Università degli Studi di Roma "Tor Vergata"
SEDE DI TIVOLI - ASL ROMA 5 – Via Parrozzani, 3
SEDE DI ROMA – Scuola Universitaria per Infermiere Suore della Misericordia Via San Giovanni in Laterano, 87
MASTER DI I LIVELLO
ANALISI ORGANIZZATIVA E SVILUPPO DEI PROCESSI
PROFESSIONALI
DISCIPLINA: ASPETTI CULTURALI CHE INFLUENZANO L’ORGANIZZAZIONE SANITARIA
A.A. 2016-2017
0
ASPETTI CULTURALI CHE INFLUENZANNO
L’ORGANIZZAZIONE SANITARIA
Introduzione
Edward Burnett Tylor (Londra, 2 ottobre 1832 – Wellington, 2 gennaio 1917)
antropologo britannico, ha dato una definizione della cultura che è rimasta invariata
per 50 anni “Cultura o civiltà, intesa nel suo ampio senso etnografico, è quell’insieme
complesso che include le conoscenze, le credenze, l’arte, la morale, il diritto, il
costume e qualunque altra capacità e abitudine acquisita dall’uomo in quanto membro
di una società” (La cultura primitiva, 1871).
La cultura, nel suo risvolto antropologico, non è ereditaria ma viene appresa nel tempo
da ogni individuo secondo la società, l’ambiente dove vive.
È un’acquisizione inconscia e lenta che entra nel nostro quotidiano, regola il nostro
agire, forma il nostro io, regola il nostro carattere: in antropologia il termine che
definisce questo processo è inculturazione, ossia il processo di trasmissione
della cultura da una generazione all'altra. Ogni individuo, fin dalla più tenera età,
comincia ad apprendere la lingua, l’educazione, la partecipazione a giochi, ricorrenze,
festività; assimila regole e consuetudini; memorizza i racconti degli anziani per
tramandarli a sua volta alle generazioni future; è consapevole della propria
appartenenza a un gruppo sociale (famiglia, scuola, amici, lavoro), ne assimila le
abitudini, i riti.
La cultura riguarda l’antrhopos, ossia l’uomo in tutto ciò che è e che è diventato
nell’arco della sua vita in relazione alla società dove ha vissuto.
Richiamando i concetti antropologici della cultura ci danno un quadro di tre tratti
differenti:
1) differenze culturali: si intende la percezione che il mondo sia organizzato, in
modo rilevante, in forme culturali distinte. Gli adattamenti all’ambiente
avvengono mediante cambiamenti dell’ambiente e della specificità dell’uomo.
Nasce in seno alla scienza e consente di studiare gli esseri umani in relazioni
1
all’ambiente dove vivono. Ma i tratti culturali hanno una loro origine e sono un
prodotto che si intreccia con altri;
2) identità culturali: è il riconoscimento forte di una appartenenza. Qualcosa da
difendere. E’ una autorappresentazione della propria identità. E’ ciò che
definisce il noi;
3) habitus – orizzonte simbolico: è un assorbimento della cultura che l’individuo
non rivendica come tratto della propria identità, ma vive. Va al di là della logica,
non è manipolabile dall’intenzionalità dei soggetti. Siamo dentro a delle
relazioni apprese, legati a storie di altri, al di là della nostra volontà. Potrebbe
definirsi una identità di radice, etnica. Per esempio l’habitus può essere la
famiglia, è il mondo domestico intorno a noi. A volte basta un odore richiamare
alla memoria la nostra infanzia, la nostra famiglia.
La superiorità della cultura europea (etnocentrismo)1 sulla cultura degli altri popoli, è
finita con la II guerra mondiale: non vi è più il confronto tra società moderne e
società tradizionali dove si desumeva che quest'ultime avessero caratteristiche proprie
del sottosviluppo, utilizzando, erroneamente,
economico capitalista occidentale,
tra
cui
parametri tipici del sistema sociogli
indici
del
reddito
pro-capite,
della produzione, dell'alfabetizzazione, del tasso di natalità e di mortalità.
Il relativismo culturale ha ristabilito la giusta equazione: non esiste un’unità di
misura universale per la comprensione dei valori culturali, in quanto ogni cultura è
portatrice di norme e valori che hanno validità solo all’interno della cultura stessa ma
non al di fuori. Ciò ha contribuito a meglio comprendere le culture differenti da quelle
occidentali con la conclusione che una cultura non si può considerare superiore o
inferiore ad un’altra.
Il relativismo culturale è stato definito come "la comprensione di un'altra cultura
alle sue condizioni in modo abbastanza simpatetico2 da farla apparire come progetto
1
Etnocentrismo: tendenza a giudicare le altre culture ed interpretarle in base ai criteri della propria proiettando su di
esse il nostro concetto di evoluzione, di progresso, di sviluppo e di benessere, basandosi su una visione critica unilaterale.
Ciò ha generato le guerre coloniali.
2
Simpatetico: provare gli stessi sentimenti, che si accorda al modo di pensare e di sentire al carattere ed alle inclinazioni
di una persona
2
di vita coerente e significativo" (.Greenwood 3 1977).
L'evoluzione
umana
ha
richiesto
un
allargamento
delle
conoscenze,
un
approfondimento di quanto già si conosceva, la ricerca del sapere scientifico. I popoli,
come diceva Tylor, sono passati da uno stato primitivo, incentrato sul nomadismo, ad
uno stato barbarico, con l’allevamento, l’agricoltura e i primi rudimenti di una società,
fino ad arrivare allo stato della civilizzazione.
La cultura è un vasto mondo di concetti e di cose concrete che l’uomo utilizza a
proprio vantaggio per il suo bene e per quello delle future generazioni.
Ricordiamoci sempre che noi siamo depositari di una cultura e di un mondo ed
abbiamo il sacro dovere di preservarli e consegnarli, per quanto possibile, migliori alle
generazioni che verranno.
Gli aspetti culturali, però, rientrano nella sfera dell’antropologia che come scienza
olistica4, ha molti punti in comune con l’infermieristica: entrambi si dirigono verso
l’antrhopos, ossia l’ uomo nella sua globalità e molteplicità di componenti,
comprensivo di componenti biologiche, psicologiche, socioculturali e spirituali.
L’uomo agisce integrandosi con l’ambiente dove vive e ne assorbe i caratteri di quella
società.
La figura dell’infermiere, tassello essenziale nel panorama delle reti socio-sanitarie di
assistenza e cura, fonda la propria imprescindibilità sulla comprensione immediata dei
bisogni primari e assistenziali, oltre ovviamente a quelli di tipo sanitario.
Quanto detto da Marie-Françoise Collière5 esprime chiaramente questo concetto:
“Ogni situazione di cura è una situazione antropologica, ovvero che riguarda l’uomo
inserito nel suo ambiente, intessuto da ogni tipo di legame simbolico; così l’approccio
Davidd James Greenwood nato nel 1942 professore di Antropologia e Direttore dell’Istituto per gli Studi Europei alla
Cornell University negli Stati Uniti.
3
Olistica (olismo: dal greco όλος, cioè "la totalità"), ossia cerca di integrare tutte le conoscenze sugli esseri umani e sulle
loro attività tratte dagli altri campi del sapere e ponte tra scienze naturali e sociali e discorsi umanistici.
4
5
Marie Françoise Collière (6 aprile del 1930 ad Oran, in Algeria - 27 gennaio 2005 Lione in Francia). Infermiera,
insegnante, ricercatrice e storica delle cure, autrice di opere sulle cure infermieristiche, ha contribuito all’evoluzione ed al
riconoscimento delle cure infermieristiche a livello internazionale
3
antropologico appare come il percorso più opportuno per scoprire le persone che
vengono curate e rendere significative le informazioni che esso contiene.”
Per ritrovare il senso delle cure – scriveva Collière – bisogna imparare ad ascoltare
ciò che dicono i curanti, anche se non sempre riescono ad esprimerlo (...). È da ciò
che diviene possibile arricchire queste cure facendo appello a conoscenze differenti ed
appropriate.
E le conoscenze differenti sono quelle che traspaiono dal concetto antropologico
dell’uomo
Un altro esempio lo abbiamo dall’antropologa statunitense, Madeleine Leininger6, che
grazie al suo sguardo antropologico sul fenomeno assistenziale ha portato alla nascita
del nursing transculturale, unendo identità culturale ed assistenza sanitaria. Ci dice:
“Affinché gli esseri umani vivano e sopravvivano in un mondo salubre, tollerante e
significativo, è necessario che gli infermieri e gli altri professionisti della salute
apprendano le credenze, i valori e gli stili di vita dei popoli legati all’assistenza
culturale per poter offrire un’assistenza sanitaria valida e culturalmente congruente”
Detto questo, la società moderna, la trasformazione della famiglia, il fenomeno
dell’immigrazione, la globalizzazione, ci portano a confrontarci con aspetti nuovi
dove anche il sistema socio-sanitario-assistenziale ha dovuto apprendere i nuovi
contesti societari ed attuare al riguardo per dare risposte positive ai nuovi bisogni.
1. La trasformazione della famiglia. Conseguenze
La trasformazione della famiglia dovuto al crescente inserimento della donna nel
mondo del lavoro e l’invecchiamento progressivo della popolazione, che comporta la
crescita esponenziale del bisogno di servizi sanitari e socio sanitari, legata alla
complessità crescente delle patologie, alla necessità di sviluppare percorsi di
riabilitazione e reinserimento sociale dell’individuo, hanno comportato anche un
cambiamento nei ruoli all’interno della famiglia e conseguentemente un rilevante
Madeleine Leininger (Sutton, 13 luglio 1925 – Omaha, 10 agosto 2012) è stata un'infermiera statunitense. Nel 1968 la
Leininger fonda il Comitato di Nursing e Antropologia (attualmente ancora attivo) all’interno del Medical Council
Anthropology per scambiare idee, opinioni e per eseguire ricerche tra i campi del nursing e dell’antropologia. Tra il 1972
e il 1974 fonda la Società del Nursing Transculturale, come promotrice del nursing transculturale nel mondo
6
4
ricorso al mercato privato dell’assistenza. Mercato privato, in quanto lo Stato non
possiede le risorse necessarie, umane, economiche e strutturali, per poter garantire, e
quindi erogare, servizi pubblici domiciliari.
