SYLLABUS 2008 Fisiologia dell’ipofisi L‟ipofisi è una delle più importanti ghiandole endocrine presenti nel nostro organismo in quanto controlla e regola la secrezione della maggior parte delle altre ghiandole a secrezione interna. Essa a sua volta è al centro di un complesso sistema di regolazione sia da parte di strutture superiori (ipotalamo e strutture corticali) sia da parte di ormoni periferici tramite meccanismi di feed-back. Il ciclo mestruale è la risultante di una serie di eventi correlati tra loro che coinvolgono diversi organi funzionalmente uniti in un unico asse: ipotalamo-ipofisi-ovaio. L'organo bersaglio è l'utero, che si modifica in risposta alle variazioni dei livelli circolanti degli estrogeni e del progesterone. La secrezione di questi ormoni steroidei ovarici è controllata dalle gonadotropine ipofisarie, l'ormone follicolostimolamte (FSH) e l'ormone luteinizzante (LH), i cui livelli circolanti dipendono dall'azione del gonadotropin-realeasing hormone (Gn-RH) ipotalamico. Le gonadotropine vengono secrete in maniera pulsatile dall'ipofisi sotto il controllo del GnRH con pattern secretorio diverso nelle varie epoche della vita. Già in epoca neonatale esiste una secrezione pulsatile di gonadotropine con differenze legate al sesso: mentre nella femmina a quest'età si rileva una secrezione episodica di FSH, nel maschio si riscontra con maggiore frequenza un'attività pulsatile dell'LH. Successivamente in entrambi i sessi i livelli di gonadotropine circolanti si riducono e i picchi di LH sono praticamente non dosabili nel periodo prepubere. All'inizio della pubertà la secrezione gonadotropinica viene attivata prevalentemente durante il sonno. Con il passare del tempo la secrezione pulsatile di tali ormoni si prolunga nel corso della giornata ed iniziano in breve tempo i cicli mestruali ovulatori. Durante il periodo fertile nella donna si osservano molte differenze nella secrezione episodica di LH durante il ciclo mestruale. Infatti, durante la fase follicolare la pulsatilità dell'LH mostra una maggiore frequenza con ampiezza minore mano a mano che ci si avvicina al periodo ovulatorio. Inoltre, durante la fase follicolare, si assiste ad un rallentamento della frequenza della pulsatilità dell'LH durante la notte, fenomeno forse mediato dall'aumento dell'attività degli oppioidi endogeni. In fase ovulatoria la pulsatilità dell'LH aumenta sia in ampiezza sia in frequenza, mentre, in fase luteale si registra una riduzione della frequenza delle pulsazioni da correlare con tutta probabilità all'aumento dell'attività oppioide, dal momento che la somministrazione di naloxone aumenta la frequenza dei picchi di LH. L'aumento della frequenza di pulsatilità dell'LH rilevabile durante la fase follicolare è probabilmente dovuto al “clima estrogenico” caratteristico di questa fase, mentre la riduzione dell'ampiezza potrebbe essere collegata con il feedback negativo esercitato dagli estrogeni sulla secrezione di Gn-RH e di gonadotropine. I cambiamenti della frequenza e dell'ampiezza della pulsatilità di LH durante la fase luteale sono dovuti all'azione del progesterone sul sistema ipotalamo-ipofisario. Anche l'FSH viene secreto in maniera episodica ed una stretta correlazione tra la secrezione episodica di FSH e quella di LH aggiunge un'ulteriore evidenza del ruolo svolto dal Gn-RH nella regolazione della secrezione di entrambe le gonadotropine. La secrezione di FSH sembra essere modulata non solo dal Gn-RH ipotalamico, ma anche da fattori inibitori ovarici, come inibina e follistatina, così come da fattori ipofisari che agiscono con meccanismi paracrini e autocrini. Tuttavia evidenze sperimentali hanno suggerito che la secrezione di FSH viene regolata anche mediante un meccanismo centrale: la stimolazione di specifiche aree ipotalamiche nei ratti induce il rilascio soltanto di FSH e l'iniezione di estratti ipotalamici parzialmente purificati provoca una secrezione maggiore di FSH rispetto all'LH. Oltre alle gonadotropine FSH e LH, l‟ipofisi anteriore produce anche il TSH, la prolattina, il GH, l‟ACTH e i peptidi a questo correlati. Il TSH stimola la tiroide nella produzione degli ormoni tiroidei. La sua secrezione a sua volta è controllata dal TRH ipotalamico e dal feed-back degli ormoni tiroidei. La prolattina agisce principalmente sul tessuto mammario di cui promuove lo sviluppo e stimola la lattazione. Al di fuori della gravidanza, la prolattina influenza la produzione di progesterone da parte delle cellule del corpo luteo. Livelli elevati di prolattina invece si associano ad una inibizione progressiva della secrezione di progesterone. Il controllo neuroendocrino della produzione della prolattina è soprattutto inibitorio ed è determinato dalla dopamina. Il TRH, invece, ne stimola la produzione insieme a quella del TSH. Di conseguenza una condizione di ipotiroidismo, stimolando la produzione di TRH, determina anche iperprolattinemia. Il GH o ormone della crescita determina un incremento della massa corporea e interviene nella regolazione dei processi metabolici. La sua secrezione è sottoposta ad un controllo nervoso, metabolico e ormonale. L‟ACTH, infine, stimola il surrene nella produzione di glucocorticoidi, mineralcorticoidi e androgeni. Esistono tre componenti principali nel controllo della secrezione dell‟ACTH: una ritmicità circadiana intrinseca; un feed-back a circuito chiuso che risponde a variazionio dei livelli circolanti del cortisolo, e una componente a circuito aperto sensibile a numerosi stimoli mediati per via nervosa comunemente denominati stress. L‟ipofisi posteriore o neuroipofisi secerne molti peptici che fungono da neuroormoni, ma gli unici ad essere stati studiati approfonditamente sono l‟ossitocina e la vasopressina. Mentre la regolazione della secrezione dell‟ossitocina non è stata ancora ben delineata, la secrezione della vasopressina è regolata da diversi fattori quali: la pressione osmotica del plasma, variazioni di pressione e/o di volemia, nausea, ipoglicemia, il sistema renina-angiotensina, stress e l‟ipossia e l‟ipercapnia. L‟azione più importante della vasopressina consiste nella conservazione dei liquidi dell‟organismo, attraverso la riduzione della diuresi. Le patologie ipofisarie si dividono in patologie da iposecrezione o patologie da ipersecrezione. Le patologie da ipofunzione sono legate a tumori, processi infiammatori o degenerativi, cause iatrogene o traumatiche che possono colpire l‟ipotalamo o l‟ipofisi stessa, determinando ipopituitarismo secondario o primitivo. Le manifestazioni cliniche variano in funzione della presenza di uno o più difetti ormonali. La terapia è volta alla rimozione della causa scatenante e alla terapia ormonale sostitutiva dell‟ormone mancante. Le patologie da ipersecrezione sono perlopiù dovute a neoplasie secernenti. Gli ormoni dell‟ipofisi che vengono più comunemente secreti in eccesso sono il GH (acromegalia e gigantismo); prolattina (galattorrea) e l‟ACTH (forma ipofisaria della sindrome di Cushing). La terapia di scelta di tali neoplasie è l‟intervento neurochirurgico e la somministrazione di dopaminoagonisti in caso di prolattinomi. Bibliografia - Skinner MK. Regulation of primordial follicle assembly and development. Hum Reprod Update 2005; 11(5):461-71. - Luisi S et al. Inhibins in female and male reproductive physiology: role in gametogenesis, conception, implantation and early pregnancy. Hum Reprod Update. 2005;11(2):123-35. - Gennazzani AR, De Leo V. 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Pacini Dip.to di Medicina Interna, Scienze Endocrino-Metaboliche e Buiochimica Università degli Studi di Siena La tiroide è una ghiandola endocrina posta nella regione anteriore del collo al davanti e lateralmente alla laringe ed ai primi anelli tracheali, il cui compito principale è quello di produrre ormoni iodati. L’unità funzionale della tiroide è il follicolo tiroideo, costituito da un singolo strato di cellule epiteliali (tireociti) che circonda il lume contenente una sostanza vischiosa denominata “colloide”. La tireoglobulina (Tg) è il principale costituente proteico della colloide ed è il precursore degli ormoni tiroidei. Gli ormoni tiroidei (tiroxina T4 e triiodotironina T3 controllano importanti processi biologici quali, nella vita fetale lo sviluppo del sistema nervoso centrale, nell’età evolutiva l’accrescimento corporeo e, nell’età adulta, la regolazione di numerose funzioni metaboliche. La T4 è prodotta esclusivamente dalla ghiandola tiroide, mentre solo il 20% della T3 circolante è direttamente secreto dalla tiroide e la quota rimanente deriva dalla trasformazione periferica della T4 in T3. Il costituente principale degli ormoni tiroidei è lo iodio che, assunto con gli alimenti, viene incorporato nella tiroide dal circolo ematico. Affinché la tiroide possa sintetizzare e secernere quantità sufficienti di ormoni è necessario che l’apporto iodico giornaliero sia adeguato, ovvero che sia almeno uguale a 150 mg al giorno. La tiroide è infatti avida di iodio e capta tutto lo iodio a disposizione in circolo, mediante un trasportatore tiroideo dello iodio (sodium iodine symporter, NIS) che è presente sulla membrana basolaterale dei tireociti. Una volta internalizzato nel tireocita, lo ione ioduro attraversa la cellula tiroidea e, raggiunta la membrana apicale, viene esportato nel lume del follicolo. Nella colloide lo iodio viene incorporato nei radicali tirosinici della Tg. Questo processo, denominato organificazione dello iodio, è catalizzato dalla tireoperossidasi (TPO), un enzima sintetizzato dai tireociti ed espresso sulla loro membrana apicale. Lo iodio viene così depositato come tiroxina o T4 (contenente quattro molecole di iodio) o come triiodiotironina o T3 (contenente tre molecole di iodio), nell’ambito della molecola di tireoglobulina. Il rilascio degli ormoni tiroidei da parte del tireocita avviene mediante l’internalizzazione della Tg (endocitosi) contenuta nella colloide seguita dalla degradazione lisosomiale della stessa e dal rilascio degli ormoni tiroidei dalla membrana basolaterale dei tireocita nel circolo ematico. Nel sangue gli ormoni tiroidei si trovano in gran parte legati alle proteine (Thyroxine binding globulin TBG, la thyroxine binding pre-albumin TBPA e l’albumina) e solo lo 0.030.05% della T4 e lo 0.3-0.5% della T3 circolano in forma libera. La forma ritenuta attiva dell’ormone è quella libera (FT3, FT4), pertanto la funzione tiroidea è più strettamente correlata alla concentrazione di ormone circolante libero che legato. Gli ormoni tiroidei esplicano i loro effetti prevalentemente attraverso il legame a recettori nucleari. Regolano quindi l’espressione genica, promuovendo la trascrizione di acidi ribonucleici messaggeri (mRNA) tessuto-superfici, il cui messaggio è tradotto in proteine con funzioni enzimatiche o strutturali. La sintesi e la secrezione degli ormoni tiroidei sono principalmente regolate dal TSH, ormone sintetizzato e secreto a livello dell’ipofisi anteriore. Il TSH si lega ad uno specifico recettore presente sulla membrana dei tireociti e induce la sintesi delle proteine coinvolte nella produzione degli ormoni tiroidei nonché la crescita del tireocita e l’endocitosi della tireoglobulina. La stimolazione del TSH determina pertanto l’aumento della sintesi e della secrezione degli ormoni tiroidei circolanti. La produzione del TSH è a sua volta regolata dalla concentrazione sierica degli ormoni tiroidei venendosi così a determinare un meccanismo di regolazione a “feedback” negativo. L’alterazione di questo equilibrio porta a due opposte condizioni patologiche, l’ipotiroidismo e l’ipertiroidismo. In condizioni di ridotta produzione di ormoni tiroidei, mancando il meccanismo inibitorio sulla secrezione del TSH, la sintesi e la secrezione di questo ormone aumentano nel tentativo di compensare la ridotta produzione degli ormoni tiroidei. Pertanto nell’ipotiroidismo primitivo i livelli sierici di TSH sono elevati mentre quelli degli ormoni tiroidei sono bassi (ipotiroidismo franco) o normali (ipotiroidismo sub-clinico). Al contrario, l’eccesso degli ormoni tiroidei determina la soppressione del TSH da parte dell’ipofisi. Ne consegue che nell’ipertiroidismo primitivo il TSH sierico è indosabile mentre gli ormoni tiroidei sono elevati o normali (ipertiroidismo sub-clinico). La causa più frequente di ipotiroidismo primitivo è quella legata all’infiltrazione linfocitaria della tiroide che si osserva nella tiroide autoimmune, oppure all’asportazione chirurgica della tiroide o alla sua distruzione mediante iodio radioattivo. Un’altra causa di ipotiroidismo primitivo è quella dovuta ad alterazioni genetiche delle proteine responsabili della sintesi e della secrezione degli ormoni tiroidei. Ad esempio le alterazioni a carico del NIS (proteina di trasporto dello iodio) sono responsabili di una ridotta captazione dello iodio da parte dei tireociti con conseguente ridotta sintesi degli ormoni tiroidei. Un’alterazione a carico della TPO (enzima responsabile della organificazione dello iodio) determina invece una ridotta organificazione dello iodio che esita in una condizione di ipotiroidismo. In genere, in tali condizioni, l’ipotiroidismo è accompagnato da gozzo (aumento di volume della tiroide). Tali difetti molecolari sono comunque tra le cause più rare di ipotiroidismo, così come lo sono i difetti di secrezione del TSH (ipotiroidismo centrale). Una severa carenza alimentare di iodio può essere responsabile di un fenotipo simile a quello che si osserva nei difetti molecolari. Essendo lo iodio il costituente principale degli ormoni tiroidei, un suo ridotto apporto alimentare comporta una ridotta produzione degli ormoni tiroidei con secrezione compensatoria di TSH. Permanendo la carenza iodica, il continuo stimolo esercitato dal TSH è responsabile di alterazioni organiche a carico della ghiandola tiroidea quali l’ipertrofia e l’iperplasia delle cellule follicolari tiroidee con conseguente ingrandimento della ghiandola stessa. Inizialmente si tratta di un ingrandimento diffuso che, tuttavia, nel corso degli anni, può evolvere verso la forma nodulare e successivamente portare ad un quadro di ipertiroidismo da gozzo nodulare tossico. Nelle aree a normale apporto iodico, la causa più frequente di ipertiroidismo è invece quella autoimmune (morbo di Basedow). Il meccanismo patogenetico che sta alla base di questa forma di ipertiroidismo è la presenza di anticorpi rivolti contro il recettore del TSH (Trab). Tali anticorpi sono in grado di legare e attivare il recettore stesso stimolando così la crescita tiroidea e la produzione di ormoni da parte della tiroide. L’unica alterazione molecolare in grado di determinare ipertiroidismo è rappresentata dalle mutazioni attivanti il recettore del TSH che sono responsabili dell’ipertiroidismo che si osserva nel gozzo nodulare tossico e nell’adenoma tossico, due condizioni frequenti in aree geografiche di grave carenza iodica. Anche alcuni farmaci contenenti iodio (amiodarone) o mezzi di contrasto iodato possono determinare un aumento della sintesi o della secrezione degli ormoni tiroidei con vari meccanismi. Raramente l’ipertiroidismo è dovuto ad aumentata secrezione di TSH (ipertiroidismo secondario o centrale). DIFFERENZE DI GENERE A CONFRONTO: L’ANDROPAUSA È IL PALINDROMO DELLA MENOPAUSA O SOLTANTO UNA “MAGROPAUSA”? F. LOTTI, M. MAGGI S.O.D. ANDROLOGIA, DIPARTIMENTO UNIVERSITÀ DI FIRENZE. DI FISIOPATOLOGIA CLINICA, CORRISPONDENZA: Prof. Mario Maggi, Unità di Andrologia, Dipartimento di Fisiopatologia Clinica, Viale Pieraccini 6, 50139, Firenze. Tel.: +39-55-4271415. Fax: +39-55-4271413 e-mail: [email protected] Le leggi di uguale opportunità sono state promulgate per permettere ai singoli di essere assunti, pagati, formati e promossi sulla base delle proprie attitudini e capacità, indipendentemente dal genere di appartenenza. Queste leggi sono una realtà nei Paesi Occidentali. Di conseguenza, la discriminazione sessuale sul lavoro è considerata illegale, qualsiasi sia la posizione occupata: se qualcuno lamentasse di essere sfavorito sul lavoro a causa del proprio sesso, stato civile o genere, per legge il datore di lavoro dovrebbe porre fine a qualsiasi discriminazione basata sulla differenza di genere. D‟altronde, le differenze di genere hanno ancora un ruolo e rivestono importanza biologica nella medicina della riproduzione e della sessualità. Complessivamente, ovaio e testicolo, che derivano entrambi dalla gonade indifferenziata, si differenziano notevolmente nel corso dello sviluppo fetale, e tali differenze persistono per tutta la vita. Una traslazione palindromica di genere dei problemi riproduttivi o sessuali da un genere ad un altro non è un prodotto della rivoluzione sessuale, vale a dire una modificazione nella percezione culturale dell‟etica sessuale e del comportamento sessuale, ma un mero errore medico. Un buon esempio di questo errore è rappresentato dall‟applicazione del concetto di menopausa, proprio del sesso femminile, al sesso maschile, mediante il termine andropausa. Come noto, la menopausa rappresenta il momento della vita della donna in cui cessano i cicli mestruali come conseguenza dell‟esaurimento del patrimonio ovarico di follicoli e cellule germinali. Infatti, nel sesso femminile, il numero delle cellule germinali è determinato nell‟epoca prenatale e, dopo la pubertà, si osserva una continua e irreversibile riduzione del numero degli ovociti, che, al termine del processo, conduce al reale esaurimento del patrimonio ovarico. Ne risulta un‟improvvisa riduzione della secrezione ormonale ovarica. All‟esaurimento ovarico (in termini sia di cellule germinali che di secrezione endocrina), si associa la cessazione dei flussi mestruali, ovvero la menopausa. Il temine menopausa deriva dalla radice greca “meno” (mese) e “pausa” (esaurimento). A partire dallo scorso secolo, l‟esaurimento della capacità ovarica di ovulare e di produrre ormoni sessuali si realizza molto precocemente rispetto alla massima durata di vita della donna (si realizza, infatti, all‟inizio della quinta decade di vita). La menopausa è preceduta da un periodo di durata variabile, detto climaterio, caratterizzato dalla presenza di cicli mestruali irregolari, che riflette il declino del numero dei follicoli ovarici e dei livelli degli ormoni sessuali. Mentre l‟organismo tenta di adattarsi al rapido declino dei livelli degli ormoni ovarici, insorgono numerosi sintomi, tra cui disturbi vasomotori e secchezza vaginale. Nel testicolo, invece, spermatogenesi e steroidogenesi non cessano improvvisamente e, nella maggior parte dei casi, non cessano affatto. Di conseguenza, la capacità riproduttiva della maggior parte dei maschi persiste per tutta la durata della vita. Mentre la meiosi rappresenta un evento relativamente raro nell‟ovaio anche prima della menopausa, nel testicolo si presenta invece come un processo continuo. Non esiste dunque un esaurimento della spermatogenesi e della secrezione ormonale testicolare come tale; esistono però condizioni particolari, sempre più frequenti nel maschio anziano, che si associano ad un ipogonadismo età-correlato, erroneamente chiamato andropausa, climaterio maschile, declino androgenico parziale del maschio anziano (“partial androgen decline in the aging male”, PADAM), deficit androgenico nel maschio anziano (“androgen deficiency in the aging male”, ADAM) e così via. Il declino della funzione testicolare età-correlato si associa spesso al declino contemporaneo di altre funzioni fisiologiche (che includono le funzioni cardiaca, respiratoria, renale). Si tratta semplicemente dell‟invecchiamento! Infatti, non esistono i termini cardiopausa e pneumopausa. I segni e i sintomi caratteristici dell‟ipogonadismo (calo della libido, disfunzione erettile, riduzione di massa e forza muscolare, peggioramento della funzione cognitiva e della memoria, facile affaticabilità, vampate di calore) ricordano in qualche modo quelli presenti in modo variabile nel maschio anziano. Pertanto il maschio anziano è stato considerato, per definizione, ipogonadico, come la femmina anziana. Ma, in realtà, esiste un‟importante differenza nell‟invecchiamento gonadico maschile e femminile: mentre le donne anziane sono invariabilmente ipogonadiche (esaurimento ovarico), gli uomini anziani possono esserlo solo in alcune particolari condizioni. E‟ noto che l‟incremento della massa grassa e la riduzione della massa magra, insieme all‟invecchiamento, rappresentano i principali determinanti del deficit androgenico che si riscontra frequentemente nel maschio anziano (1). Quindi, più che di andropausa, si dovrebbe parlare di un‟epidemia di “magropausa”! L‟automazione, la mancanza di tempo, e i cambiamenti dello stile di vita associati alla rivoluzione industriale, hanno condotto progressivamente alla riduzione dell‟attività degli individui: in questo l‟iperalimentazione gioca un ruolo chiave. L‟iperalimentazione e la riduzione dell‟attività fisica rappresentano oggi un‟epidemia. Molte condizioni cliniche che conducono all‟obesità sono state associate a questi cambiamenti dello stile di vita, nati in Occidente e poi diffusi in tutto il mondo. La distribuzione del grasso corporeo è diversa da persona a persona. L‟adipe si deposita generalmente in due diverse sedi: viscerale (disposto intorno agli organi interni) e sottocutaneo (sotto la cute)- circa l‟80% di tutto il grasso corporeo. Uomini e donne normopeso presentano una differenza di genere nella distribuzione del grasso corporeo; ciò è più evidente quando soggetti maschi in sovrappeso sviluppano un‟obesità tronculare, con un eccesso di grasso localizzato prevalentemente nelle regioni adipose sottocutanee e viscerali. Infatti, mentre nelle donne l‟adipe si localizza prevalentemente a livello dei glutei e delle cosce (distribuzione adiposa gluteofemorale), negli uomini il grasso tende ad accumularsi nella regione addominale. Si parla, rispettivamente, di conformazioni “a pera” e “a mela”. Quindi, la distribuzione corporea del grasso è diversa negli uomini e nelle donne, ed è considerata come una caratteristica sessuale secondaria, dipendente dalla presenza di ormoni sesso-specifici. L‟accumulo di adipe viscerale (conformazione “a mela”), è oggi riconosciuta come un‟entità clinica distinta, componente chiave di una condizione definita sindrome metabolica. La sindrome metabolica (SM), originariamente nota come sindrome X, è una costellazione di alterazioni cliniche che si associa ad un aumento del rischio complessivo di sviluppare patologie cardiovascolari e metaboliche. Le componenti della SM sono rappresentate da insulino-resistenza (iperinsulinemia, alterata tolleranza al glucosio, diabete mellito di tipo 2), dislipidemia (ipertrigliceridemia, bassi livelli di HDL) e ipertensione arteriosa. Il termine “sindrome metabolica” risale almeno alla fine degli anni cinquanta. Più di venti anni dopo, Gerald B. Phillips suggerì che i fattori di rischio per l‟infarto del miocardio costituissero una “costellazione di anomalie” associate non soltanto alle cardiopatie, ma anche all‟invecchiamento, all‟obesità e ad altre condizioni cliniche, e ipotizzò che gli ormoni sessuali potessero rappresentare un fattore di legame tra tali condizioni (2). E‟ oggi chiara l‟esistenza di un‟associazione tra SM e disfunzione erettile (DE), caratterizzata da un‟incremento della prevalenza della DE al crescere del numero delle componenti della SM (3, 4). Oggi sappiamo anche che la SM si associa spesso ad una riduzione dei livelli plasmatici di testosterone, mentre l‟ipogonadismo rappresenta un fattore di rischio per lo sviluppo del diabete mellito e della SM (5). L‟ipogonadismo maschile, come la DE, può essere considerato un‟altra condizione associata alla SM, che concorre alle o scaturisce dalle alterazioni metaboliche e cardiovascolari associate alla SM. Sebbene la classificazione della SM più utilizzata, quella del NCEP-ATPIII, attribuisca la stessa importanza a tutti i criteri diagnostici di SM, è noto che ogni criterio ha un impatto diverso sul rischio metabolico e cardiovascolare. Abbiamo osservato che l‟ipertensione arteriosa e l‟iperglicemia, noti fattori di rischio cardiovascolare, si associano in misura maggiore a peggiori flussi vascolari penieni rispetto alle altre componenti della SM (3, 4). D‟altra parte, l‟ipogonadismo correla con il grado di adiposità viscerale e con l‟iperglicemia (1, 3 ,4). Ciò significa che il tessuto adiposo non è un deposito inattivo di riserva energetica, ma è in grado di sintetizzare ed elaborare molecole in grado di modulare l‟asse ipotalamo-ipofisi-testicolo. E‟ stato ipotizzato un ruolo regolatore per estrogeni, insulina, leptina, TNF e altre adipochine. In tal senso, è stato recentemente dimostrato che la somministrazione di una bassa dose settimanale (2.5 mg) dell‟inibitore dell‟aromatasi letrozolo è in grado di ripristinare normali livelli di testosterone e incrementare i livelli di LH in maschi ipogonadici con obesità severa (6). Pertanto, l‟aumentata aromatizzazione degli androgeni da parte del tessuto adiposo si accompagna ad un incremento dei livelli plasmatici di estrogeni, che, d‟altra parte, determinano una riduzione nella secrezione di LH. L‟insulina agisce direttamente sull‟ipotalamo determinando un incremento della sintesi e secrezione di GnRH (7). A conferma di ciò, in un modello murino di deplezione centrale del recettore per l‟insulina, il fenotipo risultante presentava caratteristiche analoghe a quelle presenti nella SM e nell‟ipogonadismo ipogonadotropo (8). Gli androgeni, d‟altra parte, possono interagire con gli adipociti mediante il recettore per gli androgeni (RA) o per gli estrogeni. Studi “in vivo” condotti nell‟uomo hanno dimostrato che il testosterone influenza il metabolismo dei trigliceridi nei depositi di adipe e regola la sensibilità all‟insulina (9, 10). Di conseguenza, la delezione del gene del RA nel topo determina caratteristiche molto simili a quelle che si osservano nei maschi con SM (11). Peraltro, nei modelli murini di deplezione del “recettore X per i farnesoidi” (“farnesoid X receptor”, FXR), un membro della superfamiglia dei recettori nucleari dei fattori di trascrizione attivati dal ligando, si osserva un fenotipo con caratteristiche molto simili a quelle della SM nell‟uomo. I topi FXR–/– presentano elevati livelli plasmatici ed epatici di colesterolo e trigliceridi, un‟aumentata risposta epatica ad una dieta ad elevato contenuto di carboidrati e resistenza periferica all‟insulina (12). E‟ interessante notare come l‟androsterone, uno dei principali metaboliti del diidrotestosterone, steroide di cui, fino a poco tempo fa, non era nota alcuna attività biologica, sia oggi considerato, insieme all‟acido biliare, uno dei ligandi naturali del FXR (13). La modalità con cui gli androgeni possono agire e ridurre i depositi adiposi, è tutt‟oggi oggetto di studio, ma siamo convinti che questo aspetto rappresenti il punto cruciale della cosiddetta andropausa, o, almeno, della componente di questo processo età-correlato su cui si può intervenire: la “magropausa”. La DE rappresenta un altro punto chiave in questo contesto, perché può sottendere ed essere la spia di comorbilità associate. In qualche misura, i soggetti con DE possono essere ritenuti “fortunati”, perché lo studio delle comorbilità ad essa associate può consentire di identificare altre alterazioni metaboliche. SM e diabete mellito sono spesso associati a DE e ipogonadismo, che, a loro volta, possono esacerbare un disturbo della sessualità. Infatti, nei modelli animali, la presenza di un ipogonadismo indotto dal diabete mellito può agire negativamente sulle principali vie metaboliche coinvolte nel processo erettile, quali quelle di NOS, PDE5 e RhoA/ROCK (14, 15). Il riscontro di condizioni sottese alla DE, cui si perviene indagandone le comorbilità associate, quali ipogonadismo e/o diabete mellito/SM, può rappresentare per il maschio un valido motivo per migliorare il proprio stile di vita. Interventi sullo stile di vita, che includono una dieta equilibrata e l‟attività fisica, possono migliorare non soltanto la salute dell‟individuo, ma anche la sua sessualità, ritardando l‟andropausa/ “magropausa”. REFERENZE BIBLIOGRAFICHE 1. Corona G, Mannucci E, Fisher AD, Lotti F, Petrone L, Balercia G, Bandini E, Forti G, Maggi M. Low Levels of Androgens in Men with Erectile Dysfunction and Obesity. J Sex Med. 2008 2. Phillips GB. Sex hormones, risk factors and cardiovascular disease. Am J Med. 1978;65:711 3. Corona G, Mannucci E, Petrone L, Balercia G, Paggi F, Fisher AD, et al. NCEP-ATPIIIdefined metabolic syndrome, type 2 diabetes mellitus, and prevalence of hypogonadism in male patients with sexual dysfunction. J Sex Med. 2007;4:1038-45. 