Università degli Studi di Roma "Tor Vergata" SEDE DI TIVOLI - ASL ROMA 5 – Via Parrozzani, 3 SEDE DI ROMA – Scuola Universitaria per Infermiere Suore della Misericordia Via San Giovanni in Laterano, 87 MASTER DI I LIVELLO ANALISI ORGANIZZATIVA E SVILUPPO DEI PROCESSI PROFESSIONALI DISCIPLINA: ASPETTI CULTURALI CHE INFLUENZANO L’ORGANIZZAZIONE SANITARIA A.A. 2016-2017 0 ASPETTI CULTURALI CHE INFLUENZANNO L’ORGANIZZAZIONE SANITARIA Introduzione Edward Burnett Tylor (Londra, 2 ottobre 1832 – Wellington, 2 gennaio 1917) antropologo britannico, ha dato una definizione della cultura che è rimasta invariata per 50 anni “Cultura o civiltà, intesa nel suo ampio senso etnografico, è quell’insieme complesso che include le conoscenze, le credenze, l’arte, la morale, il diritto, il costume e qualunque altra capacità e abitudine acquisita dall’uomo in quanto membro di una società” (La cultura primitiva, 1871). La cultura, nel suo risvolto antropologico, non è ereditaria ma viene appresa nel tempo da ogni individuo secondo la società, l’ambiente dove vive. È un’acquisizione inconscia e lenta che entra nel nostro quotidiano, regola il nostro agire, forma il nostro io, regola il nostro carattere: in antropologia il termine che definisce questo processo è inculturazione, ossia il processo di trasmissione della cultura da una generazione all'altra. Ogni individuo, fin dalla più tenera età, comincia ad apprendere la lingua, l’educazione, la partecipazione a giochi, ricorrenze, festività; assimila regole e consuetudini; memorizza i racconti degli anziani per tramandarli a sua volta alle generazioni future; è consapevole della propria appartenenza a un gruppo sociale (famiglia, scuola, amici, lavoro), ne assimila le abitudini, i riti. La cultura riguarda l’antrhopos, ossia l’uomo in tutto ciò che è e che è diventato nell’arco della sua vita in relazione alla società dove ha vissuto. Richiamando i concetti antropologici della cultura ci danno un quadro di tre tratti differenti: 1) differenze culturali: si intende la percezione che il mondo sia organizzato, in modo rilevante, in forme culturali distinte. Gli adattamenti all’ambiente avvengono mediante cambiamenti dell’ambiente e della specificità dell’uomo. Nasce in seno alla scienza e consente di studiare gli esseri umani in relazioni 1 all’ambiente dove vivono. Ma i tratti culturali hanno una loro origine e sono un prodotto che si intreccia con altri; 2) identità culturali: è il riconoscimento forte di una appartenenza. Qualcosa da difendere. E’ una autorappresentazione della propria identità. E’ ciò che definisce il noi; 3) habitus – orizzonte simbolico: è un assorbimento della cultura che l’individuo non rivendica come tratto della propria identità, ma vive. Va al di là della logica, non è manipolabile dall’intenzionalità dei soggetti. Siamo dentro a delle relazioni apprese, legati a storie di altri, al di là della nostra volontà. Potrebbe definirsi una identità di radice, etnica. Per esempio l’habitus può essere la famiglia, è il mondo domestico intorno a noi. A volte basta un odore richiamare alla memoria la nostra infanzia, la nostra famiglia. La superiorità della cultura europea (etnocentrismo)1 sulla cultura degli altri popoli, è finita con la II guerra mondiale: non vi è più il confronto tra società moderne e società tradizionali dove si desumeva che quest'ultime avessero caratteristiche proprie del sottosviluppo, utilizzando, erroneamente, economico capitalista occidentale, tra cui parametri tipici del sistema sociogli indici del reddito pro-capite, della produzione, dell'alfabetizzazione, del tasso di natalità e di mortalità. Il relativismo culturale ha ristabilito la giusta equazione: non esiste un’unità di misura universale per la comprensione dei valori culturali, in quanto ogni cultura è portatrice di norme e valori che hanno validità solo all’interno della cultura stessa ma non al di fuori. Ciò ha contribuito a meglio comprendere le culture differenti da quelle occidentali con la conclusione che una cultura non si può considerare superiore o inferiore ad un’altra. Il relativismo culturale è stato definito come "la comprensione di un'altra cultura alle sue condizioni in modo abbastanza simpatetico2 da farla apparire come progetto 1 Etnocentrismo: tendenza a giudicare le altre culture ed interpretarle in base ai criteri della propria proiettando su di esse il nostro concetto di evoluzione, di progresso, di sviluppo e di benessere, basandosi su una visione critica unilaterale. Ciò ha generato le guerre coloniali. 2 Simpatetico: provare gli stessi sentimenti, che si accorda al modo di pensare e di sentire al carattere ed alle inclinazioni di una persona 2 di vita coerente e significativo" (.Greenwood 3 1977). L'evoluzione umana ha richiesto un allargamento delle conoscenze, un approfondimento di quanto già si conosceva, la ricerca del sapere scientifico. I popoli, come diceva Tylor, sono passati da uno stato primitivo, incentrato sul nomadismo, ad uno stato barbarico, con l’allevamento, l’agricoltura e i primi rudimenti di una società, fino ad arrivare allo stato della civilizzazione. La cultura è un vasto mondo di concetti e di cose concrete che l’uomo utilizza a proprio vantaggio per il suo bene e per quello delle future generazioni. Ricordiamoci sempre che noi siamo depositari di una cultura e di un mondo ed abbiamo il sacro dovere di preservarli e consegnarli, per quanto possibile, migliori alle generazioni che verranno. Gli aspetti culturali, però, rientrano nella sfera dell’antropologia che come scienza olistica4, ha molti punti in comune con l’infermieristica: entrambi si dirigono verso l’antrhopos, ossia l’ uomo nella sua globalità e molteplicità di componenti, comprensivo di componenti biologiche, psicologiche, socioculturali e spirituali. L’uomo agisce integrandosi con l’ambiente dove vive e ne assorbe i caratteri di quella società. La figura dell’infermiere, tassello essenziale nel panorama delle reti socio-sanitarie di assistenza e cura, fonda la propria imprescindibilità sulla comprensione immediata dei bisogni primari e assistenziali, oltre ovviamente a quelli di tipo sanitario. Quanto detto da Marie-Françoise Collière5 esprime chiaramente questo concetto: “Ogni situazione di cura è una situazione antropologica, ovvero che riguarda l’uomo inserito nel suo ambiente, intessuto da ogni tipo di legame simbolico; così l’approccio Davidd James Greenwood nato nel 1942 professore di Antropologia e Direttore dell’Istituto per gli Studi Europei alla Cornell University negli Stati Uniti. 3 Olistica (olismo: dal greco όλος, cioè "la totalità"), ossia cerca di integrare tutte le conoscenze sugli esseri umani e sulle loro attività tratte dagli altri campi del sapere e ponte tra scienze naturali e sociali e discorsi umanistici. 4 5 Marie Françoise Collière (6 aprile del 1930 ad Oran, in Algeria - 27 gennaio 2005 Lione in Francia). Infermiera, insegnante, ricercatrice e storica delle cure, autrice di opere sulle cure infermieristiche, ha contribuito all’evoluzione ed al riconoscimento delle cure infermieristiche a livello internazionale 3 antropologico appare come il percorso più opportuno per scoprire le persone che vengono curate e rendere significative le informazioni che esso contiene.” Per ritrovare il senso delle cure – scriveva Collière – bisogna imparare ad ascoltare ciò che dicono i curanti, anche se non sempre riescono ad esprimerlo (...). È da ciò che diviene possibile arricchire queste cure facendo appello a conoscenze differenti ed appropriate. E le conoscenze differenti sono quelle che traspaiono dal concetto antropologico dell’uomo Un altro esempio lo abbiamo dall’antropologa statunitense, Madeleine Leininger6, che grazie al suo sguardo antropologico sul fenomeno assistenziale ha portato alla nascita del nursing transculturale, unendo identità culturale ed assistenza sanitaria. Ci dice: “Affinché gli esseri umani vivano e sopravvivano in un mondo salubre, tollerante e significativo, è necessario che gli infermieri e gli altri professionisti della salute apprendano le credenze, i valori e gli stili di vita dei popoli legati all’assistenza culturale per poter offrire un’assistenza sanitaria valida e culturalmente congruente” Detto questo, la società moderna, la trasformazione della famiglia, il fenomeno dell’immigrazione, la globalizzazione, ci portano a confrontarci con aspetti nuovi dove anche il sistema socio-sanitario-assistenziale ha dovuto apprendere i nuovi contesti societari ed attuare al riguardo per dare risposte positive ai nuovi bisogni. 