La cura, come attività e come concetto, copre un ampio numero di relazioni, riguarda
rapporti tra i diversi attori e istituzioni, coinvolge numerosi ambiti di intervento.
La prof. ssa Elisabetta Donati asserisce che la cura può essere:
Pubblica/Privata
Remunerata/Non remunerata
Formale/Informale
Per cura formale si intende quella fornita da organizzazioni pubbliche, di volontariato
e private; per cura informale si intende quella fornita dalla famiglia, dalla parentela,
dagli amici e dal vicinato.
Ma, sottolinea ancora la prof.ssa Elisabetta Donati, “la maggior parte dell’offerta di
lavoro viene da donne immigrate, a volte senza competenze specifiche, senza tutela
sociale a cui viene richiesto un impegno senza vincoli di orario e la massima
disponibilità. Dall’altro lato vi è la famiglia, datrice di lavoro, con altrettanto scarse
competenze nel ruolo7”.
Si affaccia da due decenni, così, dovuto anche alle varie leggi sui flussi migratori, una
nuova figura nel panorama dell’assistenza e cura che va ad integrarsi nel contesto
sociale di riferimento: l’ assistente familiare.
Quantificare il numero delle assistenti familiari è pressoché impossibile considerando
le tante lavoratrici “in nero”. Nel 2006, secondo i dato INPS le colf e badanti, con
permesso di soggiorno, erano poco più di 300.000, ma una ricerca dell’ IRS (Istituto
per la Ricerca Sociale) ne ha stimate più del doppio, ivi comprese quelle irregolari.
Cosa cambia, dunque, nel panorama dei Servizi Socio-Sanitari-Assistenziali?
Il ricorso all’ assistente familiare ha contribuito a trasformare alcuni aspetti del
Welfare locale, come riporta Alessandro Pozzi8:
7
Corso di laurea in Servizio Sociale Sede di Biella. Anno accademico 2008-2009. Prof.ssa Elisabetta Donati
8
Alessandro Pozzi: L’inserimento delle assistenti familiari nella rete dei servizi di long-term care. In Mutamento
Sociale n. 17 – ottobre 2007. Home Sinergia Magazine
5
- la riduzione delle prestazioni di assistenza domiciliare di tipo pubblico, ad
eccezione di quei casi in cui lo stato di salute dell’anziano richieda anche
prestazioni di natura infermieristica o sanitaria;
- la riduzione delle ammissioni nelle RSA per anziani;
- l’abbattimento delle liste di attesa nelle RSA;
- l’aumento dei ricoveri nelle case protette di anziani molto gravi;
- la modificazione della relazione con il sistema dei servizi.
Al fine di agevolare l’offerta e la domanda di lavoro si è ritenuto utile ed anche
necessario, da parte dei Comuni, l’istituzione di un albo delle Assistenti Familiari ed
uno sportello per coloro che conseguono un attestato di qualifica professionale al fine
di:
1) rispondere alle esigenze di cura domiciliare delle famiglie ed eventualmente
degli anziani;
2) dare visibilità a tutte le risorse territoriali che si occupano di assistenza familiare
(dalla ricerca dell’assistente alla realizzazione del contratto di lavoro).
3) proporre un modello di lavoro di cura “qualificato” sperimentando un percorso
formativo per le assistenti familiari che venga riconosciuto e certificato.
I destinatari di tale innovazione sono:
1) Anziani e famiglie che cercano persone con le quali stabilire un rapporto di
lavoro sia diurno che notturno o di convivenza per l’assistenza a domicilio;
2) Assistenti familiari italiani e stranieri qualificati in cerca di occupazione o di
miglioramento occupazionale.
6
Promuovere
la qualità
del lavoro
di cura
Facilitare
alle
famiglie la
ricerca di
assistenti
familiari
formati
Emersione
lavoro
nero
Offrire
un’opportunità
di crescita
professionale
OBIETTIVI
Offrire
l’inserimento
lavorativo per
gli assistenti
familiari
L’ assistente familiare spesso è chiamata a svolgere mansioni assistenziali e socio
sanitarie sempre più lontane dal lavoro domestico vero e proprio.
Pertanto è quanto mai utile e necessario un percorso formativo nell’ambito sociosanitario che includa, tra le discipline portanti e determinanti ai fini del conseguimento
del titolo “ i servizi alle persone e alla comunità, ossia la tutela della salute, come cura
e prevenzione e i servizi sociali.”
Giova ricordare che il sistema sociale, come pure quello sanitario, pur avendo
intrapreso percorsi diversi perseguono lo stesso fine, ossia l’assunzione della tutela del
singolo individuo sancita nella carta istituzionale e prevista nel perseguimento del
7
welfare9. Spesso i due sistemi viaggiano in parallelo e s’integrano e si compensano a
vicenda alla ricerca della formula ideale per soddisfare le esigenze di quella o
quell’altra persona, fino a conseguire il giusto mix per portare felicemente a termine un
operato.
Si sottolinea come ad un operatore dei servizi Socio-Sanitari-Assistenziali, qualunque
sia la propria professione e mansione vengano richiesti alcuni requisiti soggettivi
prima di quelli professionali. Requisiti che devono essere posseduti da chi vuole
intraprendere una professione di servizio e cura alla persona e che possiamo includerli
nell’etica morale che ognuno possiede:
a) sensibilità: ossia quella capacità di comprendere i bisogni di una collettività in
costante divenire, con particolare attenzione alle fasce più deboli della
popolazione, cercando di offrire risposte adeguate e rispettose di ciascuna
persona;
b) affidabilità :
quella certezza di offrire servizi adeguati alle esigenze con
competenza e disponibilità assicurando professionalità e qualità nelle
prestazioni;
c) responsabilità: morale del proprio operato in un contesto relazionale che vede
coinvolti utente, famiglia, operatore: l’utente, nella sua peculiarità ed unicità, da
rispettare e da valorizzare nella sua problematicità. Conoscere adeguatamente un
utente e saperne valutare altrettanto adeguatamente le sue condizioni.
Relazionarsi con altri operatori che seguono, ognuno per il proprio campo, il
medesimo utente e collaborare nella stesura di un progetto unico d’interventi.
Infatti, la capacità, la volontà di rispondere a tali bisogni, asserisce Lorenza Maluccelli
– docente di ricerca presso l’Università di Firenze – non solo “necessita un’esperienza
considerevole da parte di chi presta la cura, ma può coinvolgere una particolare
visione morale”.
9
Welfare: Lo Stato sociale, conosciuto anche come welfare state (stato di benessere tradotto letteralmente dall'inglese), è
un sistema di norme con il quale lo Stato cerca di eliminare le diseguaglianze sociali ed economiche fra i cittadini,
aiutando in particolar modo i ceti meno benestanti.
8
Risulta evidente che chi si occupa di persone in circostanze vulnerabili tentando di
produrre benessere non possa non avere innato una predisposizione a tale professione,
una profonda convinzione morale ed etica che la vita altrui ha un valore pari alla
propria.
Quanto detto, già ci dà una prima panoramica di alcuni aspetti culturali, presenti
nell’odierna società, derivati dal cambio antropologico avvenuto in seno alla famiglia.
2. L’extracomunitario
2.1 Chi è l’extracomunitario
L’extracomunitario è colui che “viene da fuori”, “chi è estraneo” ai nostri modi di
pensare e di agire. Chi non si sente appartenente ad un gruppo od ad una comunità.
Normalmente identifichiamo, erroneamente, per extracomunitario tutti gli stranieri che
arrivano nel nostro Paese, senza considerare che la parola, di per sé, ha un significato
ben preciso: l’extracomunitario è chi proviene da paesi fuori della Comunità Europea
(composta oggi da 27 Paesi).
L’accettazione dello straniero nel gruppo richiede da una parte la volontà di
quest’ultimo di appartenervi, dall’altra la disponibilità da parte degli appartenenti al
gruppo di accoglierlo.
Il concetto di straniero ed il problema della sua accettazione è presente da sempre nella
storia dell’uomo. L’uomo per necessità o per desiderio è sempre migrato sia a titolo
provvisorio che stabile e si è sempre trovato di fronte al problema dell’integrazione,
dell’accettazione di altre culture conservando la propria.
Il valore fondamentale dell’immigrazione è di averci sottoposto alla grande sfida di
accogliere ed elaborare il grido di dolore che viene dai paesi più poveri. Non ci
possiamo limitare soltanto a favorire l’inserimento degli stranieri nella realtà italiana,
ma è necessario che si crei una società trans culturale dove le realtà possano convivere
con grande rispetto. La presenza di persone provenienti da culture altre, infatti, sfida
costantemente le nostre istituzioni: scuola mondo del lavoro, salute, piano sociale.
9
Dobbiamo cercare di attuare modelli di accoglienza che si preoccupino anche delle
persone apparentemente meno desiderate.
Lo straniero, spesso, genera una certa paura e inquietudine e può sfociare nella
xenofobia: un aspetto culturale che è entrato nella nostra quotidianità.
Xenos è una parola greca che incrocia in sé i significati di straniero e di ospite e
xenofobia, nelle lingue moderne, indica la paura dell’ospite e quindi l’odio per lo
straniero. E’ fisiologico che la presenza dello straniero ci metta in discussione: proprio
perché manca un terreno
comune su cui fondare un’intesa e la conoscenza del
retroterra da cui proviene. Ciò che nasce immediatamente di fronte allo straniero è la
paura. Che non va derisa né minimizzata, ma presa sul serio e fronteggiata per capirla
e vincerla.
Bisogna considerare che nell’incontro con lo straniero non va messa in conto solo la
propria paura, la paura di chi accoglie, ma anche e soprattutto, la paura di chi arriva in
un mondo estraneo, un mondo di cui conosce poco o nulla, un mondo che non gli offre
nessuna protezione.
