamento del tessuto valvolare nella parete Criteri minori Chiazze endomiocardiche limitate ad una parete ventricolare Pattern di flusso restrittivo attraverso la valvola mitrale o la tricuspide Apertura diastolica della valvola polmonare Diffuso ispessimento del lembo anteriore mitralico Ingrandimento atriale e normali dimensioni ventricolari Movimento paradosso del setto interventricolare ed appiattimento della parete posteriorec Aumentata ecogenicità della banda moderatrice o di altre bande intraventricolari a Punteggio 2 3 4 4 4 1-4b 1 2 2 1 2 1 1 la diagnosi definitiva di fibrosi endomiocardica si basa sulla presenza di due criteri maggiori o di un criterio maggiore associato a due criteri minori. Un punteggio totale <8 indica forme lievi, da 8 a 15 forme moderate e >15 forme severe. b il punteggio è assegnato in rapporto alla severità dell’insufficienza della valvola atrioventricolare. c il movimento del setto interventricolare si riferisce ad un pattern ecocardiografico in M-mode ascrivibile all’obliterazione o restrizione dell’apice ventricolare sinistro in associazione ad insufficienza mitralica. Tratta da Mocumbi et al.10, con il permesso dell’Editore. Figura 1. Rappresentazione geografica dell’Uganda e presentazione del St. Raphael of St. Francis Hospital-Nsambya della capitale Kampala con gli spazi esterni dell’ospedale e la sede del servizio diagnostico di ecocardiografia. tricolare fino a costituire il 7% di tutte le cause di scompenso cardiaco nel campione di popolazione sottoposto allo screening ecocardiografico (Figura 2). La prevalenza di FEM nel nostro campione di osservazione è così distribuita: 2.6% sul totale di 150 soggetti sottoposti a screening ecocardiografico; 3.6% su 110 soggetti con evidenza ecocardiografica di malattia cardiaca (68% di 150); 7% su 57 cardiopatici con segni ecocardiografici e sintomi di scompenso cardiaco (52% di 110). Un solo paziente è risultato affetto da una forma lievemoderata di FEM senza sintomi manifesti e riscontrata occasionalmente durante un ricovero a seguito di traumatismo stradale. Tutti i pazienti suddetti condividevano il medesimo profilo di rischio, in rapporto al tipo di dieta ipoproteica ricca in cassava, al basso reddito socio-economico e alla comune esposizione ai vari fattori eziopatogenetici. Appare dunque plausibile pensare che gli stadi iniziali di malattia siano caratterizzati da forme di parziale coinvolgimento ventricolare senza disfunzione manifesta o severo interessamento valvolare, tuttavia caratterizzate da uno spettro subclinico di placche endocardiche funzionalmente non obliteranti. Nel tempo, la fibrosi dell’endocardio murale e delle valvole condurrebbe alla via finale comune di una sindrome restrittiva con importanti manifestazioni cliniche di scompenso24,25: nelle più comuni forme di presentazione (prevalente coinvolgimento del ventricolo destro), il quadro clinico è tipicamente dominato dalla congestione venosa sistemica con esoftalmo, dalla cardiomegalia (Figura 3) e da epato-splenomegalia ed ascite che tipicamente risparmia gli arti inferiori quasi sempre asciutti e sottili26. Nelle fasi avanzate di malattia predominano lo scarso sviluppo dei caratteri sessuali secondari con atrofia testicolare, ippocratismo digitale, ritardo di crescita e cachessia (Figura 4). Sebbene nelle aree endemiche il quadro clinico risulti di facile interpretazione, l’ecocardiografia riveste un ruolo determinante per confermare la diagnosi e definire le anomalie strutturali ed emodinamiche che permettono di differenziare la FEM da pericardite costrittiva, peritonite tubercolare e schistosomiasi intestinale. G ITAL CARDIOL | VOL 12 | MAGGIO 2011 3 A GRIMALDI ET AL Malaa Reumaca 19% 19% Ipertensione Arteriosa 12% Cardiopaa Ischemica 12% Cardiopae Congenite Varie (Diabete, Peripartum, etc) 31% 7% Fibrosi Endomiocardica Popolazione totale: 150 sogge soopos a screening; Cardiopaci: 110 pz (68% di 