4. 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In una visione finalistica non appariva tuttavia già allora sorprendente che fra gli adattamenti dell‟organismo conseguenti ad uno stato di carenza di riserve energetiche vi potesse essere la messa a riposo della funzione riproduttiva, date le implicazioni che una carenza di nutrienti può determinare in rapporto alle esigenze di una eventuale gravidanza. L‟ipotesi di Frisch e Revelle ha poi avuto varie conferme epidemiologiche e sperimentali e oggi sappiamo che i meccanismi alla base delle alterazioni riproduttive spesso presenti nei soggetti con peso ridotto sono verosimilmente ascrivibili alla ridotta secrezione da parte del tessuto adiposo di leptina e altre adipochine. Il tessuto adiposo è infatti un organo capace di liberare varie sostanze biologicamente attive ed è attraverso queste sostanze che i centri superiori possono essere informati sullo stato di replezione energetica dell‟organismo. Studi epidemiologici più recenti hanno evidenziato che i disturbi della funzione riproduttiva presentano una relazione ad U con il BMI. La figura 1 riporta i risultati di un‟analisi condotta sull‟ampia coorte del Nurses‟ Health Study e mostra come il rischio di infertilità riconducibile a disturbi ovulatori sia maggiore nelle donne con valori di BMI inferiori a 18 kg/m2 ma soprattutto in quelle con BMI aumentato e già a partire da valori ai limiti superiori della norma. Il fenomeno è comunque più evidente sopra i 30 kg/m2, raggiungendo nell‟obesità franca valori di rischio relativo circa 2 volte e mezzo superiori a quello della popolazione con peso normale. Se la presenza di una relazione fra funzione riproduttiva femminile ed eccesso ponderale è chiara, i meccanismi che sottendono questo fenomeno sono ancora controversi. Una spiegazione parziale è data dalla possibile coesistenza di questi aspetti nell‟ambito della sindrome dell‟ovaio policistico (PCOS). L‟obesità è infatti un comune riscontro nelle pazienti con PCOS e questa condizione è tipicamente caratterizzata da oligo-anovulazione cronica. Anche se i dati epidemiologici sulla PCOS restano discordanti e condizionati dalla eterogeneità delle casistiche e dalle insufficienti dimensioni dei campioni esaminati, si stima che la prevalenza di obesità o sovrappeso in questi soggetti raggiunga valori intorno al 60%. Inoltre, anche nei soggetti con BMI normale vi è spesso un eccesso relativo di grasso viscerale. I meccanismi che legano eccesso ponderale a PCOS restano tuttavia ancora mal definiti e sono probabilmente molteplici. Queste pazienti sono spesso insulinoresistenti e una larga messe di dati indica che l‟insulinoresistenza, con l‟iperinsulinemia compensatoria che l‟accompagna, costituisce un importante meccanismo patogenetico alla base della sindrome. In questo contesto, l‟obesità potrebbe fungere da fattore facilitante l‟insulinoresistenza e attraverso questa determinare, in soggetti predisposti, le manifestazioni tipiche della PCOS - in primo luogo iperandrogenismo e disturbi ovulatori. Un„altra possibilità è che l‟eccesso di androgeni che caratterizza questi soggetti costituisca il meccanismo iniziale che favorisce un accumulo di adipe a livello centrale, con induzione secondaria di insulinoresistenza. La presenza, nelle ragazze obese, di aumentati livelli di testosterone e bassi livelli di SHBG già negli stadi precoci dello sviluppo puberale suggerisce che l‟eccesso di tessuto adiposo sia verosimilmente un meccanismo iniziale di questo processo. In ogni caso gli stretti legami che esistono fra questi aspetti possono rendere conto di un circolo vizioso che, qualunque sia il problema iniziale, tende a mantenere ed aggravare le diverse manifestazioni tipiche della sindrome. Nel caso dell‟obesità il ruolo svolto dalle adipochine nel determinare le alterazioni del ciclo mestruale e più in generale delle funzioni riproduttive resta ancora poco chiaro. E‟ stato esaminato il potenziale ruolo di leptina, adiponectina, resistita, visfatina e di altre componenti di questa ampia categoria. Gli studi finora condotti non hanno tuttavia dato risultati chiarificatori. Le nostre conoscenze su questo complesso sistema di regolazione ormonale restano peraltro ancora limitate. Non vi è dubbio che, indipendentemente dal suo ruolo primitivo o secondario, l‟obesità rappresenta in molte donne affette da PCOS un elemento clinico e fisiopatologico importante. Diversi recenti dati indicano che la presenza di obesità si associa a quadri di maggior gravità della sindrome. Inoltre nelle donne con PCOS obese sono più frequenti le alterazioni metaboliche che caratterizzano molte di queste pazienti. In particolare, il rischio di sviluppare precocemente alterazioni della tolleranza ai carboidrati (IGT o diabete tipo 2), ipertensione e altri aspetti della sindrome metabolica appare nettamente incrementato nelle pazienti con PCOS obese. E‟ verosimile che sia soprattutto in relazione a questi disordini metabolici che in tali soggetti sono più spesso presenti alterazioni di diversi parametri che costituiscono indicatori precoci di maggior rischio cardiovascolare, come gli indici di flogosi cronica e di disfunzione endoteliale, anche se manca ancora la dimostrazione che tale rischio sia effettivamente aumentato nelle donne che soffrono di questa patologia. Va tenuto presente, in ogni caso, che l‟epoca della vita in cui le pazienti giungono al medico per gli aspetti riproduttivi ed endocrini tipici della PCOS è molto più precoce rispetto a quella in cui è verosimile possano svilupparsi le complicanze cardiovascolari. Le interrelazioni fra obesità, aspetti metabolici ed aspetti endocrini sono in ogni caso molto complesse. La figura 2 schematizza i risultati dell‟analisi delle componenti applicata agli aspetti caratteristici della sindrome dell‟insulinoresistenza in un campione di 255 donne iperandrogeniche. In questa analisi i diversi aspetti della sindrome dell‟insulinoresistenza risultano raggruppati in tre componenti principali, quella centrale, che contiene il BMI fra i suoi parametri, e quelle dell‟iperglicemia e dell‟ipertensione, legate a quella centrale rispettivamente attraverso l‟iperinsulinemia e l‟eccesso ponderale. Questi dati sono in accordo con quanto già osservato nella popolazione generale del Framingham Study. Includendo alcuni aspetti endocrini tipici della PCOS a questa analisi (eccesso di testosterone e iperrisposta del 17-idrossiprogesterone allo stimolo con GnRH-analoghi), si può osservare una quarta componente, anch‟essa associata a quella centrale attraverso l‟iperinsulinemia,a suggerire che le manifestazioni della PCOS rappresentino un fenotipo della sindrome metabolica. Va anche notato che i livelli di testosterone libero compaiono anche in altre componenti del modello, a suggerire dei nessi molto complessi in questa patologia fra iperandrogenismo e alterazioni metaboliche associate all‟insulinoresistenza. E‟ importante notare che tutti gli approcci che determinano calo ponderale, nelle donne obese con PCOS, dalla dieta ipocalorica, ai farmaci anti-obesità fino alla chirurgia bariatrica - nelle pazienti con obesità massiva, migliorano non solo gli aspetti metabolici ma anche e soprattutto quelli riproduttivi di queste pazienti, consentendo in molti casi il ripristino di cicli regolari e ovulatori e la riduzione dei livelli di testosterone. Inoltre, va ricordato che l‟efficacia della metformina e di altri strumenti terapeutici è ridotta e il rischio di complicanze di una eventuale gravidanza è aumentato nei soggetti con obesità grave. L‟approccio terapeutico alla PCOS deve quindi sempre comprendere l‟obiettivo di correggere l‟eventuale eccesso ponderale. L‟associazione fra obesità e PCOS non appare spiegare in ogni caso completamente i legami fra eccesso ponderale e disturbi mestruali e più in generale riproduttivi. L‟eccesso ponderale rimane predittore di oligoamenorrea anche dopo aver incluso nell‟analisi livelli di androgeni e morfologia ovarica ed è anche associato a una ridotta capacità di procreazione. Inoltre, le donne obese non iperandrogeniche presentano alterazioni endocrine peculiari e assai diverse da quelle tipiche della PCOS, in particolare una riduzione delle gonadotropine. Queste alterazioni si associano spesso ad uno sfumato aumento della prolattina, che correla con i parametri antropometrici e con i livelli circolanti della leptina e che risponde alle variazioni ponderali. Anche l‟origine di queste alterazioni resta poco chiara e ulteriori studi sono necessari per interpretarne il significato. Fig. 1. Fig 2. Componenti della sindrome dell’insulinoresistenza in 255 donne iperandrogeniche Core Iperglicemia Ipertensione lipidi glicemia insulina BMI pressione testosterone testosterone testosterone 17OHP dopo GnRH-a PCOS Attività fisica e ciclo mestruale Marco Bonifazi Da Zanolin et al, Diabetes Care 2006 U.F. Medicina dello Sport – ASL 7, Dipartimento di Fisiologia, Università degli Studi di Siena La relazione fra l‟attività fisica e il ciclo mestruale riguarda due aspetti principali: 1) i possibili effetti sulla prestazione fisica della variazione ciclica delle concentrazioni ematiche degli ormoni sessuali e 2) gli effetti dell‟allenamento sulla frequenza e durata del ciclo mestruale. Effetti del ciclo mestruale sulla prestazione I neurosteroidi derivati dagli ormoni sessuali sono potenti modulatori dell‟attività neuronale. In sintesi, i neurosteroidi derivati dal progesterone aumentano l‟attività dei recettori per il GABA; questa azione, parallela a quella delle benzodiazepine e dei barbiturici, riduce l‟eccitabilità delle cellule nervose. Al contrario, l‟estradiolo ha un effetto anti-GABAergico e incrementa l‟attività dei recettori NMDA per il glutammato aumentando l‟eccitabilità neuronale. Evidenze sperimentali sull‟uomo, mediante la tecnica della stimolazione magnetica transcraniale, mostrano che le variazioni di estradiolo e/o progesterone, durante il ciclo oppure farmacologicamente indotte, corrispondono a parallele variazioni dell‟eccitabilità delle vie motorie cortico-spinali. Tuttavia tali variazioni funzionali non corrispondono a variazioni nella prestazione fisica quale, per esempio, la potenza meccanica degli arti inferiori durante il salto misurata nelle varie fasi del ciclo mestruale. In effetti, durante il ciclo, non sembrano avvenire variazioni significative nei vari parametri legati alla prestazione sportiva quali, per esempio, il volume plasmatico e l‟ematocrito, la frequenza cardiaca e il lattato ematico a parità d‟intensità sotto massimale, e il massimo consumo d‟ossigeno. Infine, durante la fase luteale, si deve tener presente che la termoregolazione è leggermente modificata per via del lieve aumento della temperatura corporea basale. Questo condiziona l‟attivazione dei meccanismi di termo dispersione (sudorazione, vasodilatazione periferica) ad una temperatura corporea maggiore rispetto alla fase follicolare. In ambiente caldo e umido, ciò potrebbe ridurre la prestazione nelle prove di lunga durata (come la maratona) per accumulo di calore. Effetti dell’allenamento sul ciclo mestruale L‟allenamento deve essere considerato come un insieme di fattori di stress cronici ai quali l‟organismo si adatta con conseguente miglioramento della prestazione fisica. Lo stress cronico presenta risposte di adattamento complesse che coinvolgono molti ormoni, fra i quali quelli dell‟asse ipotalamo-ipofisi-surrene e la prolattina. Questi ormoni, ed il conseguente rilascio di endorfine, sono considerati responsabili delle alterazioni della pulsatilità dell‟LH indotte dall‟esercizio e delle conseguenti alterazioni della ciclicità delle variazioni delle concentrazioni ematiche degli ormoni sessuali. In coloro che praticano attività fisica, tali alterazioni possono presenti anche in assenza di disturbi del ciclo mestruale. In una parte di casi le alterazioni ormonali delle atlete si associano invece a disturbi quali oligomenorrea, amenorrea, ciclo anovulatorio, fase luteale accorciata. Due ipotesi principali sono state formulate per spiegare la comparsa di disturbi del ciclo mestruale legati all‟attività fisica. La prima riguarda l‟entità dell‟attività stessa: secondo questa ipotesi la comparsa di disturbi è legata ad un aumento importante nel volume o nell‟intensità dell‟attività fisica praticata. La seconda ipotesi è legata all‟esaurimento frequente delle risorse energetiche che, a sua volta, può essere dovuto all‟aumento di volume e/o d‟intensità, ma anche ad un apporto alimentare insufficiente o squilibrato in rapporto alle necessità. Secondo quest‟ultima ipotesi, la sterilità che consegue al disturbo del ciclo dovrebbe essere considerata come una strategia di conservazione dell‟energia per proteggere processi biologici immediati più importanti per la sopravvivenza rispetto alla gravidanza. A questo proposito si deve tener presente che numerose discipline sportive enfatizzano la riduzione del grasso corporeo. Fra esse quelle di resistenza (corsa, ciclismo, sci di fondo) e di destrezza e potenza (salto in alto, ginnastica) nelle quali il peso limita la prestazione, quelle che prevedono categorie di peso (arti marziali, canottaggio) ed infine quelle che usano costumi o tenute da gara che rivelano il contorno del corpo (nuoto, pallavolo). La riduzione del grasso corporeo è considerata un fattore importante fra tutti quelli legati alla comparsa di disturbi del ciclo mestruale. Tuttavia è necessario sottolineare che ci sono atlete normalmente mestruate pur essendo al di sotto della percentuale critica di grasso corporeo indicata nel normogramma di Frisch ed altre atlete oligo/amenorroiche con normali valori di composizione corporea. Del resto, la meta-analisi dei vari fattori associati alla frequenza del ciclo mestruale nelle atlete (grasso corporeo, intensità e tipo di attività, volume dell‟attività, età) indica che solo una percentuale ridotta delle alterazioni mestruali può essere spiegata dall‟insieme di questi fattori. L‟alterazione del ciclo mestruale legata all‟attività fisica è reversibile e non richiede, di solito, alcun trattamento ormonale. Si deve però considerare che le alterazioni degli ormoni sessuali possono essere così gravi da portare a osteoporosi e che il quadro d‟insieme può essere sostenuto e aggravato da disturbi alimentari di carattere psicogeno quali l‟anoressia. Le atlete con disturbi mestruali dovrebbero quindi essere attentamente controllate nel tempo. Infatti, alcune di esse potrebbero sviluppare la cosiddetta “triade dell‟atleta femmina” secondo il termine coniato dall‟American College of Sports Medicine nel 1992. Esso si riferisce ad una sindrome grave, per la quale è necessario un intervento combinato di diversi specialisti, caratterizzata dalla presenza di tre componenti fra loro correlate: disturbo alimentare psicogeno, amenorrea e osteoporosi. Dieta e fertilità femminile F. Dotta, M. Calabrese U.O. di Diabetologia, Università di Siena Diversi sono i fattori che possono incidere sulla fertilità. Le cause possono agire in sinergia tra loro ed in variabili momenti della vita: da quella intrauterina alla vita adulta. La compromissione della fertilità è maggiore tanto più precoce è il danno a carico della funzione riproduttiva. Una dieta corretta è comunque un ottimo alleato per la fertilità. Le donne decisamente sottopeso o sovrappeso hanno in genere più difficoltà ad intraprendere una gravidanza: l'eccessiva magrezza può causare irregolarità mestruali e arrivare a sopprimere del tutto l'ovulazione, ma anche l'obesità può interferire con il funzionamento del sistema ormonale. La funzionalità dell‟ovaio risente della quantità di tessuto adiposo: il controllo degli ormoni riproduttivi femminili da parte del cervello è molto sensibile agli effetti della nutrizione (in particolare la secrezione ipotalamica di GnRH). Donne sottopeso riferiscono cicli irregolari. Donne anoressiche sono amenorroiche. L‟organismo compensa la mancanza di energia di riserva impedendo un ulteriore consumo, che avverrebbe con il ciclo ovarico, e con una gravidanza che non potrebbe essere “mantenuta” da un organismo già depauperato. La leptina è un ormone prodotto dalla cellule adipose. In caso di riduzione importante del peso corporeo la secrezione di leptina si riduce nettamente: si assiste ad una ridotta secrezione di GnRH e conseguentemente di FSH e LH, mancato reclutamento follicolare e mancata produzione di ormoni sessuali. D‟altronde il sovrappeso, con l‟incremento del numero delle cellule adipose, comporta un aumento della leptina e dell‟insulina con innalzamento dei livelli di LH. La secrezione di FSH risulta compromessa, rendendo impossibile il reclutamento follicolare e viene stimolato eccessivamente lo stroma ovarico (per effetto degli elevati livelli di LH) che produce testosterone in eccesso. La sindrome dell‟ovaio policistico (PCOS) rappresenta un quadro clinico classico dove possono coesistere alterazioni metaboliche associate ad alterazioni della funzionalità ovarica. Questa sindrome, che oggi è sempre più frequente, si caratterizza infatti per l‟iperandrogenismo, la ridotta capacità riproduttiva e le alterazioni metaboliche. Circa il 40-50% delle donne affette da PCOS è in sovrappeso o francamente obesa e presenta spesso iperinsulinemia ed un alterato metabolismo del glucosio. E‟ stato pertanto ipotizzato e quindi dimostrato che la riduzione di peso corporeo in questo sottogruppo di pazienti può essere seguita da una ripresa della ciclicità mestruale. In effetti la riduzione del peso corporeo del 6-8% è associata alla riduzione dei livelli di LH, di testosterone, dell‟iperinsulinemia, dall‟aumento di SHBG e della frequenza dei sanguinamenti mestruali. Il trattamento della PCOS con farmaci insulino-sensibilizzanti, quali la metformina, associata ad un adeguato regime dietetico, rappresenta un‟attuale strategia per evitare la progressione verso il diabete tipo 2 o verso le alterazioni del metabolismo glucidico tipiche di questa sindrome. DISORDINI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE E PSICHIATIA Francesca Brambilla, Dipartimento di Salute Mentale, Centro per i Disordini del Comportamento Alimentare, Ospedale Luigi Sacco, Milano Come possono essere definiti i Disordini del Comportamento Alimentare (DCA)? La scienza medica mondiale li classifica fra le patologie mentali, in una categoria a sé stante che include l‟Anoressia Nervosa (AN, restrittiva o bingeing/purging), la Bulimia Nervosa (BN, purgativa e non), il Disordine Compulsivo da Abbuffata (BED, con o senza obesità) e la Sindrome da Abbuffate Notturne (SAN). Tutte patologie la cui eziopatogenesi e l‟assetto psicopatologico non lasciano dubbi sulla loro appartenenza alla sfera delle alterazioni psichiche. Tuttavia esse sono caratterizzate da una componente così ampia di alterazioni fisiche da far sì che nel tempo esse siano state catalogate anche fra le endocrinopatie (AN) o nell‟obesità semplice (BED, SAN) cioè fra patologie prettamente fisiche. Oggi si sa che queste sono, fuori di ogni dubbio, delle malattie psichiche, spesso associate ad altre psicopatologie, quali la depressione maggiore, le sindromi bipolari, le malattie d‟ansia (sindrome ossessiva-compulsiva, fobie, sindrome da attacchi di panico), i disturbi di personalità, l‟abuso di sostanze dopanti, la cleptomania, e quindi ancor più a ragione incluse nella scienza psichiatrica. Tuttavia, ciò che crea incertezza nella diagnosi e nel trattamento di queste patologie è il fatto che i sintomi fondamentali che le caratterizzano sono rappresentati da alterazioni dell‟alimentazione, con conseguente grave denutrizione (AN), malnutrizione con scelte abnormi dei cibi (BN, SAN) o eccesso di nutrizione (BED), ma non indotte da alterazioni organiche del senso di fame, di sazietà o di scelta preferenziale dei cibi, bensì da un‟ideazione distorta sia del proprio corpo e del significato dei cibi che dei propri valori, che spinge i pazienti a non mangiare pur avendo intensa fame e assente senso di sazietà (AN), o a stramangiare pur avendo una fame del tutto normale (BN, BED, SAN). Da questo alterato rapporto col cibo derivano tutte le altre patologie organiche che caratterizzano i DCA. I DCA sembrano essere legati a una patologia genetica che determina a livello cerebrale delle alterazioni delle secrezioni neurotrasmettitoriali, che a loro volta condizionano la comparsa di caratteristiche di personalità che pongono i pazienti in condizione di non potere o di non sapere come affrontare la realtà e il mondo esterno. Come risultato essi si retraggono nella torre d‟avorio della malattia che, essendo voluta e vissuta come un‟ancora di salvezza, gratifica a modo suo i pazienti stessi. E ne condiziona la ferrea volontà di non curarsi e di non guarire. A loro volta, le alterazioni neurotrasmettitoriali ingenerano o si associano ad alterazioni neuropeptidiche, in particolare di elementi che oltre a condizionare fame, sazietà e gusto, esercitano anche un‟influenza sul tono dell‟umore (depressione, ansia) o sul piano cognitivo (distorsione delle idee). Infine, le alterazioni neurotrasmettitoriali stanno alla base delle patologie endocrine che, se sembrano essere legate solo al disordine nutrizionale come dimostrato dal fatto che si sviluppano dopo l‟insorgere dei DCA e regrediscono totalmente dopo la loro guarigione, tuttavia influenzano la comparsa o aggravano la sintomatologia psichiatrica, probabilmente agendo con un meccanismo di feedback a livello neurotrasmettitoriale. In pratica, nei pazienti con DCA assistiamo all‟insorgere di un circolo vizioso per cui le psicopatologie sono responsabili di danni fisici che a loro volta si riflettono sulla patologia mentale. E l‟opera prima del terapeuta, quindi deve essere proprio quella di spezzare questo circolo vizioso, agendo contemporaneamente