Chi accoglie dovrebbe conoscere le motivazioni della migrazione, la durata,
(stagionale, rifugiati politici, definitiva, ecc.) le dimensioni territoriali (dislocazione sul
territorio, il genere, percentuale di minori, ecc). Allo stesso tempo, il gruppo
accogliente deve essere stimolato ad una cambiamento culturale non inferiore a quello
che si chiede alle minoranze: a tal proposito gli enti preposti (servizi sociali, scuole,
sanità, ecc.) dovrebbero creare momenti formativi - informativi, in quanto, come
riporta Susi Francesco, docente di Pedagogia Interculturale presso l’Università Roma
Tre: “l’esperienza mostra quanto sia pericolosa una pedagogia a senso unico, che
sollecita il cambiamento delle minoranze senza altresì chiamare anche la
maggioranza a mettersi in questione”.
Cosa chiede l’immigrato che fugge da guerre, miseria e povertà? Avere una
cittadinanza, un lavoro stabile e una vita dignitosa nel rispetto della legalità del paese
ospitante e conservando l’identità culturale del proprio paese d’origine.
In Europa sussistono 3 modelli d’integrazione:
10
Dossier Statistico Immigrazione
Caritas/Migrantes
Modelli di integrazione
modello
Abbandono proprie caratteristiche
assimilazionismo
francese
modello
Uniformazione completa alla società
multiculturalismo
Convivenza di culture diverse
Rotazione
Gastarbaiter
Temporaneità dell’emigrazione
anglosassone
modello
tedesco
- La logica dell’assimilazione: “processo che riguarda i rapporti tra i migranti
e la società di accoglienza sulla base di un passaggio unilaterale dei modelli di
comportamento della società ospitante al migrante, obbligato a spogliarsi degli
elementi culturali che gli sono propri e che comporta un ruolo passivo riguardo
alla cultura dominante”.10
- La logica dell’integrazione: per cui la cultura dominante riconosce il diritto
alla salvaguardia della propria identità: si tratta di una visione multiculturale
che si basa sul principio della tolleranza tra gruppi etnici diversi, ognuno dei
quali conserva la propria dimensione culturale pur in pluralità di scambi e di
influenze.
- La visione interculturale: per la quale si sviluppano nuove prospettive che
consentono di superare l’etnocentrismo a favore in un ampliamento
dell’orizzonte culturale. In questo caso la diversità diviene un valore positivo
che consente all’altro gruppo di maturare nuovi punti di vista in un quadro di
ricostruzione globale del tessuto sociale. La prospettiva è dar vita ad una società
più aperta, compartecipata, senza nessun tipo di prevaricazione, nella quale la
diversità diventi una risorsa in più per la persona nella prospettiva del bene
comune.
10
Santerini M., Cittadini del mondo, Educazione alle relazioni interculturali, Editrice la Scuola 1994, p. 209.
11
Secondo le stime di Caritas Migrantes del 2009 (Dossier statistico 2010) gli immigrati
nel nostro Paese sono circa 5 milioni così suddivisi:
Dossier Statistico Immigrazione Caritas/Migrante
Distribuzione territoriale
Sud; 9,3
Isole ; 3,8
Nord
Ovest; 35
Centro;
25,3
35
Nord Est;
26,6
4.919.000 immigrati regolarmente soggiornanti in Italia (Stima
Caritas/Migrantes) – Incidenza 7,8% (circa)
di cui circa 2.000.000 sono donne.
Al 1° gennaio 2010 la popolazione residente in Italia ha superato il traguardo storico
dei 60 milioni di abitanti (60.387.000) e, come accade ormai da diversi anni, il
maggior contributo all’incremento demografico del Paese è dato dalla dinamica
migratoria. La popolazione in età attiva cresce solo per effetto delle migrazioni
dall’estero, giungendo a rappresentare nel 2009 il 65,8% del totale.
12
2.2. L’integrazione
Non c’è un concetto unico d’integrazione. A partire dall’anno 2000 ci sono state
normative che hanno teso ad omogeneizzare le politiche dell’immigrazione.
Per immigrazione possiamo intendere:
- adattamento e rispetto delle leggi
- partecipazione attiva
- mantenimento della propria cultura
- accoglienza
- inserimento lavorativo e sociale
- tutele dei diritti della persona
- scambi/conoscenza reciproca
- accettazione altra cultura
- sentimenti di appartenenza.
L’integrazione è un fenomeno complesso formato da diversi aspetti che comportano
sforzi da parte di tutte le istituzioni.
Cita Migrazioni Internazionali e Salute: “in questo scenario, peraltro in costante
mutazione, prendersi cura di persone provenienti da contesti culturali differenti
rappresenta, per gli operatori sanitari, una sfida sempre più attuale, che li pone di
fronte alla difficoltà di superare le barriere linguistiche che si frappongono nella
comunicazione col soggetto migrante, e, in alcuni casi, di colmare la mancanza di
adeguate conoscenze e competenze sui temi culturali relativi alla sfera della salute.
Da parte loro, i migranti, fin dalle prime fasi del loro arrivo, si trovano a vivere un
senso di spaesamento dovuto all’estraneità e complessità del contesto di accoglienza e
alle difficoltà che spesso incontrano nel realizzare il proprio percorso di integrazione
sociosanitaria”.
Il nostro sistema di assistenza sanitaria, è assicurato da principi universalistici a
prescindere dal contesto linguistico o culturale di appartenenza. E’ un sistema, che
nonostante le problematiche di alcune Regioni, ci garantisce una certa tranquillità e
sicurezza.
13
Però spesso il nostro sistema si “scontra” con sistemi di cura basati su modelli di
cultura diversi e tanto lontani dal nostro che generano, a volte, incomprensioni tra
personale dei servizi socio-sanitari-assistenziali ed utente. Possono sorgere anche seri
problemi di salute se non si interviene con tempestività in quanto ognuno di noi
ragiona in base alla propria cultura di riferimento, anche in ambito sanitario.
La prima a porsi il problema delle differenze culturali tra i pazienti ed il personale
sanitario fu Madeleine Leininger che lavorando nell’ambito della psichiatria infantile,
prende consapevolezza delle differenze culturali tra i vari bambini che giungevano al
suo servizio:
Non trovando risposte, si rivolse ad altre discipline, tra cui l’antropologia, conoscendo,
tra l’altro, la celebre antropologa Margaret Mead e studiando con lei le potenziali
relazioni tra antropologia e il sistema socio-sanitario-assistenziale.
Gli studi la portarono ad identificare le fasi evolutive dell’infermieristica
transculturale:
Fase I: l’infermiere acquisisce consapevolezza e sensibilità rispetto alle differenze e
somiglianze dell’assistenza culturale;
Fase II: L’infermiere approfondisce la teoria dell’assistenza infermieristica e dei
risultati della ricerca con le competenze acquisite in assistenza culturale;
Fase III: l’infermiere utilizza in modo creativo e pratico i risultati della ricerca con
prove documentate per ottenere pratiche assistenziali culturalmente adeguate e valuta i
risultati.
2.3. La Comunicazione
Una buona comunicazione tra operatore sanitario e paziente straniero è quantomeno
basilare per ottenere buoni risultati e ciò necessita di uno sforzo da parte di entrambi:
l’operatore dovrà cercare di comprendere, non guasterebbe la conoscenza, anche
elementare, della lingua inglese e l’utente dovrà essere in possesso almeno delle basi
della nostra lingua. L’interazione, lo scambio di messaggi, verbali o non verbali, sono
latori anche dei processi culturali dell’ emittente e del ricevente in un susseguirsi di
14
parole e gesti. Bisogna comprendere che percezione abbia lo straniero della sua
malattia e fino a che punto sia consapevole del nostro sistema di assistenza, cura e
riabilitazione.
R
E
FEEDBACK
Da questa rappresentazione è facile dedurre che per una "sana" comunicazione è
necessario che l’emittente (E) scelga il mezzo più utile per poter trasmettere
correttamente il messaggio, in funzione della situazione e della capacità recettiva del
ricevente (R). Non solo, ma l'emittente, per assicurarsi che il messaggio venga
correttamente inviato e compreso, dovrà. verificare attraverso un feedback verificatore.
La comunicazione non è altro che una sequenza di informazioni dove si cerca il
miglior modo per comprendersi:
15
RICEVENTE
EMITTENTE
RICEVENTE
EMITTENTE
RICEVENTE
EMITTENTE
Nelle professioni sanitarie è importante distinguere 3 concetti base nella
comunicazione11:
- abilità: saper gestire la comunicazione in tutti i suoi risvolti, ossia ciò che si
comunica, come si comunica e la percezione dei sentimenti del paziente durante
la comunicazione. Tale abilità va insegnata ed appresa in quanto nulla deve
essere lasciato al caso o alla sola abilità oratoria o all’esperienza;
- atteggiamenti: mai presupponenza ma ascolto attivo, un ascolto efficace, ossia
quella capacità di comprendere realmente i reali bisogni dell’utente, comunque
condividendo, per quello che è umanamente possibile, le sensazioni che
manifesta. Così facendo si facilitano le risposte del paziente e si instaura fiducia;
- contenuti: chiari ed utilizzo di termini che siano comprensibili al paziente e
verificarne la reale comprensione con dei feed-back.
Nei minuti iniziali cominciano a delinearsi le problematiche del paziente.
In una società multiculturale come quella in cui oggi viviamo, capita che i livelli di
incomprensione tra operatore
socio-sanitario e paziente
appaiono a volte
insormontabili.
11
J.Silverman – S. Kurtz – J. Draper: Competenze per comunicare con i pazienti. Ed. Piccin nuova Libraria. Padova
16
Il dott. Salvatore Geraci ed il dott. Riccardo Colasanti che e Geraci, che hanno
approfondito le tematiche di relazione tra operatore sanitario-paziente in ambito
transculturale, hanno evidenziato le seguenti tipologie di incomprensione:
1. Prelinguistico: è la difficoltà a comunicare le proprie esperienze ed il proprio
vissuto interiore, magari non dando la giusta importanza alla loro
sintomatologia. Con pazienti di altre culture l’approccio può essere anche più
complesso in quanto il concetto di interiorità può essere diverso;
2. Linguistico: si riferisce alla difficoltà più immediata e ovvia, quando gli
interlocutori non parlano la stessa lingua. Ciò potrebbe comportare
fraintendimenti e formulare una diagnosi non corretta. In questo caso l’ausilio di
un Mediatore Culturale della stessa madrelingua del paziente e con una buona
conoscenza della nostra lingua anche in campo socio-sanitario-assistenziale può,
non solo essere utile ma anche necessario. Meglio evitare traduttori occasionali:
potrebbero fraintendere e non essere all’altezza del proprio compito.