1. La trasformazione della famiglia. Conseguenze La trasformazione della famiglia dovuto al crescente inserimento della donna nel mondo del lavoro e l’invecchiamento progressivo della popolazione, che comporta la crescita esponenziale del bisogno di servizi sanitari e socio sanitari, legata alla complessità crescente delle patologie, alla necessità di sviluppare percorsi di riabilitazione e reinserimento sociale dell’individuo, hanno comportato anche un cambiamento nei ruoli all’interno della famiglia e conseguentemente un rilevante Madeleine Leininger (Sutton, 13 luglio 1925 – Omaha, 10 agosto 2012) è stata un'infermiera statunitense. Nel 1968 la Leininger fonda il Comitato di Nursing e Antropologia (attualmente ancora attivo) all’interno del Medical Council Anthropology per scambiare idee, opinioni e per eseguire ricerche tra i campi del nursing e dell’antropologia. Tra il 1972 e il 1974 fonda la Società del Nursing Transculturale, come promotrice del nursing transculturale nel mondo 6 4 ricorso al mercato privato dell’assistenza. Mercato privato, in quanto lo Stato non possiede le risorse necessarie, umane, economiche e strutturali, per poter garantire, e quindi erogare, servizi pubblici domiciliari. La cura, come attività e come concetto, copre un ampio numero di relazioni, riguarda rapporti tra i diversi attori e istituzioni, coinvolge numerosi ambiti di intervento. La prof. ssa Elisabetta Donati asserisce che la cura può essere: Pubblica/Privata Remunerata/Non remunerata Formale/Informale Per cura formale si intende quella fornita da organizzazioni pubbliche, di volontariato e private; per cura informale si intende quella fornita dalla famiglia, dalla parentela, dagli amici e dal vicinato. Ma, sottolinea ancora la prof.ssa Elisabetta Donati, “la maggior parte dell’offerta di lavoro viene da donne immigrate, a volte senza competenze specifiche, senza tutela sociale a cui viene richiesto un impegno senza vincoli di orario e la massima disponibilità. Dall’altro lato vi è la famiglia, datrice di lavoro, con altrettanto scarse competenze nel ruolo7”. Si affaccia da due decenni, così, dovuto anche alle varie leggi sui flussi migratori, una nuova figura nel panorama dell’assistenza e cura che va ad integrarsi nel contesto sociale di riferimento: l’ assistente familiare. Quantificare il numero delle assistenti familiari è pressoché impossibile considerando le tante lavoratrici “in nero”. Nel 2006, secondo i dato INPS le colf e badanti, con permesso di soggiorno, erano poco più di 300.000, ma una ricerca dell’ IRS (Istituto per la Ricerca Sociale) ne ha stimate più del doppio, ivi comprese quelle irregolari. Cosa cambia, dunque, nel panorama dei Servizi Socio-Sanitari-Assistenziali? Il ricorso all’ assistente familiare ha contribuito a trasformare alcuni aspetti del Welfare locale, come riporta Alessandro Pozzi8: 7 Corso di laurea in Servizio Sociale Sede di Biella. Anno accademico 2008-2009. Prof.ssa Elisabetta Donati 8 Alessandro Pozzi: L’inserimento delle assistenti familiari nella rete dei servizi di long-term care. In Mutamento Sociale n. 17 – ottobre 2007. Home Sinergia Magazine 5 - la riduzione delle prestazioni di assistenza domiciliare di tipo pubblico, ad eccezione di quei casi in cui lo stato di salute dell’anziano richieda anche prestazioni di natura infermieristica o sanitaria; - la riduzione delle ammissioni nelle RSA per anziani; - l’abbattimento delle liste di attesa nelle RSA; - l’aumento dei ricoveri nelle case protette di anziani molto gravi; - la modificazione della relazione con il sistema dei servizi. Al fine di agevolare l’offerta e la domanda di lavoro si è ritenuto utile ed anche necessario, da parte dei Comuni, l’istituzione di un albo delle Assistenti Familiari ed uno sportello per coloro che conseguono un attestato di qualifica professionale al fine di: 1) rispondere alle esigenze di cura domiciliare delle famiglie ed eventualmente degli anziani; 2) dare visibilità a tutte le risorse territoriali che si occupano di assistenza familiare (dalla ricerca dell’assistente alla realizzazione del contratto di lavoro). 3) proporre un modello di lavoro di cura “qualificato” sperimentando un percorso formativo per le assistenti familiari che venga riconosciuto e certificato. I destinatari di tale innovazione sono: 1) Anziani e famiglie che cercano persone con le quali stabilire un rapporto di lavoro sia diurno che notturno o di convivenza per l’assistenza a domicilio; 2) Assistenti familiari italiani e stranieri qualificati in cerca di occupazione o di miglioramento occupazionale. 6 Promuovere la qualità del lavoro di cura Facilitare alle famiglie la ricerca di assistenti familiari formati Emersione lavoro nero Offrire un’opportunità di crescita professionale OBIETTIVI Offrire l’inserimento lavorativo per gli assistenti familiari L’ assistente familiare spesso è chiamata a svolgere mansioni assistenziali e socio sanitarie sempre più lontane dal lavoro domestico vero e proprio. Pertanto è quanto mai utile e necessario un percorso formativo nell’ambito sociosanitario che includa, tra le discipline portanti e determinanti ai fini del conseguimento del titolo “ i servizi alle persone e alla comunità, ossia la tutela della salute, come cura e prevenzione e i servizi sociali.” Giova ricordare che il sistema sociale, come pure quello sanitario, pur avendo intrapreso percorsi diversi perseguono lo stesso fine, ossia l’assunzione della tutela del singolo individuo sancita nella carta istituzionale e prevista nel perseguimento del 7 welfare9. Spesso i due sistemi viaggiano in parallelo e s’integrano e si compensano a vicenda alla ricerca della formula ideale per soddisfare le esigenze di quella o quell’altra persona, fino a conseguire il giusto mix per portare felicemente a termine un operato. Si sottolinea come ad un operatore dei servizi Socio-Sanitari-Assistenziali, qualunque sia la propria professione e mansione vengano richiesti alcuni requisiti soggettivi prima di quelli professionali. Requisiti che devono essere posseduti da chi vuole intraprendere una professione di servizio e cura alla persona e che possiamo includerli nell’etica morale che ognuno possiede: a) sensibilità: ossia quella capacità di comprendere i bisogni di una collettività in costante divenire, con particolare attenzione alle fasce più deboli della popolazione, cercando di offrire risposte adeguate e rispettose di ciascuna persona; b) affidabilità : quella certezza di offrire servizi adeguati alle esigenze con competenza e disponibilità assicurando professionalità e qualità nelle prestazioni; c) responsabilità: morale del proprio operato in un contesto relazionale che vede coinvolti utente, famiglia, operatore: l’utente, nella sua peculiarità ed unicità, da rispettare e da valorizzare nella sua problematicità. Conoscere adeguatamente un utente e saperne valutare altrettanto adeguatamente le sue condizioni. Relazionarsi con altri operatori che seguono, ognuno per il proprio campo, il medesimo utente e collaborare nella stesura di un progetto unico d’interventi. Infatti, la capacità, la volontà di rispondere a tali bisogni, asserisce Lorenza Maluccelli – docente di ricerca presso l’Università di Firenze – non solo “necessita un’esperienza considerevole da parte di chi presta la cura, ma può coinvolgere una particolare visione morale”. 9 Welfare: Lo Stato sociale, conosciuto anche come welfare state (stato di benessere tradotto letteralmente dall'inglese), è un sistema di norme con il quale lo Stato cerca di eliminare le diseguaglianze sociali ed economiche fra i cittadini, aiutando in particolar modo i ceti meno benestanti. 8 Risulta evidente che chi si occupa di persone in circostanze vulnerabili tentando di produrre benessere non possa non avere innato una predisposizione a tale professione, una profonda convinzione morale ed etica che la vita altrui ha un valore pari alla propria. Quanto detto, già ci dà una prima panoramica di alcuni aspetti culturali, presenti nell’odierna società, derivati dal cambio antropologico avvenuto in seno alla famiglia. 2. L’extracomunitario 2.1 Chi è l’extracomunitario L’extracomunitario è colui che “viene da fuori”, “chi è estraneo” ai nostri modi di pensare e di agire. Chi non si sente appartenente ad un gruppo od ad una comunità. Normalmente identifichiamo, erroneamente, per extracomunitario tutti gli stranieri che arrivano nel nostro Paese, senza considerare che la parola, di per sé, ha un significato ben preciso: l’extracomunitario è chi proviene da paesi fuori della Comunità Europea (composta oggi da 27 Paesi). L’accettazione dello straniero nel gruppo richiede da una parte la volontà di quest’ultimo di appartenervi, dall’altra la disponibilità da parte degli appartenenti al gruppo di accoglierlo. Il concetto di straniero ed il problema della sua accettazione è presente da sempre nella storia dell’uomo. L’uomo per necessità o per desiderio è sempre migrato sia a titolo provvisorio che stabile e si è sempre trovato di fronte al problema dell’integrazione, dell’accettazione di altre culture conservando la propria. Il valore fondamentale dell’immigrazione è di averci sottoposto alla grande sfida di accogliere ed elaborare il grido di dolore che viene dai paesi più poveri. Non ci possiamo limitare soltanto a favorire l’inserimento degli stranieri nella realtà italiana, ma è necessario che si crei una società trans culturale dove le realtà possano convivere con grande rispetto. La presenza di persone provenienti da culture altre, infatti, sfida costantemente le nostre istituzioni: scuola mondo del lavoro, salute, piano sociale. 9 Dobbiamo cercare di attuare modelli di accoglienza che si preoccupino anche delle persone apparentemente meno desiderate. Lo straniero, spesso, genera una certa paura e inquietudine e può sfociare nella xenofobia: un aspetto culturale che è entrato nella nostra quotidianità. Xenos è una parola greca che incrocia in sé i significati di straniero e di ospite e xenofobia, nelle lingue moderne, indica la paura dell’ospite e quindi l’odio per lo straniero. E’ fisiologico che la presenza dello straniero ci metta in discussione: proprio perché manca un terreno comune su cui fondare un’intesa e la conoscenza del retroterra da cui proviene. Ciò che nasce immediatamente di fronte allo straniero è la paura. Che non va derisa né minimizzata, ma presa sul serio e fronteggiata per capirla e vincerla. Bisogna considerare che nell’incontro con lo straniero non va messa in conto solo la propria paura, la paura di chi accoglie, ma anche e soprattutto, la paura di chi arriva in un mondo estraneo, un mondo di cui conosce poco o nulla, un mondo che non gli offre nessuna protezione. Chi accoglie dovrebbe conoscere le motivazioni della migrazione, la durata, (stagionale, rifugiati politici, definitiva, ecc.) le dimensioni territoriali (dislocazione sul territorio, il genere, percentuale di minori, ecc). Allo stesso tempo, il gruppo accogliente deve essere stimolato ad una cambiamento culturale non inferiore a quello che si chiede alle minoranze: a tal proposito gli enti preposti (servizi sociali, scuole, sanità, ecc.) dovrebbero creare momenti formativi - informativi, in quanto, come riporta Susi Francesco, docente di Pedagogia Interculturale presso l’Università Roma Tre: “l’esperienza mostra quanto sia pericolosa una pedagogia a senso unico, che sollecita il cambiamento delle minoranze senza altresì chiamare anche la maggioranza a mettersi in questione”. Cosa chiede l’immigrato che fugge da guerre, miseria e povertà? Avere una cittadinanza, un lavoro stabile e una vita dignitosa nel rispetto della legalità del paese ospitante e conservando l’identità culturale del proprio paese d’origine. In Europa sussistono 3 modelli d’integrazione: 10 Dossier Statistico Immigrazione Caritas/Migrantes Modelli di integrazione modello Abbandono proprie caratteristiche assimilazionismo francese modello Uniformazione completa alla società multiculturalismo Convivenza di culture diverse Rotazione Gastarbaiter Temporaneità dell’emigrazione anglosassone modello tedesco - La logica dell’assimilazione: “processo che riguarda i rapporti tra i migranti e la società di accoglienza sulla base di un passaggio unilaterale dei modelli di comportamento della società ospitante al migrante, obbligato a spogliarsi degli elementi culturali che gli sono propri e che comporta un ruolo passivo riguardo alla cultura dominante”.10 - La logica dell’integrazione: per cui la cultura dominante riconosce il diritto alla salvaguardia della propria identità: si tratta di una visione multiculturale che si basa sul principio della tolleranza tra gruppi etnici diversi, ognuno dei quali conserva la propria dimensione culturale pur in pluralità di scambi e di influenze. - La visione interculturale: per la quale si sviluppano nuove prospettive che consentono di superare l’etnocentrismo a favore in un ampliamento dell’orizzonte culturale. In questo caso la diversità diviene un valore positivo che consente all’altro gruppo di maturare nuovi punti di vista in un quadro di ricostruzione globale del tessuto sociale. La prospettiva è dar vita ad una società più aperta, compartecipata, senza nessun tipo di prevaricazione, nella quale la diversità diventi una risorsa in più per la persona nella prospettiva del bene comune. 10 Santerini M., Cittadini del mondo, Educazione alle relazioni interculturali, Editrice la Scuola 1994, p. 209. 11 Secondo le stime di Caritas Migrantes del 2009 (Dossier statistico 2010) gli immigrati nel nostro Paese sono circa 5 milioni così suddivisi: Dossier Statistico Immigrazione Caritas/Migrante Distribuzione territoriale Sud; 9,3 Isole ; 3,8 Nord Ovest; 35 Centro; 25,3 35 Nord Est; 26,6 4.919.000 immigrati regolarmente soggiornanti in Italia (Stima Caritas/Migrantes) – Incidenza 7,8% (circa) di cui circa 2.000.000 sono donne. Al 1° gennaio 2010 la popolazione residente in Italia ha superato il traguardo storico dei 60 milioni di abitanti (60.387.000) e, come accade ormai da diversi anni, il maggior contributo all’incremento demografico del Paese è dato dalla dinamica migratoria. La popolazione in età attiva cresce solo per effetto delle migrazioni dall’estero, giungendo a rappresentare nel 2009 il 65,8% del totale. 12 2.2. L’integrazione Non c’è un concetto unico d’integrazione. A partire dall’anno 2000 ci sono state normative che hanno teso ad omogeneizzare le politiche dell’immigrazione. Per immigrazione possiamo intendere: - adattamento e rispetto delle leggi - partecipazione attiva - mantenimento della propria cultura - accoglienza - inserimento lavorativo e sociale - tutele dei diritti della persona - scambi/conoscenza reciproca - accettazione altra cultura - sentimenti di appartenenza. L’integrazione è un fenomeno complesso formato da diversi aspetti che comportano sforzi da parte di tutte le istituzioni. Cita Migrazioni Internazionali e Salute: “in questo scenario, peraltro in costante mutazione, prendersi cura di persone provenienti da contesti culturali differenti rappresenta, per gli operatori sanitari, una sfida sempre più attuale, che li pone di fronte alla difficoltà di superare le barriere linguistiche che si frappongono nella comunicazione col soggetto migrante, e, in alcuni casi, di colmare la mancanza di adeguate conoscenze e competenze sui temi culturali relativi alla sfera della salute. Da parte loro, i migranti, fin dalle prime fasi del loro arrivo, si trovano a vivere un senso di spaesamento dovuto all’estraneità e complessità del contesto di accoglienza e alle difficoltà che spesso incontrano nel realizzare il proprio percorso di integrazione sociosanitaria”. Il nostro sistema di assistenza sanitaria, è assicurato da principi universalistici a prescindere dal contesto linguistico o culturale di appartenenza. E’ un sistema, che nonostante le problematiche di alcune Regioni, ci garantisce una certa tranquillità e sicurezza. 13 Però spesso il nostro sistema si “scontra” con sistemi di cura basati su modelli di cultura diversi e tanto lontani dal nostro che generano, a volte, incomprensioni tra personale dei servizi socio-sanitari-assistenziali ed utente. Possono sorgere anche seri problemi di salute se non si interviene con tempestività in quanto ognuno di noi ragiona in base alla propria cultura di riferimento, anche in ambito sanitario. La prima a porsi il problema delle differenze culturali tra i pazienti ed il personale sanitario fu Madeleine Leininger che lavorando nell’ambito della psichiatria infantile, prende consapevolezza delle differenze culturali tra i vari bambini che giungevano al suo servizio: Non trovando risposte, si rivolse ad altre discipline, tra cui l’antropologia, conoscendo, tra l’altro, la celebre antropologa Margaret Mead e studiando con lei le potenziali relazioni tra antropologia e il sistema socio-sanitario-assistenziale. Gli studi la portarono ad identificare le fasi evolutive dell’infermieristica transculturale: Fase I: l’infermiere acquisisce consapevolezza e sensibilità rispetto alle differenze e somiglianze dell’assistenza culturale; Fase II: L’infermiere approfondisce la teoria dell’assistenza infermieristica e dei risultati della ricerca con le competenze acquisite in assistenza culturale; Fase III: l’infermiere utilizza in modo creativo e pratico i risultati della ricerca con prove documentate per ottenere pratiche assistenziali culturalmente adeguate e valuta i risultati. 2.3. La Comunicazione Una buona comunicazione tra operatore sanitario e paziente straniero è quantomeno basilare per ottenere buoni risultati e ciò necessita di uno sforzo da parte di entrambi: l’operatore dovrà cercare di comprendere, non guasterebbe la conoscenza, anche elementare, della lingua inglese e l’utente dovrà essere in possesso almeno delle basi della nostra lingua. L’interazione, lo scambio di messaggi, verbali o non verbali, sono latori anche dei processi culturali dell’ emittente e del ricevente in un susseguirsi di 14 parole e gesti. Bisogna comprendere che percezione abbia lo straniero della sua malattia e fino a che punto sia consapevole del nostro sistema di assistenza, cura e riabilitazione. R E FEEDBACK Da questa rappresentazione è facile dedurre che per una "sana" comunicazione è necessario che l’emittente (E) scelga il mezzo più utile per poter trasmettere correttamente il messaggio, in funzione della situazione e della capacità recettiva del ricevente (R). Non solo, ma l'emittente, per assicurarsi che il messaggio venga correttamente inviato e compreso, dovrà. verificare attraverso un feedback verificatore. La comunicazione non è altro che una sequenza di informazioni dove si cerca il miglior modo per comprendersi: 15 RICEVENTE EMITTENTE RICEVENTE EMITTENTE RICEVENTE EMITTENTE Nelle professioni sanitarie è importante distinguere 3 concetti base nella comunicazione11: - abilità: saper gestire la comunicazione in tutti i suoi risvolti, ossia ciò che si comunica, come si comunica e la percezione dei sentimenti del paziente durante la comunicazione. Tale abilità va insegnata ed appresa in quanto nulla deve essere lasciato al caso o alla sola abilità oratoria o all’esperienza; - atteggiamenti: mai presupponenza ma ascolto attivo, un ascolto efficace, ossia quella capacità di comprendere realmente i reali bisogni dell’utente, comunque condividendo, per quello che è umanamente possibile, le sensazioni che manifesta. Così facendo si facilitano le risposte del paziente e si instaura fiducia; - contenuti: chiari ed utilizzo di termini che siano comprensibili al paziente e verificarne la reale comprensione con dei feed-back. Nei minuti iniziali cominciano a delinearsi le problematiche del paziente. In una società multiculturale come quella in cui oggi viviamo, capita che i livelli di incomprensione tra operatore socio-sanitario e paziente appaiono a volte insormontabili. 11 J.Silverman – S. Kurtz – J. Draper: Competenze per comunicare con i pazienti. Ed. Piccin nuova Libraria. Padova 16 Il dott. Salvatore Geraci ed il dott. Riccardo Colasanti che e Geraci, che hanno approfondito le tematiche di relazione tra operatore sanitario-paziente in ambito transculturale, hanno evidenziato le seguenti tipologie di incomprensione: 1. Prelinguistico: è la difficoltà a comunicare le proprie esperienze ed il proprio vissuto interiore, magari non dando la giusta importanza alla loro sintomatologia. Con pazienti di altre culture l’approccio può essere anche più complesso in quanto il concetto di interiorità può essere diverso; 2. Linguistico: si riferisce alla difficoltà più immediata e ovvia, quando gli interlocutori non parlano la stessa lingua. Ciò potrebbe comportare fraintendimenti e formulare una diagnosi non corretta. In questo caso l’ausilio di un Mediatore Culturale della stessa madrelingua del paziente e con una buona conoscenza della nostra lingua anche in campo socio-sanitario-assistenziale può, non solo essere utile ma anche necessario. Meglio evitare traduttori occasionali: potrebbero fraintendere e non essere all’altezza del proprio compito. Ogni ospedale, soprattutto nei Pronto Soccorso dovrebbe avere la possibilità di avere, nel più breve tempo possibile, un Mediatore Culturale ma l’utilizzo è spesso frenato da burocrazia e contenimento dei costi. 