150), di cui 57 pz (52%) affe da scompenso cardiaco Figura 2. Cause principali di scompenso cardiaco in un campione di pazienti cardiopatici afferenti all’ambulatorio di ecocardiografia del St. Raphael of St. Francis Hospital-Nsambya di Kampala, Uganda. Figura 4. Stato cachettico in un giovane paziente affetto da fibrosi endomiocardica. Figura 3. Rx torace standard. Pattern radiologici in un paziente affetto da fibrosi endomiocardica a coinvolgimento biventricolare: severa cardiomegalia, versamento pericardico ed ipervascolarizzazione dei campi polmonari. QUADRI ECOCARDIOGRAFICI L’ecocardiografia rappresenta lo strumento più semplice e completo per la diagnosi di FEM, in rapporto alla capacità di definizione delle caratteristiche morfologiche e funzionali27-29, quali ispessimento e calcificazioni endocardiche, obliterazione apicale, disfunzione valvolare e trombosi (Tabella 1). I pattern ecocardiografici della FEM possono risultare molto variegati, ma sono sostanzialmente classificabili in tre forme principali: 1) forme ad interessamento prevalente del ventricolo sinistro, 2) forme a coinvolgimento isolato del ventricolo destro; 3) forme biventricolari. I casi qui rappresentati fanno riferimento a 3 pazienti affetti da FEM, valutati nel corso di missioni ugandesi presso il St. Raphael of St. Francis Hospital-Nsambya e l’Ugandan Heart Institute di Kampala finalizzate a scopi assistenziali e scientifici relativi allo studio delle malattie rare. I primi due casi illustrano 4 G ITAL CARDIOL | VOL 12 | MAGGIO 2011 i reperti ecocardiografici di FEM a prevalente coinvolgimento ventricolare destro. I criteri attuali utilizzati per la diagnosi di FEM del cuore destro sono rappresentati dalla riduzione parziale della cavità di afflusso destra (Caso 1, Figura 5A) fino alla quasi completa obliterazione apicale (Caso 2, Figura 5C e 5D), movimento paradosso del setto interventricolare, piano di clivaggio tra tessuto fibroso e miocardio, presenza di trombi parietali, dilatazione dell’atrio destro, intrappolamento fibrotico (trapping) dei lembi tricuspidalici con insufficienza relativa (Caso 1, Figura 5B), dilatazione delle vena cava inferiore e versamento pleuro-pericardico. Il terzo paziente presenta invece FEM a prevalente coinvolgimento ventricolare sinistro. Nelle forme sinistre prevalgono la totale deformazione del ventricolo che assume una forma ovoidale, spot calcifici dell’endocardio apicale (Figura 6A), retrazione estrema-ipoplasia del lembo mitralico posteriore con insufficienza correlata (Figura 6B e 6C) ed ipertensione polmonare. Dal punto di vista diagnostico, la disfunzione della valvola atrioventricolare da intrappolamento del tessuto valvolare nella parete del ventricolo è la risultante di ripetuti episodi infiammatori che conducono alla retrazione-ipoplasia estrema del lembi (Figura 6B); il processo è talmente rilevante sul piano morfo-funzionale e come determinante clinico dello scompenso, da rientrare nei criteri maggiori per la diagnosi di FEM descritti da Mocumbi et al.10 (Tabella 1). Tuttavia, LA FIBROSI ENDOMIOCARDICA occorre sottolineare che spesso le lesioni fibrotiche valvolari osservate all’ecocardiografia rappresentano la via finale comune di valvuliti infiammatorie di svariata natura (reumatica, endocarditica, immunomediata, ecc.) per cui risulta davvero difficile nella pratica clinica riconoscerne l’esclusiva dipendenza dalla FEM in assenza di fibrosi ventricolare o di almeno un altro criterio. Tale riflessione assume una certa rilevanza se si pensa alla necessità di individuare lesioni precoci suggestive di FEM quando il quadro è ancora sfumato. Se da un lato, dunque, l’ecocardiografia è uno strumento semplice e sensibile per la valutazione delle forme conclamate, siano esse moderate o clinicamente manifeste, può mancare tuttavia di specificità nell’inquadramento delle lesioni sfumate, aspecifiche agli occhi della maggior parte degli