sui due livelli, psichico e fisico. Solo questo approccio può condurre a risultati positivi. Nel secolo scorso, le alterazioni fisiche dei DCA sono state prese poco in considerazione, proprio per la loro natura di fenomeni sicuramente secondari e autocorreggibili, tranne nel caso di rischio di morte, per altro altissimo, legato a patologie cardiache, renali, epatiche, cerebrali, idroelettrolitiche e di altri organi ed apparati. Oggi sappiamo che alcune alterazioni organiche periferiche possono essere coinvolte nella strutturazione dei dCA durante il loro decorso. Cioè possono avere una funzione patogenetica, anche se non primaria, e debbono quindi essere prese sempre in considerazione nel trattamento dei pazienti affetti da DCA. Ci riferiamo qui a patologie cerebrali della secrezione di neurotrasmettitori e neuropeptidi e a patologie periferiche del sistema endocrino, che durante il decorso delle malattie possono influenzare l‟insorgere di specifici gruppi sintomatologici dei DCA, e quindi necessitare di trattamenti farmacologici adeguati. Quali sono i neurotrasmettitori e neuropeptidi sempre alterati nei DCA? I primi includono la serotonina, la noradrenalina, la dopamina, l‟acetilcolina, che come ben sappiamo sono alterate con secrezioni in eccesso o in difetto in tutte le patologie mentali e richiedono specifici trattamenti farmacologici. I secondi includono patologie secretorie del corticotropin-releasing hormone (CRH), gonadotropin-releasing hormone (GnRH), somatotropin-releasing hormone (GHRH), thyrotropinreleasing hormone (TRH), vasopressina (ADH), ossitocina (OX), neuropeptide Y (NPY), agutirelated peptide (ARP), oppiodi endogeni, melatonina (MT), melanocortina (α-MSH), brain-derived neurotropic factor (BDNF) neurotensina, somatostatina che oltre ad esplicare la loro funzione di regolatori della fame, sazietà e gusto e ad agire specificamente sui sistemi ghiandolari agiscono anche a livello cerebrale influenzando vari aspetti psicologici. Perifericamente vi sono alterazioni di funzionalità di tutti i sistemi ghiandolari, ma anche della secrezione di peptidi che esplicano la loro azione a livello centrale stimolando o inibendo fame e sazietà e vari aspetti psichici. Essi includono il peptide YY (PYY), la colecistochinina (CCK), il glucagon-like peptide (GLP), la grelina, la leptina, il polipeptide pancreatico (PP), la galantina, la gastrina, l‟adiponectina e la resistina. Le alterazioni endocrine e peptidiche hanno sicuramente una funzione compensatoria tentando di limitare o circoscrivere i danni metabolici indotti dalle alterazioni nutrizionali. Ma, come già detto sopra, ormoni e peptidi centrali o periferici influenzano gli aspetti psichici dell‟individuo e quindi possono essere responsabili della comparsa di sintomi specifici durante il decorso dei DCA, condizionandone alcuni aspetti psicopatologici, influenzando la risposta alle terapie e quindi la prognosi delle malattie. Un esempio molto tipico di quanto detto più sopra riguarda le alterazioni della funzionalità del asse ipotalamo-ipofisi-gonadi (HPG) in corso di AN e meno frequentemente di BN e di SAN. Nell‟AN il sistema HPG è costantemente alterato, tanto che non vi può essere diagnosi di AN senza la presenza di amenorrea che della disfunzione HPG è il risvolto clinico. La secrezione di GnRH, delle gonadotropine FSH ed LH, degli estrogeni, del progesterone e del testosterone é profondamente ridotta, tanto da raggiungere livelli prepuberali o addirittura infantili. E tale si mantiene per tutto il decorso della malattia, riprendendo i livelli normali dopo un certo lasso di tempo (fino a un massimo di 6 mesi circa) dall‟avvenuta guarigione della malattia. Nella BN e nel SAN generalmente la funzionalità del sistema HPG e la regolarità mestruale sono mantenute, e solo quando la patologia raggiunge un‟estrema gravità si assiste alla comparsa di amenorrea con i relativi danni del sistema HPG identici a quelli osservati nell‟AN. Si è sempre ritenuto che questa patologia sia legata nell‟AN alla denutrizione grave che la caratterizza e nella BN e nel SAN alla malnutrizione, con assenza di specifici elementi nutritizi, sulla scorta di analoghe alterazioni ritrovate in corso di denutrizione o malnutrizione semplice. Essendo il fenomeno sempre stato considerato come un meccanismo di risparmio di energia, e molto legato all‟assenza di grassi nell‟alimentazione dei pazienti AN e talvolta BN e SAN, indispensabili per la formazione di ormoni steroidei, si è sempre convenuto sulla non necessità o addirittura la pericolosità di trattare questa patologia, proprio a causa della sua natura compensatoria. Tuttavia è noto che essa è responsabile di danni gravi di altri sistemi ed apparati, vedi ad esempio di una osteoporosi a volte devastante. E quindi si è discusso su quale via terapeutica seguire. Tanto più che è oggi ben noto come l‟alterazione del sistema HPG interferisca anche sulla funzionalità mentale dell‟individuo, attraverso gli effetti che esso esplica sui sistemi neurotrasmettitoriale e neuropeptidico, particolarmente a livello dell‟ipotalamo, dell‟ippocampo, dell‟amigdala e sulla corteccia prefrontale, e su altri apparati ghiandolari che a loro volta agiscono sul sistema nervoso centrale. E‟ oggi riconosciuto che gli steroidi gonadici agiscono sul tono dell‟umore, sull‟ansia, e sui processi cognitivi venendo a interferire profondamente sulla psiche dell‟individuo, e quindi sulla sua capacità di adattamento al mondo esterno. Che è profondamente alterato nei DCA. Se i danni periferici causati dalla deficitaria funzionalità HPG possono essere corretti nell‟AN, BN e SAN senza interferire direttamente sulla secrezione ipofiso-gonadica, questo non può essere ottenuto per quanto attiene ai danni cerebrali. E vi è quindi da domandarsi se una terapia ormonica gonadica non debba essere instaurata , magari in dosi subliminali, per favorire la guarigione psichica dell‟individuo. Un aspetto a parte è quello dei pazienti BED, in cui in genere la funzionalità HPG è ben mantenuta. Tuttavia quando essi raggiungono la grande obesità che è il traguardo finale della malattia possono avere dei deficit HPG, con ridotta secrezione degli ormoni, simile a quelli trovati nell‟obesità semplice. E‟ più difficile in questo caso dire che cosa è dovuto alla malattia psichica e cosa alla grave alterazione metabolica in atto. Tanto più che questa porta a disfunzioni di altri sistemi endocrini che si riflettono a loro volta sulle funzioni cerebrali. I danni osservati nell‟asse HPG sono presenti anche in tutti gli altri sistemi endocrini, che a loro volta comportano alterazioni della funzionalità cerebrale. Ci riferiamo qui all‟iperfunzione surrenalica, all‟ipofunzione tiroidea, all‟ipersecrezione di ormone somatotropo associata ad un deficit di somatomedina, all‟ipoprolattinemia che caratterizzno sempre l‟AN e con minor gravità la BN e il SAN. Tutte queste patologie endocrine si riflettono sulla stabilità psichica dell‟individuo, influenzandone i vari aspetti cognitivi ed affettivi. Questo impone la necessità di riprendere in mano gli studi dei danni periferici, e in particolare da quelli endocrini, creati dalle alterazioni nutrizionali indotte dai DCA, nel tentativo di potenziare l‟efficacia delle attuali terapie e di ottenere della guarigioni più rapide di quanto non avvenga oggi e soprattutto più definitive. Estrogeni: farmacologia e applicazioni terapeutiche G. Morgante, V. Scolaro. Clinica Ostetrica e Ginecologica Università degli Studi di Siena Fisiologia Gli estrogeni sono steroidi a 18 atomi di carbonio derivanti dall‟estrano; i principali sono il 17 - estradiolo, che è il più importante in età riproduttiva, l‟estrone, che caratterizza soprattutto la steroidogenesi extragonadica nell‟età post-menopausale, e l‟estriolo, che possiede un‟azione estrogenica debole e che viene prodotto in maggiore quantità dall‟unità feto-placentare durante la gravidanza. Il 17 -estradiolo è il più attivo dei tre estrogeni prodotti e circa il 20 % di esso circola in forma libera, mentre la quota maggiore è legata alle proteine plasmatiche (60%all‟albumina e 38% alla globulina legante gli steroidi, gonadal steroid-binding globulin, GBG). La formazione degli estrogeni deriva da un processo di aromatizzazione a partire dall‟androstenedione o dal testosterone; l‟aromatasi è contenuta non solo nelle cellule della granulosa del follicolo ovarico, ma anche nelle cellule dello stroma del tessuto adiposo, nel sinciziotrofoblasto placentare, nell‟osso e in diverse regioni encefaliche. Le ovaie sono la principale fonte degli estrogeni circolanti nelle donne in età fertile. Nelle donne in postmenopausa, invece, la principale fonte di estrogeni è lo stroma del tessuto adiposo, dove l‟estrone è sintetizzato a partire dal deidroepiandrosterone, secreto dalla ghiandola surrenalica. Grandi quantità di estrogeni sono sintetizzate nella placenta che utilizza il deidroepiandrosterone fetale e il suo derivato 16 alfa idrossilico per produrre rispettivamente estrone ed estriolo. Gli estrogeni intervengono: 1. sullo sviluppo puberale, determinando i caratteri sessuali secondari femminili; 2. durante la fase follicolare del ciclo mestruale favorendo la proliferazione dell‟endometrio; 3. a metà ciclo mestruale favoriscono il picco preovulatorio di LH ed FSH; 4. promuovendo positivamente la massa ossea; 5. nell‟aumento dei livelli di lipoproteine a bassa densità (HDL) e nella diminuzione dei livelli di lipoproteine a bassa densità (LDL); 6. aumentando i livelli plasmatici di globulina legante il cortisolo (cortisolobinding globulin, CBG o transcortina), di globulina legante la tiroxina (thyroxine-binding globulin,TBG) e di globulina legante gli steroidi sessuali (SSBG) che lega sia gli androgeni che gli estrogeni; 7. favorendo la formazione dei fattori della coagulazione VII e XII e diminuendo i fattori anticoagulanti proteina C, proteina S, e antitrombina III. I. Farmacologia e Indicazioni terapeutiche Gli estrogeni possono essere distinti in naturali e sintetici e possono essere somministrati per via orale, parenterale e vaginale. E‟ stato dimostrato che la via di somministrazione ai fini degli effetti collaterali è più importante della natura stessa dello steroide somministrato. I due usi principali sono come componenti dei contraccettivi e come terapia ormonale sostitutiva nelle donne in postmenopausa. I due estrogeni più utilizzati nella contraccezione sono l‟etinilestradiolo e il mestranolo a cui è associato un progestinico. Il contenuto di estrogeni nelle preparazioni attuali varia tra 15-50g. L‟associazione tra l‟uso di contraccettivi orali contenenti estrogeni e l‟insorgenza di tumori non ancora chiara. Studi recenti hanno evidenziato una diminuzione del 50 % dell‟incidenza del cancro endometriale per effetto del progestinico che si oppone alla proliferazione indotta dagli estrogeni. Il rischio per quanto riguarda l‟insorgenza del cancro della mammella in donne in età fertile è molto basso: il rischio relativo è di circa 1.1. La dose di estrogeni utilizzati nella terapia ormonale sostitutiva dovrebbe essere la minima efficace in grado di rimuovere i sintomi legati alla carenza estrogenica. La dose è diversa a seconda dell‟estrogeno e della via di somministrazione. I benefici derivanti dalla TOS si manifestano con il miglioramento o la scomparsa delle manifestazioni vasomotorie, dei disturbi derivanti dall‟atrofia delle mucose genitali ed urinarie dei disturbi dell‟equilibrio neurovegetativo e psicoemotivo. Uno degli effetti più importanti della terapia estrogenica è rappresentato dalla prevenzione delle malattie cardiovascolare e dell‟osteoporosi. Il rischio maggiore legato all‟utilizzo della terapia solo estrogenica è l‟iperstimolazione dell‟endometrio; ciò è stato ovviato con l‟associazione con un progestinico in modo da riprodurre la sequenza ormonale fisiologica che permette di garantire il normale trofismo endometriale evitandone l‟iperplasia. Le controindicazioni all‟utilizzo della terapia ormonale sostitutiva sono l‟insorgenza di tromboflebiti, episodi tromboembolici; malattie e disfunzioni epatiche gravi; sanguinamenti vaginali non diagnosticati; l‟insorgenza del cancro della mammella o dell‟endometrio e ipertensione arteriosa. Gli schemi utilizzati nella terapia ormonale sostitutiva sono: il regime sequenziale ciclico, sequenziale continuo e combinato continuo che vanno applicati sulla base delle caratteristiche anamnestiche della donna in postmenopausa. Bibliografia - Speroff L, Glass RH, Kase NG. Clinical Gynecologic Endocrinology and Infertility. 6th ed. Philadelphia, PA: Lippincott, Williams & Wilkins; 1999. - Dupont WD, Page DL. Menopausal estrogen replacement therapy and breast cancer. Arch Intern Med 1991; 151:67-72. - Writing Group For The Women‟s Health Initiative Investigators. Risks and benefits of estrogen plus progestin in healthy postmenopausal women: principal results from the women‟s health initiative rendomized controlled trial. JAMA 2002; 288:321-333. - The women's health initiative steering committee. Effects of conjugated equine estrogen in postmenopausal 2004;291:1701-12. women with hysterectomy. JAMA. Progesterone = ormone nativo Progestinici = ormoni di sintesi • Molecole capaci di: – indurre nell’endometrio estrogenizzato la trasformazione secretiva – supportare lo sviluppo ed il mantenimento della gravidanza Progestinici: farmacologia e applicazioni terapeutiche Prof. Ettore Cicinelli 4° U.O. di Ginecologia ed Ostetricia Università di Bari Regimens for progesterone supplementation • Progesterone administered orally is subjected to firstpass pre-hepatic and hepatic metabolism. This metabolic activity results in progesterone degradation to its 5a- and 5b-reduced metabolites (Penzias, 2002). • Parenteral administration (vaginal, rectal and IM) of progesterone overcomes the metabolic consequences of orally administered progesterone (de Ziegler et al., 1995). Nahoul K. et al. Maturitas 1993:16;185-202 Other Potential Effects of Progesterone Metabolismo del P orale • Necessità quindi di elevate dosi di progesterone orale rispetto a progestinici • Metaboliti del progesterone possiedono effetti anestetici e pertanto l’effetto sedativo ed ipnotico del progesterone somministrato per os è probabilmente mediato dai suoi metaboliti. In uno studio su 8 pazienti, una paziente dopo una dose di 400 mg os manifestò uno stato ipnotico per circa 2 ore. • Progesterone can modulate CNS GABAA receptor activity through its reduced metabolite, allopregnanolone O moodiness, CH – Sleepiness, depression O 3 CH3 CH3 CH3 H Arafat et al., Am J Obstet Gynecol 1988 CH3 H H H H H HO O Progesterone Allopregnanolone CH3 Der. Progesterone Rationale clinico dei progestinici Der. Testosterone PREGNANI Acetilati: MAP Megestrolo Medrogestone Ciproterone Clormadinone • P per via orale: efficacia limitata • Potenziamento di alcuni effetti: – Azione anti-gonadotropinica – Azione anti-estrogenica – Azione anti-androgenica – Azione anti-aldosteronica GONANI ESTRANI 1° generazione 2° generazione 3° generazione Noretindrone Desogestrel Gestodene Dl-Norgestrel Noretindrone acetato Non acetilati: Levonorgestrel Diidrogesterone Etonorgestrel Norelgestromina Etinodiolo diacetato Norgestimate 4° generazione Linestrenolo NORPREGNANI: Nomegestrolo Nestorone Trimegestone Dienogest Noretinodrel Derivati dello spironolattone: Drospirenone Receptor affinities of progestogens (Climacteric, 2004) PROGESTOGEN Estrogen receptor Anti-estrogen receptor Androgen receptor Antiandrogen receptor Glucocorticoid receptor Antimineralcorticoid receptor Steroid Receptor Potency & Selectivity of Progestins 19-nortestosterone derivatives Noretisterone (+) + + - - - Levonorgestrel - + + - - - Norgestimate - + + - - - - + + - - - - + + - (+) + - + - + - - Desogestrel Gestodene Dienogest Progesterone derivatives This classification no longer satisfactory ! While the endometrial and bone effects of different progestogens are quite similar, the metabolic , vascular and side-effects have substancial differences Progesterone - + - (+) (+) Medroxyprogesterone - + (+) - + - Dydrogesterone - + - - - (+) Chlormadinone acetate - + - + + - Medrogestone - + - (+) - - Cyproterone acetate - + - + + - Drospirenone - + - + - + Meccanismi non lipidici = 30-60% dell’effetto cardio-protettivo dell’HRT + Mol. PR Prog + Dihyd NETA LNG Cipr. MPA Nom TMG Drosp + ++ +++ ++ ++ +++ +++ ++ AR antiAR GR antiGR antiMR ER - + - +/- + - + ++ + - ++ ++ + + +- - +/+ ++ + + - Coronary artery vasomotion Condition (females) Acetylcoline-induced coronary artery dilatation/constriction Normal Atherosclerotic estrogen-deficient Atherosclerotic CEE-treated Atherosclerotic CEE and MPA-treated (Clarkson et al., 1996) Effects of different progestagens on coronary vasospasm in monkeys Control Artery atherosclerosis in oophorectomized cholesterol-fed rabbits Atherosclerotic aortic lesions surface (%) after 4 months Control Estradiol 31.23 Estradiol + Norethisterone 28.16 17.91 Vasospastic challenge: Thromboxane * * (Sanjuan et al., Menopause 2002)) (Miyagava et al., Nature Med 1997) Coronary artery atherosclerosis in monkeys Plaque area Control 0.23 (mm2) Estradiol Estradiol + progesterone 0.10 0.10 (Clarkson et al., 1996) Reasons for OC discontinuation Fourth-generation progestins Dienogest Nestorone Nomegestrol acetate Trimegestone Drospirenone The fourth-generation progestins have been designed to have no androgenic or estrogenic actions and to be closer in activity to the physiological hormone Sitruk-Ware, Drugs aging 2004 progesterone. The antimineralocorticoid effect of drsp Estrogens breakthrough bleeding (BTB) nausea headache breast tenderness weight gain mood swings acne, and hirsutism Angiotensinogen Angiotensin I Estrogen Angiotensin II Dose-dependent AT1 Receptor Aldosterone Drospirenone Progestin Molecule-dependent Darney, Int J Fertil Womens Med 1997 Aldosterone receptor antagonists Kidneys Na and H2O retention K and Mg2+ Loss Increased plasma volume Hypertension Water-retention-related symptoms including weight gain, breast tenderness and bloating Aldosterone and CVD Aldosterone Old conceptions: • Aldosterone is an adrenal gland hormone • Acts at kidney level • Has mineralcorticoid effects • Spironolactone is potassium sparing with weak natriuretic drugs Modern conceptions: • Aldosterone is produced in other tissues (including the heart and vessels) • Acts also outside the kidney (paracrine) • Has genomic and nongenomic effects with major patho-physiological consequences in CV disease. • Aldosterone well recognized risk factor for CVD: – Pathophysiology of hypertension – Left ventricular hypertrophy (Struthers, Curr Heart Fail Rep 2004; – Heart failure Rossi et al., Trends Endocrinol Metab 2005) • Aldosterone promotes: • myocardial and vascular fibrosis • impairs arterial compliance and cardiac remodelling • induces perivascular inflammation (MacFayden et al., JECM 1997) Aldosterone and vasculopathy: mechanisms Hypertension. 2006 Aug;48(2):246-53. Effects of a new hormone therapy, drospirenone and 17-beta-estradiol, in postmenopausal women with hypertension. White WB, Hanes V, Chauhan V, Pitt B. Double-blind RCT of 3 doses of DRSP combined with estradiol, estradiol alone, and placebo in 750 postmenopausal women with stage 1 to 2 hypertension between 45 to 75 years. • Aldosterone increases superoxide radicals which degrade endogenous nitric oxide (excess NADH and NADPH oxidase)( Virdis et al., 2002 ). Effects of DRSP/E2 vs placebo on clinic BP after 8 weeks of double-blind therapy. A is changes in systolic BP and B is changes in the diastolic BP. Changes from baseline were significant for the 3- and 2-mg DRSP/E2 groups only (systolic BP, P=0.0004 and 0.0195 for 3and 2-mg DRSP/E2 groups, respectively; diastolic BP, P<0.001 for both 3- and 2-mg groups). • Aldosterone produces vascular inflammation (Rocha et al., 1998, Rocha et al., 2002): “aldosterone-induced vasculitis” • Aldosterone can activate vascular angiotensin responses: – significant increase in the binding density of both ACE and AII receptors in animal experiments. – increases in expression of tissue ACE by 23-fold in tissue culture (Harada et al., 2001 ). Second vs. Third Generation OCP VTE and 3rd Generation OCP 0,7 180 140 0,5 120 0,4 100 0,3 80 60 0,2 40 0,1 20 0 0 1977- 1979- 1981- 1983- 1985- 1987- 1989- 1991- 1993 8 80 2 4 6 8 90 2 Admission Rate per Million Person Years 160 0,6 Percentage Use 3rd Gen OCP Conclusion: DRSP combined with E2 significantly reduces BP in postmenopausal women with hypertension and did not induce significant increases in serum potassium. Use of 3rd OCP Men Women • Third generation OCP first introduced in mid-1980‟s • Use decreased significantly after 1995 when first reports of increased risk of DVT appeared • Postulated reasons for findings – – – – Healthy user bias Prescribing bias Referral bias Inadequate control of confounders • But 1.7 times greater risk confirmed by meta-analysis Year BMJ „01; 319:820-1 BMJ „01; 323:1-9 Contraception ‟00;62:21S-8S Contraception ‟00;62:29S-36S Effect of OC use of nAPCR-sr determined with the endogenous thrombin potential-based APCR test Effect of progestin type Helmerhorst et al, T&H 1997 100 II (30 or 50 μg EE) III (20 or 30 or 35 μg EE) 6 2.0 (1.7- 2.8) 5 (nAPC-sr) RR 10 1 4 3 2 1 0 3rd generation vs 2nd generation Men No OC 2nd generation Women 3rd generation FV Leiden No OC Rosing et al, Am J Obst Gynec 1999 Contraccezione con soli progestinici in donne ad alto rischio di trombosi venosa profonda Eventi tromboembolici durante il follow-up (21+18 mesi) - Utilizzatrici : 3 - Non utilizzatrici: 6 Rischio relativo di trombosi - Età > 35 anni: RR = 22.2 (95% IC: 3.6 - 138.3) - Trombofilia: RR = 9.7 (95% IC: 1.3 - 71.5) Vasilakis- Scaramozza C , Jick H Lancet 2001; 358:1427-9 - BMI > 30: RR = 6.5 (95% IC: 0.6 - 73.4) Trattamento CMA: RR = 0.8 (95% IC: 0.2 – 3.9) Conard, Contraception 2004 The ESTHER Study Canonico et al., Circulation 2007 • Study design: multicenter case-control study of VTE among postmenopausal women 45 to 70 years of age between 1999 and 2005 in France. • Patients: 271 consecutive cases with a first documented episode of idiopathic VTE (208 hospital cases, 63 outpatient cases) and 610 controls (426 hospital controls, 184 community controls) matched for center, age, and admission date. The ESTHER Study Canonico et al., Circulation 2007 Current users oral estr. Current users transderm. OR for VTE vs non users 4.2 (95% CI, 1.5 to 11.6) 0.9 (95% CI, 0.4 to 2.1) - Micronized progesterone and pregnane derivatives: no risk (OR, 0.7; 95% CI, 0.3 to 1.9 and OR, 0.9; 95% CI, 0.4 to 2.3, respectively). - Norpregnane derivatives: 4-fold-increased VTE risk (OR, 3.9; 95% CI, 1.5 to 10.0). CONCLUSIONS: a) Oral but not transdermal estrogen is associated with an increased VTE risk. b) Norpregnane derivatives (Nomegestrolo acetato, ciproterone acetato, trimegestone) may be thrombogenic, whereas micronized progesterone and pregnane derivatives appear safe with respect to thrombotic risk. EURAS & Ingenix: Yasmin is as safe as other OCs (TE) EURAS & Ingenix: Yasmin as safe as other OCs (VTE) TE Incidence Rate Ratio – Yasmin versus Other OCs (95% CI) VTE Rate Ratios (95% CI) EURAS EURAS INGENIX INGENIX 0.2 0.25 0.33 0.5 1.0 2.0 3.0 4.0 5.0 0.2 0.25 0.33 0.5 1.0 2.0 3.0 4.0 5.0 ITT analyses. EURAS - Yasmin = 41,169 WY (N=16,534); Other = 100,816 WY (N=41,769) INGENIX - Yasmin = 14,541 WY (N=22,429); Other = 28,169 WY (N=44,858) L’unico effetto comune a tutti progestinici è l’affinità per i recettori del progesterone Schindler et al., Maturitas 2003;46(1):S7–S16 Tutti i progestinici hanno uno specifico profilo di attività verso i recettori di altri organi bersaglio, un profilo non necessariamente condiviso da tutti i progestinici I progestinici possiedono diversi effetti biologici Scelta della via di somministrazione non-orale • Evitamento primo passaggio epatico • Possibilità di concentrare l‟effetto su organo target • Ridurre l‟esposizione sistemica EURAS & INGENIX Studies ITT analyses, Exposure = >180,000 WY Progesterone/Progestinici Rationale • Scelta della molecola • Scelta della via di somministrazione PROGESTINICI VIE DI SOMMINISTRAZIONE • Via Intramuscolare (Progesterone) • Via Orale (Progestinici di sintesi, P Micronizzato) • Via Transdermica (NETA, Levonorgestrel, Norelgestromina) • Via Vaginale (Progesterone, etonorgestrel) • Via Intrauterina (IUD) (Levonorgestrel) 35 Farmacocinetica del P orale 30 25 • Ampia variabilità interindividuale nei livelli sierici • 200 mg/die dose consigliata per la prevenzione dell’iperplasia endometriale • In caso di somministrazione di 200 mg di P orale dopo un pasto la Cmax è risultata 5 volte più alta e la AUC0-24 circa due volte maggiore. Leggermente aumentata anche la Tmax. Via transdermica 20 h Cmax 15 10 • NETA • Levonorgestrel • Norelgestromina 5 0 100 mg 200 mg 300 mg Dosi di P orale 3 2,5 2 h 1,5 Tmax 1 0,5 (Simon et al., 1993) 0 100 mg 200 mg 300 mg Dosi di P orale Sistema contraccettivo transdermico Neta Farmacocinetica – Livelli plasmatici costanti Livelli plasmatici di etinilestradiolo e di norelgestromina dopo somministrazione orale o dopo applicazione di Evra Abrams L.S. et al.: Contraception 64:287-294, 2001 Mirena Progestinici per via locale • IUD con rilascio continuato di LNG • Approvato nel 1990 in Finlandia Via intrauterina: progesterone LNG (Mirena) Via vaginale: etonorgestrel progesterone • Approvato per uso contraccettivo ed in menopausa • La riserva di LNG (52 mg) circonda il braccio verticale dello IUD • LNG disperso in polidimetilsilossano e ricoperto da una membrana dello stesso materiale, che controlla il rate del rilascio Mirena • Tasso di rilascio iniziale è di 20 g/24 h poi si riduce a 15 g/24 h dopo 5 anni e a 12 g/24 h dopo 7 anni. • Livelli plasmatici di LNG sono di 170 pg/ml ad 1 anno, 150 pg/ml a 2 anni e 140 pg/ml a 5 anni (Lahteenmaki, personal communication) • Il tempo di vita dello IUD attualmente approvato è di 5 anni LNG Elevate concentrazioni nell’endometrio endometrio concentrazioni nel miometrio molto basse miometrio Mirena Concentrazioni tissutali di LNG 40 35 30 25 ng/g di 20 tessuto 15 LNG orale LNG IUD 10 5 0 sierosa Miometrio, tube, tessuto adiposo assorbimento sistemico Endometrio (Nilsson et al., Contraception 1992) Influence of different hormonal regimens on endometrial microvascular density and VEGF expression in women suffering from breakthrough bleeding. Rogers PA et al., Hum Reprod. 