Ogni ospedale, soprattutto nei Pronto Soccorso dovrebbe avere la possibilità di
avere, nel più breve tempo possibile, un Mediatore Culturale ma l’utilizzo è
spesso frenato da burocrazia e contenimento dei costi.
3. Metalinguistico: si intende un linguaggio formalmente definito che ha come
scopo la definizione di altri linguaggi artificiali che diciamo linguaggi obiettivo.
E’ il livello simbolico di una lingua, è ciò che consente di specificare i dettagli
di una lingua. Una persona, soprattutto se proveniente da paesi in cui la società
ha avuto uno sviluppo culturale totalmente diverso dal nostro, “ può associare
ad una diagnosi un valore diverso, secondo di ciò che quella patologia può
rappresentare nel paese di origine” suscitando stati d’animo contrastanti:
preoccupazione dove non dovrebbe sussistere e noncuranza e/o sollievo dove,
invece, dovrebbe esserci preoccupazione. Pertanto, formulare una diagnosi, si
deve tener conto di molti fattori, sia linguistici che culturali.
17
4. Culturale: è il vissuto dell’utente, il paese di provenienza, le sue tradizioni,
il cosiddetto habitus, ossia quella cultura che viene vissuta all’interno della
famiglia ma non viene riconosciuta come propria in quanto la società del paese
accogliente ha permesso una quasi totale integrazione e il fattore religioso.
Conoscere e tentare di comprendere la cultura dell’altro aiuterebbe non poco in
campo socio-sanitario-assistenziale e sarebbe già di grande aiuto conoscere
almeno un’altra lingua (l’inglese è parlato spesso da tanti cittadini
extracomunitari) ma ciò non prescinde dalla presenza del Mediatore Culturale.
5. Metaculturale: sono quegli aspetti culturali che sono visibili anche a chi
non appartiene a quella determinata cultura e che ormai sono entrati nel nostro
quotidiano: il Ramadan per i musulmani, alimenti vietati per altre religioni, il
problema delle trasfusioni di sangue per i testimoni di Geova: fattori che è utile
conoscere, a prescindere dal Mediatore Culturale, al fine di trovare una
comunicazione più efficace alla comprensione e più efficiente per superare le
problematiche ed assicurare una assistenza migliore.
Dobbiamo sempre tener presente che la cultura può essere rappresentata dal cosiddetto
modello dell’“iceberg”.
Infatti, come un iceberg, quello che traspare ai nostri occhi di una cultura diversa dalla
nostra è solo una piccola parte: il resto è sommerso. Difficile da conoscere e
comprendere a fondo in quanto bisognerebbe essere padroni della lingua, degli usi e
costumi, delle abitudini, delle feste e credenze, della morale, del concetto di salute,
delle norme che regolano quella o quell’altra società.
Come diceva Ippocrate : «Non mi importa che tipo di malattia ha quell’uomo, ma che
tipo di uomo ha quella malattia», è una regola che ancora vale.
L’appartenenza a una cultura fornisce all’operatore socio-sanitario-assistenziale se la
malattia è generata da problemi reali di salute o problemi legati ad eventi negativi
presenti nel panorama della cultura dell’utente.
E’, infatti, risaputo come in certi paesi i sintomi della malattia siano strettamente
connessi con l’equilibrio della natura e del cosmo e con l’ambiente dove si vive: tutto
18
si basa sull’equilibrio delle forze presenti nel sistema socio-culturale- ambientale
proprio. Anche la guarigione viene vista come il ripristino dell’equilibrio prima
compromesso.
A tale riguardo, la letteratura distingue tre concetti di malattia :
- disease: è la malattia dal punto di vista del medico, misurabile secondo i
parametri scientifico-sperimentali;
- illness: si riferisce a come l’utente percepisce e vive la malattia anche secondo la
cultura di appartenenza ed i metodi curativi di riferimento. Pertanto l’utente si
ritrova in un contesto di sensazioni, preoccupazioni, speranze, l’accettazione del
suo nuovo status, ossia quella di “malato” e la nuova qualità della vita che può
variare a secondo dell’evolversi della malattia. Questa differenza emerge anche
quando medico ed utente condividono la stessa cultura.
Il disease e l’illness vanno a braccetto nel senso che l’atteggiamento del
paziente verso la malattia ( illness) non può prescindere da tutto ciò che
comporta la valutazione medica (disease).
- sickness: la differenza tra essere “malato” ed essere “un malato” e si riferisce a
come la persona malata viene percepita dalle altre persone che compongono i
contesti relazionali (famiglia, rete amicale e sociale) a cui essa stessa appartiene.
DISEASE
ILLNESS
OPERATORE
SOCIO-SANITARIO ASSISTENZIALE
SICKNESS
19
Il medico o qualsiasi operatore socio-sanitario-assistenziale avrà come punto di
riferimento la desease, ed si attiverà secondo le proprie conoscenze, competenze ed
esperienza tenendo presente la centralità della persona che assiste e la dichiarazione
dell’Organizzazione Mondiale della Sanità che nella conferenza del 6-12 settembre
1978 ad Alma Ata oggi Almaty (ex Unione Sovietica, oggi Kazakistan) definiva, al
primo dei dieci punti, la salute come “uno stato di completo benessere fisico,
mentale e sociale e non soltanto l’assenza di malattia o infermità ed è un diritto
umano fondamentale”.
Riafferma che il raggiungimento del maggior livello di salute possibile è un risultato
sociale estremamente importante in tutto il mondo, la cui realizzazione richiede il
contributo di molti altri settori economici e sociali in aggiunta a quello sanitario.
La salute è quindi vista come “una risorsa della nostra vita quotidiana, e non come lo
scopo della nostra esistenza; si tratta di un concetto positivo che pone l’accento sia
sulle risorse personali e sociali che sulle capacità fisiche” (OMS, 1984).
2.4. Il Mediatore culturale
La società multiculturale in cui stiamo vivendo, dovuta alle numerose comunità
straniere presenti sul territorio, ha bisogno di poter disporre di facilitatori della
comunicazione che abbiano una buona conoscenza tanto dell’italiano quanto della
lingua e cultura dei migranti che afferiscono ai servizi.
In parole povere, il migrante necessita chi lo supporti con una mediazione culturale
che rappresenta una funzione utile e necessaria per agevolare il proprio processo di
integrazione. E’ la “conditio sine qua non” per favorire la conoscenza reciproca di
culture, valori, tradizioni, diritto e sistemi sociali, in una prospettiva di interscambio e
di arricchimento reciproco.
Pertanto questi “facilitatori della comunicazione”, meglio conosciuti come mediatori
culturali sono sempre più presenti nei CPA (Centri Prima Accoglienza), nelle strutture
sanitarie, nelle scuole, negli uffici della questura, ecc.) e nelle situazioni
particolarmente delicate, soprattutto dove può emergere un rischio di squilibrio
comunicativo tra le parti interessate.
20
Il mediatore culturale appare come una nuova figura nella rete socio-culturale del
nostro paese, in possesso di specifiche competenze ed attitudini in grado di interagire
con le istituzioni pubbliche e private, nonché come interprete delle esigenze e delle
necessità dei migranti. Si tratta di persone spesso immigrate, che hanno vissuto i disagi
della migrazione, che si sono, ormai, integrate e che hanno dimestichezza con le
norme, la cultura del paese che li ha accolti, che siano in possesso di un titolo di studio
medio-alto e formazione specifica sulla mediazione culturale e che abbiano capacità
relazionali e di riservatezza.
Il mediatore culturale non deve essere considerato come semplice traduttore da
utilizzare solo in caso di emergenza, ma come figura stabile nel panorama socioculturale in grado di risolvere qualsiasi questione legata all’integrazione dei cittadini
stranieri.
Oltre che figura di rilievo nell’asse utente-operatore (soprattutto se sanitario),
arricchisce quest’ultimo con ulteriori conoscenze sulla cultura dell’utente con cui si
sta rapportando: è l’anello di congiunzione tra le parti.
UTENTE
MEDIATORE
CULTURALE
OPERATORE
Il mediatore culturale, in questo frangente, ha il compito non solo di tradurre, qualora
se ne presentasse la necessità, ma anche di far comprendere all’utente il significato ed
il valore, in campo medico-assistenziale, di quanto tradotto.
Il mediatore informa l’utente sui propri diritti, lo aiuta a far sì che i suoi bisogni siano
presi in carico dall’operatore sanitario (advocacy)12, rendendolo, progressivamente, un
soggetto sociale più consapevole e quindi più forte (empowerment)13: deve spiegare le
12
L’Advocacy è un processo politico da parte di un individuo o gruppo di persone che mira ad influenzare le politiche
pubbliche e l'allocazione delle risorse all'interno dei sistemi politici, economici e sociali e relative istituzioni.
21
differenze culturali guidando le due parti ad una comprensione reciproca favorendo
l’incontro tra due culture distinte evitando giudizi che possano generare
incompatibilità.
In questo caso, il mediatore agevola sensibilmente la interazione senza condizionare
la stabilità psicologica dell’immigrato.
Il mediatore, quantunque abbia una buona padronanza della lingua italiana e
sufficiente conoscenza delle norme in ambito socio-sanitario si trova spesso in
difficoltà quando è chiamato a dover interagire tra le pratiche di assistenza e cura
prescritte e le pratiche tradizionali a cui, non sempre, il migrante rinuncia. Anche in
questo caso il mediatore svolge un ruolo determinante nel promuovere l’accettazione
da parte dell’operatore (soprattutto medico, in questo caso), di un’integrazione di
pratiche tradizionali alle pratiche di assistenza e cura prescritte (compliance).
La relazione operatore (medico, psicologo, psichiatra, assistente sociale, infermiere,
operatore socio-sanitario, assistente familiare, ecc) - paziente diventa efficace soltanto
se non compaiono elementi di incomprensione o carenza di accettazione di entrambi le
culture e basata su un rapporto di fiducia e di empatia, dove il mediatore svolge un
ruolo rilevante.