ecocardiografisti e suscettibili di bias additivi (overdiagnosis) nel caso di soggetti ad alta probabilità pre-test di malattia30. A tal proposito, occorre ricordare che la risonanza magnetica cardiaca rappresenta uno strumento ideale per definire con particolare precisione le caratteristiche anatomiche e la localizzazione dei fenomeni di fibrosi, ipoperfusione ed obliterazione cavitaria nei pazienti con FEM31, soprattutto per lo studio di quelle lesioni precoci che “imbarazzano” la maggior parte degli ecocardiografisti abituati a osservarle e a minimizzarle in ambito occidentale. Ad oggi, però, se la risonanza magnetica cardiaca è ormai pienamente integrata nell’ambito dell’imaging cardiovascolare multimodale nel mondo occidentale, essa è per lo più inaccessibile nelle aree endemiche per la FEM. E dunque il ruolo dell’ecocardiografia rimane preponderante per l’approccio immediato alla diagnosi, per la sistematizzazione dei criteri diagnostici, per la stratificazione prognostica e per la selezione dell’appropriato timing chirurgico. Figura 5. Immagini ecocardiografiche transtoraciche standard relative a due differenti pazienti affetti da fibrosi endomiocardica a prevalente coinvolgimento del ventricolo destro. Caso 1: parziale riduzione della camera di afflusso ventricolare con obliterazione distale (A, frecce) e “trapping” fibrotico dei lembi tricuspidalici con insufficienza valvolare associata (B, freccia). Caso 2: forma di fibrosi endomiocardica del ventricolo destro con obliterazione quasi completa della camera di afflusso (C, frecce) e severo “bulging” del setto interventricolare (D, frecce). AD, atrio destro; VD, ventricolo destro. PROGNOSI E TRATTAMENTO La storia naturale della FEM in Africa non è ancora ben conosciuta. La sopravvivenza dal momento della diagnosi stimata, inizialmente attorno ai 2 anni, è andata successivamente migliorando, ma resta infausta se non adeguatamente trattata, in rapporto alla elevata incidenza di morte improvvisa da aritmie maligne e tromboembolia. Durante le fasi acute di malat- Figura 6. Immagini ecocardiografiche transtoraciche relative ad un paziente affetto da fibrosi endomiocardica a prevalente coinvolgimento del ventricolo sinistro: calcificazioni endocardiche ventricolari para-apicali (A, frecce), severa retrazione fibrotica-ipoplasia (“trapping”) del lembo mitralico posteriore con insufficienza valvolare associata (B e C, frecce). AS, atrio sinistro; VS, ventricolo sinistro. G ITAL CARDIOL | VOL 12 | MAGGIO 2011 5 A GRIMALDI ET AL tia il trattamento è principalmente mirato a sostenere la funzione cardiaca e a ridurre il tasso di eosinofili circolanti attraverso l’impiego di corticosteroidi. La più comune tecnica chirurgica utilizzata si basa sulla resezione endocardica associata alla chirurgia riparativa o sostitutiva valvolare, gravata tuttavia da una mortalità del 15-30%32. La chirurgia ha un effetto benefico sui sintomi e sulla sopravvivenza33-35 ma trattandosi di una malattia rara nei paesi occidentali ed essendo carenti le infrastrutture nella maggior parte delle aree in cui la FEM è endemica, l’esperienza chirurgica è limitata a campioni di popolazioni in genere riguardanti gli stadi più avanzati di malattia. I risultati più incoraggianti relativi alla prognosi a lungo termine riguardano i casi di FEM a prevalente coinvolgimento del cuore sinistro36. Un approccio più sistematico richiederebbe un’accurata caratterizzazione della malattia ai fini di programmare un intervento chirurgico adeguatamente individualizzato per ciascun singolo paziente37. A tal fine, l’importanza della diagnostica precoce, quando cioè l’obliterazione ventricolare non sia estrema al punto da controindicare qualsiasi opzione chirurgica non trapiantologica, si evince anche nella nostra personale esperienza: un giovane paziente ugandese di 20 anni, cui è stata riscontrata una forma di FEM con fibrosi limitata ad un segmento parcellare