2005 Mirena & menorragia PATIENT(S): Thirty-four patients with MBL over 80 mL. Endometrial blood vessel density INTERVENTION(S): Insertion of the LNG-IUS on cycle days 5-7 and follow-up at 3-month intervals for 3 years. 150 90 80 70 60 50 40 30 20 10 0 100 50 MBL (%) Hb (g/L) Ferritin (ng/mL) 0 * -50 -100 ccHT cyclHT Mirena No therapy 0 6 12 24 36 months Xiao et al., Fertil Steril 2003 Progestins and meno-metrorrhagia Lethaby et al., Cyclical progestogens for heavy menstrual bleeding. Cochrane Database Syst Rev. 2000;(2):CD001016. • Progestogen therapy administered from day 5 to 26 of the menstrual cycle was significantly less effective at reducing menstrual blood loss than the progestogen releasing intrauterine system (LNG IUS) although the reduction from baseline was significant for both groups. The odds of the menstrual period becoming "normal" (ie <80mls/cycle) were also less likely in patients treated with norethisterone (NET) (days 5 to 26) compared to patients treated with LNG IUS. • A significantly higher proportion of NET patients found their treatment unacceptable compared to LNG IUS patients. However, the adverse events breast tenderness and intermenstrual bleeding were more likely in the patients with the IUS. Progestogen releasing intrauterine systems for heavy menstrual bleeding (Cochrane Review) • • • • • The levonorgestrel-releasing intrauterine device (LNG IUS) is more effective than cyclical norethisterone (21 days) as a treatment for heavy menstrual bleeding. Women with an LNG IUS are more satisfied and willing to continue with treatment but experience more side effects such as intermenstrual bleeding and breast tenderness. The LNG IUS results in a smaller mean reduction in menstrual blood loss than transcervical resection of the endometrium (TCRE) and women are not as likely to become amenorrhoeic but there is no difference in the rate of satisfaction with treatment. Women with an LNG IUS experience more progestogenic side effects compared to women having TCRE for treatment of their heavy menstrual bleeding but there is no difference in their perceived quality of life. There are no data available from randomised controlled trials comparing progesterone-releasing intrauterine systems to either placebo or other commonly used medical therapies for heavy menstrual bleeding. Lethaby AE, CThe Cochrane Library, Issue 3, 2004. Mirena Menorragia • Significativa riduzione della menorragia: – Idiopatica (Anderson & Rybo, 1990) – Associata ad adenomiosi (Fedele et al., 1997) • Trattamento più semplice e meno costoso rispetto a: – Ablazione endometriale – Isterectomia Lethaby et al., Cochrane Database Syst Rev, 2000 Mirena HRT • Progestinico rilasciato a contatto con il suo organo bersaglio (endometrio) • La dose giornaliera è inferiore a quella della terapia sistemica sia sequenziale che continua • Le concentrazioni tissutali di LNG durante l’uso di Mirena sono significativamente più alte di quelle ottenibili anche con elevate dosi sistemiche di LNG (Nilsson et al., Contraception 1992): – Forte soppressione endometriale (Nilsson et al., 1978) – Durante ERT continua spotting occasionale nei primi 3-4 mesi, dopo 12 mesi l’83-88% in amenorrea (Andeson et al., 1992) – Blocco sintesi ER (insensibilità endometriale anche in caso di somministrazione continua di E2) (Raudaskoski et al., Am J Obstet Gynecol 1995; Suhonen et al., Acta Obstet Gynecol Scand 1997) – Significativa riduzione insorgenza di fibromi a 7 anni (Sivin et al., Fertil Steril, 1994) • Alto tasso di continuazione: 82/100 a 3 anni (Suhonen, 1997) Mirena and endometrial hyperplasia: role of apoptosis • • • • • Local application of an intrauterine device with high-dose gestagens was superior to systemic treatment in women with endometrial hyperplasia (Vereide AB et al, Gynecol Oncol 2003) This may be the result of an exposure to dose being many-fold higher due to the local application (Nilsson CG et al, Clin Endocrinol (Oxford) 1982) Gestagen hormones have a documented antiproliferative effect in the human endometrium in vivo as well as in vitro. Former studies suggest that at least 60% of patients with endometrial hyperplasia will respond to gestagen therapy and various treatment regimens have been given to patients [Randall TC & Kurman RJ, Obstet Gynecol, 1997; Amezcua C.A.et al, Gynecol Oncol 2000) The secretory changes induced by endogenous progesterone in the normal cycling endometrium are accompanied by various molecular processes, among which apoptosis has shown to be of great importance (Maruo T. et al, Hum Reprod 2001) Apoptosis or programmed cell death in the histological normal human endometrium after intrauterine levonorgestrel device has also been demonstrated (Maruo T. et al, Hum Reprod 2001) Bcl-2, BAX, and apoptosis in endometrial hyperplasia after high dose gestagen therapy: a comparison of responses in patients treated with intrauterine levonorgestrel and systemic medroxyprogesterone. Vereide AB et al., Gynecol Oncol. 2005 Jun;97(3):740-50. • Bcl-2 is an antiapoptotic proteins, shown to protect cells from apoptosis by regulating mitochondrial membrane function. • Another member of the Bcl-2 family, the BAX protein, increases the apoptotic susceptibility of cells in several organs Bcl-2, BAX, and apoptosis in endometrial hyperplasia after high dose gestagen therapy: a comparison of responses in patients treated with intrauterine levonorgestrel and systemic medroxyprogesterone. Vereide AB et al., Gynecol Oncol. 2005 Jun;97(3):740-50. CONCLUSION: • Proteins in the apoptotic cascade are regulated by gestagen therapy in human endometrial precancers. • Expression of these proteins is shown to be dependent on administration form and/or type of gestagen. • Stromal Bcl-2 expression appears to be a potential biomarker which can separate responders of gestagen treatment from non-responders after oral administration. Bcl-2 expression in endometrial glands and stroma before and after treatment NuvaRing BAX expression in endometrial glands and stroma before and after treatment Glands Anello flessibile, trasparente, di materiale anallergico, atossico e biocompatibile: EVA (etilene vinilacetato) • Diametro 5,4 cm, spessore 4 mm • Rilascia costantemente 15 mcg di EE e 120 mcg di ENG al giorno. • La forma ad anello si adatta alle caratteristiche anatomiche di tutte le donne Stroma Comparison of uterine concentrations of ethinyl estradiol and etonogestrel after use of a contraceptive vaginal ring and an oral contraceptive Frans J.M.E et al., Fertil Steril 2006 Profilo farmacocinetico TABLE 2: Mean EE and ENG uterine tissue concentrations (expressed as pg/0.5 g tissue) and serum concentrations (pg/mL) (ASPE group). EE ENG NuvaRing (n = COC (n = 5) 3) NuvaRing e 30 EE/150 DSG COC NuvaRing (n = 5) COC (n = 3) Uterine tissue concentrations Etonogestrel (pg/mL) Css OC 60 50 1500 40 Css OC 1000 30 500 20 0 10 -500 Etinilestradiolo (pg/mL) Etonogestrel Etinilestradiolo 2000 Vaginal administration of hormones with NuvaRing did not produce elevated uterine concentrations of EE and ENG, compared with an oral contraceptive. Location Upper myometrium (Myo 63 ± 27 1 and 2) 75 ± 17 344 ± 60 518 ± 219 Mid myometrium (Myo 3 60 ± 26 and 4) 64 ± 23 362 ± 69 349 ± 90 Cervical region (Cerv 1 and 2) 68 ± 19 99 ± 44 327 ± 106 396 ± 12 >223 ± 136 >523 ± 401 1039 ± 297 1766 ± 748 1h 12 ± 2 21 ± 11 1224 ± 399 1235 ± 267 12 h 15 ± 4 14 ± 10 1205 ± 426 926 ± 288 Endometrium (Endo) Serum concentrations a Time before surgery 0 0 5 10 15 20 Note: Data are presented as mean±SD. Tempo dall'inserimento (gg) Roumen. Uterine hormone levels with NuvaRing. Fertil Steril 2006. a Serum concentrations were measured 1 h and 12 h before surgery. Timmer & Mulders, Clin Pharmacokinet, 2000;39:233–42 Effects of OC on hemostatic variables and estrogen-sensitive liver proteins are largely related to EE and independent of delivery route during short-term treatment. Curve di assorbimento del P dopo somministrazione orale e vaginale P orale Sitruk Ware R, et al. J Clin Endocrinol Metab. 2007 Prothrombin fr. 1+2 EE (15 mcg) orally No Variation EE (15 mcg) vaginally No variation Angiotensinogen 2754 ng/ml * 2864 ng/ml * P vaginale EE: Vaginal administration = oral administration * Significantly greater than baseline, P < 0.0002 Levine H. et al. Fertil Steril 2000;73:516-21. Curve di assorbimento del P dosato con tecniche ad elevata specificità (RIA dopo cromatografia su Celite) Progesterone sierico (ng/ml) Progesterone 100 mg 5 4,5 4 3,5 3 2,5 2 1,5 1 0,5 0 P vaginale P orale 0 6 12 18 24 30 36 42 48 Ore Nahoul K. et al. Maturitas 1993:16;185-202 Livelli sierici di 5a-pregnenolone (Nahoul et al., Maturitas, 1993) Livelli sierici di P dopo somministrazione di P gel 4% a giorni alterni 6 5 P P P 4 12 10 P vaginale P orale 8 6 ng/ml 5alfa-Pregnenolone sierico (ng/ml) Progesterone 100 mg 16 14 3 2 1 4 2 0 0 20 40 60 0 80 100 120 140 Hours 0 6 12 18 24 Ore Days 0 1 2 (Nahoul et al., Maturitas, 1993) Via vaginale: CMax: 5-8 ng/ml TMax: 6-8 h T/2: 24 h …………..... e una sorpresa 3 4 5 6 (Fanchin et al, Obstet Gynecol 1997) First uterine pass effect Vaginal progesterone: dose-effect relationship Uterine effects exceed expectations drawn from circulating levels (De Ziegler, 1999) Vaginal vs IM progesterone in estrogenized postmenopausal women Vaginal Route Paradox Miles et al., Fertil Steril 1994; 62: 485-90 ng/mL Serum P levels Progesterone levels Endometrial P concentrations Endometrium (ng/mg protein) ng P / mg protein 18 16 14 12 10 8 6 4 2 0 12 10 8 6 4 2,5 2 1,5 1 2 3 IM 4 5 6 Hours IM 0,5 0 2 0 Vaginal 1 0 10 0 Control Vaginal 20 30 40 50 Serum (ng/mL) Vaginal IM (Cicinelli et al., Obstet Gynecol 2000) Countercurrent transport Vaginal vs IM progesterone in estrogenized postmenopausal women Vagina Vein Uterine Artery Endometrium/serum progesterone levels x 100 10 Min Max 5 IM P Vaginal P 1,15 14,08 0,51 13,07 8,46 59,43 Blood flow Median Blood flow * 15 0 IM P Vaginal P ~ 1 : 14 Functional “portal system” (Cicinelli et al., Obstet Gynecol, 2000) E2/P Continental divide Ovarian artery – Uterine artery (Cicinelli & DeZiegler, Human Reprod 1999) Variation in blood flow in the uterine artery and in the arteries of urethra-vaginal septum depending on the level of vaginal administration E2/P 300 Ov. art. Ov. art. * * % 200 * Omolateral uterine artery 100 0 -100 Ut. art. Upper 1/3 Ut. art. Follicular phase Contralateral uterine artery Luteal phase (Cicinelli et al., Hum Reprod 2004) Lower 1/3 Vessels of urethrovaginal septum Site of vaginal administration (Cicinelli et al., Am J Obstet Gynecol 2003) Importance of the level of vaginal administration B U Local (preferential) Uterus transfer of vaginal steroids is influenced by the level of vaginal administration: Upper third: to the uterus Steroid Lower third: to the urethra Indicazione al progesterone invece che ai progestinici: Assoluta: trattamenti di riproduzione assistita gravidanza Preferenziale (a causa degli effetti indesiderati): trattamenti a lungo termine (controllo del ciclo, H.R.T. ecc.) (Cicinelli et al., Am J Obstet Gynecol 2003) Ormoni steroidei e teratogenesi • RR 2.75 - 8.41 di malformazioni maggiori isolate o in associazione del complesso VACTREL (V, vertebre; A, ano; C, cuore; T, trachea; E, esofago; R, rene; L, gambe) (Nora et al., JAMA 1978; Heinonen et al., N Engl J Med 1977) • In campo animale: – Anomalie dei genitali in macachi di entrambi i sessi in caso di esposizione a MAP e CA nel periodo critico di sviluppo dei genitali (Prahalada et al., Teratology, 1985) – Nei topi trattati con MAP e CA maggiore incidenza dose-dipendente di ridotto peso alla nascita, labiopalatoschisi, anomalie urinarie, exencefalia e malformazioni cardiache (Eibs et al., Teratology, 1982) • Nell’uomo l’esposizione intrauterina a MAP non sembra teratogena né causa anomalie di sviluppo e di salute a lungo termine (Katz et al., Obstet Gynecol 1985; Yovich et al., Teratology, 1988; Jaffe et al., JAMA 1978) • Nessuna malformazione da fallimento “pillola del giorno dopo” (Contraception, 1997; Agenda salud, 1999) Ormoni steroidei e teratogenesi Oral contraception and congenital malformations in offspring: a review and meta-analysis of the prospective studies. Brachen MB, Obstet Gynecol. 1990 Sep;76(3 Pt 2):552-7. • RR (12 prospective studies): 0.99 (95% CI 0.83, 1.19) for all malformations. • RR for congenital heart defects: 1.06 (95% CI 0.72, 1.56) and for limb reduction defects, 1.04 (95% CI 0.30, 3.55). • This lack of an association between OCs and birth defects in prospective studies agrees with the results of most of the better-designed case-control studies. Progesterone: indicazioni Maternal Progestin Intake and Risk of Hypospadias Carmichael SL et al. for the National Birth Defects Prevention Study Arch Pediatr Adolesc Med. 2005;159:957-962. In riproduzione/gravidanza • supporto luteale nei programmi di riproduzione assistita • prevenzione dell‟aborto • trattamento dell‟aborto • trattamento della minaccia di parto pretermine • prevenzione della pre-eclampsia. In ginecologia: • controllo del ciclo mestruale • dismenorrea • trattamento della menorragie • contraccezione • terapia dell‟endometriosi • della patologia iperplastica dell‟endometrio • terapia ormonale sostitutiva • prevenzione danni neurologici. Progesterone: indicazioni Riproduzione/gravidanza • supporto luteale nei programmi di riproduzione assistita • prevenzione dell‟aborto • trattamento dell‟aborto • trattamento della minaccia di parto pretermine • prevenzione della pre-eclampsia. LPD Etiology of LPD in IVF cycles Luteal phase defect (LPD) • The prevalence of LPD in natural cycles in normo-ovulatory patients with primary or secondary infertility is about 8.1% (Rosenberg et al.,1980). • Stimulated IVF cycles are associated with a defective luteal phase in almost all patients (Ubaldi et al., 1997; Macklon and Fauser, 2000; Kolibianakis et al., 2003). LPD Etiology of LPD in IVF cycles 1. Removal of large quantities of granulosa cells during the oocyte retrieval (OR). 4. Supraphysiological levels of steroids secreted by a high number of corpora lutea during the early luteal phase 1. However, the aspiration of a preovulatory oocyte in a natural cycle neither diminished the directly inhibit the LH release via negative feedback luteal phase steroid secretion nor shortened the luteal phase (Kerin et al., 1981). actions at the hypothalamic-pituary axis level (Fauser and 2. Prolonged pituitary recovery following the GnRH-a co-treatment may Devroey, 2003). result in lack of support of the CL (Smitz et al., 1992). 3. hCG for the final oocyte maturation in stimulated IVF cycles could potentially suppress the LH production via a short-loop feedback mechanism (Miyake et al., 1979). 1. However, the administration of hCG did not down-regulate the LH secretion in the luteal phase of normal, unstimulated cycles in normo-ovulatory women (Tavaniotou and Devroey, 2003). LPD 1. Studies in human and primates have demonstrated that the CL requires a consistent LH stimulus in order to perform its physiological function (Jones, 1991). 2. LH support during the luteal phase is entirely responsible for the maintenance and the normal steroidogenic activity of the CL (Casper and Yen, 1979). 3. However, withdrawal of LH, unnecessary causes premature luteolysis (Duffy et al., 1999). Pinopodes expression correlates with P levels GnRH antagonists: • Preliminary studies (IUI cycles) no deleterious effects on luteal P levels and LP duration (Ragni et al., 2001) • Subsequent studies in IVF: – Premature luteolysis (Albano et al., 1998; Beckers et al., 2003). – Reduced chances for pregnancy: • in non-supplemented LP of patients stimulated with rFSH + GnRH antagonist (antide; 1 mg/day) the overall pregnancy rates (PR) was very poor (7.5%) and the study stopped (Beckers et al., 2003). • Despite the rapid recovery of the pituitary function in GnRH-ant. protocols (Dal Prato and Borini, 2005), LPS remains mandatory (Tarlatzis et al., 2006). Temporal and morphologic characteristics of pinopod expression across the secretory phase of the endometrial cycle in normally cycling women with proven fertility Usadi RS et al., Fertil Steril 2003 LD 2 LD 5 LD 8 LD 10 LD 11 LD 14 Uterine contractility and IVF Effects of P Uterine contraction (min) UC in menstrual cycle and IVF 3D derived method Fast play 5 UC/min 5.5 4.5 4 7 5 3.5 3 3 * 1 2.5 2 15 16 17 18 19 LH/hCG 20 LH+2/Retrieval Cycle day Ayoubi et al. Fertil Steril Oct 2001 <3 3-4 4-5 LH+4/ET LH+6/ET+2 Ayoubi et al. Fertil Steril 2003 In IVF, starting of Crinone 8% on the day of retrieval decreases UC frequency on the day of ET (Fanchin et al.) >5 Ayoubi J-M et al. Ferti Steril 2001;76:736-40. . uteal phase support in infertility treatment: a meta-analysis L of the randomized trials. Rationale for LPS with progesterone Meta-analyses E.A. Pritts and A.K. Atwood. Human Reprod 2002;17:2287-99. P4 vs. no treatment S Daya and J Gunby The Cochrane Database of Systematic Reviews 2004 Issue 4 Copyright © 2004 The Cochrane Collaboration. Published by John Wiley & Sons, Ltd. DOI: 10.1002/14651858.CD004830 This version first published online: 19 July 2004 in Issue 3, 2004 Nosarka S et al. Luteal phase support in in vitro fertilization: meta-analysis of randomized trials. Gynecol Obstet Invest. 2005;60:67-74. Questions Outcome measure Author P4 (vaginal) vs. no TT CPR P4 (vaginal) vs. no TT P4 (vaginal) vs. no treatment P4 (vaginal) vs. no TT hCG vs. no TT DR OPR hCG vs. no TT OPR hCG vs. no TT SAB P4 (i.m.) versus placebo/no TT P4 (i.m.) versus placebo/no TT P4 (i.m.) vs. placebo/no TT P4 (i.m.) vs. placebo/no TT CPR Artini et al ., 1995; Abate et al ., 1999b Abate et al ., 1999b Artini et al ., 1995; Abate et al ., 1999b Artini et al ., 1995 Smith et al ., 1989; Herman et al ., 1990; Artini et al ., 1995; Beckers et al ., 2000 Herman et al ., 1990; Artini et al ., 1995; Beckers et al ., 2000 Herman et al ., 1990; Artini et al ., 1995 Artini et al ., 1995; Abate et al ., 1999a,b Artini et al ., 1995; Abate et al ., 1999b Abate et al ., 1999b Artini et al ., 1995 SAB CPR Department of Obstetrics and Gynaecology, Stellenbosch Univ., Tygerberg, SA. Reviewers' conclusions • Luteal phase support with hCG or progesterone after assisted reproduction results in an increased pregnancy rate. • hCG does not provide better results than progesterone and is associated with greater risks of OHSS when used with GnRHa. • The optimal route of progesterone administration has not been established yet. OPR DR SAB No. of No. of RR studies patients 95% CI Meta- Power #2 Power #1 analysis 2 192 2.1 0.95–4.67 yes 0.88 0.35 1 2 104 192 2 0.33–15.52 1.7 0.77–6.02 no yes 0.61 0.88 0.24 0.35 1 4 11 262 1.1 0.10–31.09 2.7 1.56–4.90* no yes 0.1 0.96 0.07 0.46 3 147 2.4 yes 0.77 0.28 1.4 0.15–34.57 yes 0.17 0.08 1.36–4.27* yes 0.97 0.48 0.93–6.7 2 22 3 278 2.4 2 192 3.8 1.42–11.38* yes 0.88 0.35 1 1 104 10 5.5 1.25–35.53* 1.3 0.12–36.19 no no 0.61 0.1 0.21 0.07 S Daya and J Gunby The Cochrane Database of Systematic Reviews 2004 Issue 4 IR Copyright © 2004 The Cochrane Collaboration. Published by John Wiley & Sons, Ltd. DOI: 10.1002/14651858.CD004830 This version first published online: 19 July 2004 in Issue 3, 2004 Vag P IM P Crinone 8% Progesterone vaginal vs. IM administration Clinical pregnancy per embryo (gamete) transfer – with GnRHa Alan Penzias, Boston IVF 1‟675 IVF cases, in relation to the type of P4 preparation used for luteal support Penzias AS. Luteal phase support. Fertil Steril. 2002;77:318-23. Penzias AS, Alper MM. Luteal support with vaginal micronized progesterone gel in assisted reproduction. Reprod Biomed Online. 2003;6:287-95. NON Crinone PR Crinone 8% NS S Daya and J Gunby Vaginal natural micronized progesterone The Cochrane Database of Systematic Reviews 2004 Issue 4 Copyright © 2004 The Cochrane Collaboration. Published by John Wiley & Sons, Ltd. DOI: 10.1002/14651858.CD004830 This version first published online: 19 July 2004 in Issue 3, 2004 • First choice LPS regimen, mainly due to patient comfort and effectiveness (Levin et al., 2001). • At least as effective as IM progesterone at providing LPS in induced cycles (Simunic et al., 2007). • In Europe, two different forms: – Capsules 100-200 mg (Utrogestan, Prometrium, Progeffik) – Crinone 8%, controlled sustained-release vaginal gel, 90 mg. – Ring in U.S. • Dosage: Progesterone vaginal gel vs. other vaginal administration Clinical pregnancy per embryo (gamete) transfer – with GnRHa – Capsules: 200 mg 2-3 times a day (400-600 mg/day) – Crinone 8% once a day (Ludwig et al., 2002; Simunic et al., 2007) NS • At the moment no dose finding studies performed • Further PRT essential to define the dose for LPS in IVF. Crinone vs Vaginal capsules • RCT (n = 126) (Ludwig et al., 2002): Clinical PR 28.8 vs 18.9% Clinical abortion rates 14.3 vs 10.0% Ongoing PR 24.7 vs 17.0% • • NS NS NS • • Side-effects: Crinone 8% gel 38/125 Utrogestan vaginal capsules 68/132 Compliance with capsules better than with gel (P < 0.05) (Simunic et al., 2007; Ludwig et al., 2002). When to start LPS Timing of LPS remains the subject of debate. Current clinical practice involves beginning LPS on different days. No difference on ongoing PR when LPS started on: – the day of hCG administration – the day of OR – the day of embryo transfer (occurring on day 3) (Baruffi et al., 2003) and administered until 18 days following OR (20.8%, 22.7 and 23.6%) (Mochtar et al., 2006) Delaying LPS until 6 days after OR decreases PR of 24% vs. 3 days after OR (Williams et al., 2001). Fanchin R et al. Uterine contractility decreases at the time of blastocyst transfers. Hum Reprod. 2001;16:1115-9. UC frequency decreases at the time of blastocyst transfers (day 5). Fanchin R, Righini C, de Ziegler D et al. Effects of vaginal progesterone administration on uterine contractility at the time of embryo transfer. Fertil Steril. 2001;75:1136-40. . Early P4 supplementation decreases UC frequency at the time of ET. Mochtar MH, Van Wely M, Van der Veen F. Timing luteal phase support in GnRH agonist down-regulated IVF/embryo transfer cycles. Hum Reprod. 2006;21:905-8. No apparent differences between day hCG, retrieval and ET. Progesterone supplementation during early gestation after in vitro fertilization has no effect on the delivery rate. Progesterone supplementation during early gestation after in vitro fertilization has no effect on the delivery rate. Schmidt KL et al. Fertil Steril 2001;75:337-41 Schmidt KL et al. Fertil Steril 2001;75:337-41 Objective: To compare the delivery rate with IVF or ICSI in women who did and did not receive progesterone supplementation in the first 3 weeks after a positive hCG test result. Design: Retrospective study. Result(s): The number of deliveries was 126 in the study group and 128 in the control group. Method: Patient(s): 200 pregnant women who did not receive progesterone (intervention group) and 200 pregnant women who received progesterone for 3 weeks after a positive hCG result. P4 Vaginal P4 600 mg/day Vaginal P4 600 mg/day Conclusion(s): The delivery rate was the same in pregnant women who received and those who did not receive P4 for 3 weeks after a positive hCG result. P4 supplementation for more than 2 weeks after embryo transfer may therefore yield no benefit in terms of pregnancy. P4 n=200 n=200 Controls Controls n=200 Pregnancy test 3 weeks n=200 Vaginal P4 600 mg/day Vaginal P4 600 mg/day 126/200 128/200 Pregnancy test 3 weeks No difference Progesterone supplementation during early gestation after in vitro fertilization has no effect on the delivery rate. Progesterone e aborto Schmidt KL et al. Fertil Steril 2001;75:337-41 Result(s): The number of deliveries was 126 in the study group and 128 in the control group. • Prevenzione dell‟aborto Conclusion(s): The delivery rate was the same in pregnant women who received and those who did not receive P4 for 3 weeks after a positive hCG result. P4 supplementation for more than 2 weeks after embryo transfer may therefore yield no benefit in terms of pregnancy. Vaginal P4 600 mg/day P4 n=200 Controls n=200 Vaginal P4 600 mg/day • Trattamento della minaccia di aborto 126/200 No rationale for continuing luteal support 128/200 beyond the pregnancy test Pregnancy weeks But like us, most3do! test No difference Progestogen for preventing miscarriage Progestogen versus placebo/no treatment Outcome: Prevention of miscarriage (all trials) Oates-Whitehead et al., Cochrane 2007 Oates-Whitehead et al., Cochrane 2007 Background • Progesterone is known to induce secretory changes in the lining of the uterus essential for successful implantation of a fertilized egg. • A causative factor in many cases of miscarriage may be inadequate secretion of progestogens. • Therefore, progestational agents have been used, beginning in the first trimester of pregnancy, in an attempt to prevent spontaneous miscarriage. Progestogen versus placebo/no treatment, Progesterone and threatened miscarriage Prevention of miscarriage (women with previous recurrent miscarriage only) Oates-Whitehead et al., Cochrane 2007 Oates-Whitehead et al., Cochrane 2007 • • • • Conclusioni: • Nessuna evidenza che la somministrazione di routine del P riduca il rischio di abortività nel primo e nel secondo trimestre. • P indicato nelle donne con poliabortività con un trend di aumento del tasso di natalità senza evidenza di aumento del rischio di effetti indesiderati. • Nessuna differenza significativa tra le diverse vie di somministrazione del progesterone (orale, IM, vaginale). Progesterone is prescribed in 13-40% of women with threatened miscarriage Giving progestogen is expected to support a potentially deficient corpus luteum gravidarum and induce relaxation of a cramping uterus. The evidence is of low quality. 