Le professioni sanitarie ( medici compresi) manifestano sempre più l’esigenza di
lavorare con questi nuovi “professionisti della comunicazione”, riscontrando in loro
una figura ed un supporto essenziale per agevolare l’incontro e la comunicazione.
Proprio per la sua rilevanza e l’entrata, in pianta stabile, nella rete dei servizi di
assistenza e cura, il PSR, Piano Sanitario Regionale ha evidenziato la necessità di
specializzare il percorso formativo dei mediatori culturali in ambito sanitario dato che,
13
“L’ Empowerment è un processo dell’azione sociale attraverso il quale le persone, le organizzazioni e le comunità
acquisiscono competenze sulle proprie vite, al fine di cambiare il proprio ambiente sociale e politico per migliorare
l’equità e la qualità della vita.
Sono disponibili, da alcuni anni, numerosi documenti programmatici che prevedono varie forme di partecipazione dei
cittadini, ma in realtà tali interventi sono ancora carenti ed a macchia di leopardo. In aggiunta, accanto alle iniziative
istituzionali, è necessario anche che ogni operatore del SSN sia consapevole che lo sviluppo della partecipazione e
dell’empowerment dei cittadini deve rappresentare un proprio impegno. Tra gli strumenti per il coinvolgimento, vi è
oramai dal 1995, la Carta dei Servizi Sanitari, importante strumento di partecipazione dei cittadini che oggi necessita di
un monitoraggio sistematico ai fini dell’utilizzo e dell’aggiornamento”. Da Migrazioni Internazionali e Salute.
22
il percorso attuale non differisce tra chi opera in campo sanitario e chi in campo
sociale.
In altri frangenti, il mediatore culturale, diventa il punto di riferimento per dirimere
tutte le problematiche legate all’inserimento dello straniero nel nuovo contesto
culturale.
3.Il disagio giovanile
3.1. La sindrome del XX secolo
Un altro aspetto culturale che ha influenzato non poco la nostra società e che ha creato
allarmismi più che giustificati è stato l’intensificarsi del disagio giovanile.
La società moderna, con le sue tecnologie sempre più all’avanguardia non riesce a
trovare rimedi contro la difficoltà dei giovani a trovare la propria identità nella vita
quotidiana e vivono un disagio nel presente e nell’incertezza del futuro.
Anzi
dobbiamo sottolineare che tutto questo modernismo, l’ansia di possedere gli ultimi
ritrovati nel campo dell’informatica e l’ultimo modello di cellulare ha contribuito a
peggiorare una patologia latente.
Chi non ha la possibilità di stare al passo con i tempi, può sentirsi anche rifiutato dalla
società dei consumi e può cadere vittima di depressioni che possono condurre a
patologie
più
serie:
apatia,
ansia,
isolamento,
condotte
auto-lesionistiche
(comportamenti rischiosi, disturbi alimentari, consumo di droghe ed alcool..),
bullismo (rapporto vittima-carnefice), devianza (violenza quasi sempre collettiva),
disturbi ansiosi, sindromi depressive, disturbi ossessivo-compulsivi, disturbi psicosomatici, disturbi alimentari.
Spesso vivono di eccessi sperando la diversità inviando, in tal modo, alla famiglia e
alla società i messaggi del proprio malessere.
I rischi maggiori a cui si può incorrere per allontanare il pensiero di un presente
nebuloso è quello del crescente uso ed abuso di sostanze che creano dipendenza
23
(tabagismo, alcoliche, psicotrope…) nonostante le informative scarse ed inefficienze
sui pericoli e su prevenzione e cura.
Come si definisce il disagio giovanile?
E’ il manifestare negativamente le difficoltà che le nuove generazioni avvertono ad
assolvere ai compiti che la società richiede loro per trovare la giusta collocazione nella
società stessa.
E’ una sindrome esistenziale che porta un individuo a non sentirsi motivato al lavoro
scolastico, a non accettare più le regole della vita collettiva, a rifiutare la vita
quotidiana, ad assumere comportamenti disfunzionali al proprio bene e a quello degli
altri.
Inoltre, non va dimenticato che la trasformazione della famiglia cominciata a partire
dalla metà degli anni ’70 ha comportato una certa fragilità nella stessa con i genitori
sempre più impegnati nel lavoro con riduzione del tempo da dedicare alla cura ed
educazione dei figli. Questo fa si che i figli non trovino, all’occorrenza, un appoggio
sostanziale ai loro problemi della quotidianità.
“Nel 1990 uno studio della rivista Fortune intitolato # Perché i dirigenti promossi a
pieni voti vengono bocciati come genitori #
osserva che i figli dei dirigenti di
successo sono più probabilmente soggetti a numerosi problemi emotivi e di salute che
non i figli di genitori che hanno meno successo professionale 14”
La perdita di credibilità che si ha nelle istituzioni pubbliche e nella scuola, visto il
crescente abbandono soprattutto nei primi anni delle superiori, con il forte rischio di
esclusione sociale, ha contribuito ad acuire lo stato di malessere giovanile.
Il giovane è in costante ricerca di punti di riferimento, adulti che prestino il dovuto
ascolto ai loro bisogni e il ruolo della famiglia, unitamente a quello della scuola non
offre più le garanzie di un tempo.
I disagio che ne deriva può avere conseguenze drammatiche, nei casi più gravi
(suicidio, tossicodipendenza, alcolismo, disturbi alimentari, bullismo, violenza tra
minori); nei casi meno gravi impedisce una consapevole crescita e maturità in ambito
14
Peter M. Senge: La quinta disciplina – Sperling & Kupfer Editori
24
familiare, scolastico e professionale.
Lo sport può essere di grande aiuto e va visto come momento di aggregazione e
socializzazione.
Anche i media hanno, in qualche modo, la loro dose di colpa per quanto riguarda
l’anoressia. E’ un sindrome più che altro mentale che comporta il rifiuto del cibo e che
colpisce i giovani, colti e belli, spesso figli di affermate famiglie benestanti. Colpisce
con maggior frequenza ragazze, giovani e sane che spesso sono affascinate dalla
magrezza delle modelle che sfilano in passarella e di cui i media inondano la rete.
La sindrome cela anche altre cause che può essere quella della ricerca di un contatto
affettivo, di vicinanza e protezione rivolto ad una famiglia poco presente: è
l’espressione di una sofferenza emotiva.
Anche in questo caso, difronte all’ impotenza dei genitori di trovare l’aiuto richiesto si
ricorre all’intervento di uno psicoterapeuta per comprendere l’origine della sindrome,
per chiedere suggerimenti, consigli su quali siano i comportamenti più adeguati da
tenere con la figlia.
Sono situazioni difficili e per uscirne c’è bisogno dello sforzo da parte di entrambi le
parti: modificare il rapporto affettivo. La famiglia dovrà essere più presente, prestare
ascolto ai bisogni espressi dalla figlia e, soprattutto, non colpevolizzarla per il suo
malessere.
2.2. Ruolo chiave della famiglia e psicoterapeuta
La famiglia, al minimo cenno dell’insorgenza, deve riappropriarsi del suo ruolo guida
unitamente alla scuola nel suo ruolo anche educativo riaffermando nel giovane i valori
che si stanno perdendo.
L’aiuto, nei casi estremi, di uno psicoterapeuta che coinvolga tutta la famiglia può dare
risposte efficaci se sussiste la volontà, da parte della famiglia stessa, di trovare una
giusta soluzione che deve essere indirizzata al completo recupero del giovane.
Il disagio può portare anche alla depressione, entrando in un vortice complesso dove la
25
via d’uscita può risultare difficile e a lungo termine. Da una ricerca è emerso che dal
2000 i farmaci antidepressivi sono aumentati del 400% pari a 1,4 miliardi di euro
l’anno di spesa: parte a carico del servizio sanitario nazionale, parte a carico
dell’utente.
In un mondo disfunzionale come quello attuale, non si può pensare che l’io ne sia
avulso: è coinvolto, obtorto collo, nella modernità con tutti i suoi risvolti negativi.
La depressione è la seconda malattia disabilitante sul lavoro con tendenza all’aumento.
Viviamo in una società in frenetica evoluzione, dove la globalizzazione ed il
il consumismo generano ansia da prestazione in una competizione costante di essere
aggiornati su tutto quanto circonda l’universo tecnologico-informatico.
Una società che genera malessere, per le innumerevoli problematiche in ogni suo
ambito a cui non trova né sa dare una risposta concreta, non può che generare sfiducia
nel futuro, inquietudine, incertezza fino ad arrivare alla depressione.
Grande rilievo ha, in questi casi, la famiglia che deve svolgere un ruolo importante,
dare sicurezza, avere la consapevolezza di saper ascoltare e comprendere quali possano
essere i fattori a rischio disagio, come prevenirli e come aiutare il giovane a venirne
fuori nel miglior modo possibile. Nulla va sottovalutato né lasciato al caso: le
avvisaglie devono mettere già in allerta: euforia estrema, tristezza, la tendenza a
isolarsi, mutismo, nascondono qualcosa di importante e serio che va analizzato anche
attraverso l’aiuto di uno psicoterapeuta. La risposta, a volte, è dietro l’angolo: bisogna
cercarla.
Forse è un eccessivo stato di benessere che ci fa rivolgere l’attenzione a cose fugaci
che però se non ottenute generano stati d’ansia, disagio, malessere, depressione.
Uno studio dell’Università di Oxford (GB) ha rilevato che chi soffre del male di vivere
è circa tre volte più portato a commettere un crimine rispetto a chi non è depresso.
La modernità ci ha regalato questa nuova “malattia sociale” che colpisce soprattutto
persone di un ceto sociale che va dal medio in su: le persone che non sbarcano il
lunario hanno problematiche diverse e sicuramente molto più concrete.
26
4. La globalizzazione ed i risvolti sanitari
4.1 Gli effetti della globalizzazione
Joseph Stiglitz15 nella sua “La globalizzazione e i suoi oppositori” definisce:
“La globalizzazione è una forza positiva che ha portato enormi vantaggi ad alcuni,
ma per il modo in cui è stata gestita, tanti milioni di persone non ne hanno tratto
alcun beneficio e moltissime altre stanno ancora peggio di prima”
Antony Giddens16 ne “Le conseguenze della modernità”1994):
“Possiamo quindi definire la Globalizzazione come l’intensificazione di relazioni
sociali mondiali che collegano tra loro località distanti facendo sì che gli eventi locali
vengano modellati dagli eventi che si verificano a migliaia di chilometri di distanza e
viceversa.