3. Metalinguistico: si intende un linguaggio formalmente definito che ha come scopo la definizione di altri linguaggi artificiali che diciamo linguaggi obiettivo. E’ il livello simbolico di una lingua, è ciò che consente di specificare i dettagli di una lingua. Una persona, soprattutto se proveniente da paesi in cui la società ha avuto uno sviluppo culturale totalmente diverso dal nostro, “ può associare ad una diagnosi un valore diverso, secondo di ciò che quella patologia può rappresentare nel paese di origine” suscitando stati d’animo contrastanti: preoccupazione dove non dovrebbe sussistere e noncuranza e/o sollievo dove, invece, dovrebbe esserci preoccupazione. Pertanto, formulare una diagnosi, si deve tener conto di molti fattori, sia linguistici che culturali. 17 4. Culturale: è il vissuto dell’utente, il paese di provenienza, le sue tradizioni, il cosiddetto habitus, ossia quella cultura che viene vissuta all’interno della famiglia ma non viene riconosciuta come propria in quanto la società del paese accogliente ha permesso una quasi totale integrazione e il fattore religioso. Conoscere e tentare di comprendere la cultura dell’altro aiuterebbe non poco in campo socio-sanitario-assistenziale e sarebbe già di grande aiuto conoscere almeno un’altra lingua (l’inglese è parlato spesso da tanti cittadini extracomunitari) ma ciò non prescinde dalla presenza del Mediatore Culturale. 5. Metaculturale: sono quegli aspetti culturali che sono visibili anche a chi non appartiene a quella determinata cultura e che ormai sono entrati nel nostro quotidiano: il Ramadan per i musulmani, alimenti vietati per altre religioni, il problema delle trasfusioni di sangue per i testimoni di Geova: fattori che è utile conoscere, a prescindere dal Mediatore Culturale, al fine di trovare una comunicazione più efficace alla comprensione e più efficiente per superare le problematiche ed assicurare una assistenza migliore. Dobbiamo sempre tener presente che la cultura può essere rappresentata dal cosiddetto modello dell’“iceberg”. Infatti, come un iceberg, quello che traspare ai nostri occhi di una cultura diversa dalla nostra è solo una piccola parte: il resto è sommerso. Difficile da conoscere e comprendere a fondo in quanto bisognerebbe essere padroni della lingua, degli usi e costumi, delle abitudini, delle feste e credenze, della morale, del concetto di salute, delle norme che regolano quella o quell’altra società. Come diceva Ippocrate : «Non mi importa che tipo di malattia ha quell’uomo, ma che tipo di uomo ha quella malattia», è una regola che ancora vale. L’appartenenza a una cultura fornisce all’operatore socio-sanitario-assistenziale se la malattia è generata da problemi reali di salute o problemi legati ad eventi negativi presenti nel panorama della cultura dell’utente. E’, infatti, risaputo come in certi paesi i sintomi della malattia siano strettamente connessi con l’equilibrio della natura e del cosmo e con l’ambiente dove si vive: tutto 18 si basa sull’equilibrio delle forze presenti nel sistema socio-culturale- ambientale proprio. Anche la guarigione viene vista come il ripristino dell’equilibrio prima compromesso. A tale riguardo, la letteratura distingue tre concetti di malattia : - disease: è la malattia dal punto di vista del medico, misurabile secondo i parametri scientifico-sperimentali; - illness: si riferisce a come l’utente percepisce e vive la malattia anche secondo la cultura di appartenenza ed i metodi curativi di riferimento. Pertanto l’utente si ritrova in un contesto di sensazioni, preoccupazioni, speranze, l’accettazione del suo nuovo status, ossia quella di “malato” e la nuova qualità della vita che può variare a secondo dell’evolversi della malattia. Questa differenza emerge anche quando medico ed utente condividono la stessa cultura. Il disease e l’illness vanno a braccetto nel senso che l’atteggiamento del paziente verso la malattia ( illness) non può prescindere da tutto ciò che comporta la valutazione medica (disease). - sickness: la differenza tra essere “malato” ed essere “un malato” e si riferisce a come la persona malata viene percepita dalle altre persone che compongono i contesti relazionali (famiglia, rete amicale e sociale) a cui essa stessa appartiene. DISEASE ILLNESS OPERATORE SOCIO-SANITARIO ASSISTENZIALE SICKNESS 19 Il medico o qualsiasi operatore socio-sanitario-assistenziale avrà come punto di riferimento la desease, ed si attiverà secondo le proprie conoscenze, competenze ed esperienza tenendo presente la centralità della persona che assiste e la dichiarazione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità che nella conferenza del 6-12 settembre 1978 ad Alma Ata oggi Almaty (ex Unione Sovietica, oggi Kazakistan) definiva, al primo dei dieci punti, la salute come “uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non soltanto l’assenza di malattia o infermità ed è un diritto umano fondamentale”. Riafferma che il raggiungimento del maggior livello di salute possibile è un risultato sociale estremamente importante in tutto il mondo, la cui realizzazione richiede il contributo di molti altri settori economici e sociali in aggiunta a quello sanitario. La salute è quindi vista come “una risorsa della nostra vita quotidiana, e non come lo scopo della nostra esistenza; si tratta di un concetto positivo che pone l’accento sia sulle risorse personali e sociali che sulle capacità fisiche” (OMS, 1984). 2.4. Il Mediatore culturale La società multiculturale in cui stiamo vivendo, dovuta alle numerose comunità straniere presenti sul territorio, ha bisogno di poter disporre di facilitatori della comunicazione che abbiano una buona conoscenza tanto dell’italiano quanto della lingua e cultura dei migranti che afferiscono ai servizi. In parole povere, il migrante necessita chi lo supporti con una mediazione culturale che rappresenta una funzione utile e necessaria per agevolare il proprio processo di integrazione. E’ la “conditio sine qua non” per favorire la conoscenza reciproca di culture, valori, tradizioni, diritto e sistemi sociali, in una prospettiva di interscambio e di arricchimento reciproco. Pertanto questi “facilitatori della comunicazione”, meglio conosciuti come mediatori culturali sono sempre più presenti nei CPA (Centri Prima Accoglienza), nelle strutture sanitarie, nelle scuole, negli uffici della questura, ecc.) e nelle situazioni particolarmente delicate, soprattutto dove può emergere un rischio di squilibrio comunicativo tra le parti interessate. 20 Il mediatore culturale appare come una nuova figura nella rete socio-culturale del nostro paese, in possesso di specifiche competenze ed attitudini in grado di interagire con le istituzioni pubbliche e private, nonché come interprete delle esigenze e delle necessità dei migranti. Si tratta di persone spesso immigrate, che hanno vissuto i disagi della migrazione, che si sono, ormai, integrate e che hanno dimestichezza con le norme, la cultura del paese che li ha accolti, che siano in possesso di un titolo di studio medio-alto e formazione specifica sulla mediazione culturale e che abbiano capacità relazionali e di riservatezza. Il mediatore culturale non deve essere considerato come semplice traduttore da utilizzare solo in caso di emergenza, ma come figura stabile nel panorama socioculturale in grado di risolvere qualsiasi questione legata all’integrazione dei cittadini stranieri. Oltre che figura di rilievo nell’asse utente-operatore (soprattutto se sanitario), arricchisce quest’ultimo con ulteriori conoscenze sulla cultura dell’utente con cui si sta rapportando: è l’anello di congiunzione tra le parti. UTENTE MEDIATORE CULTURALE OPERATORE Il mediatore culturale, in questo frangente, ha il compito non solo di tradurre, qualora se ne presentasse la necessità, ma anche di far comprendere all’utente il significato ed il valore, in campo medico-assistenziale, di quanto tradotto. Il mediatore informa l’utente sui propri diritti, lo aiuta a far sì che i suoi bisogni siano presi in carico dall’operatore sanitario (advocacy)12, rendendolo, progressivamente, un soggetto sociale più consapevole e quindi più forte (empowerment)13: deve spiegare le 12 L’Advocacy è un processo politico da parte di un individuo o gruppo di persone che mira ad influenzare le politiche pubbliche e l'allocazione delle risorse all'interno dei sistemi politici, economici e sociali e relative istituzioni. 