del ventricolo destro ed insufficienza mitro-tricuspidalica severa, è stato sottoposto a correzione chirurgica valvolare in maniera elettiva prima che l’eventuale scompenso cardiaco potesse incidere sulla stima dell’EuroSCORE logistico preoperatorio. In tal caso il coinvolgimento postinfiammatorio delle valvole atrioventricolari è risultato prevalente rispetto alla fibrosi parietale e all’obliterazione ventricolare destra e l’intervento chirurgico di valvuloplastica mitralica e tricuspidalica ha sortito un reale beneficio in termini di prognosi a breve e medio termine. SIMILITUDINI CON L’ENDOCARDITE DI LOEFFLER Mentre per alcune forme relativamente rare di cardiomiopatie osservabili alle nostre latitudini, quali la cardiomiopatia ipertrofica, i criteri di diagnosi e cura sono supportati da uno stadio avanzato di conoscenze in campo clinico e molecolare, per malattie tropicali quali la FEM i dati a nostra disposizione sono alquanto frammentari. La possibilità di estendere i programmi di ricerca a modelli nosologici affini presenti nel mondo occidentale può tradursi nello sviluppo di nuove strategie diagnostiche e terapeutiche; tuttavia, la scarsità di nozioni in possesso riguardanti la FEM non rende agevole questo tipo di studi comparativi. La forma di miocardiopatia che in occidente sembra avvicinarsi maggiormente alla FEM è l’endocardite di Loeffler, della quale è nota l’eziopatogenesi infiammatoria/immunomediata nel contesto di patologie sistemiche più complesse con coinvolgimento multiorgano38,39. È il caso dell’interessamento cardiaco riportato nella Figura 7. Si tratta di un caso di sindrome di Churg–Strauss, in cui il tropismo cardiaco è la manifestazione locale di un coinvolgimento sistemico complesso che include asma allergico, eosinofilia, infiltrati polmonari, anomalie dei seni paranasali e positività del titolo anticorpale pANCA. In tali casi il coinvolgimento miocardico comprende una componente infiammatoria acuta con necrosi ed infiltrato eosinofilo, la successiva trombosi endoventricolare secondaria al danno vascolare e la FEM con interessamento del tessuto valvolare mitralico40, spesso confuso con esiti di valvulite reumatica. Si tratta di una diagnosi complessa anche nelle migliori realtà occidentali, dove solo l’integrazione di competenze interdisciplinari tra cardiologia, immunologia, medicina generale ed imaging mirato sortisce il corretto inquadramento diagnostico e terapeutico. In Figura 8 è rappresentato un esempio di integrazione tra ecocardiografia transesofagea e risonanza magnetica cardiaca nell’ambito dello studio di complicanze trombotiche endoventricolari da cardite di Loeffler nel contesto di una sindrome di Churg-Strauss occidentale. CONCLUSIONI E PROSPETTIVE FUTURE La FEM rappresenta un vero e proprio mistero dal punto di vista clinico, eziologico e fisiopatologico e richiede maggiore attenzione da parte della comunità cardiologica internazionale. Nei paesi in cui la malattia è endemica, restano da chiarire i costi relativi alla pianificazione degli interventi e come investire o implementare i programmi di gestione. Finora, le risorse limitate sono state finalizzate soprattutto al contenimento delle malattie trasmissibili (malaria, HIV/AIDS). Tuttavia, va affiorando una progressiva coscienza riguardo alle malattie cosiddette “non communicable”, quali cardiopatia ischemica, ictus e cardiomiopatie, con eventuali risvolti positivi in ambito preventivo e di ricerca. In Italia, in considerazione delle analogie e del comune coinvolgimento cardiaco delle sindromi ipereosinofile, sarebbe auspicabile la creazione di un registro italiano di endocardite di Figura 7. Endocardite di Loeffler in una giovane donna italiana affetta da sindrome di ChurgStrauss: immagini ecocardiografiche transtoracica e transesofagea (A) di flogosi attiva endocardica complicata da trombosi endoventricolare (triangoli). La proiezione 4 camere apicale standard evidenzia il “trapping” fibrotico dei lembi mitralici con associata insufficienza valvolare (B, freccia). AS, atrio sinistro; VS, ventricolo sinistro. 