3 studies having miscarriage as outcome, overall RR 1.10 (95% confidence interval 0.92 to 1.31) for progestogens group (al-Sebai et al., 1996; Reljic 2001; Bennett et al., 1996). In the only studies that provided sonographic evidence of fetal heart activity at presentation, the relative risk for miscarriage was 1.09 (90% confidence interval 0.90 to 1.33) for the progestogen group (Pedersen & Mantoni 1990). • Progesterone does not seem to improve outcome in women with threatened miscarriage. However, local application of a progestogen was found to subjectively decrease uterine cramping more rapidly than bed rest alone in one small study. P4 and miscarriages P4 and miscarriages Oates-Whitehead RM, Haas DM, Carrier JA. Progestogen for preventing miscarriage. Cochrane Database Syst Rev. 2003;(4):CD003511. Effects of Crinone on cramps P4 supplementation is effective in repeated aborters (>3). Palagiano A, Bulletti C, Pace MC, de Ziegler D, Cicinelli E, Izzo A. Effects of vaginal progesterone on pain and uterine contractility in patients with threatened abortion before twelve weeks of pregnancy. Ann N Y Acad Sci. 2004;1034:200-10. Cramps 2 P4 offers symptomatic relief in threatened abortion ( cramps/bleeding). 1.5 1 Kalinka J, Szekeres-Bartho J. The impact of dydrogesterone supplementation on hormonal profile and progesterone-induced blocking factor concentrations in women with threatened abortion. Am J Reprod Immunol. 2005;53:166-71. DHP (oral progestin) P4 induced blocking factor (PIBF) in threatened AB Crinone 0.5 Controls 0 1 2 3 4 Raghupathy R, Al Mutawa E, Makhseed M, Azizieh F, Szekeres-Bartho J. Modulation of cytokine production by dydrogesterone in lymphocytes from women with recurrent miscarriage. BJOG. 2005;112:1096-101. In women w/ recurrent miscariages, DHP (oral progestin) induces a Th1 (IFNg, TNFa) to Th2 (IL4, IL6) cytokines shift. 5 days Bulletti and de Ziegler, 2001 Progesterone and preterm birth Progesterone and preterm birth • Profilactic use • Preterm birth is the major complication of pregnancy associated with perinatal mortality and morbidity and occurs in up to 6% to 10% of all births. • Therapeutic use P therapy modulates response to inflammation Am J Obstet Gynecol. 2005 Sep;193(3 Pt 2):1149-55. Can medroxyprogesterone acetate alter Toll-like receptor expression in a mouse model of intrauterine inflammation? Elovitz MA, Mrinalini C. Department of Obstetrics and Gynecology, Center for Research in Reproduction and Women's Health, University of Pennsylvania, Philadelphia, PA, USA. [email protected] Prostaglandin H2 synthase + + Cortisol + Gram + Gram - Innate immune receptors Toll-like recept. 4 + + Labor + Inflammation response Toll-like recept. 2 Prostaglandins 15OH Prostanglandin Deydrogenase Progesterone + Parturition Intrauterine inflammation MAP • Medroxyprogesterone acetate suppresses lipopolysaccharide-induced up-regulation of Toll-like receptor 2 messenger RNA. This may be one of the mechanisms by which progestins are able to decrease preterm birth. Dodd JM, Flenady V, Cincotta R, Crowther CA. Prenatal administration of progesterone for preventing preterm birth. Cochrane Database of Systematic Reviews 2006, Issue 1. Art. No.: CD004947. DOI: 10.1002/14651858.CD004947.pub2. P4 in pregnancy Da Fonseca E et al. Am J Obstet Gynecol 2003;188:419-24. OBJECTIVE: The purpose of this study was to evaluate the effect of prophylactic vaginal progesterone in decreasing preterm birth rate in a high-risk population. Methods Sample size: Preterm birth rate of 25% with anticipated 50% decrease in treatment group to 12.5%. 48 patients/group necessary for study power of 90% at a significance level of 0.05 (2 tail). Population: 157 asymptomatic high risk patients w/ past Hx of PTL or uterine malformation. Controls Progesterone placebo vaginally 100 mg/d vaginally 70 72 Progesterone administration in women who previously delivered prematurely reduces the risk of recurrent premature delivery. Dodd JM, Flenady V, Cincotta R, Crowther CA. Prenatal administration of progesterone for preventing preterm birth. Cochrane Database of Systematic Reviews 2006, Issue 1. Art. No.: CD004947. DOI: 10.1002/14651858.CD004947.pub2. Dodd JM, Flenady V, Cincotta R, Crowther CA. Prenatal administration of progesterone for preventing preterm birth. Cochrane Database of Systematic Reviews 2006, Issue 1. Art. No.: CD004947. DOI: 10.1002/14651858.CD004947.pub2. Progesterone versus placebo subgrouped by route of administration (intramuscular versus vaginal), Outcome: Preterm birth less than 37 weeks Progesterone versus placebo subgrouped by route of administration (intramuscular versus vaginal), Outcome: Preterm birth less than 37 weeks Dodd JM, Flenady V, Cincotta R, Crowther CA. Prenatal administration of progesterone for preventing preterm birth. Cochrane Database of Systematic Reviews 2006, Issue 1. Art. No.: CD004947. DOI: 10.1002/14651858.CD004947.pub2. N Engl J Med. 2007 Aug 2;357(5):462-9. Progesterone versus placebo subgrouped by cumulative weekly dose (>= 500 mg versus < 500 mg), Outcome: Threatened preterm labour Fonseca EB, Celik E, Parra M, Singh M, Nicolaides KH; Fetal Medicine Foundation Second Trimester Screening Group. Harris Birthright Research Centre for Fetal Medicine, King's College Hospital, London, United Kingdom. Progesterone and the risk of preterm birth among women with a short cervix. • • BACKGROUND: P reduces the risk of recurrent premature delivery. Asymptomatic women found at midgestation to have a short cervix are at greatly increased risk for spontaneous early preterm delivery METHODS: – Cervical length measured by TVE at a median of 22 weeks of gestation in 24,620 pregnant women seen for routine prenatal care. – Cervical length was 15 mm or less in 413 (1.7%), and 250 (60.5%) of these were randomly assigned to receive: – vaginal P (200 mg each night) or placebo from 24 to 34 weeks of gestation. • The primary outcome was spontaneous delivery before 34 weeks. RESULTS: – Spontaneous delivery < 34 weeks: 19.2% in P group vs. 34.4% in placebo group; relative risk, 0.56; 95% confidence interval [CI], 0.36 to 0.86). – P was associated with a nonsignificant reduction in neonatal morbidity (8.1% vs. 13.8%; relative risk, 0.59; 95% CI, 0.26 to 1.25; P=0.17). – There were no serious adverse events associated with the use of progesterone. Meis et al. National Institute of Child Health and Human Development Maternal-Fetal Medicine UNits Network: N Engl J Med 2003: 17 alpha hydroxyprogesterone caproate 250 mg/weekly • CONCLUSIONS: In women with a short cervix, treatment with P reduces the rate of spontaneous early preterm delivery. N Engl J Med. 2007 Aug 2;357(5):454-61. Progesterone/progestinici: indicazioni Ginecologia A trial of 17 alpha-hydroxyprogesterone caproate to prevent prematurity in twins. Rouse DJ, Caritis SN, Peaceman AM, Sciscione A, Thom EA, Spong CY, Varner M, Malone F, Iams JD, Mercer BM, Thorp J, Sorokin Y, Carpenter M, Lo J, Ramin S, Harper M, Anderson G; National Institute of Child Health and Human Development Maternal-Fetal Medicine Units Network. • BACKGROUND: In singleton gestations, 17 alpha-hydroxyprogesterone caproate (17P) has been shown to reduce the rate of recurrent preterm birth. This study was undertaken to evaluate whether 17P would reduce the rate of preterm birth in twin gestations. • RESULTS: – data from 655 were analyzed (325 in the 17P group and 330 in the placebo group). – Delivery or fetal death before 35 weeks occurred in 41.5% of pregnancies in the 17P group and 37.3% of those in the placebo group (relative risk, 1.1; 95% confidence interval [CI], 0.9 to 1.3). • CONCLUSIONS: Treatment with 17 alpha-hydroxyprogesterone caproate did not reduce the rate of preterm birth in women with twin gestations. • • • • • • • • controllo del ciclo mestruale dismenorrea trattamento della menorragie contraccezione terapia dell‟endometriosi della patologia iperplastica dell‟endometrio terapia ormonale sostitutiva prevenzione danni neurologici Progesterone/progestogen releasing intrauterine systems versus either placebo or any other medication for HMB Lethaby AE, Cooke I, Rees M. The Cochrane Library, 2005. Data: 5 randomised controlled trials vs TCRE (2) / ABL (3), 1 vs P Main results: P- and LNG-IUS have not been compared to placebo or no treatment LNG-IUS was significantly more effective than oral continuous norethisterone (NET) (on days 5-26), altough both treatments were effective from baseline and differences were not perceived by patients. Some short term side effects (intermenstrual bleeding and breast tenderness) were more common in the LNG IUS group but a significantly greater proportion of women in this group were satisfied and willing to continue with their treatment Smaller reduction in MBL compared with TCRE/A but no difference in satisfaction. More P side effects with LNG-IUS BIOLOGICAL RATIONALE • Once implanted, ectopic endometrium generates an inflammatory condition • Progestogens have anti-inflammatory properties peritoneal fluid volume peritoneal fluid leukocytes # chemokine synthesis chemoattraction towards peritoneal monocytes and activated T cells The Role of a Progestin A progestin is used to block - Ovulation - Estrogen associated endometrial hyperplasia • Ideal profile for a progestin: 1. Block ovulation 2. Blocks estrogenic activity in the uterus at a low dose 3. Does not block estrogenic activity in bone, CNS & cardiovascular system 4. Lacks other steroid hormone effects 5. Low breast cancer risk 6. Additional advantages Invasive Breast Cancer Women Health Initiative, JAMA 2002 0,03 Cumulative Hazard The Million Women Study Placebo HRT 0,02 0,01 HR 1.26 95% CI 1.00 1.59 0 0 1 2 3 4 5 6 7 Time, y The WHI-E only study actually notes a 23% reduction in breast cancer compared with the placebo. (Lancet, 2003) Multicenter population-based case-control study (5298 casi) Massachusetts, New Hampshire, Wisconsin Rischio relativo (RR) di carcinoma della mammella con l‟uso dei soli estrogeni (E) e di estrogeni+progestinici 2 Rischio relativo di cr mammario con > 5 aa. di terapia 1,5 E E/P 2.09 1,39 RR 1,57 1 0,5 Estrogeno+progestinico Progestinico N Estrogeno ew co m b, St 19 an 95 fo rd , 19 C ol 95 di tz ,1 Pe 99 rs 8 so n, 19 99 R os Sc s, 2 00 ha 0 ir er ,2 00 W 0 H I, 2 W 00 ei 2 ss ,2 M 00 ill 2 io n, 20 03 L i, 20 03 0 (Newcomb et al., Cancer Epidemiol Biomark Prev, 2002) An overview of menopausal oestrogen-progestin hormone therapy and breast cancer risk. Lee SA, Ross RK, Pike MC. Br J Cancer. 2005 Jun 6;92(11):2049-58. • • • • Meta-analysis using EPT-specific results from the Collaborative Group on Hormonal Factors in Breast Cancer (CGHFBC) pooled analysis and studies published since that report to obtain an overview of EPT use and breast cancer risk. The overall, EPT results in a 7.6% increase in breast cancer risk per year of use. The risk was statistically significantly lower in US studies than in European studies - 5.2 vs 7.9%. There was a significantly higher risk for continuous-combined than for sequential EPT use in Scandinavian studies where much higher total doses of progestin were used in continuouscombined than in sequential EPT. No overall difference in risk for lobular vs ductal carcinoma but did observe a slightly higher risk for current vs past EPT use. Breast cancer risk in relation to different types of hormone replacement therapy in the E3N-EPIC cohort. Fournier et al., Int J Cancer. 2005 Apr 10;114(3):448-54. Studio E3N • Studio prospettico di coorte su 54584 donne francesi in menopausa • Giugno 1990-2000 • Durata media della terapia: 5.8 anni • Età media all’arruolamento: 52.8 anni • RR cr. mammella E + prog. di sintesi (diidrogesterone, MAP, nomegestrolo ac.): 1.4 • 6000 donne trattate con E2 transdermico e progesterone 2 cps/die in regime sequenziale (12-14 gg): 0.9 • Se la terapia assunta per < 4 anni l’RR si ferma a 0.7 J Neurotrauma. 2000 May;17(5):367-88. Gender differences in acute CNS trauma and stroke: neuroprotective effects of estrogen and progesterone. Roof RL, Hall ED. – Sex differences in the pathophysiology of and outcome after acute neurological injury. – Lesser susceptibility to postischemic and post-traumatic brain injury in females in experimental models. – Sex difference extends to humans as well. – The greater neuroprotection in females likely due to the effects of circulating estrogens and progestins. – Exogenous administration of both hormones improves outcome after cerebral ischemia and traumatic brain injury in experimental models. – The neuroprotection provided by periinjury administration of E and P extends to males as well. Progesterone and Brain Injuries Progesterone and Brain Injuries • Administration of relatively large doses of progesterone during the first few hours to days after injury significantly limits central nervous system damage, reduces loss of neural tissue, and improves functional recovery. • Effects on blunt traumatic brain injury. • Possible protection from several forms of acute central nervous system injury, including penetrating brain trauma, stroke, anoxic brain injury, and spinal cord injury. Stein et al., Ann Emerg Med. 2007 Jun 21 P and multiple sclerosis • In mice PROG produced a moderate delay of disease onset and reduced the clinical scores. • Progesterone appears to exert its protective effects by protecting or rebuilding the blood-brain barrier, decreasing development of cerebral edema, down-regulating the inflammatory cascade, and limiting cellular necrosis and apoptosis. All are plausible mechanisms of neuroprotection Stein et al., Ann Emerg Med. 2007 Jun 21 P for Intracranial meningiomas in lymphangioleiomyomatosis. • Lymphangioleiomyomatosis is a progressive interstitial lung disease that affects young women. • It has been suggested that estrogens play a role in its evolution, and progesterone therapy is often provided in these cases. • Possible association with meningiomas Pozzati et al., Surg Neurol. 2007 Jun 20 • PROG attenuated disease severity, and reduced the inflammatory response and the occurrence of demyelination in the spinal cord during the acute phase of EAE. Garaj et al., J Steroid Biochem Mol Biol. 2007 Jun 22. Conclusioni 1 1. LPS (con P) è necessario dopo COH 2. Vaginal P4 is equivalent to IM P 3. P indicato nelle donne con poliabortività con un trend di aumento del tasso di natalità senza evidenza di aumento del rischio di effetti indesiderati. 4. P riduce il rischio di ricorrenza di parto pretermine 5. La scelta del progestinico e della via di somministrazione deve basarsi sul fine terapeutico Conclusioni 6. Nessun progestinico sintetico riproduce perfettamente le azioni del progesterone naturale. 7. Parte degli effetti indesiderati (rischio CV, cr. mammella) della HRT sono molecola dipendente e non classe dipendente 8. I progestinici di ultima generazione sono sempre più simili al P 9. La somministrazione vaginale offre alcuni vantaggi: – Efficacia e selettività di azione sull’utero – Bassa esposizione sistemica – Impiego di P – (< impatto sull’apparato cardiovascolare, < rischio di cr. della mammella) – Permette di somministrare gli ormoni naturali Terapia contraccettiva e peri-menopausa Villa P1, Suriano R1, Costantini B1, Macri F1, Ricciardi L1, Lanzone A1-2 1 Istituto di Clinica Ostetrica e Ginecologica , Policlinico Universitario A. Gemelli Università Cattolica del Sacro Cuore (Roma) 2 OASI Istituto di Ricerca Troina (EN) La perimenopausa rappresenta una fase di transizione nella vita della donna comprendendo gli anni che precedono la menopausa, e interessando quindi donne relativamente giovani di età compresa tra 40 e 50 anni. Attualmente è stato dimostrato che tale fase di transizione sia caratterizzata da ampie ed irregolari fluttuazioni ormonali, a cui si correla una sintomatologia altrettanto irregolare ed intermittente. La progressiva deplezione del patrimonio follicolare ovarico legata all‟invecchiamento comporta un calo estrogenico e conseguentemente un aumento della produzione di gonadotropine a causa del ridotto feed-back inibitorio a livello ipotalamo-ipofisario. Il progressivo declino della funzione ovarica determina l‟insorgenza di disturbi legati al deficit estrogenico e/o progestinico, quali irregolarità mestruali, sintomi vasomotori, deficit di concentrazione, alterazioni del ritmo sonno-veglia, secchezza vaginale, riduzione del tono dell‟umore, incremento ponderale, riduzione della libido. Pertanto, molte donne si rivolgono al curante o al ginecologo di fiducia in questa fase della vita a causa di una o più di queste manifestazioni, che necessitano di un inquadramento clinico e di un management appropriato. Inoltre, essendo questo periodo di transizione ancora potenzialmente fertile, risulta particolarmente importante attuare delle strategie terapeutiche appropriate per la contraccezione nelle donne in perimenopausa. L‟utilizzo degli estroprogestinici nelle donne di età pari o superiore ai 40 anni non rappresenta di per sé una controindicazione assoluta pur tenendo conto che l‟età costituisce un noto, importante fattore di rischio cardiovascolare, in grado di amplificare altri accertati fattori di rischio quali il fumo di sigaretta, il diabete mellito, l‟ipertensione arteriosa, l‟obesità, una storia familiare di trombosi venosa, le dislipidemie. Pertanto è necessario nella singola paziente in età premenopausale elaborare un‟attenta valutazione del profilo di rischio cardiovascolare prima d‟intraprendere una contraccezione estroprogestinica. Un altro aspetto di particolare interesse è rappresentato dai rapporti tra l‟uso della pillola ed il rischio di cancro della mammella. Gli studi a tal proposito hanno dato pareri discordanti sugli effetti dei CO sulla mammella. Di fatti, da una meta-analisi (Lancet 1996) è stato riscontrato che l‟uso di contraccettivi orali aumenta lievemente il rischio di carcinoma della mammella. Il rischio viene mantenuto fino a 10 anni dalla sospensione della terapia. Di contro, da un recente studio è stato rilevato che potrebbe non sussiste alcun incremento del rischio neoplastico in donne utilizzatrici di estro-progestinici, sia attuali o pregresse. Tuttavia, dato il riscontro epidemiologico di una maggiore incidenza del carcinoma mammario nelle donne oltre i 40-45 anni di età, la donna in peri-menopausa, deve essere sottoposta, preventivamente e periodicamente, ad attenta valutazione clinico-strumentale, al pari della sorveglianza cui viene sottoposta una donna in post-menopausa che faccia uso di terapia ormonale sostitutiva. Importante è anche la valutazione dell‟effetto che i CO possono avere sull‟ovaio. Si è potuto riscontare, da diversi studi, che molto probabilmente gli estroprogestinici hanno un effetto protettivo sull‟ovaio. A causa delle importanti fluttuazioni ormonali cui è soggetta una donna in perimenopausa, risulta utile considerare gli effetti dei contraccettivi orali sulla densità ossea. La maggior parte degli studi condotti in donne normoestrogenizzate, ha dimostrato un effetto sostanzialmente neutro sul metabolismo e sulla densità minerale ossea. Al contrario, nelle donne ipoestrogenizzate, la somministrazione di estroprogestinici a basso dosaggio (20 mcg etinil-estradiolo) ha effetti positivi sulla BMD (densità minerale ossea). L‟utilizzo dei contraccettivi ormonali, sembra essere in grado di prevenire l‟aumentato turnover dell‟osso, che invece si osserva in perimenopausa nelle donne con oligomenorrea, proteggendo dal rischio di fratture di femore e colonna. In considerazione di tutti questi fattori,in donne di età superiore a 35 anni l‟uso dei contraccettivi a basso dosaggio (< 20 mcg di EE) è da preferire in assenza di controindicazioni assolute all‟uso di estro-progestinici. Al contrario nelle donne di pari età che presentino altri fattori di rischio cardiovascolare è possibile suggerire l‟utilizzo del solo progestinico, pur tenendo conto che questo trattamento non allevierebbe l‟iniziale sintomatologia climaterica. Nei casi in cui si ritenga necessario un trattamento contraccettivo con estroprogestinici in donne senza fattori di rischio, vi è la disponibilità di composti contenenti estradiolo, estradiolo emiidrato, e estradiolo-valerato per somministrazione sia orale che transdermica. La posologia prevede l‟assunzione di estrogeni in schema sequenziale per 21 giorni associati ad un progestinico negli ultimi 12 giorni di assunzione degli estrogeni, seguiti da 7 giorni di sospensione (somministrazione ciclica). Nell‟ambito della componente progestinica esistono differenze per quanto riguarda l‟attività biologica e la relativa potenza dei vari composti. In particolare ogni preparato presenta diversi effetti estrogenici, antiestrogenici, androgenici, antiandrogenici ed aldosterone antagonisti. I progestinici sono disponibili in diverse formulazioni e vie di somministrazione (orale, vaginale, intramuscolare ed intrauterina) permettendo una terapia individualizzata. In donne che presentano sanguinamento determinato da cicli anovulatori, la terapia progestinica ciclica regolarizza la mestruazione e previene la perdita ematica prolungata ed eccessiva, associata con sanguinamenti da privazione estrogenica. La perimenopausa rappresenta per la donna un momento di profondi cambiamenti di tipo psicologico, sociale, clinico. E‟ importante in questa fase inquadrare la paziente, cercare di alleviare la sintomatologia se presente e, soprattutto, introdurre strategie mirate alla prevenzione delle patologie degenerative più comuni ed al raggiungimento di uno stile di vita salutare. La Sindrome dell’Ovaio Micropolicistico V. De Leo, M.C. Musacchio, G. Morgante, F. Petraglia Clinica Ostetrica e Ginecologica Università degli Studi di Siena La Sindrome dell‟Ovaio Micropolicistico (PCOS) è una complessa patologia endocrina che colpisce il 5-10% delle donne in età fertile (1). Si manifesta clinicamente con oligo/amenorrea, cicli anovulatori, irsutismo, acne, ovaie micropolicistiche e, in una significativa percentuale di casi, insulino-resistenza (2). Numerosi studi condotti su famiglie di donne con PCOS indicano che nella sua patogenesi sono coinvolti fattori genetici. Tali fattori contribuirebbero a determinare le alterazioni endocrine e metaboliche che caratterizzano questa sindrome. Per tali motivi la PCOS viene propriamente definita una patologia multifattoriale, determinata dall‟associazione di molteplici fattori: genetici, endocrini e ambientali (3). Evidenze sempre più numerose, inoltre, segnalano che la PCOS si presenta come una patologia che “coinvolge tutta la vita” della donna, che inizia nella vita intrauterina in soggetti geneticamente predisposti, si manifesta clinicamente al momento della pubertà, perdura nell‟età fertile, ed espone, soprattutto dopo la menopausa, ad un rischio più elevato di sviluppare patologie cardiovascolari, ipertensione, diabete e altre complicanze metaboliche (4-6). Inoltre, durante l‟età fertile può determinare infertilità anovulatoria oppure una maggiore incidenza di complicanze gestazionali quali aborti spontanei, diabete gestazionale e preeclampsia (1). Per tali motivi risulta evidente che la diagnosi precoce di tale sindrome è fondamentale, in quanto permette di poter effettuare i trattamenti e i controlli più idonei riducendo così il rischio di sviluppare tutte le complicanze ad essa correlate. La patogenesi della PCOS è il risultato di alterazioni a carico di più sistemi come quello endocrino e metabolico. Il