La globalizzazione17 ha avuto inizio dopo la seconda guerra mondiale, quando sono
nate le prime grandi multinazionali; ha avuto un’accelerazione a partire degli anni ’70
con l’avvento dell’informatica che ha migliorato i tempi di produzione, e di
conseguenza l’espansione della comunicazione, allo sviluppo di trasporti e alla
liberalizzazione dei commerci e degli investimenti finanziari. Le telecomunicazioni
consentono di trasferire immagini, news, ecc. in tempi sempre più rapidi grazie ai
satelliti e alla telefonia mobile tanto che l’azienda principale può comunicare con
eventuali succursali sparse in tutto il mondo in tempo reale.
Il computer ha comportato una profonda trasformazione nel campo lavorativo ma, al
tempo stesso, impigrisce la mente, ossia l’uomo delega alla macchina anche le cose
più semplici della sua quotidianità. Il computer gestisce il ritmo della vita umana.
Uno dei rischi concreti è anche quello di un impoverimento culturale: se una cultura
dominante, attraverso i media, diffonde il proprio stile di vita, ci sarebbero
Joseph Eugene Stiglitz (Gary, 9 febbraio 1943) è un economista e saggista statunitense. Premio Nobel per l’economia
nel 2001
16
Anthony Giddens (Londra, 18 gennaio 1938) è un sociologo e politologo britannico.
15
17
Globalizzazione è un processo di interdipendenze economiche, culturali, politiche e tecnologiche i cui effetti positivi e
negativi hanno una rilevanza planetaria. Tra gli aspetti positivi vanno annoverati la velocità delle comunicazioni e delle
informazioni, l'opportunità di crescita per Paesi a lungo rimasti ai margini dell'economia, la contrazione della distanza
spazio-temporale e la riduzione dei costi per l'utente finale, grazie all'incremento della concorrenza. Gli aspetti negativi
sono il degrado ambientale, il rischio dell'aumento delle disparità sociali, la perdita delle identità locali, la riduzione della
sovranità nazionale e dell'autonomia delle economie locali e la diminuzione della privacy. Da Wikipedia
27
condizionamenti e le differenze culturali tra i vari popoli si assottiglierebbero.
Con la globalizzazione si pensava di poter, se non risolvere, quanto meno mitigare tutti
i problemi del mondo, migliorare il tenore di vita, soprattutto la povertà: in realtà
le popolazioni povere, sono rimaste tali a vantaggio delle multinazionali che decidono
i mercati e spesso tengono in ostaggio i governi.
Questo processo di interdipendenze economiche, culturali, politiche e tecnologiche
dagli effetti positivi e negativi, ha generato molte discrepanze tra le varie società, come
ricchezza per alcune multinazionali ed impoverimento per alcuni paesi. Soprattutto in
questi ultimi si verifica costantemente un aumento dei decessi infantili, dovute a
carestie e quindi a denutrizione, ma anche un aumento della desertificazione dovuta
alla scarsa cultura e protezione dell’ambiente ma soprattutto ad una carente riserva
idrica, un aumento di gravi epidemie dovute alle scarse risorse interne, alla scarsa
igiene, ai contatti promiscui senza protezione adeguata.
Da quanto sopra detto si evince che la salute della popolazione, intesa come un
“completo stato di benessere fisico e psicologico” (OMS 1978), dipende più da fattori
legati all’ambiente fisico e a quello economico, che dal mero consumo dei servizi
sanitari.
Una novità viene dai ricercatori dell’università di Eindhoven (Olanda), ancora in fase
di studio, è il “computer del DNA” in grado di rilevare diversi anticorpi nel sangue ed
eseguire calcoli successivi, ossia permette il controllo di farmaci nel sangue in tempo
reale. E’ un sistema che permetterà di utilizzare farmaci “intelligenti” per diminuire
gli effetti collaterali.
Un’altra novità dovuta alla globalizzazione è quanto l’Istituto di Scienze e Tecnologie
della Cognizione del CNR in collaborazione con altri partner europei ha prodotto e
presentato: Giraff, un robot di telepresenza prodotto dalla Giraff Technologies AB,
una piccola azienda svedese. Giraff, soprannominato “la badante robot”.
28
E’ stato concepito per
fornire un aiuto domestico permanente a persone con
problematiche di mobilità o anziani che non potendo disporre un assistente permanente
e volendo fortissimamente rimanere nella loro abitazione hanno modo, così, di
conservare una certa autonomia.
È uno dei robot del programma “GiraffPlus”, sperimentato in tutta Europa. I ricercatori
stanno utilizzando questi “badanti” elettronici, che consentono, tra l’altro, contatti
immediati col personale medico.
Inizialmente serve un po’ di pratica ma una volta appresi i meccanismi, Giraff si rivela
un valido sostegno. L’aiuto che può fornire è molteplice: si passa da quello fisico per
alzarsi dal letto o per camminare, a quello interattivo psicologico in grado di
comprendere e rispondere a contesti generici, a quello di monitoraggio per verificare
in modo costante lo stato di salute del paziente: il robot gestito dal caregiver, ossia da
colui che ha la responsabilità dell’assistito, normalmente un familiare, anche se vive
lontano ha la possibilità di stare in perenne contatto, di televedersi e comunicare. In
caso di necessità vengono avvertite le unità sanitarie.
In un mondo senza più confini, i professionisti sanitari di paesi più evoluti viaggiano
per i paesi poveri portando le loro esperienze ed il loro aiuto, mossi solo da spirito di
29
solidarietà e da ideali di umanità. E’ il caso di Médicine sans Frontières.
Scienziati di livello mondiale si confrontano, sono in costante contatto per trovare
soluzioni verso quei paesi carenti di risorse e privi di un servizio sanitario efficace ed
efficiente.
Ma ci si chiede se la globalizzazione sia un bene od un male per la salute.
Un gruppo di ricercatori, in un rapporto consegnato alla Commissione sui
Determinanti Sociali della Salute dell’OMS ha prodotto il seguente schema, apparso
su “SALUTE INTERNAZIONALE INFO DEL 25 gennaio 2009” dove si evince come
la globalizzazione possa incidere sulla salute:
I contatti costanti tra i vari governi e le politiche internazionali volte al miglioramento
della salute dei popoli, potrebbero favorire, in maniera più massiccia, la distribuzione
di vaccini e farmaci favorendo gli strati della popolazione più debole.
30
Ma la povertà, la svalutazione delle monete nazionali, la liberalizzazione dei mercati
ed altri fattori legati all’ambiente ed al clima rendono negativi gli effetti della
globalizzazione poiché aumentano le differenzazioni sociali. Sono i paesi ricchi che
dettano le regole del mercato e le dettano a vantaggio di quei paesi che già possiedono
risorse in abbondanza dimenticando i paesi che non le hanno.
4.2 L’Health Impact Assessment
Per quanto detto l’Health Impact Assessment (HIA), o valutazione d'impatto sulla
salute (VIS), un insieme di procedure e metodiche che permettono di determinare gli
effetti positivi e negativi prodotti sullo stato di salute della popolazione da politiche,
programmi e progetti, in settori anche non sanitari (es. ambiente, urbanistica, trasporti,
viabilità) analizza sia le conseguenze dirette sul benessere della collettività sia quelle
indirette, derivanti da una modifica dei molteplici determinanti di salute.
L’OMS indica nei settori del
trasporto, dell’alimentazione, dell’agricoltura, degli
alloggi, dei rifiuti, dell’energia, dell’urbanizzazione, dell’acqua, della radiazione
(parlare dei muri delle case – radom), della nutrizione come quelli nei quali vi è
evidenza scientifica di un loro impatto in termini di miglioramento della salute
pubblica.
Molto si è fatto e tanto altro si sta facendo per limitare i rischi della popolazione in un
mondo in continua evoluzione ma resta ancora molto da fare alla soglia della IV
rivoluzione industriale che prevede, tra l’altro: la medicina arriverà ai limiti del
possibile, ricostruendo le cellule e i tessuti danneggiati da quasi tutte le patologie,
portando la longevità a prospettive di vita fin ora inimmaginabili.
Si aprirà, poi, il problema delle risorse del pianeta e spetterà agli scienziati trovare
soluzioni.
Il Protocollo d’Intesa fra il Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e il
Ministro della Salute, sottoscritto in data 24 giugno 2010, prevede tavoli di
concertazione per la realizzazione di iniziative di internazionalizzazione della ricerca
nei settori correlati alla salute ed alla qualità della vita, ed in particolare
d’implementazione delle iniziative di programmazione congiunta della ricerca europea
31
E’ un piano per migliorare la ricerca, lo sviluppo e l’innovazione ai fini di conseguire
gli obiettivi individuati dalla strategia Europa 2020.
L’Italia, come altri Paesi europei, è tra le più arretrare nel settore di ricerca e sviluppo,
nonostante sia recente la scoperta, tutta italiana, di un nuovo motore molecolare che
sarà in grado, tra le tante applicazioni, di trasportare i principi attivi dei farmaci
all’interno del corpo umano. Il futuro della medicina saranno le nanotecnologie che
coinvolgeranno la fisica, la chimica, l’informatica e qualsiasi settore tecnologico.
Difronte a questo scenario di future e buone speranze vi è anche il risvolto della
medaglia: innanzitutto andrà evitato il monopolio per non sottomettere gli Stati ad un
unico fornitore, poi le multinazionali deterranno un potere enorme di difficile controllo
da parte dei vari paesi. Non vorrei si arrivasse a un “do ut des” però con la “conditio
sine qua non”.
In Europa qualcosa si sta già muovendo: Il Governo crede fermamente nella
nanotecnologia, … e presto sarà attiva in tutto il Paese una rete di 22 centri nanotecnologici che godranno del finanziamento di circa 50 milioni di sterline Lord
Sainsbury (Ministro della Scienza e Innovazione, UK).