21 differenze culturali guidando le due parti ad una comprensione reciproca favorendo l’incontro tra due culture distinte evitando giudizi che possano generare incompatibilità. In questo caso, il mediatore agevola sensibilmente la interazione senza condizionare la stabilità psicologica dell’immigrato. Il mediatore, quantunque abbia una buona padronanza della lingua italiana e sufficiente conoscenza delle norme in ambito socio-sanitario si trova spesso in difficoltà quando è chiamato a dover interagire tra le pratiche di assistenza e cura prescritte e le pratiche tradizionali a cui, non sempre, il migrante rinuncia. Anche in questo caso il mediatore svolge un ruolo determinante nel promuovere l’accettazione da parte dell’operatore (soprattutto medico, in questo caso), di un’integrazione di pratiche tradizionali alle pratiche di assistenza e cura prescritte (compliance). La relazione operatore (medico, psicologo, psichiatra, assistente sociale, infermiere, operatore socio-sanitario, assistente familiare, ecc) - paziente diventa efficace soltanto se non compaiono elementi di incomprensione o carenza di accettazione di entrambi le culture e basata su un rapporto di fiducia e di empatia, dove il mediatore svolge un ruolo rilevante. Le professioni sanitarie ( medici compresi) manifestano sempre più l’esigenza di lavorare con questi nuovi “professionisti della comunicazione”, riscontrando in loro una figura ed un supporto essenziale per agevolare l’incontro e la comunicazione. Proprio per la sua rilevanza e l’entrata, in pianta stabile, nella rete dei servizi di assistenza e cura, il PSR, Piano Sanitario Regionale ha evidenziato la necessità di specializzare il percorso formativo dei mediatori culturali in ambito sanitario dato che, 13 “L’ Empowerment è un processo dell’azione sociale attraverso il quale le persone, le organizzazioni e le comunità acquisiscono competenze sulle proprie vite, al fine di cambiare il proprio ambiente sociale e politico per migliorare l’equità e la qualità della vita. Sono disponibili, da alcuni anni, numerosi documenti programmatici che prevedono varie forme di partecipazione dei cittadini, ma in realtà tali interventi sono ancora carenti ed a macchia di leopardo. In aggiunta, accanto alle iniziative istituzionali, è necessario anche che ogni operatore del SSN sia consapevole che lo sviluppo della partecipazione e dell’empowerment dei cittadini deve rappresentare un proprio impegno. Tra gli strumenti per il coinvolgimento, vi è oramai dal 1995, la Carta dei Servizi Sanitari, importante strumento di partecipazione dei cittadini che oggi necessita di un monitoraggio sistematico ai fini dell’utilizzo e dell’aggiornamento”. Da Migrazioni Internazionali e Salute. 22 il percorso attuale non differisce tra chi opera in campo sanitario e chi in campo sociale. In altri frangenti, il mediatore culturale, diventa il punto di riferimento per dirimere tutte le problematiche legate all’inserimento dello straniero nel nuovo contesto culturale. 3.Il disagio giovanile 3.1. La sindrome del XX secolo Un altro aspetto culturale che ha influenzato non poco la nostra società e che ha creato allarmismi più che giustificati è stato l’intensificarsi del disagio giovanile. La società moderna, con le sue tecnologie sempre più all’avanguardia non riesce a trovare rimedi contro la difficoltà dei giovani a trovare la propria identità nella vita quotidiana e vivono un disagio nel presente e nell’incertezza del futuro. Anzi dobbiamo sottolineare che tutto questo modernismo, l’ansia di possedere gli ultimi ritrovati nel campo dell’informatica e l’ultimo modello di cellulare ha contribuito a peggiorare una patologia latente. Chi non ha la possibilità di stare al passo con i tempi, può sentirsi anche rifiutato dalla società dei consumi e può cadere vittima di depressioni che possono condurre a patologie più serie: apatia, ansia, isolamento, condotte auto-lesionistiche (comportamenti rischiosi, disturbi alimentari, consumo di droghe ed alcool..), bullismo (rapporto vittima-carnefice), devianza (violenza quasi sempre collettiva), disturbi ansiosi, sindromi depressive, disturbi ossessivo-compulsivi, disturbi psicosomatici, disturbi alimentari. Spesso vivono di eccessi sperando la diversità inviando, in tal modo, alla famiglia e alla società i messaggi del proprio malessere. I rischi maggiori a cui si può incorrere per allontanare il pensiero di un presente nebuloso è quello del crescente uso ed abuso di sostanze che creano dipendenza 23 (tabagismo, alcoliche, psicotrope…) nonostante le informative scarse ed inefficienze sui pericoli e su prevenzione e cura. Come si definisce il disagio giovanile? E’ il manifestare negativamente le difficoltà che le nuove generazioni avvertono ad assolvere ai compiti che la società richiede loro per trovare la giusta collocazione nella società stessa. E’ una sindrome esistenziale che porta un individuo a non sentirsi motivato al lavoro scolastico, a non accettare più le regole della vita collettiva, a rifiutare la vita quotidiana, ad assumere comportamenti disfunzionali al proprio bene e a quello degli altri. Inoltre, non va dimenticato che la trasformazione della famiglia cominciata a partire dalla metà degli anni ’70 ha comportato una certa fragilità nella stessa con i genitori sempre più impegnati nel lavoro con riduzione del tempo da dedicare alla cura ed educazione dei figli. Questo fa si che i figli non trovino, all’occorrenza, un appoggio sostanziale ai loro problemi della quotidianità. “Nel 1990 uno studio della rivista Fortune intitolato # Perché i dirigenti promossi a pieni voti vengono bocciati come genitori # osserva che i figli dei dirigenti di successo sono più probabilmente soggetti a numerosi problemi emotivi e di salute che non i figli di genitori che hanno meno successo professionale 14” La perdita di credibilità che si ha nelle istituzioni pubbliche e nella scuola, visto il crescente abbandono soprattutto nei primi anni delle superiori, con il forte rischio di esclusione sociale, ha contribuito ad acuire lo stato di malessere giovanile. Il giovane è in costante ricerca di punti di riferimento, adulti che prestino il dovuto ascolto ai loro bisogni e il ruolo della famiglia, unitamente a quello della scuola non offre più le garanzie di un tempo. I disagio che ne deriva può avere conseguenze drammatiche, nei casi più gravi (suicidio, tossicodipendenza, alcolismo, disturbi alimentari, bullismo, violenza tra minori); nei casi meno gravi impedisce una consapevole crescita e maturità in ambito 14 Peter M. Senge: La quinta disciplina – Sperling & Kupfer Editori 24 familiare, scolastico e professionale. Lo sport può essere di grande aiuto e va visto come momento di aggregazione e socializzazione. Anche i media hanno, in qualche modo, la loro dose di colpa per quanto riguarda l’anoressia. E’ un sindrome più che altro mentale che comporta il rifiuto del cibo e che colpisce i giovani, colti e belli, spesso figli di affermate famiglie benestanti. Colpisce con maggior frequenza ragazze, giovani e sane che spesso sono affascinate dalla magrezza delle modelle che sfilano in passarella e di cui i media inondano la rete. La sindrome cela anche altre cause che può essere quella della ricerca di un contatto affettivo, di vicinanza e protezione rivolto ad una famiglia poco presente: è l’espressione di una sofferenza emotiva. Anche in questo caso, difronte all’ impotenza dei genitori di trovare l’aiuto richiesto si ricorre all’intervento di uno psicoterapeuta per comprendere l’origine della sindrome, per chiedere suggerimenti, consigli su quali siano i comportamenti più adeguati da tenere con la figlia. Sono situazioni difficili e per uscirne c’è bisogno dello sforzo da parte di entrambi le parti: modificare il rapporto affettivo. La famiglia dovrà essere più presente, prestare ascolto ai bisogni espressi dalla figlia e, soprattutto, non colpevolizzarla per il suo malessere. 2.2. Ruolo chiave della famiglia e psicoterapeuta La famiglia, al minimo cenno dell’insorgenza, deve riappropriarsi del suo ruolo guida unitamente alla scuola nel suo ruolo anche educativo riaffermando nel giovane i valori che si stanno perdendo. L’aiuto, nei casi estremi, di uno psicoterapeuta che coinvolga tutta la famiglia può dare risposte efficaci se sussiste la volontà, da parte della famiglia stessa, di trovare una giusta soluzione che deve essere indirizzata al completo recupero del giovane. Il disagio può portare anche alla depressione, entrando in un vortice complesso dove la 25 via d’uscita può risultare difficile e a lungo termine. Da una ricerca è emerso che dal 2000 i farmaci antidepressivi sono aumentati del 400% pari a 1,4 miliardi di euro l’anno di spesa: parte a carico del servizio sanitario nazionale, parte a carico dell’utente. In un mondo disfunzionale come quello attuale, non si può pensare che l’io ne sia avulso: è coinvolto, obtorto collo, nella modernità con tutti i suoi risvolti negativi. La depressione è la seconda malattia disabilitante sul lavoro con tendenza all’aumento. Viviamo in una società in frenetica evoluzione, dove la globalizzazione ed il il consumismo generano ansia da prestazione in una competizione costante di essere aggiornati su tutto quanto circonda l’universo tecnologico-informatico. Una società che genera malessere, per le innumerevoli problematiche in ogni suo ambito a cui non trova né sa dare una risposta concreta, non può che generare sfiducia nel futuro, inquietudine, incertezza fino ad arrivare alla depressione. Grande rilievo ha, in questi casi, la famiglia che deve svolgere un ruolo importante, dare sicurezza, avere la consapevolezza di saper ascoltare e comprendere quali possano essere i fattori a rischio disagio, come prevenirli e come aiutare il giovane a venirne fuori nel miglior modo possibile. Nulla va sottovalutato né lasciato al caso: le avvisaglie devono mettere già in allerta: euforia estrema, tristezza, la tendenza a isolarsi, mutismo, nascondono qualcosa di importante e serio che va analizzato anche attraverso l’aiuto di uno psicoterapeuta. La risposta, a volte, è dietro l’angolo: bisogna cercarla. Forse è un eccessivo stato di benessere che ci fa rivolgere l’attenzione a cose fugaci che però se non ottenute generano stati d’ansia, disagio, malessere, depressione. Uno studio dell’Università di Oxford (GB) ha rilevato che chi soffre del male di vivere è circa tre volte più portato a commettere un crimine rispetto a chi non è depresso. La modernità ci ha regalato questa nuova “malattia sociale” che colpisce soprattutto persone di un ceto sociale che va dal medio in su: le persone che non sbarcano il lunario hanno problematiche diverse e sicuramente molto più concrete. 