profilo endocrino delle donne con PCOS è caratterizzato da alti livelli di androgeni di origine ovarica e surrenalica, alterato rapporto LH/FSH, ridotti livelli di SHBG e nel 30% delle donne anche moderata iperprolattinemia. E‟ un dato ormai consolidato che l‟insulino-resitenza, presente soprattutto nelle donne obese o in soprappeso, ma spesso anche in quelle magre con PCOS, sembra rappresentare la “chiave” di questa complessa patologia (4). L‟insulino-resistenza è definita come una condizione patologica in cui una cellula, un tessuto o un organismo hanno bisogno di una quantità di insulina superiore alla norma per ottenere una risposta pressochè normale. Essa determina una maggiore secrezione di insulina da parte delle cellule pancreatiche e una iperinsulinemia compensatoria, mentre i livelli di glucosio restano normali. Quando la risposta delle cellule pancreatiche si riduce, si svilupperà un‟intolleranza al glucosio o il diabete di tipo II (4). I meccanismi attraverso cui si realizza l‟insulino-resistenza consistono in un difetto del legame dell‟insulina al suo recettore oppure in alterazioni della trasmissione del segnale (4). Le ovaie di questi soggetti, tuttavia, conservano una risposta pressochè normale all‟insulina. Una spiegazione parziale di questo fenomeno potrebbe essere fornita dall‟azione dell‟insulina sull‟ovaio attraverso il recettore per l‟IGF-1, al quale si lega quando raggiunge concentrazioni elevate come succede nell‟iperinsulinemia compensatoria. Inoltre, l‟azione dell‟insulina a livello ovarico utilizza come mediatore del segnale il sistema dell‟inositologlicano, che è diverso dal sistema attivato negli altri tessuti della fosforilazione del recettore a livello della tirosina e che mantiene la sua funzione a livello ovarico anche nei soggetti insulino-resistenti (7). L‟iperinsulinemia, a sua volta, stimola direttamente la steroidogenesi ovarica agendo sulle cellule della teca e su quelle della granulosa, stimola la proliferazione delle cellule della teca, aumenta la secrezione di androgeni mediata dall‟LH, aumenta l‟espressione del citocromo P450, dei recettori dell‟LH e dell‟IGF-I (8-9). Poiché gli enzimi coinvolti nella steroidogenesi ovarica sono simili a quelli surrenalici, numerosi studi hanno dimostrato che l‟insulina agisce direttamente anche stimolando la steroidogenesi surrenalica (10-12). Studi in vitro hanno inoltre dimostrato che l‟insulina presenta recettori anche a livello ipotalamico e ipofisario, attraverso i quali stimola il rilascio di FSH e LH in condizioni basali ed in seguito a stimolo con GnRH (13). L‟insulina influenza infine l‟iperandrogenemia anche inibendo a livello epatico la sintesi di SHBG (14) e di IGFBP-1, che lega l‟IGF-1 (8). Il primo e più efficace trattamento della PCOS è sicuramente rappresentato dalle modificazioni dello stile di vita. La perdita del peso corporeo riduce significativamente tutte le manifestazioni cliniche della PCOS: ripristina l‟ovulazione e aumenta la percentuale delle gravidanze, riduce i livelli di insulina e degli androgeni (15). Per quanto riguarda il trattamento delle manifestazioni cliniche dell‟iperandrogenismo, uno dei farmaci più utilizzati nella PCOS è la flutamide, un antiandrogeno che agisce bloccando i recettori degli androgeni (16). Questo farmaco riduce significativamente l‟iperandrogenemia e l‟irsutismo, mentre ha effetti trascurabili sui cicli mestruali e sull‟ovulazione (17). Non è ancora chiaro se questo trattamento eserciti degli effetti anche sull‟insulino-resistenza. La somministrazione di contraccettivi nelle donne con PCOS si è rivelata utile in quanto riduce l‟entità dell‟acne e dell‟irsutismo, regolarizza i cicli mestruali e migliora la densità ossea (18). Tuttavia possono esercitare una serie di effetti metabolici negativi: aumentano i livelli di trigliceridi e colesterolo totale, peggiorano l‟insulino-resistenza, determinano aumento di peso (19). Questi effetti possono essere più o meno marcati a seconda del tipo di contraccettivo ormonale utilizzato. Negli ultimi anni, tuttavia, i farmaci più utilizzati con successo nella PCOS da diversi autori sono stati sicuramente gli insulino-sensibilizzanti (4), che si sono dimostrati efficaci, somministrati da soli e in associazione con altri farmaci, non solo sull‟insulino-resistenza e sulla riduzione di peso, ma anche sulle irregolarità mestruali, sui cicli anovulatori, sui segni dell‟iperandrogenismo e sulle complicanze gestazionali (8,10,11). Tra questi è risultata particolarmente efficace la metformina, farmaco molto utilizzato nei pazienti con diabete di tipo II. Nel 30% delle pazienti determina effetti collaterali come disconfort addominale, caratterizzato da nausea, vomito e inappetenza (8). Una significativa riduzione dei livelli circolanti di androgeni è stata osservata dopo trattamento a breve termine con metformina. Tuttavia, nonostante la riduzione nei livelli circolanti di androgeni, il trattamento a breve termine con metformina sembra avere un effetto minimo sulle manifestazioni cutanee dell‟iperandrogenemia nelle pazienti con PCOS. Per questi motivi negli ultimi anni è stata proposta da diversi autori l‟associazione di antiandrogeni e insulinosensibilizzanti nel trattamento di questa sindrome. Molti studi hanno dimostrato,inoltre, un significativo miglioramento della frequenza dei cicli mestruali (25-96%) in seguito a trattamento con metformina (4). Inoltre, gli effetti benefici della metformina sui fattori di rischio cardiovascolare e sulla sensibilità insulinica hanno portato numerosi autori a proporre l‟associazione metformina + CO nelle donne con PCOS. E‟ stato rilevato che l‟associazione metformina + CO rispetto all‟utilizzo dei soli CO nelle donne con PCOS determina una riduzione più significativa dei livelli di androgeni, senza indurre significative differenze del BMI, del rapporto vita/fianchi e del rapporto glicemia/insulina (20). Quando somministrata da sola, o insieme ad altri agenti che inducono l‟ovulazione, la metformina può giocare un ruolo importante nella infertilità anovulatoria associata con la PCOS. Un‟incidenza di gravidanza del 39% è stata riportata quando è usata come unica terapia (21), mentre la gravidanza si verifica nell‟89% dei casi quando è somministrata in associazione con clomifene citrato nelle donne obese con PCOS clomifene resistenti (6). Nei casi in cui non c‟è risposta al trattamento con clomifene e metformina oppure è necessario ricorrere a FIVET/ICSI, si impone l‟impiego terapeutico dell‟FSH esogeno. Recentemente è stato dimostrato che il rischio di sviluppare iperstimolazione ovarica (OHSS) in seguito a terapia con FSH esogeno aumenta con l‟aumentare dell‟insulino-resistenza. Sulla base di questa osservazione la terapia combinata metformina-FSH sembra essere associata ad una risposta dell‟ovaio più fisiologica con un minor reclutamento follicolare ed una più bassa incidenza di OHSS (22). Infine, le donne con PCOS sono affette da un‟alta percentuale di aborti spontanei. E‟ stato dimostrato che la somministrazione di metformina prima del concepimento e nel primo trimestre di gravidanza è associata ad un‟incidenza di aborti dell‟8,8% (rispetto al 41,9% dei controlli) (23). E‟ stato osservato, inoltre, che la somministrazione di metformina durante la gravidanza è associata ad una riduzione di circa 10 volte del rischio di sviluppare diabete gestazionale (24). In conclusione ricordiamo che tra i farmaci insulinosensibilizzanti si sono rivelati efficaci sulle manifestazioni cliniche della PCOS anche il gruppo dei tiazolidinedioni.. Alcuni farmaci di questo gruppo, come il rosiglitazone e il pioglitazone, migliorano significativamente la sensibilità insulinica, riducono gli androgeni e regolarizzano i cicli mestruali (25). In particolare, confrontandoli con la metformina, sembrano essere meno efficaci sul ripristino dell‟ovulazione e sul controllo del peso corporeo, ma risultano ugualmente efficaci sulle altre manifestazioni cliniche della sindrome (26). Inoltre, rispetto alla metformina, determinano meno effetti collaterali e hanno una compliance migliore, in quanto la loro somministrazione è giornaliera, a differenza della metformina che deve essere somministrata due o addirittura tre volte al giorno (26). II. Bibliografia 1. Carmina E et al. Polycystic ovary syndrome (PCOS): arguably the most common endocrinopathy is associated with significant morbidity in women. J Clin Endocrinol Metab 1999;84:1897–99. 2. Dunaif A. Insulin resistance and the polycystic ovary syndrome: mechanism and implications for pathogenesis. Endocr Rev 1997;18:774–800. 3. Franks S et al. Development of polycystic ovary syndrome: involvement of genetic and environmental factors. International Journal of Andrology 2006;29: 278-85. 4. De Leo V et al. Insulin-lowering agents in the management of polycystic ovary syndrome. Endocr Rev 2003;24:633-67. 5. Poretsky L et al. The insulin related ovarian regulatory sistem in health and disease. Endocr Rev 1999;20:535-82. 6. Nestler JE et al. Effects of metformin on spontaneous and clomiphene-induced ovulation in the polycystic ovary syndrome. N Engl J Med 1998;338:1876-80. 7. Nestler JE et al. Insulin stimulates testosterone biosynthesis by human thecal cells from women with polycystic ovary syndrome by activating its own receptor and using inositolglycan mediators as the signal transduction system. J Clin Endocrinol Metab 1998; 83:2001–2005. 8. Duleba AJ et al. Insulin and insulin-like growth factor I stimulate the proliferation of human ovarian theca-interstitial cells. Fertil Steril 1998;69:335–40. 9. Adashi EY et al. Insulin-like growth factors as intraovarian regulators of granulosa cell growth and function. Endocr Rev 1985;6:400–20. 10. Kristiansen SB et al. Induction of steroidogenic enzyme genes by insulin and IGF-I in cultured adult human adrenocortical cells. Steroids 1997;62:258–65. 11. l‟Allemand D et al. Insulin-like growth factors enhance steroidogenic enzyme and corticotropin receptor messenger ribonucleic acid levels and corticotropin steroidogenic responsiveness in cultured human adrenocortical cells. J Clin Endocrinol Metab 1996; 81:3892–7. 12. 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Gonadotropin-releasing hormone agonist treatment before abdominal myomectomy: a controlled trial Paolo Vercellini, M.D., Laura Trespı`di, M.D., Barbara Zaina, M.D., Sarah Vicentini, M.D., Giovanna Stellato, M.D., and Pier Giorgio Crosignani, M.D. Clinica Ostetrica e Ginecologica I, Istituto “Luigi Mangiagalli,” University of Milan, Milan, Italy Objective: To ascertain whether adjuvant gonadotropin-releasing hormone (GnRH) agonist therapy decreases blood loss during abdominal myomectomy. Design: Randomized controlled trial. Setting: Academic reproductive surgery center. Patient(s): One hundred premenopausal women requiring first-line conservative surgery for symptomatic intramural or subserous fibroids. Intervention(s): Eight weeks of treatment with depot triptorelin before myomectomy or immediate surgery. Main Outcome Measure(s): Intraoperative blood loss, operating time, degree of difficulty of the procedure, and short-term rate of fibroid recurrence. Result(s): Mean (_SD) intraoperative blood loss was 265 _ 181 mL in triptorelin recipients and 296 ± 204 in patients who had immediate surgery (mean difference, _31 mL [95% CI, _108 to 46 mL]). No significant differences were observed in blood loss according to uterine volume, number of fibroids removed, or total length of myometrial incisions. Most procedures in either group were of routine difficulty. On ultrasonography 6 months after myomectomy, four women in the GnRH agonist group and one in the immediate surgery group had tumor recurrence. Conclusion(s): Treatment with a GnRH agonist before abdominal myomectomy has no significant effect on intraoperative blood loss. Thus, systematic use of medical therapy before abdominal myomectomy does not seem to be justified. (Fertil Steril_ 2003;79:1390 –5. ©2003 by American Society for Reproductive Medicine.) Key Words: Uterine leiomyoma, fibroid, myomectomy, conservative surgery, GnRH agonists, menorrhagia, infertility A considerable proportion of uterine leiomyomas are associated with symptoms requiring therapy (1– 4). The standard treatment in women who desire pregnancy is myomectomy, which is performed abdominally if the tumors are not intracavitary (1–3). This surgical procedure may be associated with substantial morbidity, in particular major blood loss, because fibroid removal implies ample myometrial incision with exposure of numerous severed vessels. Prompt and meticulous hemostasis is not always feasible, particularly when large or multiple fibroids are present. Mechanical devices to limit blood loss may be awkward to apply or not always successful because of differences in uterine conformation (2, 3, 5). Vasoconstrictive agents (e.g., vasopressin or epinephrine) may cause severe cardiovascular side effects (3), and their use is prohibited in some countries. In the past decade, the use of gonadotropinreleasing hormone (GnRH) agonists before myomectomy became popular (5–10). The main purported advantages of these hypoestrogenizing hormones are limitation of blood loss and surgical trauma due to substantial reduction of fibroid volume and uterine artery blood flow (5–10). On the other hand, myomectomy after treatment with GnRH agonists is more cumbersome because it is difficult to identify the cleavage plane. In a gross anatomical and histopathologic study of uteri excised because of fibroids, Deligdisch et al. (11) observed that pretreatment with GnRH agonists was associated with a blurred interface between myoma and myometrium, with obliteration of the cleavage plane. Moreover, it has been suggested that pretreatment with GnRH agonists may make identification of small intramural tumors more difficult and therefore increase the shortterm recurrence rate of myoma (12). Randomized controlled trials could verify the above findings, but the results of the six small randomized controlled trials published in the English- language literature are inconsistent (5, 12–16). We performed an adequately sized controlled trial to evaluate the effect of GnRH agonist administration before myomectomy at laparotomy on intraoperative blood loss. Secondary outcomes were operating time, degree of difficulty of the intervention, postoperative morbidity, and myoma recurrence. A short-term treatment was chosen to maintain the advantages of GnRH agonists (reduction in uterine blood flow and fibroid volume) while limiting side effects and costs (7, 9, 10, 14). MATERIALS AND METHODS Our open-label, parallel-group randomized controlled trial evaluated the effect of 2 months of treatment with a GnRH agonist before abdominal myomectomy on intraoperative blood loss compared with immediate surgery. The minimum duration of GnRH agonist treatment before myomectomy needed to accomplish the desired results is thought to be 2 months (9). The study was conducted in an academic department specializing in conservative and reconstructive gynecologic surgery. Institutional review board approval was obtained, and the participants were given oral and written information and signed a consent form. Selection Criteria Eligible patients were premenopausal women 18 to 40 years of age (serum FSH levels < 30 mIU/mL) who were referred to our center for symptomatic intramural or subserous fibroids (menorrhagia, infertility, or pelvic compression) larger than 3 cm that required first-line conservative surgery. The women underwent a complete physical examination, urine pregnancy test, and transvaginal ultrasonography. Uterine volume was calculated ultrasonographically by using the usual formula for a prolate ellipsoid (length x width x depth x 0.5236). The number, diameter, and site of tumors were also assessed. Women with predominantly intracavitary fibroids were excluded. Other exclusion criteria were previous pelvic surgery for leiomyomas or other genital anomalies, uterine malformations, present or past pelvic inflammatory disease, use of GnRH agonists up to 6 months before study entry, ultrasonographic signs of uterine calcifications, coagulation disorders, and unstable general conditions. Women with a serum hemoglobin level <10 g/dL were also excluded because it was deemed inappropriate to preclude preoperative GnRH agonist treatment when moderate to severe irondeficiency anemia was present. Oral iron supplementation was systematically prescribed to mildly anemic patients (17). Treatments After pretrial screening, eligible patients were randomized in a proportion of 1:1 to treatment with intramuscular depot injections of triptorelin, 3.75 mg (Decapeptyl; IPSEN Biotech, Paris, France), on two occasions 28 days apart starting during the midluteal phase, or to immediate surgery. Treatment allocation was performed with a computergenerated randomization sequence using serially numbered, opaque, sealed envelopes. The operation was scheduled in the proliferative phase within 4 weeks of randomization in the immediate surgery group and within 4 weeks of the second triptorelin injection in the preoperative medical treatment group. The day before surgery, women allocated to the GnRH agonist group underwent a second ultrasonographic scan to evaluate variations in uterine and myoma volume. Myomectomies were performed at laparotomy by six expert staff surgeons and by four residents specializing in reproductive surgery. The residents were closely supervised by the six staff surgeons. Only mechanical and electrical instruments were used according to a standard technique described elsewhere (1–3). Fibroids were removed through a vertical incision as close to the midline of the uterine corpus as possible. Hemostasis was achieved with meticulous ligation of bleeders and obliteration of dead spaces with interrupted 2-0 or 3-0 polyglactic sutures. Vasoactive drugs, hemostatic tourniquets, and forceps or clamps on major pelvic arteries were not used. An oxidized regenerated cellulose surgical adhesion barrier was applied on the basis of the gynecologists‟ experience and preference. Ultrashort antibiotic prophylaxis with intravenous cefuroxime, 2 g (clarithromycin in allergic patients), was systematically administered 30 minutes before surgery. Assessment of Efficacy The effect of treatment with triptorelin before myomectomy was based on blood loss, as measured in the operating room by weighing swabs and adding the estimated volume of blood to that removed by suction. The volume of lactated Ringer‟s solution used to irrigate the pelvis was estimated precisely and then subtracted from the fluid collected in the suction unit. No attempt was made to measure the amount of blood lost during abdominal wall opening because, in our experience, it is minimal and practically not evaluable. The number of myomas removed and their location was recorded. A tumor was defined as subserous if its greatest diameter lay outside the uterine contour, or as intramural in cases of marginal submucosal extension, provided that the greatest diameter was outside the uterine cavity (18). To accurately measure the length of uterine incisions, small marks corresponding to the extremes of the planned incision were made on the perimetrium with a needle-point electrode. A silk suture was stretched on the uterine surface and cut in correspondence with the marks. The pieces of surgical thread were collected and measured. Total operating time was measured from skin incision to closure; myomectomy time was measured from opening the peritoneum to start of closure. At the end of the intervention, the degree of difficulty of the procedure was graded according to a three-level scale (easier than usual, routine difficulty, or more difficult than usual). In addition, the surgeon was asked to state if the cleavage planes between the fibroids and the surrounding myometrium were clearly identifiable or not. Intraoperative or postoperative complication, blood transfusion, and duration of hospital stay were recorded. Serum hemoglobin and hematocrit were assessed before and 24 hours after the operation. Febrile morbidity was defined as a body temperature of 38° C or greater recorded on any 2 of the first 10 postoperative days, excluding the first 24 hours. To test the hypothesis that GnRH agonist treatment before myomectomy increases the risk of short-term tumor recurrence (12), the women underwent clinical evaluation and vaginal ultrasonography 6 months after the operation. Statistical Analysis According to previous experience at our institution, the standard deviation of blood loss in women undergoing abdominal myomectomy without adjuvant medical therapy is around 300 mL (18). A difference of 200 mL in intraoperative blood loss between treatment groups was considered clinically significant. To have an 80% chance of detecting such a difference at an overall significance level of 5%, about 40 subjects per study arm were required. Allowing for withdrawals, the aim was to recruit approximately 50 women per treatment group. Differences in blood loss, operating time, number and length of myometrial incisions, number of tumors removed, serum hemoglobin and hematocrit values, and duration of hospital stay were analyzed with the Student t-test for unpaired data. Degree of difficulty of the intervention was compared by using the Mann–Whitney U test, and the 2 test or Fisher exact test was used to analyze the frequencies of identifiable cleavage planes, febrile morbidity, and postoperative myoma recurrence. All statistical tests were two-sided. P <.05 was considered significant. When appropriate, 95% CIs were calculated for the observed differences. triptorelin group and 8 of 48 (17%) in the immediate surgery group. The maximum blood loss was 700 mL in 1 triptorelin recipient and 900 mL in 1 patient who had immediate surgery. RESULTS A total of 162 subjects evaluated in an academic outpatient clinic were eligible. Fifty-one declined randomization (39 were unwilling to undergo treatment with a GnRH agonist and 12 requested preoperative treatment), and 11 were lost to further contact. Fifty of the remaining patients were allocated to the triptorelin group and the other 50 to the immediate surgery group. After randomization and before surgery, 2 women in the latter group were withdrawn from the study (1 became pregnant and 1 decided to undergo surgery at another hospital). Myomectomy was converted to hysterectomy in 1 patient allocated to triptorelin because of intraoperative diagnosis of disseminated uterine leiomyomatosis. Thus, 49 patients in the preoperative medical treatment group and 48 in the immediate surgery group were available for the efficacy analysis. Table 1 shows the baseline clinical characteristics of participants. The distribution of the variables under study was similar in the two groups. Mean ± SD uterine volume in GnRH agonist recipients decreased by 22% to 269 ± 119 mL at preoperative ultrasonographic assessment. All women were operated through a Pfannenstiel or a Ku¨stner transverse suprapubic incision. No major intraoperative complications occurred, and no homologous blood transfusions were required. The mean number of fibroids removed, number of myometrial incisions and their mean total length, and operating time did not significantly differ in the two groups (Table 2). Most procedures were judged to be of usual difficulty, and easy or difficult interventions were equally distributed between the two groups. In both groups, identification of cleavage planes was difficult in about 1 of 10 women. Mean (±SD) intraoperative blood loss was 265 ± 181 mL in the pretreated group and 296 ± 204 in the immediate surgery group (mean difference, – 31 mL [95% CI, – 108 to 46 mL]). The amount of blood loss was 500 mL or more in 6 of 49 (12%) women in the No significant differences were observed in subgroup analyses. Mean blood loss was 201 ± 175 mL in the GnRH agonist group (n = 22) and 244 ± 217 mL in the immediate surgery group (n = 22) when uterine volume assessed preoperatively at bimanual examination was up to 12 gestational weeks and 313 ± 175 mL (n = 27) and 330 ± 191 mL (n = 26), respectively, in women with larger uteri. In the triptorelin and immediate surgery groups, respectively, blood loss was 241 ± 183 mL (n = 25) and 294 ± 208 mL (n = 26) when only one or two fibroids were present and 285 ± 183 mL (n = 24) and 282 ± 209 mL (n = 22) when three or more tumors were removed. Blood loss did not differ between groups when patients were stratified on the basis of length of myometrial incisions: It was 223 ± 175 mL (n = 22) in the triptorelin group and 250 ± 176 mL (n = 18) in the immediate surgery group when the total length of incisions was <10 cm and 295 ± 185 mL (n = 27) and 359 ± 237 mL (n = 30) when the total length was 10 cm or greater. Nor was blood loss influenced by the surgeon‟s expertise: It was 285 ± 190 mL and 248 ± 173 mL in pretreated patients in whom surgery was done by staff or residents, respectively, compared with 307 ± 214 mL and 281 ± 198 mL in those undergoing immediate surgery. To determine whether the above variables were associated with the amount of blood loss independent of GnRH