6 G ITAL CARDIOL | VOL 12 | MAGGIO 2011 LA FIBROSI ENDOMIOCARDICA Figura 8. Esempio di “multimodality imaging” in una giovane paziente italiana affetta da sindrome di Churg-Strauss complicata da endocardite di Loeffler: flogosi endocardica attiva complicata da trombosi endoventricolare apicale evidenziata alla risonanza cardiaca (A, frecce nere) e all’ecocardiografia transesofagea (B, frecce bianche). AS, atrio sinistro; VS, ventricolo sinistro. Loeffler e di FEM, teso ad aumentare la sensibilità nei confronti di queste entità rare e il corretto inquadramento diagnostico e terapeutico. RIASSUNTO L’epidemiologia delle malattie cardiovascolari è un fenomeno globale la cui incidenza e prevalenza aumentano esponenzialmente nei paesi in via di sviluppo con implicazioni che riguardano anche i paesi industrializzati. La transizione epidemiologica segue i flussi migratori e la presenza di un numero progressivamente crescente di immigranti in Italia ha determinato la necessità di rivedere i principali criteri diagnostici e il trattamento di malattie cosiddette “obsolete”, nonché di approfondire malattie cardiache rare potenzialmente “importabili” con i flussi migratori. La malattia reumatica da un lato e le malattie cardiache tropicali rare dall’altro, quali fibrosi endomiocardica in Africa e malattia di Chagas in America Latina, impongono una fitta rete di risorse umane ed assistenziali da coinvolgere nei programmi di prevenzione, cura e ricerca scientifica. In questa rassegna focalizzeremo l’attenzione su una malattia “orfana” endemica in Africa, la fibrosi endomiocardica, integrando i dati della letteratura con l’esperienza personale in Uganda presso il St. Raphael of St. Francis Hospital-Nsambya e l’Ugandan Heart Institute della capitale Kampala. La fibrosi endomiocardica è la forma più comune oggi di miocardiopatia restrittiva al mondo, rappresenta un vero mistero dal punto di vista clinico, eziologico e fisiopatologico e necessita pertanto di maggiore attenzione da parte della comunità cardiologica internazionale. Parole chiave. Fibrosi endomiocardica; Malattie cardiache tropicali rare; Miocardiopatie primitive. RINGRAZIAMENTI Si ringrazia l’AISPO (Associazione Italiana per la Solidarietà tra i Popoli) nelle figure di Renato Corrado, Elena Balducci e Francesco Aloi. Si ringraziano inoltre i medici che hanno preso parte alle missioni a finalità assistenziale e scientifica in Uganda: Enrico Ammirati, Francesco Arioli, Filippo Figini, Santo Ferrarello, Andrea Radinovic, Anna Chiara Vermi e Francesco Sacco. Un sentito ringraziamento alla dr.ssa Francesca Baratto per il prezioso aiuto nell’elaborazione dei dati, alla dr.ssa Barbara Vergani, infettivologa dell’Ospedale L. Sacco di Milano e a tutto lo staff medico ed infermieristico dell’Ospedale St. Raphael of St. Francis Hospital-Nsambya di Kampala. BIBLIOGRAFIA 1. Yusuf S, Reddy S, Ounpuu S, Anand S. Global burden of cardiovascular diseases: Part II: variations in cardiovascular disease by specific ethnic groups and geographic regions and prevention strategies. Circulation 2001;104:2855-64. 2. Marijon E, Ou P, Celermajer DS, et al. Prevalence of rheumatic heart disease detected by echocardiographic screening. N Engl J Med 2007;357:470-6. 3. Yacoub S, Kotit S, Mocumbi AO, Yacoub MH. Neglected diseases in cardiology: a call for urgent action. Nat Clin Pract Cardiovasc Med 2008;5:176-7. Analisi dei fattori di sviluppo e progresso scientifico che hanno portato ad una considerevole riduzione della mortalità e morbilità per malattie cardiovascolari negli ultimi 50 anni contribuendo ad aumentare l’aspettativa e la qualità di vita. 4. Yacoub S, Mocumbi AO, Yacoub MH. Neglected tropical cardiomyopathies: I. 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