26 4. La globalizzazione ed i risvolti sanitari 4.1 Gli effetti della globalizzazione Joseph Stiglitz15 nella sua “La globalizzazione e i suoi oppositori” definisce: “La globalizzazione è una forza positiva che ha portato enormi vantaggi ad alcuni, ma per il modo in cui è stata gestita, tanti milioni di persone non ne hanno tratto alcun beneficio e moltissime altre stanno ancora peggio di prima” Antony Giddens16 ne “Le conseguenze della modernità”1994): “Possiamo quindi definire la Globalizzazione come l’intensificazione di relazioni sociali mondiali che collegano tra loro località distanti facendo sì che gli eventi locali vengano modellati dagli eventi che si verificano a migliaia di chilometri di distanza e viceversa. La globalizzazione17 ha avuto inizio dopo la seconda guerra mondiale, quando sono nate le prime grandi multinazionali; ha avuto un’accelerazione a partire degli anni ’70 con l’avvento dell’informatica che ha migliorato i tempi di produzione, e di conseguenza l’espansione della comunicazione, allo sviluppo di trasporti e alla liberalizzazione dei commerci e degli investimenti finanziari. Le telecomunicazioni consentono di trasferire immagini, news, ecc. in tempi sempre più rapidi grazie ai satelliti e alla telefonia mobile tanto che l’azienda principale può comunicare con eventuali succursali sparse in tutto il mondo in tempo reale. Il computer ha comportato una profonda trasformazione nel campo lavorativo ma, al tempo stesso, impigrisce la mente, ossia l’uomo delega alla macchina anche le cose più semplici della sua quotidianità. Il computer gestisce il ritmo della vita umana. Uno dei rischi concreti è anche quello di un impoverimento culturale: se una cultura dominante, attraverso i media, diffonde il proprio stile di vita, ci sarebbero Joseph Eugene Stiglitz (Gary, 9 febbraio 1943) è un economista e saggista statunitense. Premio Nobel per l’economia nel 2001 16 Anthony Giddens (Londra, 18 gennaio 1938) è un sociologo e politologo britannico. 15 17 Globalizzazione è un processo di interdipendenze economiche, culturali, politiche e tecnologiche i cui effetti positivi e negativi hanno una rilevanza planetaria. Tra gli aspetti positivi vanno annoverati la velocità delle comunicazioni e delle informazioni, l'opportunità di crescita per Paesi a lungo rimasti ai margini dell'economia, la contrazione della distanza spazio-temporale e la riduzione dei costi per l'utente finale, grazie all'incremento della concorrenza. Gli aspetti negativi sono il degrado ambientale, il rischio dell'aumento delle disparità sociali, la perdita delle identità locali, la riduzione della sovranità nazionale e dell'autonomia delle economie locali e la diminuzione della privacy. Da Wikipedia 27 condizionamenti e le differenze culturali tra i vari popoli si assottiglierebbero. Con la globalizzazione si pensava di poter, se non risolvere, quanto meno mitigare tutti i problemi del mondo, migliorare il tenore di vita, soprattutto la povertà: in realtà le popolazioni povere, sono rimaste tali a vantaggio delle multinazionali che decidono i mercati e spesso tengono in ostaggio i governi. Questo processo di interdipendenze economiche, culturali, politiche e tecnologiche dagli effetti positivi e negativi, ha generato molte discrepanze tra le varie società, come ricchezza per alcune multinazionali ed impoverimento per alcuni paesi. Soprattutto in questi ultimi si verifica costantemente un aumento dei decessi infantili, dovute a carestie e quindi a denutrizione, ma anche un aumento della desertificazione dovuta alla scarsa cultura e protezione dell’ambiente ma soprattutto ad una carente riserva idrica, un aumento di gravi epidemie dovute alle scarse risorse interne, alla scarsa igiene, ai contatti promiscui senza protezione adeguata. Da quanto sopra detto si evince che la salute della popolazione, intesa come un “completo stato di benessere fisico e psicologico” (OMS 1978), dipende più da fattori legati all’ambiente fisico e a quello economico, che dal mero consumo dei servizi sanitari. Una novità viene dai ricercatori dell’università di Eindhoven (Olanda), ancora in fase di studio, è il “computer del DNA” in grado di rilevare diversi anticorpi nel sangue ed eseguire calcoli successivi, ossia permette il controllo di farmaci nel sangue in tempo reale. E’ un sistema che permetterà di utilizzare farmaci “intelligenti” per diminuire gli effetti collaterali. Un’altra novità dovuta alla globalizzazione è quanto l’Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione del CNR in collaborazione con altri partner europei ha prodotto e presentato: Giraff, un robot di telepresenza prodotto dalla Giraff Technologies AB, una piccola azienda svedese. Giraff, soprannominato “la badante robot”. 28 E’ stato concepito per fornire un aiuto domestico permanente a persone con problematiche di mobilità o anziani che non potendo disporre un assistente permanente e volendo fortissimamente rimanere nella loro abitazione hanno modo, così, di conservare una certa autonomia. È uno dei robot del programma “GiraffPlus”, sperimentato in tutta Europa. I ricercatori stanno utilizzando questi “badanti” elettronici, che consentono, tra l’altro, contatti immediati col personale medico. Inizialmente serve un po’ di pratica ma una volta appresi i meccanismi, Giraff si rivela un valido sostegno. L’aiuto che può fornire è molteplice: si passa da quello fisico per alzarsi dal letto o per camminare, a quello interattivo psicologico in grado di comprendere e rispondere a contesti generici, a quello di monitoraggio per verificare in modo costante lo stato di salute del paziente: il robot gestito dal caregiver, ossia da colui che ha la responsabilità dell’assistito, normalmente un familiare, anche se vive lontano ha la possibilità di stare in perenne contatto, di televedersi e comunicare. In caso di necessità vengono avvertite le unità sanitarie. In un mondo senza più confini, i professionisti sanitari di paesi più evoluti viaggiano per i paesi poveri portando le loro esperienze ed il loro aiuto, mossi solo da spirito di 29 solidarietà e da ideali di umanità. E’ il caso di Médicine sans Frontières. Scienziati di livello mondiale si confrontano, sono in costante contatto per trovare soluzioni verso quei paesi carenti di risorse e privi di un servizio sanitario efficace ed efficiente. Ma ci si chiede se la globalizzazione sia un bene od un male per la salute. Un gruppo di ricercatori, in un rapporto consegnato alla Commissione sui Determinanti Sociali della Salute dell’OMS ha prodotto il seguente schema, apparso su “SALUTE INTERNAZIONALE INFO DEL 25 gennaio 2009” dove si evince come la globalizzazione possa incidere sulla salute: I contatti costanti tra i vari governi e le politiche internazionali volte al miglioramento della salute dei popoli, potrebbero favorire, in maniera più massiccia, la distribuzione di vaccini e farmaci favorendo gli strati della popolazione più debole. 30 Ma la povertà, la svalutazione delle monete nazionali, la liberalizzazione dei mercati ed altri fattori legati all’ambiente ed al clima rendono negativi gli effetti della globalizzazione poiché aumentano le differenzazioni sociali. Sono i paesi ricchi che dettano le regole del mercato e le dettano a vantaggio di quei paesi che già possiedono risorse in abbondanza dimenticando i paesi che non le hanno. 4.2 L’Health Impact Assessment Per quanto detto l’Health Impact Assessment (HIA), o valutazione d'impatto sulla salute (VIS), un insieme di procedure e metodiche che permettono di determinare gli effetti positivi e negativi prodotti sullo stato di salute della popolazione da politiche, programmi e progetti, in settori anche non sanitari (es. ambiente, urbanistica, trasporti, viabilità) analizza sia le conseguenze dirette sul benessere della collettività sia quelle indirette, derivanti da una modifica dei molteplici determinanti di salute. L’OMS indica nei settori del trasporto, dell’alimentazione, dell’agricoltura, degli alloggi, dei rifiuti, dell’energia, dell’urbanizzazione, dell’acqua, della radiazione (parlare dei muri delle case – radom), della nutrizione come quelli nei quali vi è evidenza scientifica di un loro impatto in termini di miglioramento della salute pubblica. Molto si è fatto e tanto altro si sta facendo per limitare i rischi della popolazione in un mondo in continua evoluzione ma resta ancora molto da fare alla soglia della IV rivoluzione industriale che prevede, tra l’altro: la medicina arriverà ai limiti del possibile, ricostruendo le cellule e i tessuti danneggiati da quasi tutte le patologie, portando la longevità a prospettive di vita fin ora inimmaginabili. Si aprirà, poi, il problema delle risorse del pianeta e spetterà agli scienziati trovare soluzioni. Il Protocollo d’Intesa fra il Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e il Ministro della Salute, sottoscritto in data 24 giugno 2010, prevede tavoli di concertazione per la realizzazione di iniziative di internazionalizzazione della ricerca nei settori correlati alla salute ed alla qualità della vita, ed in particolare d’implementazione delle iniziative di programmazione congiunta della ricerca europea 31 E’ un piano per migliorare la ricerca, lo sviluppo e l’innovazione ai fini di conseguire gli obiettivi individuati dalla strategia Europa 2020. L’Italia, come altri Paesi europei, è tra le più arretrare nel settore di ricerca e sviluppo, nonostante sia recente la scoperta, tutta italiana, di un nuovo motore molecolare che sarà in grado, tra le tante applicazioni, di trasportare i principi attivi dei farmaci all’interno del corpo umano. Il futuro della medicina saranno le nanotecnologie che coinvolgeranno la fisica, la chimica, l’informatica e qualsiasi settore tecnologico. Difronte a questo scenario di future e buone speranze vi è anche il risvolto della medaglia: innanzitutto andrà evitato il monopolio per non sottomettere gli Stati ad un unico fornitore, poi le multinazionali deterranno un potere enorme di difficile controllo da parte dei vari paesi. Non vorrei si arrivasse a un “do ut des” però con la “conditio sine qua non”. In Europa qualcosa si sta già muovendo: Il Governo crede fermamente nella nanotecnologia, … e presto sarà attiva in tutto il Paese una rete di 22 centri nanotecnologici che godranno del finanziamento di circa 50 milioni di sterline Lord Sainsbury (Ministro della Scienza e Innovazione, UK). Quello che preoccupa sono i paesi detentori dell’equilibrio dell’economia mondiali, ossia i paesi arabi produttori di petrolio: La nanotecnologia gioca un ruolo unico nello sviluppo del settore privato …occorre migliorare gli investimenti in Kuwait – Sheikh Sabah Nasser Al-Mohammad Al-Sabah (assistente sottosegretario agli affari della famiglia reale, Kuwait); Oggi esportiamo petrolio, in futuro esporteremo nanoprodotti – Feryal Al-Freih (direttore operativo del KISR, Kuwait). Questi paesi, ricchissimi, hanno tante risorse per poter investire nella ricerca e così facendo continuerebbero ad essere i detentori del suddetto equilibrio. E’ anche per questo motivo che l’unica via percorribile sarà quella della cooperazione internazionale: scienziati di ogni paese che collaborano per il bene dell’umanità. 