agonist use, data from patients in both groups were pooled. Uterine volume and total length of myometrial incisions were reliable predictors of blood loss: Values were 222 ± 196 mL (n = 44) in women with a uterine size less than 12 gestational weeks and 322 ± 182 mL (n = 53) in those with uterine size 12 weeks or larger (P =.011, unpaired t-test), and 239 ± 174 mL (n = 40) when the myometrial surface incision was smaller than 10 cm and 321 ± 207 (n = 57) when the incision was 10 cm or large (P =.043). Unexpectedly, blood loss was not significantly influenced by number of myomas removed. Values were 272 ± 198 mL (n = 51) when one or two fibroids were excised and 284 ± 189 mL (n = 46) when three or more tumors were present (P=.761). Mean serum hemoglobin and hematocrit values in the GnRH agonist group decreased from 12.7 ± 1.2 g/dL and 38.4% ± 3.4% before surgery to 12.1 ± 1.2 g/dL and 35.2% ± 3.1% 6 hours after surgery and to 11.4 ±1.0 g/dL and 34.1% ± 2.9% 24 hours after surgery. At the same time points, serum hemoglobin and hematocrit values in the immediate surgery group were, respectively, 12.3 ± 1.1, 11.8 ± 1.2, and 11.0 ± 1.4 g/dL and 37.6% ± 3.3%, 34.5% ± 3.3%, and 33.1% ± 3.9%. None of the above between-group differences was statistically significant. One woman in the immediate surgery group underwent a second intervention to treat an expanding subfascial hematoma. Febrile morbidity occurred in 9 (18%) patients treated with triptorelin and 10 (21%) who underwent immediate surgery. Mean duration of hospital stay was 6.1 ± 0.8 days in the preoperative GnRH agonist group and 5.9 ± 0.9 days in the immediate surgery group. The number of women who did not attend the 6-month follow-up evaluation was small (8 of 97) and equally distributed between the study groups. One patient in the immediate surgery group was excluded from evaluation of shortterm tumor recurrence because a deep 1-cm intramural myoma was deliberately left untreated. The procedures were otherwise deemed radical. Patients in the GnRH agonist group were more likely to have persistence or recurrence of their fibroids 6 months after myomectomy than were those who underwent immediate surgery (4 of 45 patients vs. 1 of 43 patients; P=0.361, Fisher exact test (odds ratio, 4.10 [95% CI, 0.44 to 38.25]). DISCUSSION Because GnRH agonists considerably decrease uterine blood flow and myoma volume (19–21), it seems reasonable to expect that their use would reduce the length of the uterine incision, duration of surgery, and, most important, blood loss in women undergoing myomectomy (6, 8, 9). In six randomized controlled trials published in the English literature, the mean between-group difference in blood loss ranged from 37 to 156 mL, always in favor of the GnRH agonist group (5, 12–16). However, because a vasoconstrictor was used in the two trials on laparoscopic myomectomy, those data on blood loss are biased (15, 16). Reduction in operating time varied from 6 to 16 minutes in favor of the GnRH group in five studies, whereas in one trial on laparoscopic myomectomy, the difference was in favor of the immediate surgery group (16). The combined proportion of women who had transfusion was 7% (9 of 133) of pretreated patients compared with 8% (8 of 102) of those undergoing immediate surgery. The cumulative rate of postoperative complications was also similar: 20% (13 of 64) in the former group and 21% (14 of 66) in the latter group. No difference in duration of hospitalization was observed (10, 21). We observed a minimal between-group difference in blood loss; even the 95% confidence limit of about – 100 mL is of marginal clinical importance. Pooling of data from patients in both groups indicated that uterine volume and total length of myometrial incisions were important predictors of intraoperative blood loss. However, subgroup analyses of the above variables demonstrated no benefit of preoperative triptorelin therapy over immediate surgery. Thus, our findings disagree with those of Friedman et al. (5), who observed a major reduction in blood loss after preoperative GnRH agonist use only in patients with pretreatment mean uterine volume greater than 600 cm3 (roughly the size of a 16-week gestation). A 2-month course of GnRH agonist was used to limit side effects and costs without lessening efficacy. Greater reduction in operative blood loss after extension of the treatment period with triptorelin to 3 or 6 months cannot be excluded but seems unlikely, as most of the reduction in uterine volume and blood flow is observed in the first weeks of therapy (6, 9, 19, 20). Furthermore, our findings are consistent with the conclusions of recent systematic literature reviews (10, 21). Finally, because we excluded women with moderate or severe anemia and prescribed oral iron supplementation to those with mild anemia, extension of the treatment period with the aim of normalizing hematologic values was not justified (17, 22, 23). A double-blind, placebo-controlled study would have been preferable but was not feasible because of local organizational difficulties. However, our primary aim was determination of blood loss at surgery, an outcome that should be considered sufficiently objective. Hemostasis should not be influenced by the surgeon‟s personal opinions. Our trial was adequately sized, and only three women were withdrawn from the study. We expected a standard deviation of mean blood loss of 300 mL, which is larger than the standard deviation of around 200 mL observed in both study groups. However, the former figure was based on historical data collected retrospectively, which are likely to be less accurate. We believe that this should not affect interpretation of the results, because the sample size as calculated was larger than that needed to identify the planned difference in blood loss. Assessment of the degree of difficulty of the procedure was subjective. However, the turnover of surgeons should have avoided a systematic bias. Moreover, operating time, a reasonable indirect measure of surgical difficulty, was almost identical in the two study groups. Finally, the definition of cleavage planes was deliberately dichotomous to limit undue operator influence. Our data do not support the idea that preoperative administration of GnRH agonists makes identification of the cleavage planes and myomectomy more difficult. Gonadotropin-releasing hormone agonist–induced uterine volume reduction is reported to limit the rate of midline vertical abdominal incisions needed to perform myomectomy when large tumors are present (21). This was not the case in our series, as all women underwent surgery through a lower transverse suprapubic incision independent of treatment allocation. No difference between groups in postoperative morbidity and hospital stay was observed. A policy of early discharge after conservative surgery at laparotomy has not yet been implemented in our department, and the postoperative course of the enrolled women was managed routinely. The overall incidence of febrile morbidity was well within the rates reported in the literature, and preoperative medical treatment was of no benefit in limiting this specific complication of abdominal myomectomy (24). Some investigators speculate that the decrease in myoma volume and consistency induced by hypoestrogenism makes smaller tumors unidentifiable during operation (12). In a previous small study from our institution (12), ultrasonography performed 6 months after myomectomy revealed recurrence or persistence of intramural fibroids smaller than 1.5 cm in diameter in 5 of 8 pretreated patients (63%) compared with 2 of 16 controls (13%). Such a difference was not confirmed in the study by Friedman et al. (25), in which the postoperative fibroid recurrence rate was high (6 of 9 [67%] pretreated patients and 5 of 9 [56%] controls); however, followup exceeded 2 years. The distribution of myoma recurrence in our trial was unbalanced. However, because of limited number of events (5 of 88 patients [5.7%]), the CI of the odds ratio is wide and includes unity, which precludes useful conclusions. Of note, the odds ratio of myoma recurrence in our study (4.2) is similar to that calculated by the Cochrane Collaboration (4.0) in a recent meta-analysis (21). Accordingly, we cannot rule out the possibility that use of GnRH agonists before myomectomy increases the risk of small tumor persistence. An unanswered question is whether preoperative hormonal therapy facilitates conception after conservative surgery (21). In a large observational study of determinants of reproductive outcome after myomectomy for infertility (18), the 24-month cumulative probability of conception was independen of the preoperative use of GnRH agonists: The rate was 67% in 40 pretreated women compared with 66% in 98 patients who underwent immediate surgery. Only patient age, duration of infertility, and presence of other, minor infertility factors in addition to myomas were significantly associated with postoperative conception rate. We are continuing to follow the patients enrolled in the current trial with the aim of clarifying this matter. In conclusion, GnRH agonist treatment before myomectomy has no significant effect on intraoperative blood loss. Use of adjuvant medical therapy is justified in anemic women, as amenorrhea facilitates normalization of hematologic values (2, 8, 17, 22, 23). Otherwise, a modest increase in blood loss of even 100 mL has no demonstrated practical consequence (10). Homologous transfusions were not needed in our series. No effect on operating time, degree of difficulty of the procedure, and postoperative morbidity was observed. Larger trials are needed to verify the hypothesis that hypoestrogenism induced before surgery increases the risk of small tumor persistence (12). The main advantage of combining medical with surgical treatment in nonanemic women seems to be that patients could be admitted at any time, thus avoiding the problem of scheduling the operation during a few postmenstrual days. In theory, a reduction of fibroid volume may increase the feasibility of laparoscopic myomectomy, but our trial was not designed to clarify this matter. Moreover, myomectomy at laparoscopy remains controversial, and it has not yet been demonstrated that the endoscopic approach constitutes a definite advantage. Acknowledgments: The authors thank the operating theatre personnel for their collaboration throughout the study period and IPSEN Biotech Pharmaceuticals, Milan, Italy, for providing triptorelin depot injections used in the trial. References 1. Buttram VC, Reiter RC. Uterine leiomyomata: etiology, symptomatology, and management. Fertil Steril 1981;36:433–45. 2. Verkauf BS. Myomectomy for fertility enhancement and preservation. Fertil Steril 1992;58:1–15. 3. Thompson JD, Rock JA. Leiomyomata uteri and myomectomy. In: Rock JA, Thompson JD (eds). Te Linde‟s operative gynecology, 8th ed. Philadelphia: Lippincott–Raven, 1997:731–70. 4. Vercellini P, Maddalena S, De Giorgi O, Aimo G, Crosignani PG. Abdominal myomectomy for infertility: a comprehensive review. Hum Reprod 1998;13:873–9. 5. 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Nuovi trattamenti medici dell’endometriosi Felice Petraglia, Lucia Lazzeri, Valentina Ciani, Francesco Calonaci, Aldo Altomare, Chiara Cancemi, Chiara Ferrata, Sandro Razzi, Stefano Luisi Dipartimento di Pediatria, Ostetricia e Medicina della Riproduzione, Clinica Ostetrica e Ginecologica, Università di Siena Introduzione L‟endometriosi è una patologia ginecologica cronica, multifattoriale, caratterizzata dalla presenza di cellule endometriali al di fuori dell‟utero. Questa patologia è tipica dell‟ età fertile e colpisce prevalentemente donne di età compresa tra la seconda e terza decade di vita, con un‟incidenza del 16%, che può raggiungere il 30% in donne affette da infertilità. Attualmente è considerata una patologia sociale, spesso però misconosciuta e sottodiagnosticata. Si calcola infatti che nella maggior parte dei casi trascorrono diversi anni tra la comparsa dei sintomi, la diagnosi e la conseguente terapia. Il trattamento medico dell‟endometriosi si basa sul concetto che il tessuto endometriale ectopico è modulato dagli ormoni sessuali. La strategia terapeutica che viene utilizzata è quella di creare: i) un clima ormonale ipoestrogenico atto a ridurre il trofismo delle lesioni endometriosiche, ii) indurre una pseudo-decidualizzazione attraverso trattamenti progestinici oppure estro-progestinici. Le nuove opzioni terapeutiche nel trattamento medico dell‟endometriosi si basano sugli stessi principi, ma utilizzano nuovi meccanismi d‟azione. Fra queste nuove opzioni abbiamo i progestinici somministrati per via locale e gli inibitori dell‟aromatasi. Uso locale dei Progestinici Negli ultimi anni nuove vie per la somministrazione ormonale sono divenute di uso corrente. In particolare, la somministrazione locale (intrauterina o vaginale) di estrogeni, progestinici o estroprogestinici è stata descritta per la terapia ormonale sostitutiva, per la contraccezione e la menorragia. Per le donne affette da endometriosi, ci sono adesso nuovi dati sull'uso locale dei progestinici (levonorgestrel e danazolo). Levonorgestrel intrauterino Il Levonorgestrel intrauterino (LNG-IUS) esercita un‟azione sull‟ endometrio, che diventa atrofico ed inattivo senza sopprimere l'ovulazione. Infatti, è stato dimostrato che il LNG-IUS determina una diminuzione nella proliferazione endometriale ed un aumento dell‟ apoptosi nelle ghiandole e nello stroma endometriale (1). Questa struttura a forma di T, include un serbatoio posizionato lungo il braccio verticale che contiene 52 mg di LNG. Il tasso di rilascio è di 20 µg/die ed il dispositivo può essere lasciato in sede per al massimo 5 anni. Inoltre, le linee guida di riferimento del Royal College degli ostetrici e dei ginecologi ha affermato che grazie all‟uso di questo dispositivo medicato intrauterino il controllo del dolore è mantenuto per almeno 3 anni (2). La somministrazione intrauterina di LNG, con la sua distribuzione diretta sui tessuti pelvici, determina una concentrazione locale maggiore rispetto ai livelli plasmatici. Sebbene un assorbimento sistemico sia sempre presente, determinando alcuni effetti collaterali, l'assorbimento locale sembra avere un'efficacia superiore con effetti collaterali limitati aumentando la compliance della paziente in particolar modo durante il trattamento di lunga durata (3). Questo sistema medicato sembra alleviare la dismenorrea correlata all‟ endometriosi ricorrente ed il dolore pelvico cronico associato all‟ endometriosi profonda. Il suo uso dopo chirurgia conservativa per endometriosi sintomatica, riduce significativamente il rischio a medio termine di ricorrenza della dismenorrea moderata o severa ed offre un più alto grado di soddisfazione alla paziente. Questi risultati sono probabilmente dovuti sia allo stato di amenorrea/ipomenorrea che si viene a creare, che all‟atrofia endometriale indotta nella maggior parte delle donne dall‟azione del levonorgestrel liberato localmente. L'uso del LNG-IUS rappresenta un reale avanzamento anche nel trattamento dell‟ adenomiosi (4). L'efficacia del LNG-IUS nel trattamento dell' adenomiosi è data dalla decidualizzazione, dalla successiva conseguente marcata atrofia dell‟ endometrio e dall' azione diretta dell'ormone sui foci adenomiosici (5). Il LNG-IUS è stato indicato inoltre per indurre una down-regulation dei recettori estrogenici sia nei comparti ghiandolari che stromali dei tessuti endometriali, prevenendo una ulteriore stimolazione da parte degli estrogeni e portando all‟ atrofia ed al restringimento dei foci adenomiosici (6). Danazolo intrauterino Il danazolo somministrato per via orale è stato comunemente usato nel trattamento medico del dolore associato all‟ endometriosi, ma il suo uso è limitato pesantemente dalla severità degli effetti collaterali, in special modo nelle terapie di lunga durata, con una conseguente bassa compliance della paziente. Di conseguenza, una somministrazione locale, intrauterina o vaginale, sembra rappresentare un'opzione realmente attraente. È ormai noto che il danazolo agisce direttamente sul tessuto endometriotico in vitro ed in vivo inibendo la sintesi del DNA ed inducendo l‟ apoptosi. Dal momento che, il tessuto adenomiotico nel miometrio si collega direttamente alla superficie dell‟ endometrio ed alla cavità uterina attraverso i dotti delle ghiandole endometriali, il danazolo somministrato all‟interno della cavità uterina viene trasportato direttamente al tessuto adenomiotico e successivamente nei tessuti vicini. Dati promettenti sono stati riportati riguardo ad un dispositivo intrauterino al danazolo in donne affette da adenomiosi. Infatti, in queste pazienti l'inserzione di questo dispositivo intrauterino medicato ha mostrato la sua efficacia non solo nella remissione della dismenorrea e della ipermenorrea, ma è risultato anche efficace in pazienti infertili, permettendo il concepimento dopo la sua rimozione (7). In un recente studio, abbiamo valutato prospettivamente l'efficacia del rilascio intrauterino continuo di danazolo per migliorare la dismenorrea, il dolore pelvico cronico e la dispareunia associati alla endometriosi moderata o severa (8). Sono state incluse nello studio 18 donne con una diagnosi istologica di endometriosi eseguita dopo trattamento laparoscopico per la presenza di cisti ovariche o sterilità inspiegata associata a dismenorrea, dolore pelvico cronico o dispareunia. Tutte le pazienti avevano sospeso qualsiasi trattamento medico fino a 2 mesi prima dell‟arruolamento e nessuna di loro aveva immagini ultrasonografiche transvaginali caratteristiche per endometriosi. Un sistema intrauterino danazolo-caricato contenente 400 mg di danazolo (Fuji Latex, Tokyo, Giappone) è stato inserito nella cavità uterina in anestesia locale, entro 7 giorni dal ciclo mestruale ed il dispositivo è stato quindi mantenuto per 6 mesi senza alcuna terapia medica aggiuntiva. L‟ intensità della dismenorrea, della dispareunia e del dolore pelvico cronico è stata valutata il primo giorno del mese per 6 mesi, usando una scala analogica visiva del dolore (punteggio ≥ 6 = dolore moderato o severo). Tutte le pazienti arruolate hanno avuto un punteggio consistente con dolore moderato o severo. L'analisi statistica ha incluso l'analisi della varianza (ANOVA) per la ripetizione di misure attraverso il posthoc test con risultato statisticamente significativo con p<0.05. Tutte le pazienti hanno completato il follow-up. La dismenorrea, la dispareunia ed il dolore pelvico cronico hanno dimostrato una diminuzione statisticamente significativa già dopo il primo mese di terapia (p<0.01), con un effetto persistente per 6 mesi. L‟unico effetto collaterale riferito è stato lo spotting durante il primo mese di applicazione in due casi. In un solo caso la IUS è stata rimossa e riposizionata successivamente dopo 2 mesi a causa della sua dislocazione. Questi risultati dimostrano che questo sistema intrauterino rilasciante danazolo, rappresenta un trattamento efficace e conservativo per il miglioramento di tutti i sintomi dolorosi associati all‟endometriosi e per il controllo della menorragia associata all‟adenomiosi. Danazolo vaginale La somministrazione vaginale di danazolo, attraverso l‟utilizzo di un anello vaginale, è stata testata con risultati incoraggianti in pazienti con endometriosi profonda (9). Inoltre, la somministrazione di un gel per via vaginale, contenente danazolo (100 mg/die in 0,2 ml) per 4 mesi, ha effettivamente ridotto la dismenorrea ed il dolore pelvico associato all‟endometriosi in 24 donne (10). In uno studio prospettico eseguito presso la nostra clinica, è stata dimostrata l‟efficacia nella somministrazione di danazolo per via vaginale, nel trattamento di donne affette da endometriosi profonda ricorrente. In 21 pazienti affette da endometriosi profonda, dopo aver eseguito il trattamento laparoscopico, è stata somministrata una dose di 200 mg die di danazolo in cpr per via vaginale per 12 mesi, ed è stato valutato dopo tre e sei mesi il loro stato di benessere attraverso una scala visiva per il dolore, una valutazione ultrasonografica e il profilo ematochimico completo.La dismenorrea, la dispareunia ed il dolore pelvico cronico sono diminuiti significatamene dopo già tre mesi di terapia (p<0.01) e sono scomparsi dopo sei mesi di trattamento (p<0.01) senza alterazione nei parametri metabolici e trombofilici e con pochi effetti collaterali locali riferiti. Inoltre grazie allo studio ultrasonografico con sonda transvaginale e transrettale è stata dimostrata anche una diminuzione nel volume dei noduli presenti nel setto retto-vaginale (11). In conclusione, la somministrazione locale di danazolo, sia intrauterino che vaginale, ha dimostrato di essere un trattamento efficace e conservativo nella dismenorrea, nel dolore pelvico cronico e nella dispareunia associate all‟adenomiosi ed alla endometriosi profonda. Non da meno, la somministrazione intrauterina di Levonorgestrel ha dimostrato una buona efficacia, effetti collaterali limitati e una buona compliance per la paziente nel trattamento a lungo termine per endometriosi. Infine, come vantaggi addizionali, LNG-IUS non determina ipoestrogenismo, divenendo il trattamento di prima scelta nei casi di dolore pelvico cronico associati all‟endometriosi in donne che non desiderano una gravidanza. Gli inibitori dell’aromatasi Nelle donne affette da endometriosi esistono altre due importanti fonti estrogeniche: il tessuto periferico e le cellule endometriosiche. I tessuti periferici come il tessuto adiposo ed i fibroblasti cutanei hanno la capacità di convertire gli androgeni in quantità significative di estrogeni (12). Inoltre, grandi quantità di estrogeni possono essere prodotte localmente all‟interno dell‟ endometrio ectopico con un meccanismo apocrino (13) attraverso l‟espressione dell‟enzima aromatasi. Questo enzima, non espresso nell‟endometrio normale, è stimolato dalle prostaglandine E2 (PGE2); la risultante produzione estrogenica stimola a sua volta la produzione di prostaglandine E2, facendo aumentare ancora di più il livello estrogenico. Questo enzima rappresenta quindi un evidente obiettivo terapeutico, e gli inibitori dell‟aromatasi sono stati testati in topi affetti da endometriosi, con buoni successi (13). Inoltre sono stati pubblicati tre case reports sull‟argomento: l‟utilizzo di anastrazolo in una donna in post-menopausa affetta da endometriosi severa (14); l‟utilizzo di letrozolo in una paziente di 31 anni ovariectomizzata per endometriosi ricorrente (15); l‟utilizzo di letrozolo in una paziente in post-menopausa affetta da endometrioma pelvico ricorrente (16). Tuttavia, la possibile perdita ossea enfatizza la necessità di porre attenzione nell‟utilizzo di questa classe di farmaci e rinforza la necessità di eseguire studi clinici più ampi per determinare la loro efficacia e sicurezza. Conclusioni Negli ultimi anni, la ricerca rivolta a chiarire i meccanismi dell‟ endometriosi, ha sviluppo nuovi trattamenti medici, ed infatti, sono state studiati non solo nuovi farmaci, ma anche nuove vie di somministrazione per gli ormoni. La somministrazione intrauterina e/o vaginale di progestinici, quali il levonorgestrel ed il danazolo, sembra rispondere ad alcuni problemi relativi al trattamento dell‟endometriosi per lunga durata in termini di efficacia e tollerabilità. Il trattamento medico dell‟ endometriosi è significativamente influenzato dalla poca tollerabilità e dai numerosi effetti collaterali sistemici. Infatti, sebbene esista già un ampio spettro di terapie mediche, la scelta terapeutica dipende dalla preferenza della paziente dopo una appropriata informazione riguardo i rischi, gli effetti collaterali ed i costi. Bibliografia 1 Maruo T, Laoag-Fernandez JB, Pakarinen P, Murakoshi H, Spitz IM, Johansson E. Effects of the levonorgestrel-releasing intrauterine system on proliferation and apoptosis in the endometrium. Hum Reprod 2001;16:2103-8. 2 Lockhat FB, Emembolu JO, Konje JC. The efficacy, side-effects and continuation rates in women with symptomatic endometriosis undergoing treatment with an intra-uterine administered progestogen (levonorgestrel): a 3 year follow-up. Hum Reprod 2005;20:789-93. 3 Petta CA, Ferriani RA, Abrao MS, Hassan D, Rosa E Silva JC, Podgaec S, Bahamondes L. Randomized clinical trial of a levonorgestrel-releasing intrauterine system and a depot GnRH analogue for the treatment of chronic pelvic pain in women with endometriosis. Hum Reprod 2005;20:1993-8. 4 Fong YF, Singh K. Medical treatment of a grossly enlarged adenomyotic uterus with the levonorgestrel-releasing intrauterine system. Contraception 1999;60:173-5. 5 Fedele L, Bianchi S, Raffaelli R, Portuese A, Dorta M. Treatment of adenomyosis-associated menorrhagia with a levonorgestrel-releasing intrauterine device. Fertil Steril 1997;68:426-9. 6 Critchley HOD., Wang H, Kelly RW, Gebbie AE, Glasier AF. Progestin receptor isoforms and prostaglandin dehydrogenase in the endometrium of women using a levonorgestrel-releasing intrauterine system. Hum Reprod 1998;13:1210–17. 