Quello che preoccupa sono i paesi detentori dell’equilibrio dell’economia mondiali,
ossia i paesi arabi produttori di petrolio: La nanotecnologia gioca un ruolo unico nello
sviluppo del settore privato …occorre migliorare gli investimenti in Kuwait – Sheikh
Sabah Nasser Al-Mohammad Al-Sabah (assistente sottosegretario agli affari della
famiglia reale, Kuwait); Oggi esportiamo petrolio, in futuro esporteremo nanoprodotti – Feryal Al-Freih (direttore operativo del KISR, Kuwait).
Questi paesi, ricchissimi, hanno tante risorse per poter investire nella ricerca e così
facendo continuerebbero ad essere i detentori del suddetto equilibrio.
E’ anche per questo motivo che l’unica via percorribile sarà quella della cooperazione
internazionale: scienziati di ogni paese che collaborano per il bene dell’umanità.
32
5. Dalla nascita del Servizio Sanitario Nazionale al Terzo Settore
5.1 La nascita del S.S.N.
Un grande cambiamento dagli aspetti socio-economico-culturali si è avuto con
l’istituzione del Servizio Sanitario Nazionale con la legge 833 del 23 dicembre 1978,
meglio conosciuto con l’acronimo S.S.N.
Le mutue, esistenti fino ad allora, la più importante delle quali era l'Istituto Nazionale
per l'Assicurazione contro le Malattie (INAM), pur garantendo a tutti i cittadini
l’assistenza sanitaria, non garantivano, però, l’uguaglianza dell’assistenza stessa da
cittadino a cittadino nel senso che le mutue con più risorse economiche potevano
offrire servizi migliori.
Infatti, ogni mutua era competente per una determinata categoria di lavoratori che,
con i familiari a carico, erano obbligatoriamente iscritti alla stessa e, in questo modo,
fruivano dell'assicurazione sanitaria per provvedere alle cure mediche e ospedaliere,
finanziata con i contributi versati dagli stessi lavoratori e dai loro datori di lavoro. Ciò
generava delle disuguaglianze poiché la salute veniva garantita a tutti non come
cittadini ma come lavoratori.
Tale sistema contraddiceva l’art. 3 della Costituzione (ogni cittadino è uguale di fronte
alla legge) e non era in ottemperanza con l’art. 32 della stessa Costituzione (la salute
è un diritto dell’individuo).
La legge n. 833 stabilisce che l’attuazione del Servizio Sanitario Nazionale è di
pertinenza dello Stato, delle Regioni e degli Enti territoriali, garantendo la
partecipazione dei cittadini. Per quanto riguarda l’organizzazione vengono individuati
tre livelli di competenza: a livello nazionale viene gestita la pianificazione degli
interventi, al livello regionale, su delega diretta della stato, vengono esercitate le
funzioni legislative e di amministrazione in materia di assistenza sanitaria e, infine, al
livello comunale l’erogazione dei servizi sanitari attraverso le funzioni proprie delle
Unità Socio-Sanitarie Locali (USL) a loro volta divise in distretti.
Nel primo decennio dalla nascita del S.S.N. la politica entra nella gestione diretta della
sanità attraverso le USL e i risultati sono disastrosi: non c’è pianificazione,
33
programmazione efficiente ed i costi diventano esorbitanti ed incontrollati generando
un buco di disavanzo, generato anche dalla corruzione, che tutt’ora non è stato
riassorbito.
Il decreto legislativo n. 502 del 30 dicembre 1992 e quello successivo n. 517 del 7
dicembre 1993 trasformano le USL in ASL (Aziende Sanitarie Locali) che vengono
gestite come una vera azienda attraverso la ripartizione del Fondo Sanitario Nazionale
responsabilizzando ogni regione sui livelli di spesa. I pagamenti vengono effettuati a
rimborso secondo le prestazioni erogate.
Causa i disastrosi disavanzi del S.S.N. ogni cittadino partecipa alle spese per i costi di
un servizio mediante l’I.S.E.E. ( Indicatore Situazione Economica Equivalente ).
I criteri per il calcolo sono stabiliti dallo Stato.
Il S.S.N. ha tre caratteristiche essenziali:
1) essere un sistema generalizzato o, per meglio dire, universale, che riguarda la
totalità della popolazione;
2) essere un sistema unificato perché un solo contributo copre l’insieme dei rischi;
3) essere un sistema uniforme, poiché garantisce le stesse prestazioni a tutti gli
interessati.
Il vero cambiamento culturale si ha nella definizione del cittadino fruitore di un
servizio socio-sanitario-assistenziale.
Infatti, il S.S.N. pur confermando un sistema sanitario “universalistico” introduce il
criterio della “selettività”: i cittadini non più “UTENTI” ma “CLIENTI” possono
scegliere se accedere ad un servizio pubblico o privato presso strutture accreditate18
che in base ai criteri di concorrenza cercano di superarsi offrendo servizi se non
migliori ma almeno a minor o ugual prezzo che nelle strutture pubbliche; in più viene
limitato il periodo di attesa.
Il nostro S.S.N. ha dei punti di forza riconosciuti in ambito internazionale, come
rilevato
anche dall’ OMS
e
dall’OCSE: capacità
di
risposta
assistenziale
universale, accessibilità ai servizi dei cittadini, ampia copertura farmaceutica a carico
18
Accreditamento: viene concesso alle strutture private che hanno caratteristiche e professionalità di poter erogare
alcuni servizi parimenti ad un ente pubblico.
34
del SSN, ampia
aspettativa
di
vita
in
buona
salute alla nascita, reti per
l'effettuazione dei trapianti d'organo, assistenza pediatrica gratuita, diffusione della
diagnostica ad alta tecnologia, elevati livelli di copertura vaccinale.
A fronte dei suddetti punti di forza si rilevano altresì le seguenti criticità del sistema:
costo elevato del personale e soprattutto forti disparità tra Regioni che non lasciano
presagire un risanamento a breve del debito nei confronti dello Stato.
5.2 Il Welfare State ed il Terzo Settore
All’inizio si chiamò
Wohlfahrtsstaat – ossia Stato di benessere – e se lo era
inventato in Germania Otto Van Bismarck con un’innovativa legislazione sociale.
Del concetto si impossessarono gli inglesi agli inizi degli anni ’30 con Alfred Zimmer
a cui si deve il termine Welfarstate, ma fu soltanto dieci anni dopo che fece presa sulle
masse popolari. Si era nella II guerra mondiale e già si pensava al dopo, alla
ricostruzione: la nuova democrazia europea passava dal soddisfacimento dei bisogni
umani più elementari. Agli Stati non occorreva più solo garantire i tradizionali diritti
civili e politici del cittadini, ma anche ampliare la propria sfera ai nuovi diritti sociali,
al sostentamento, alla salute, al lavoro. A mettere insieme il tutto fu una commissione
presieduta da Sir William Henry Beveridge
(Rangpur 1879 - Oxford 1963) che
pubblicò, nel 1942, il rapporto con il titolo Social Insurance and Allied Services. Il
testo ebbe un notevole successo e divenne la base della discussione sociale del
dopoguerra.
Tale rapporto riguardava un’ inchiesta ministeriale sulla riorganizzazione dei servizi
sociali da proporre per il dopoguerra e prevedeva l'assistenza sanitaria gratuita e
l'estensione della previdenza sociale ai ceti meno abbienti. Ispirò la legislazione
sociale del governo del laburista Attlee. Deputato liberale, fu nominato “lord” nel
1946.
Il Social Insurance and Allied Service conosciuto universalmente come piano
Beveridge è considerato il modello di Welfare State che ha segnato la ricostruzione
politica almeno nel continente europeo. L’idea di fondo era quella di sconfiggere i 5
elementi negativi della società contemporanea: povertà, malattia, ignoranza, squallore
35
e disoccupazione. Per farlo era stato ipotizzato un articolato sistema di sicurezza
sociale per intervenire in sostegno dell'individuo in caso di bisogno tramite assegni
familiari, sussidi di disoccupazione, malattia, infortuni e naturalmente pensione di
anzianità e invalidità. Era auspicata anche la creazione di un servizio sanitario
nazionale.
Mentre il Welfare State inglese non metteva in discussione l’assetto sociale del Paese
(tutti erano chiamati a contribuire in ugual misura dal cameriere al lord e ad avere gli
stessi benefici), il Welfare italiano si tradusse in una confusione esasperante dai
risvolti economici catastrofici: ipertrofia burocratica, inefficienza, clientelismi, baby
pensioni, debito pubblico insostenibile di cui dopo 40 anni ancora ne subiamo gli
effetti. A ciò si aggiungeva l’invecchiamento della popolazione19 e la mancanza di
lavoro per i giovani.
Un’alternativa fu la Welfare Society, con la nascita delle Organizzazioni No Profit
(O.N.P.), - cosiddetto Terzo Settore - e Profit in grado di rispondere alle esigenze delle
famiglie e cittadini laddove lo Stato non arrivava. La libertà di scegliere senza
imposizioni dello Stato dalla sanità, all’istruzione, al sociale.
I sistemi di Welfare State ebbero una notevole espansione: in un primo momento
giustificata dalla forte crescita dell’economia, successivamente per coprire gli effetti
negativi della crisi petrolifera.
Le logiche dello Stato Sociale non hanno coinciso sempre con l’idea comune di
giustizia: gli abbondanti flussi di denaro erogati dallo Stato favorivano determinate
categorie di cittadini trascurandone altre (i giovani in particolare) e alimentando così il
fenomeno della crescente esclusione sociale.
In più, questi interventi dello Stato seguivano spesso logiche poco trasparenti,
soprattutto in Italia: nei meandri dello Stato Sociale si sono insinuati spesso favoritismi
e connivenze, rendendo ancora meno efficiente l’opera dello Stato.
“La struttura d’età della popolazione è cambiata molto in quest’ultimo decennio in conseguenza di un processo di
invecchiamento che andrà progressivamente intensificandosi nei prossimi anni e che inevitabilmente costituirà il
cambiamento strutturale di maggior impatto sulle politiche sociali”. Da“Welfare - Rapporto di Monitoraggio sulle
Politiche Sociali” 2005 – Ministero del lavoro e delle Politiche Sociali.