32 5. Dalla nascita del Servizio Sanitario Nazionale al Terzo Settore 5.1 La nascita del S.S.N. Un grande cambiamento dagli aspetti socio-economico-culturali si è avuto con l’istituzione del Servizio Sanitario Nazionale con la legge 833 del 23 dicembre 1978, meglio conosciuto con l’acronimo S.S.N. Le mutue, esistenti fino ad allora, la più importante delle quali era l'Istituto Nazionale per l'Assicurazione contro le Malattie (INAM), pur garantendo a tutti i cittadini l’assistenza sanitaria, non garantivano, però, l’uguaglianza dell’assistenza stessa da cittadino a cittadino nel senso che le mutue con più risorse economiche potevano offrire servizi migliori. Infatti, ogni mutua era competente per una determinata categoria di lavoratori che, con i familiari a carico, erano obbligatoriamente iscritti alla stessa e, in questo modo, fruivano dell'assicurazione sanitaria per provvedere alle cure mediche e ospedaliere, finanziata con i contributi versati dagli stessi lavoratori e dai loro datori di lavoro. Ciò generava delle disuguaglianze poiché la salute veniva garantita a tutti non come cittadini ma come lavoratori. Tale sistema contraddiceva l’art. 3 della Costituzione (ogni cittadino è uguale di fronte alla legge) e non era in ottemperanza con l’art. 32 della stessa Costituzione (la salute è un diritto dell’individuo). La legge n. 833 stabilisce che l’attuazione del Servizio Sanitario Nazionale è di pertinenza dello Stato, delle Regioni e degli Enti territoriali, garantendo la partecipazione dei cittadini. Per quanto riguarda l’organizzazione vengono individuati tre livelli di competenza: a livello nazionale viene gestita la pianificazione degli interventi, al livello regionale, su delega diretta della stato, vengono esercitate le funzioni legislative e di amministrazione in materia di assistenza sanitaria e, infine, al livello comunale l’erogazione dei servizi sanitari attraverso le funzioni proprie delle Unità Socio-Sanitarie Locali (USL) a loro volta divise in distretti. Nel primo decennio dalla nascita del S.S.N. la politica entra nella gestione diretta della sanità attraverso le USL e i risultati sono disastrosi: non c’è pianificazione, 33 programmazione efficiente ed i costi diventano esorbitanti ed incontrollati generando un buco di disavanzo, generato anche dalla corruzione, che tutt’ora non è stato riassorbito. Il decreto legislativo n. 502 del 30 dicembre 1992 e quello successivo n. 517 del 7 dicembre 1993 trasformano le USL in ASL (Aziende Sanitarie Locali) che vengono gestite come una vera azienda attraverso la ripartizione del Fondo Sanitario Nazionale responsabilizzando ogni regione sui livelli di spesa. I pagamenti vengono effettuati a rimborso secondo le prestazioni erogate. Causa i disastrosi disavanzi del S.S.N. ogni cittadino partecipa alle spese per i costi di un servizio mediante l’I.S.E.E. ( Indicatore Situazione Economica Equivalente ). I criteri per il calcolo sono stabiliti dallo Stato. Il S.S.N. ha tre caratteristiche essenziali: 1) essere un sistema generalizzato o, per meglio dire, universale, che riguarda la totalità della popolazione; 2) essere un sistema unificato perché un solo contributo copre l’insieme dei rischi; 3) essere un sistema uniforme, poiché garantisce le stesse prestazioni a tutti gli interessati. Il vero cambiamento culturale si ha nella definizione del cittadino fruitore di un servizio socio-sanitario-assistenziale. Infatti, il S.S.N. pur confermando un sistema sanitario “universalistico” introduce il criterio della “selettività”: i cittadini non più “UTENTI” ma “CLIENTI” possono scegliere se accedere ad un servizio pubblico o privato presso strutture accreditate18 che in base ai criteri di concorrenza cercano di superarsi offrendo servizi se non migliori ma almeno a minor o ugual prezzo che nelle strutture pubbliche; in più viene limitato il periodo di attesa. Il nostro S.S.N. ha dei punti di forza riconosciuti in ambito internazionale, come rilevato anche dall’ OMS e dall’OCSE: capacità di risposta assistenziale universale, accessibilità ai servizi dei cittadini, ampia copertura farmaceutica a carico 18 Accreditamento: viene concesso alle strutture private che hanno caratteristiche e professionalità di poter erogare alcuni servizi parimenti ad un ente pubblico. 34 del SSN, ampia aspettativa di vita in buona salute alla nascita, reti per l'effettuazione dei trapianti d'organo, assistenza pediatrica gratuita, diffusione della diagnostica ad alta tecnologia, elevati livelli di copertura vaccinale. A fronte dei suddetti punti di forza si rilevano altresì le seguenti criticità del sistema: costo elevato del personale e soprattutto forti disparità tra Regioni che non lasciano presagire un risanamento a breve del debito nei confronti dello Stato. 5.2 Il Welfare State ed il Terzo Settore All’inizio si chiamò Wohlfahrtsstaat – ossia Stato di benessere – e se lo era inventato in Germania Otto Van Bismarck con un’innovativa legislazione sociale. Del concetto si impossessarono gli inglesi agli inizi degli anni ’30 con Alfred Zimmer a cui si deve il termine Welfarstate, ma fu soltanto dieci anni dopo che fece presa sulle masse popolari. Si era nella II guerra mondiale e già si pensava al dopo, alla ricostruzione: la nuova democrazia europea passava dal soddisfacimento dei bisogni umani più elementari. Agli Stati non occorreva più solo garantire i tradizionali diritti civili e politici del cittadini, ma anche ampliare la propria sfera ai nuovi diritti sociali, al sostentamento, alla salute, al lavoro. A mettere insieme il tutto fu una commissione presieduta da Sir William Henry Beveridge (Rangpur 1879 - Oxford 1963) che pubblicò, nel 1942, il rapporto con il titolo Social Insurance and Allied Services. Il testo ebbe un notevole successo e divenne la base della discussione sociale del dopoguerra. Tale rapporto riguardava un’ inchiesta ministeriale sulla riorganizzazione dei servizi sociali da proporre per il dopoguerra e prevedeva l'assistenza sanitaria gratuita e l'estensione della previdenza sociale ai ceti meno abbienti. Ispirò la legislazione sociale del governo del laburista Attlee. Deputato liberale, fu nominato “lord” nel 1946. Il Social Insurance and Allied Service conosciuto universalmente come piano Beveridge è considerato il modello di Welfare State che ha segnato la ricostruzione politica almeno nel continente europeo. L’idea di fondo era quella di sconfiggere i 5 elementi negativi della società contemporanea: povertà, malattia, ignoranza, squallore 35 e disoccupazione. Per farlo era stato ipotizzato un articolato sistema di sicurezza sociale per intervenire in sostegno dell'individuo in caso di bisogno tramite assegni familiari, sussidi di disoccupazione, malattia, infortuni e naturalmente pensione di anzianità e invalidità. Era auspicata anche la creazione di un servizio sanitario nazionale. Mentre il Welfare State inglese non metteva in discussione l’assetto sociale del Paese (tutti erano chiamati a contribuire in ugual misura dal cameriere al lord e ad avere gli stessi benefici), il Welfare italiano si tradusse in una confusione esasperante dai risvolti economici catastrofici: ipertrofia burocratica, inefficienza, clientelismi, baby pensioni, debito pubblico insostenibile di cui dopo 40 anni ancora ne subiamo gli effetti. A ciò si aggiungeva l’invecchiamento della popolazione19 e la mancanza di lavoro per i giovani. Un’alternativa fu la Welfare Society, con la nascita delle Organizzazioni No Profit (O.N.P.), - cosiddetto Terzo Settore - e Profit in grado di rispondere alle esigenze delle famiglie e cittadini laddove lo Stato non arrivava. La libertà di scegliere senza imposizioni dello Stato dalla sanità, all’istruzione, al sociale. I sistemi di Welfare State ebbero una notevole espansione: in un primo momento giustificata dalla forte crescita dell’economia, successivamente per coprire gli effetti negativi della crisi petrolifera. Le logiche dello Stato Sociale non hanno coinciso sempre con l’idea comune di giustizia: gli abbondanti flussi di denaro erogati dallo Stato favorivano determinate categorie di cittadini trascurandone altre (i giovani in particolare) e alimentando così il fenomeno della crescente esclusione sociale. In più, questi interventi dello Stato seguivano spesso logiche poco trasparenti, soprattutto in Italia: nei meandri dello Stato Sociale si sono insinuati spesso favoritismi e connivenze, rendendo ancora meno efficiente l’opera dello Stato. “La struttura d’età della popolazione è cambiata molto in quest’ultimo decennio in conseguenza di un processo di invecchiamento che andrà progressivamente intensificandosi nei prossimi anni e che inevitabilmente costituirà il cambiamento strutturale di maggior impatto sulle politiche sociali”. Da“Welfare - Rapporto di Monitoraggio sulle Politiche Sociali” 2005 – Ministero del lavoro e delle Politiche Sociali. 