7 Igarashi M, Abe Y, Fukuda M, Ando A, Miyasaka M, Yoshida M, Shawki OA. Novel conservative medical therapy for uterine adenomyosis with a danazol-loaded intrauterine device. Fertil Steril 2000;74:412-13. 8 Cobellis L, Razzi S, Fava A, Severi FM, Igarashi M, Petraglia F. A danazol-loaded intrauterine device decreases dysmenorrhea, pelvic pain, and dyspareunia associated with endometriosis. Fertil Steril. 2004;82:239-40. 9 Igarashi M, Iizuka M, Abe Y, Ibuki. Novel vaginal danazol ring therapy for pelvic endometriosis, in particular deeply infiltrating endometriosis. Hum Reprod 1998;13:1952-56. 10 Janicki TI, Dmowsky WP. Intravaginal danazol significantly reduces chronic pelvic pain in women with endometriosis. Supplement to the Journal of the Society for Gynecologic Investigation (SGI) 2004 Annual Meeting, abs n. 266. 11 Razzi S, Luisi S, Calonaci F, Altomare A, Bocchi C, Petraglia F. Efficacy of vaginal danazol treatment in women with recurrent deeply infiltrating endometriosis. Fertil Steril 2007; 88:789-94. 12 Bulin SE. Aromatase in aging women. Seminars in Reproductive Endocrinology 1999; 17: 349–58. 13 Bulun SE, Zeitoun KM, Takayama K & Sasano H. Molecular basis for treating endometriosis with aromatase inhibitors. Human Reproduction Update 2000; 6: 413–18. 14 Takayama K, Zeitoun K, Gunby RT, Sasano H, Carr BR, Bulun SE. Treatment of severe postmenopausal endometriosis with an aromatase inhibitor. Fertil Steril. 1998;69:709-13. 15 Razzi S, Fava A, Sartini A, De Simone S, Cobellis L, Petraglia F. Treatment of severe recurrent endometriosis with an aromatase inhibitor in a young ovariectomised woman. BJOG. 2004; 111:182-84 16 Fatemi HM, Al-Turki HA, Papanikolaou EG, Kosmas L, De Sutter P, Devroey P. Successful treatment of an aggressive recurrent post-menopausal endometriosis with an aromatase inhibitor. Reprod Biomed Online. 2005;11:455-57 IL SANGUINAMENTO UTERINO ANOMALO Loverro G, Caringella A.M. Dipartimento Ginecologia, Ostetricia e Neonatologia Università degli Studi Bari Introduzione Il sanguinamento uterino anomalo (in inglese AUB, abnormal uterine bleeding) rappresenta , in una donna che per altri versi gode di buona salute, una grave limitazione in quanto pur non essendo definitivamente invalidante, tuttavia influenza pesantemente la sfera della salute, oltre che alterare ogni tipo di rapporto personale e sociale. Donne con AUB, oltre che ricorrere all’utilizzo di frequenti consultazioni, con notevole impegno delle risorse del SSN, sono costrette ad assentarsi dal lavoro molto frequentemente, con notevoli ricadute economiche . Queste donne hanno spesso uno stato di salute significativamente più cagionevole, pur a confronto di una scarsa propensione dei medici di base ad individuare donne che necessitano terapia. Il ciclo mestruale normale Fondamentale, prima dell’inquadramento clinico dell’AUB, è la definizione della normalità della mestruazione, onde stabilire il sottile limite al di là del quale la donna si deve preoccupare. Il problema è tanto antico e veniva affrontato già nel testo medico Hindu Ayurveda (5000 a.C.) dove la quantità definita normale era definita come quella contenuta in quattro ‘Anjalis’ (cavo di due mani congiunte). Nonostante la grande mole di studi di popolazione, non esistono esatte definizioni della normalità. Classicamente, un ciclo mestruale veniva definito normale allorché aveva una durata di 4-6 giorni, con una perdita ematica media di circa 30 - 80 mL, ad intervalli non inferiori a 32 giorni, senza alcuna interferenza sulla attività giornaliera. Secondo recenti dati, un ciclo si può definire normale allorché le variazioni dei quattro parametri fondamentali (regolarità, durata del flusso, frequenza, volume di sangue perso) oscillano tra il 5° ed il 95° degli standard derivati dagli studi sulla qualità del ciclo mestruale (Fig 1) Figura 1: parametri di normali delle mestruazioni Parametri di Normalità delle mestruazioni 1. Regolarità 2. Durata del Flusso 3. Frequenza 4. Volume Regolare Variazione + 2- 20 Irregolare Variazione + 2 – 20 Assente …… Prolungato >8 Normale 4,5 – 8 Raccorciato < 4,5 Frequente < 24 Normale 24 – 38 Infrequente > 38 Abbondante > 80 Normale 5 – 80 Leggero < 5 Il problema delle perdite uterine anormali L’adozione di una definizione universalmente accettata dei problemi correlati alle perdite uterine anormali rappresenta un problema ancora aperto. Per anni nelle scuole ginecologiche si è insegnato la differenza tra i vari diversi termini (Menorragia, Metrorragia, Polimenorrea, Perdita ematica intermestruale, Perdita ematica postcoitale, Perdita Dysfunctional uterine bleeding. ematica postmenopausale, Menometrorragia, Questa varietà di definizioni è stata definita dal alcuni autori come una “menstrual confusion”, in quanto molti termini infatti sono di origine greca o latina, sono mal definiti e possono avere un significato differente in diverse parti del mondo. La situazione diventa ancora più confusionale quando vengono utilizzati termini come ‘dysfunctional uterine bleeding’ (DUB). Gran parte degli autori sono oggi d’accordo nell’abbandonare queste terminologie, in quanto il loro utilizzo rende difficile la comunicazione dei dati scientifici e rende impossibile l’attuazione di trials clinici internazionali. Pertanto questi termini devono essere sostituiti da semplici termini descrittivi che chiariscano le modalità delle perdite uterine, tenendo della regolarità del ciclo, della frequenza delle mestruazioni, del volume ed della durata del flusso mestruale (vedi parametri di normalità prima definiti). Idealmente, questi termini devono essere comprensibili dalla gente comune e devono essere traducibili in altre lingue. Tutti questi disturbi devono essere classificati sotto il termine di “abnormal uterine bleeding”, intendendo per essa tutte quelle alterazioni mestruali, sotto forma di segni o sintomi, che originano dal corpo uterino. Al contrario, segni o sintomi di irregolarità mestruali che originano da lesioni al di fuori del corpo uterino (e.g., cervice, vagina) o in corso di gravidanza non devono essere contrassegnati con questo termine, ma sotto il nome di “abnormal reproductive tract bleeding”. Per quanto concerne i metodi utilizzati per la quantificazione del sangue mestruale, in caso di sospetto AUB, la discussione si può definire ancora in fase propositiva. Tali metodi dovrebbero essere sganciati dalla estrema soggettività e resi più obiettivi come proposto recentemente (E Confino: Abnormal uterine bleeding, a new terminology is needed Fertility and Sterility. 87, 479-480, 2007) Secondo queste proposte si dovrebbe costituire uno score in base ad una formula in cui ad ogni sintomo viene attribuito un numero (B entità della metrorragia quantificata da -2 a + 2, D durata del ciclo da -1 a + 2, F frequenza identifica il numero di cicli in 1 anno, A anemia 1 anemia lieve e 2 anemia grave, C in caso di presenza di coaguli, M se presente un mioma). Indubbiamente l’uso della formula eliminerebbe la difficoltà di comunicazione derivante dalle varie terminologie ed aumenterebbe la riproducibilità dei dati clinici. Si resta in attesa delle opzioni del mondo scientifico internazionale e di comprendere se l’attuale formula narrativa potrà essere sostituita da questo score. PERIODO PERIMENOPAUSALE e CISTI OVARICHE F.M. Severi, C. Boni, C. Ferrata, C. Cancemi, A. Imperatore, C. Bocchi, F. Petraglia. Clinica Ostetrica e Ginecologica Dipartimento di Pediatria, Ostetricia e Medicina della Riproduzione Università degli Studi di Siena Perimenopausa e modificazioni ovariche Secondo la definizione dell‟OMS, si definisce periodo perimenopausale quello che precede immediatamente la menopausa, quando elementi endocrinologici, biologici e clinici cominciano ad indirizzare alla menopausa, continuando per almeno un anno dopo di essa. La menopausa è definita come la permanente cessazione delle mestruazioni, consistendo nella perdita dell‟attività follicolare ovarica. Durante la menopausa l‟epitelio germinale mostra un elevato numero di cisti e cripte circondate da uno strato di cellule metaplasiche. In questa fase di modificazione è frequente il rilevamento di lesioni cistiche a carico dell‟ovaio, in particolare la cisti sierosa semplice, che rappresenta la formazione più tipica delle cisti benigne ed è caratterizzata da una formazione uniloculare, a contenuto fluido, a pareti lisce e regolari, prive di papille. Tali cisti, specialmente in premenopausa, sono spesso cisti di tipo disfunzionale, che si riassorbono nel tempo, da distinguere pertanto dalle più preoccupanti cisti organiche. L‟accuratezza diagnostica degli ultrasuoni nel differenziare le cisti ovariche “funzionali” da quelle “organiche” è elevatissima, anche grazie alla possibilità che offrono di monitorare nel tempo la lesione e di studiarla nei minimi particolari con un approccio tridimensionale. In premenopausa è importante pertanto valutare la cisti sierosa a distanza, in quanto molte formazioni cistiche non si evidenziano più ai controlli successivi. Molto complessa risulta, invece, la diagnosi differenziale tra neoformazioni benigne e maligne ed in particolar modo l‟identificazione dei tumori ovarici borderline. L‟accuratezza diagnostica dell‟ecografia è in questo caso pesantemente condizionata da ecostruttura ed ecoarchitettura della massa e, in modo particolare, dal rapporto tra componente liquida e solida. A questo scopo l‟utilizzazione di scores “ecomorfologici” ha reso l‟interpretazione delle lesioni ovariche meno soggettiva, rendendo anche “meno semplicistica” e più precisa la descrizione delle masse complesse. Ecografia e tumefazioni ovariche L‟approccio ultrasonografico applicato allo studio dei campi annessiali è divenuto irrinunciabile poiché: 1) permette di oggettivare la reale presenza di una massa; 2) ne definisce origine, dimensioni e caratteri ecostrutturali, permettendone spesso una diagnosi tipologica; 3) nei casi in cui non è possibile una diagnosi di certezza (l‟accuratezza dell‟ecografia nei confronti della diagnosi tipologica delle masse ovariche varia tra il 68 ed il 91%), fornisce comunque informazioni fondamentali per un corretto iter diagnostico/terapeutico. L‟ecografia transaddominale, per anni primo step diagnostico nello studio della patologia ginecologica, è divenuta oggi, eseguita a vescica vuota, approccio di seconda istanza, particolarmente utile in presenza di voluminose masse pelviche o quando se ne sospetti la malignità, poiché rende possibile una visione panoramica della pelvi femminile, permettendo di valutare, quando necessario, anche strutture ed organi extrapelvici (fegato, reni). L‟ecografia transvaginale rappresenta l‟approccio metodologico più corretto nello studio di una massa annessiale, poiché fase di approfondimento diagnostico che garantisce l‟acquisizione di immagini maggiormente definite e dotate di una più semplice ed accurata chiave di lettura. L‟indagine dovrebbe essere sempre completata con la quantificazione color/power Doppler della circolazione intra- e peri-lesionale delle tumefazioni rilevate: questo avviene tramite la determinazione degli indici qualitativi di flusso PI (Pulsatility Index) ed RI (Resistance Index) e lo studio ecoarchitettonico vascolare finalizzato alla valutazione morfologica ed alla distribuzione topografica dei vasi. I reperti ecografici che caratterizzano le tumefazioni ovariche sono molteplici e spesso non specifici di un determinato quadro patologico: sebbene l‟identificazione ecografica di una massa annessiale possa di per sé sembrare agevole, non sempre è possibile raggiungere una diagnosi tipologica specifica. A questo proposito deve essere sottolineato come l‟interpretazione dei rilievi ecografici non può mai prescindere da una dettagliata conoscenza del quadro clinico. Lo studio ultrasonografico dei genitali interni femminili permette di determinare: 1. la localizzazione nella pelvi di una tumefazione, i rapporti di questa con il parenchima ovarico e con gli organi limitrofi; 2. la morfologia, le dimensioni, l‟ecostruttura ed i margini della tumefazione; 3. la presenza/quantità di vascolarizzazione, l‟architettura e la morfologia vascolare, la qualificazione del flusso (power/color Doppler ed indici velocimetrici); la presenza di falda fluida nel Douglas o di ascite.. Studi finalizzati alla diagnosi precoce del cancro ovarico hanno associato all‟ecografia tradizionale il color/power Doppler al fine di poter individuare alcune precoci modificazioni vascolari che precedono le modificazioni dell‟architettura ovarica. Il razionale per l‟uso del Doppler è basato sull‟osservazione che durante la fase di crescita rapida il tumore si diffonde mediante la creazione di vasi neoformati caratterizzati da una scarsa componente muscolare liscia (neoangiogenesi): la resistenza al flusso sanguigno in questi vasi neoangiogenetici è più bassa rispetto a quella che si riscontra all‟interno di vasi normoconformati. Lo studio color/power Doppler della vascolarizzazione di una massa annessiale permette inoltre di visualizzare anche vasi di piccolo calibro, caratterizzati da flusso lento, definendone aspetto, distribuzione ed architettura. A questo proposito vanno sempre tenute presenti quelle modificazioni ovariche fisiologiche (es. corpo luteo, corpo luteo emorragico), che per propria natura hanno le stesse caratteristiche Doppler delle neoplasie (vasi neoangiogenetici con flusso a bassa resistenza). L'approccio ecografico tridimensionale rappresenta un‟evoluzione tecnologica della tradizionale ecografia bidimensionale: le immagini tridimensionali forniscono una ricostruzione più “realistica” delle strutture esaminate nei 3 piani dello spazio permettendo all‟operatore di visualizzare sul monitor l‟area di interesse sui tre piani di scansione (longitudinale, coronale e trasversale) contemporaneamente. Nello studio delle tumefazioni ovariche complesse l'ecografia tridimensionale ha permesso una più dettagliata analisi della superficie interna delle cisti, dei margini e della vascolarizzazione, migliorando l'accuratezza diagnostica degli ultrasuoni nella valutazione del rischio di malignità, particolarmente nei confronti delle tumefazioni di piccole dimensioni. Dal punto di vista della semeiologia ecografica esistono tre tipi di lesioni ovariche: cistiche, solide e complesse. Tumefazioni ovariche cistiche a) Anecogene I più comuni aspetti di una massa ovarica cistica sono caratterizzati da un aspetto ovalare, bordi netti e regolari e contenuto anecogeno o scarsamente ecogeno. Il diametro è variabile da un range di 2-10 cm. Anche le cisti funzionali follicolari o luteiniche ed alcuni tipi di cistoadenoma possono essere classificati in questa categoria. Il rischio di malignità è minimo. Forme più complesse sono generalmente caratterizzate dalla presenza di setti spessi, di grossi setti che si ispessiscono nell‟area di confluenza. Queste lesioni cistiche sono spesso espressione di una patologia organica, ma raramente sono maligne. Considerando poi le forme più complesse, esistono forme miste, prevalentemente cistiche, ma con una componente solida, correlate a un buon rischio di malignità, di cui gli ultrasuoni rappresentano l‟unico mezzo diagnostico. Sono state descritte due tipi di vegetazioni: piccole proiezioni papillifere (originano dalla capsula o dai setti, con una ben definita zona di impianto), escrescenze papillifere più complesse (con digitazioni multiple e complesse, frequentemente espressione di adenocarcinoma). La parete esterna della vegetazione endocistica non è valutabile, se non in presenza di ascite. L‟importanza di una corretta individuazione delle papille risiede nel fatto che il criterio intrinseco nella stima del rischio di malignità consiste nella valutazione della percentuale di componenti solide interne. b) Ipoecogene Le forme semplici, di solito, sono benigne, di origine mucinosa o endometriale, caratterizzate da bordi ben definiti, contenuto omogeneo, a volte con pareti spesse come nell‟endometrioma ovarico. In alcuni casi la struttura del contenuto appare non uniformemente distribuita, come nell‟endometrioma, o nel cistoadenoma mucinoso. Le forme complesse possono presentare setti e possono avere due principali aspetti: una componente fluida ipoecogena caratterizzata da setti multipli e spessi (cistoadenoma mucinoso) e da una componente ipoecogena con setti spessi che confluiscono. Le forme complesse con le proiezioni papillifere sono spesso espressione di un origine maligna della massa cistica. Tumefazioni ovariche solide Le masse ovariche solide generalmente sono caratterizzate dalla presenza di un‟ecostruttura interna ecogena. I tumori solidi ovarici possono essere rappresentati da lesioni di natura benigna (fibromi ovarici, tecomi e fibrotecomi), da tumori ovarici primitivi maligni (adenocarcinomi e tumori ovarici indifferenziati) e da localizzazioni secondarie quali le metastasi dal tratto gastro-intestinale o da linfomi. La diagnosi differenziale con i fibromi uterini peduncolati o intralegamentari può essere difficoltosa. Una diagnosi differenziale con i disordini tubarici, le linfoadenopatie, il rene ectopico a localizzazione pelvica e le masse ad origine intestinale può talvolta essere necessaria. Tumefazioni ovariche complesse Una massa pelvica è definita “complessa” quando contiene sia la componente solida che quella liquida. I tumori ovarici che contengono principalmente quella solida o setti irregolari, possono essere classificati in questa categoria. In generale, in caso di tumore epiteliale, più solida e irregolare è la morfologia interna, più facilmente questo tipo di tumore può essere maligno. La più comune massa complessa è rappresentata dalla cisti dermoide (teratoma cistico maturo), ma anche il tumore epiteliale ovarico (cistoadenoma, cistoadenocarcinoma). A volte, anche l‟endometrioma può presentare un aspetto complesso. L‟ecostruttura complessa è dovuta all‟estrema variabilità delle componenti della massa. Come nel caso delle cisti dermoidi, inclusi nella massa, posso essere presenti vari tessuti (grasso, denti, capelli, ossa e zone calcifiche) dando luogo ad aspetti ecografici molto vari. In conclusione gli elementi morfologici delle lesioni ovariche ottenute con gli ultrasuoni sono importanti per escludere una malignità ovarica. Questa opportunità è facilitata dall‟uso dell‟ecografia 3D transvaginale. Il potere dell‟eco-doppler 3D può essere un‟informazione aggiuntiva per supportare la diagnosi differenziale della discutibile lesione ovarica. Il collagene nella fisiopatologia del prolasso genitale Relatore: Dott.Federico Spekzini, Dirigente Medico c/o Unità operativa Ostetricia e Ginecologia Ospedale san Gerardo, Monza Clinica Universitaria Università degli studi di Milano - Bicocca Il collagene è la proteina più abbondante contenuta nel corpo umano, infatti corrisponde al 30% delle proteine totali. E‟ sintetizzato dai fibroblasti. E‟ una proteina fibrosa che garantisce la resistenza alla tensione alla cute, ai tendini e all‟osso. Ne sono stati identificati 19 tipi e il tipo I e III risultano essere i componenti principali del tessuto epiteliale.1 Il tessuto connettivo contiene fibre collagene, fibre elastiche e proteoglicani che sono i principali costituenti della matrice extracellulare.2 Le fibre collagene sono i principali costituenti della struttura che ha la funzione primaria di dare resistenza allo stress meccanico e ad altre forze di tensione. Tra le forme di collagene vanno ricordate le fibre di tipo I, di tipo II e quelle di tipo III, che sono responsabili delle resistenza alla trazione e alle forze meccaniche esterne. Il tipo IV non è strutturato in fibre ed ha la funzione di garantire un supporto per una maggiore flessibilità della membrana basale.3 Il tipo V e VI hanno la funzione di connettere gli elementi della matrice alle altre componenti tissutali.4 In particolare il collagene di tipo V sembra essere coinvolto nella fibrillogenesi e nel controllo delle dimensioni delle fibre che costituiscono l‟arco tendineo della fascia pelvica.5 Ciascuna delle componenti di collagene fibrillare di tipo I, III e V è stato descritto all‟interno della parete vaginale ed i tessuti di supporto sono considerati essere i determinanti principali della resistenza del tessuto.6 Lo spessore e la lunghezza delle fibre dipendono dal tipo di collagene.7 Il collagene di tipo I forma grosse fibre ad elevata resistenza meccanica, caratteristica tipica di legamenti, tendini, cute e strutture ossee. Il collagene III, costituito da fibre più sottili a ridotta resistenza è predominante in tessuti sottoposti a stress periodici che richiedono alta flessibilità e distensibilità . A livello dell‟apparato genitale il collagene III è il sottotipo predominante nell‟mucosa vaginale, nella fascia endopelvica8 e nei legamenti uterosacrali9. Il collagene di tipo V costituisce quantitativamente la parte minore e forma fibre piccole e di scarsa resistenza meccanica. Questo sottotipo è importante nel corso dei processi cicatriziali al fine di direzionare la fibrillogenesi10. Il ruolo del collagene di tipo V nella vagina e nei tessuti di supporto non è ancora chiaramente stato delucidato. Il collagene di tipo I copolimerizza con il collagene III e V a formare fibrille di diverso diametro, che influenzano le caratteristiche biomeccaniche di un 1 Jackson SR, 1996 Scott JE, 1988 3 Bailey AJ, 2001 4 Van Der Rest, 1991 5 Moalli PA et al., 2004 6 Ottani V, 2001 7 Nimni ME, 1983 8 Moalli PA, 2005 9 Gabriel B, 2005 10 Birk DE, 2001 2 determinato tessuto.11 Un aumento in percentuale di collagene III e V diminuisce la resistenza meccanica di un tessuto connettivo, diminuendo il calibro delle fibre che lo compongono.12 Il rapporto fra collagene I e collagene III+V è un indicatore della resistenza tensile di un tessuto.13,14,15,16 Il ruolo del collagene nella fisiopatologia del pavimento pelvico è stato parzialmente studiato, con risultati inoltre spesso contradditori. Moalli e collaboratori, hanno misurato il rapporto fra sottotipi di collagene nella vagina e nei tessuti di supporto. I risultati dimostrano che il collagene III è il sottotipo prevalente nell‟ arco tendineo della fascia pelvica e che vi è una diminuzione nel rapporto fra collagene I e III+V in pazienti in menopausa senza terapia sostitutiva ormonale. L‟introduzione della terapia ormonale riequilibrava il rapporto riportandolo a valori precedenti alla menopausa. Questi dati suggeriscono che lo status ormonale condizioni le proprietà biomeccaniche dei tessuti di supporto della vagina.17 E‟ stato infatti dimostrato da alcuni studi che i recettori di estrogeni e androgeni sono localizzati a livello dei fibroblasti della cute e che molte cellule sono suscettibili a questi stimoli ormonali.18 La presenza di recettori per gli estrogeni nel tratto urinario basso, nella muscolatura del pavimento pelvico e attorno ai legamenti pelvici dimostra la sensibilità di questi tessuti all‟attività ormonale.19 In uno studio di Alperin è stato riscontrato che il collagene di tipo III è aumentato nello strato sottoepiteliale e muscolare della vagina in pazienti affette da prolasso, rispetto a pazienti non portatrici di prolasso, indipendentemente da età e parità.20 Altri studi hanno riportato un aumento di collagene di tipo III nei legamenti uterosacrali e cardinali in pazienti affette da prolasso genitale sintomatico.21 La quantità di collagene nella cute si modifica con l‟età, diminuendo approssimativamente dell‟1 % ogni anno.22 Nel primo anno dopo la menopausa questa perdita è maggiore, raggiunge il 30% nei primi cinque anni, ma può essere reversibile o per lo meno prevenuta, dall‟utilizzo della terapia ormonale sostitutiva.23 E‟ stato dimostrato che c‟è un‟associazione tra il collagene della cute e quello dei tessuti urogenitali.24 In uno studio Barbiero et al., hanno fatto un‟analisi qualitativa del collagene di tipo I nel parametrio di pazienti con e senza prolasso uterino ed è emerso che c‟erano importanti alterazioni nelle fibre collagene. Nelle pazienti con prolasso uterino, il tessuto connettivo del parametrio era ricco di fibre collagene ma queste erano più corte, più sottili e arrangiate in maniera disordinata, rispetto a quelle delle pazienti senza prolasso.25 11 Wenstrup RJ, 2004 Niyibizi C, 2000 13 Fleischmajer R, 1990 14 Klinge U, 2002 15 Zheng H, 2002 16 Eriksen HA, 2002; 17 Moalli PA et al., 2004 18 Stumpf WE, 1974 19 Smith P, 1990 20 Moalli PA, Alperin, 2005 21 Ewies AA, 2003 22 Schuster S, 1975 23 Brincat M, 1987 24 Versi E, 1988 25 Barbiero EC, Ferriera Sartori MG, 2003 12 Diversi studi hanno dimostrato un aumento dell‟espressione del collagene di tipo III in pazienti con prolasso, nei tessuti di supporto della vagina26. Gabriel et al. hanno confrontato biopsie dei legamenti uterosacrali di pazienti con e senza prolasso, ed è emerso un aumento dell‟espressione del collagene di tipo III nelle pazienti con prolasso.27 Ewies et al. hanno riscontrato un aumento dell‟espressione del collagene di tipo III nei legamenti cardinali di pazienti con prolasso.28 Da quanto riportato, appare certo che la composizione delle strutture di sostegno subisca dei processi di trasformazione nel corso della vita, in seguito ad eventi specifici quali la gravidanza ed il parto o la menopausa. 26 Moalli A, 2005 Gabriel B, 2005 28 Ewies AA, 2003 27