19
36
La spirale di queste applicazioni distorte dei principi del Welfare State provocò esiti
disastrosi sul bilancio statale: si sentì quindi la necessità di un ridimensionamento
dell’intervento pubblico, incentivando nuove forme di organizzazione di utilità sociale.
Successivamente nuove esigenze della popolazione imposero sempre nuovi interventi
da parte dello Stato che intravide in un Welfare Mix una nuova tipologia di
partecipazione: nella sanità, nella scuola, nell’assistenza ci devono essere agenti misti
di pubblico, privato, No Profit, capaci di proporre offerte alternative.
Si deve avere la possibilità di libera scelta, che è garantita dal fatto che le tasse
possono diventare o spesa pubblica o detrazione o deduzione. Il diffondersi del Terzo
Settore rafforza l’errata convinzione che la crisi delle politiche del Welfare sia da
ricondurre solo alla esiguità delle risorse disponibili mentre non si tiene nella giusta
considerazione la ridotta capacità e sensibilità del mondo politico, incapace di attivare
misure efficaci nel settore socio-sanitario. Si ha come l’impressione che molti processi
sociali siano abbandonati a se stessi e non possono essere affrontati con il pieno
apporto della ricerca sociale.
Dovere della società civile è dare a tutte le persone, soprattutto alle fasce più deboli,
gli strumenti necessari per migliorare la propria autonomia, culturale e sociale,
ponendole in condizioni di apprendere, socializzare e, di conseguenza, svolgere un
ruolo professionalmente valido nella società.
Se le istituzioni pubbliche non ne sono all’altezza o non dispongono di risorse
disponibili, ecco che il Terzo Settore si propone nella vastità delle sue organizzazioni,
capaci non solo di sostituirsi allo Stato per soddisfare bisogni sempre più nuovi sempre
più pressanti ma anche di programmare strategie di finanziamento che coinvolgono
Istituti di Credito, fondazioni, donazioni e lasciti.
Le organizzazioni del privato sociale sono più efficienti dello Stato, godono una
situazione di migliore informazione riguardo ai bisogni sociali e la loro piccola
dimensione garantisce una maggiore flessibilità e quindi politiche di intervento più
efficaci.
Dovere della società civile è dare a tutte le persone, soprattutto alle fasce più deboli,
gli strumenti necessari per migliorare la propria autonomia, culturale e sociale,
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ponendole in condizioni di apprendere, socializzare e, di conseguenza, svolgere un
ruolo professionalmente valido nella società.
Se le istituzioni pubbliche non ne sono all’altezza o non dispongono di risorse
disponibili, ecco che il Terzo Settore si propone nella vastità delle sue organizzazioni,
capaci non solo di sostituirsi allo Stato per soddisfare bisogni sempre più nuovi sempre
più pressanti ma anche di programmare strategie di finanziamento che coinvolgono
Istituti di Credito, fondazioni, donazioni e lasciti.
Le organizzazioni del privato sociale sono più efficienti dello Stato, godono una
situazione di migliore informazione riguardo ai bisogni sociali e la loro piccola
dimensione garantisce una maggiore flessibilità e quindi politiche di intervento più
efficaci.
E’ importante, però, notare che parlando di Terzo Settore non ci si riferisce soltanto ad
enti che operano nei tradizionali campi di intervento del Welfare State: sono infatti
ricomprese sotto questa definizione anche organizzazioni sportive, culturali, ricreative,
ambientaliste.
5.3 Il Volontariato
Laddove il S.S.N. ed il Terzo Settore non danno quelle risposte sufficienti in materia di
assistenza, spuntano quella pluralità di organizzazioni che sebbene diverse tra loro
hanno la stessa finalità: contribuire alla realizzazione del pubblico interesse, la tutela
della salute nel suo significato più ampio.
Il volontariato, che per alcuni appartiene al Terzo Settore e per altri costituisce il
Quarto, contribuisce a dar voce ai bisogni dei soggetti svantaggiati e svolge un ruolo
fondamentale nella valutazione partecipata della qualità dell’assistenza.
Soprattutto nell’area sociale il volontariato svolge un ruolo di primissima importanza e
di supporto alle persone ed alle famiglie bisognose. Gruppi formati da cittadini o
parenti dei malati si adoperano per portare supporto ed anche affetto a quelle persone
che o per malattia e per solitudine hanno bisogno di aiuto, anche della sola compagnia.
Con l’innalzamento dell’età media di vita e alle possibili conseguenze di non
autosufficienza, il SSN dovrà sempre più fare affidamento alle associazioni di
38
volontariato che sempre più si integrano nella rete dei servizi socio-sanitariassistenziali, richiamando quei valori di collaborazione tra cittadino e stato.
Vanno coinvolti i familiari e le associazioni di volontariato nei percorsi assistenziali al
fine di dare loro quella preparazione e competenze per poter rendere efficaci ed
efficienti i loro interventi.
Il Quadro europeo per la qualità dei servizi di assistenza a lungo termine per il
benessere e la dignità delle persone anziane (progetto WeDO) ci manifesta come in
tutti i Paesi membri i continui tagli di bilancio nel sistema socio-sanitario-assistenziale
ed un’aspettativa di vita più lunga in più anni di vita attiva e sana richiedano la
necessità di assicurare alla popolazione le cure e l’assistenza di cui hanno bisogno per
invecchiare con dignità, con il supporto delle strutture pubbliche, private e del terzo
settore, ivi incluso le organizzazioni di volontariato.
5.4 L’antropologia medica
L'antropologia medica che ha preso piede come disciplina universitaria ha un passato
recente di circa trenta anni. Il suo termine è la traduzione di medical anthropology,
apparso nella scuola antropologica statunitense intorno agli anni sessanta.
Si occupa, più che studia, dell'impatto del sistema medico sul corpo e la psiche
individuali e delle sue conseguenze, del rapporto tra guaritore e malato in relazione
alle distinte culture e tradizioni, di come differenti culture abbiano elaborato differenti
pratiche a fronte di una comune patologia, l’impatto della società sulla salute e i
problemi esistenziali collegati alle tematiche della salute, della malattia e della cura.
Analizza anche le soluzioni di medicine non occidentali sugli stessi fenomeni sopra
descritti.
All’inizio gli studiosi hanno trattato di religione, rituali, stregoneria, modi di pensare
comparativi, oggi l’Antropologia Medica va aldilà delle credenze: le studia, cerca di
comprendere ma va oltre, nella costante ricerca di unire scienza e credenze che
possono escludersi a vicenda ma anche essere parti complementari di un tutt’uno.
Si avvale di infermieri, medici, psicologi che al tempo stesso hanno avuto anche una
formazione antropologica e che utilizzano sistemi antropologici e delle scienze sociali
39
per quanto concerne la comprensione di questioni legate alla salute e alla malattia, alla
guarigione e ai sistemi di cura.
La SIAM ( Società Italiana di Antropologia Medica ) è sorta nel 1988 ed è presente dal
1996 con la rivista AM e dal 2003 con il sito www.antropologiamedica.it
Attualmente, secondo Tullio Seppilli20 che ne è il Presidente, l’ambito di ricerca
dell’antropologia medica si articola lungo tre assi di ricerca, così sommariamente
descritti:
a)
i processi attraverso i quali eterogenei fattori del sociale
intervengono nel condizionare in diverso modo il manifestarsi e il
successivo andamento di disturbi psichici e fisici;
b)
il modo in cui gli individui classificano, interpretano tali disturbi,
secondo quali schemi ideologico-culturali;
c)
l’insieme della strumentazione prodotta in ciascun contesto per
intervenire contro tali disturbi (saperi, pratiche, figure specializzate ecc.), le
norme convenzionali e le strutture istituzionali che regolano i rapporti tra queste
figure e i loro utenti. (AM, 1, p.14).
Studiosi fanno ricerche ovunque nei paesi dove sono più sviluppate le cure
alternative sottolineando quelle complementarietà tra cultura locale e medicina.
Artur Kleinman21 (1980), a seguito di una sua ricerca a Taiwan, ha
evidenziato come l’individuo, in cerca di risposte su un episodio patologico
e successiva diagnosi, si trovi a scegliere in tre diversi settori secondo le
proprie valutazioni:
1) il settore popolare che comprende credenze e pratiche dell’individuo
ammalato, della sua famiglia e della comunità di cui è parte;
20
Tullio Seppilli (Padova, 16 ottobre 1928), antropologo, presidente anche della Fondazione Angelo Celli per la cultura
della salute.
21
Arthur Kleinman, nato 11 marzo 1941, famoso psichiatra americano e professore di Antropologia Medica.
Fin dal 1968 ha svolto ricerche nella società cinese, prima a Taiwan e dal 1978 in Cina sulla depressione, somatizzazione,
epilessia schizofrenia e suicidio come forme di violenza. Ha scritto trattati sulla salute pubblica e le questioni
internazionali e sofferenza sociale, la psichiatria transculturale, e l'esperienza individuale del dolore e della disabilità.
40
2) il settore professionale, che comprende conoscenze e pratiche degli
operatori istituzionalizzati,
3) il settore “etnico”, che implica l’azione di operatori tradizionali che
hanno lo status ufficiale di terapeuta.
Dott Mauro Guidoni
BIBLIOGRAFIA
-
ANTROPOLOGIA MEDICA E ORGANIZZAZIONE SANITARIA – Area -54c.it;
-
Dossier Caritas Migrantes 2010;
-
Legge 328 del 2000;
-
“LE MATRICI CULTURALI DELLA DIAGNOSI E DELL’INTERVENTO
SOCIO-SANITARIO” Università degli Studi di Bergamo - Anno Accademico 20042005;
-
Marc Augé: I nonluoghi;
-
A cura dell’Istituto Nazionale Salute, Migrazione e Povertà: Migrazioni
Internazionali e Salute - Manuale Pratico Per Operatori Sanitari.
-
Medical Anthropology at Home, e in particolare gli atti della sessione di
Tarragona del 2001 pubblicati su AM 11-12 (ottobre 2001) e AM 13-14 (ottobre
2002);
-
Salute Internazionale Info del 25 gennaio 2009
-
J.Silverman – S. Kurtz – J. Draper: Competenze per comunicare con i pazienti.
Ed. Piccin nuova Libraria. Padova 2015
41