19 36 La spirale di queste applicazioni distorte dei principi del Welfare State provocò esiti disastrosi sul bilancio statale: si sentì quindi la necessità di un ridimensionamento dell’intervento pubblico, incentivando nuove forme di organizzazione di utilità sociale. Successivamente nuove esigenze della popolazione imposero sempre nuovi interventi da parte dello Stato che intravide in un Welfare Mix una nuova tipologia di partecipazione: nella sanità, nella scuola, nell’assistenza ci devono essere agenti misti di pubblico, privato, No Profit, capaci di proporre offerte alternative. Si deve avere la possibilità di libera scelta, che è garantita dal fatto che le tasse possono diventare o spesa pubblica o detrazione o deduzione. Il diffondersi del Terzo Settore rafforza l’errata convinzione che la crisi delle politiche del Welfare sia da ricondurre solo alla esiguità delle risorse disponibili mentre non si tiene nella giusta considerazione la ridotta capacità e sensibilità del mondo politico, incapace di attivare misure efficaci nel settore socio-sanitario. Si ha come l’impressione che molti processi sociali siano abbandonati a se stessi e non possono essere affrontati con il pieno apporto della ricerca sociale. Dovere della società civile è dare a tutte le persone, soprattutto alle fasce più deboli, gli strumenti necessari per migliorare la propria autonomia, culturale e sociale, ponendole in condizioni di apprendere, socializzare e, di conseguenza, svolgere un ruolo professionalmente valido nella società. Se le istituzioni pubbliche non ne sono all’altezza o non dispongono di risorse disponibili, ecco che il Terzo Settore si propone nella vastità delle sue organizzazioni, capaci non solo di sostituirsi allo Stato per soddisfare bisogni sempre più nuovi sempre più pressanti ma anche di programmare strategie di finanziamento che coinvolgono Istituti di Credito, fondazioni, donazioni e lasciti. Le organizzazioni del privato sociale sono più efficienti dello Stato, godono una situazione di migliore informazione riguardo ai bisogni sociali e la loro piccola dimensione garantisce una maggiore flessibilità e quindi politiche di intervento più efficaci. Dovere della società civile è dare a tutte le persone, soprattutto alle fasce più deboli, gli strumenti necessari per migliorare la propria autonomia, culturale e sociale, 37 ponendole in condizioni di apprendere, socializzare e, di conseguenza, svolgere un ruolo professionalmente valido nella società. Se le istituzioni pubbliche non ne sono all’altezza o non dispongono di risorse disponibili, ecco che il Terzo Settore si propone nella vastità delle sue organizzazioni, capaci non solo di sostituirsi allo Stato per soddisfare bisogni sempre più nuovi sempre più pressanti ma anche di programmare strategie di finanziamento che coinvolgono Istituti di Credito, fondazioni, donazioni e lasciti. Le organizzazioni del privato sociale sono più efficienti dello Stato, godono una situazione di migliore informazione riguardo ai bisogni sociali e la loro piccola dimensione garantisce una maggiore flessibilità e quindi politiche di intervento più efficaci. E’ importante, però, notare che parlando di Terzo Settore non ci si riferisce soltanto ad enti che operano nei tradizionali campi di intervento del Welfare State: sono infatti ricomprese sotto questa definizione anche organizzazioni sportive, culturali, ricreative, ambientaliste. 5.3 Il Volontariato Laddove il S.S.N. ed il Terzo Settore non danno quelle risposte sufficienti in materia di assistenza, spuntano quella pluralità di organizzazioni che sebbene diverse tra loro hanno la stessa finalità: contribuire alla realizzazione del pubblico interesse, la tutela della salute nel suo significato più ampio. Il volontariato, che per alcuni appartiene al Terzo Settore e per altri costituisce il Quarto, contribuisce a dar voce ai bisogni dei soggetti svantaggiati e svolge un ruolo fondamentale nella valutazione partecipata della qualità dell’assistenza. Soprattutto nell’area sociale il volontariato svolge un ruolo di primissima importanza e di supporto alle persone ed alle famiglie bisognose. Gruppi formati da cittadini o parenti dei malati si adoperano per portare supporto ed anche affetto a quelle persone che o per malattia e per solitudine hanno bisogno di aiuto, anche della sola compagnia. Con l’innalzamento dell’età media di vita e alle possibili conseguenze di non autosufficienza, il SSN dovrà sempre più fare affidamento alle associazioni di 38 volontariato che sempre più si integrano nella rete dei servizi socio-sanitariassistenziali, richiamando quei valori di collaborazione tra cittadino e stato. Vanno coinvolti i familiari e le associazioni di volontariato nei percorsi assistenziali al fine di dare loro quella preparazione e competenze per poter rendere efficaci ed efficienti i loro interventi. Il Quadro europeo per la qualità dei servizi di assistenza a lungo termine per il benessere e la dignità delle persone anziane (progetto WeDO) ci manifesta come in tutti i Paesi membri i continui tagli di bilancio nel sistema socio-sanitario-assistenziale ed un’aspettativa di vita più lunga in più anni di vita attiva e sana richiedano la necessità di assicurare alla popolazione le cure e l’assistenza di cui hanno bisogno per invecchiare con dignità, con il supporto delle strutture pubbliche, private e del terzo settore, ivi incluso le organizzazioni di volontariato. 5.4 L’antropologia medica L'antropologia medica che ha preso piede come disciplina universitaria ha un passato recente di circa trenta anni. Il suo termine è la traduzione di medical anthropology, apparso nella scuola antropologica statunitense intorno agli anni sessanta. Si occupa, più che studia, dell'impatto del sistema medico sul corpo e la psiche individuali e delle sue conseguenze, del rapporto tra guaritore e malato in relazione alle distinte culture e tradizioni, di come differenti culture abbiano elaborato differenti pratiche a fronte di una comune patologia, l’impatto della società sulla salute e i problemi esistenziali collegati alle tematiche della salute, della malattia e della cura. Analizza anche le soluzioni di medicine non occidentali sugli stessi fenomeni sopra descritti. All’inizio gli studiosi hanno trattato di religione, rituali, stregoneria, modi di pensare comparativi, oggi l’Antropologia Medica va aldilà delle credenze: le studia, cerca di comprendere ma va oltre, nella costante ricerca di unire scienza e credenze che possono escludersi a vicenda ma anche essere parti complementari di un tutt’uno. Si avvale di infermieri, medici, psicologi che al tempo stesso hanno avuto anche una formazione antropologica e che utilizzano sistemi antropologici e delle scienze sociali 39 per quanto concerne la comprensione di questioni legate alla salute e alla malattia, alla guarigione e ai sistemi di cura. La SIAM ( Società Italiana di Antropologia Medica ) è sorta nel 1988 ed è presente dal 1996 con la rivista AM e dal 2003 con il sito www.antropologiamedica.it Attualmente, secondo Tullio Seppilli20 che ne è il Presidente, l’ambito di ricerca dell’antropologia medica si articola lungo tre assi di ricerca, così sommariamente descritti: a) i processi attraverso i quali eterogenei fattori del sociale intervengono nel condizionare in diverso modo il manifestarsi e il successivo andamento di disturbi psichici e fisici; b) il modo in cui gli individui classificano, interpretano tali disturbi, secondo quali schemi ideologico-culturali; c) l’insieme della strumentazione prodotta in ciascun contesto per intervenire contro tali disturbi (saperi, pratiche, figure specializzate ecc.), le norme convenzionali e le strutture istituzionali che regolano i rapporti tra queste figure e i loro utenti. (AM, 1, p.14). Studiosi fanno ricerche ovunque nei paesi dove sono più sviluppate le cure alternative sottolineando quelle complementarietà tra cultura locale e medicina. Artur Kleinman21 (1980), a seguito di una sua ricerca a Taiwan, ha evidenziato come l’individuo, in cerca di risposte su un episodio patologico e successiva diagnosi, si trovi a scegliere in tre diversi settori secondo le proprie valutazioni: 1) il settore popolare che comprende credenze e pratiche dell’individuo ammalato, della sua famiglia e della comunità di cui è parte; 20 Tullio Seppilli (Padova, 16 ottobre 1928), antropologo, presidente anche della Fondazione Angelo Celli per la cultura della salute. 21 Arthur Kleinman, nato 11 marzo 1941, famoso psichiatra americano e professore di Antropologia Medica. Fin dal 1968 ha svolto ricerche nella società cinese, prima a Taiwan e dal 1978 in Cina sulla depressione, somatizzazione, epilessia schizofrenia e suicidio come forme di violenza. Ha scritto trattati sulla salute pubblica e le questioni internazionali e sofferenza sociale, la psichiatria transculturale, e l'esperienza individuale del dolore e della disabilità. 40 2) il settore professionale, che comprende conoscenze e pratiche degli operatori istituzionalizzati, 3) il settore “etnico”, che implica l’azione di operatori tradizionali che hanno lo status ufficiale di terapeuta. Dott Mauro Guidoni BIBLIOGRAFIA - ANTROPOLOGIA MEDICA E ORGANIZZAZIONE SANITARIA – Area -54c.it; - Dossier Caritas Migrantes 2010; - Legge 328 del 2000; - “LE MATRICI CULTURALI DELLA DIAGNOSI E DELL’INTERVENTO SOCIO-SANITARIO” Università degli Studi di Bergamo - Anno Accademico 20042005; - Marc Augé: I nonluoghi; - A cura dell’Istituto Nazionale Salute, Migrazione e Povertà: Migrazioni Internazionali e Salute - Manuale Pratico Per Operatori Sanitari. - Medical Anthropology at Home, e in particolare gli atti della sessione di Tarragona del 2001 pubblicati su AM 11-12 (ottobre 2001) e AM 13-14 (ottobre 2002); - Salute Internazionale Info del 25 gennaio 2009 - J.Silverman – S. Kurtz – J. Draper: Competenze per comunicare con i pazienti. Ed. Piccin nuova Libraria. Padova 2015 41