Storia sociale e `rifondazione` della storia politica

Storia sociale e ‘rifondazione’ della storia politica
Maurizio Ridolfi
Non sono passati molti anni da quando, nel
coro quasi generalizzato dei cantori della
storia sociale, si riservava una collocazione
residuale ai temi della politica. Ancora nel
1987, un osservatore attento degli indirizzi
storiografici come Nicola Gallerano aveva
potuto scrivere della maggior parte dei gio­
vani ricercatori come di “storici politici” che
si erano “svegliati storici sociali” . Inoltre,
sempre Gallerano aveva indicato una sorta
di equazione nella correlazione riscontrabile
tra storiografia contemporaneistica italiana
e storia del secondo dopoguerra: “a fase po­
litica alta, storia politica, a fase politica bas­
sa, storia sociale”1. In realtà, già nel corso
della seconda metà degli anni ottanta, anche
in Italia era stata avviata una “rifondazio­
ne” della storia politica. Sebbene il rinnova­
mento sia in pieno svolgimento, su di esso è
opportuna una riflessione non estempora­
nea. Mentre sarà necessario individuarne e
misurarne le principali direttrici con inter­
venti specifici e mirati, in questa occasione
può risultare utile delineare alcune possibili
coordinate storiografiche su un piano pro­
blematico e metodologico. Sembra utile
concentrare maggiormente l’attenzione sui
decenni dell’Italia liberale — e del secondo
Ottocento in particolare —, sui quali diversi
e significativi contributi hanno cercato di
evidenziare le moderne espressioni e le tra­
sformazioni della politica (regole, forme,
modelli, contenuti, identità, culture, lin­
guaggi, ecc.).
La nuova storia politica: prologhi e “perce­
zioni”
Se già nella prima metà degli anni ottanta,
con la costituzione a Bologna del Centro ri­
cerche di storia politica2, anche in Italia as­
sunse veste istituzionale l’esigenza di un rin­
novamento della storia politica, non pare
azzardato individuare una data periodizzan­
te nella “percezione” dei mutamenti della
storia politica e nella assunzione di questi a
fattore costitutivo del più largo “senso co­
mune” storiografico. Si tratta del convegno
di studi su “Il partito politico nella Belle
Epoque”, promosso dalla Luiss a Roma nel­
l’aprile 1989. Ad esso è seguita la sollecita
1 Nicola Gallerano, Fine del caso italiano? La storia politica tra “politicità” e “scienza”, “Movimento operaio e so­
cialista”, 1987, n. 2, p. 18.
2 II Centro sorse nel 1981 ed è forse utile ricordarne i primi approdi di ricerca. Cfr. Aa.Vv., A ll’origine della “fo r­
ma-partito” contemporanea. Emilia-Romagna 1876-1892: un caso di studio, Bologna, Il Mulino, 1984; Paolo
Pombeni, Demagogia e tirannide. Uno studio sulla forma-partito del fascismo, Bologna, Il Mulino, 1984 e quindi
Id., Introduzione alla storia dei partiti politici, Bologna, Il Mulino, 1985.
Italia contemporanea”, settembre 1993, n. 192
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Maurizio Ridolfi
pubblicazione degli atti3, nella cui introdu­
zione il curatore esplicita il “ritorno della
storia politica” in Europa; un auspicio cer­
tamente anche per l’Italia ma, allo stesso
tempo, la constatazione di un mutato clima
storiografico. Anzitutto, in che termini è
possibile qualificare questo moto di rifonda­
zione della storia politica? Nei principali
paesi del continente, come sappiamo, il ri­
torno di attenzione verso la dimensione poli­
tica nella ricerca si è già rivelato prodigo di
studi. Se in Germania il dibattito ha riguar­
dato prevalentemente il “laboratorio” del si­
stema politico e in Francia ha assunto invece
importanza centrale la correlazione dei pro­
cessi di scissione-integrazione nello stato-na­
zione, in Gran Bretagna la lunga tradizione
istituzionale ha orientato gli studi sul rap­
porto tra continuità e mutamento4. In Italia,
se la “riscoperta” della politica negli studi
storici è recente, si può cominciare col dire
che essa sta avvenendo sulla scorta di rifles­
sioni metodologiche impegnate e non occa­
sionali. Se, nella direzione ricordata, preli­
minare è la definizione di un diverso rappor­
to tra storia e scienza della politica5 — che
non si risolva in una semplice operazione di
“maquillage” —, anche in Italia, a ben ve­
dere, è un più largo e rivendicato rapporto
tra storia e scienze sociali a contrassegnare
le tendenze in atto. Anzi, proprio in ragione
del suo essere area di frontiera rispetto ai
territori di ricerca dissodati dalla storia socia­
le e grazie ai nuovi linguaggi e saperi mutuati
dalla ricerca interdisciplinare, la storia politi­
ca tende ad accreditare una profonda riscrit­
tura del suo statuto scientifico, con risvolti
simbolici ed evocativi alquanto suggestivi.
Mosso da una condivisibile insofferenza
verso gli usi e gli abusi della storia politica
da parte dei mass-media, Piero Bevilacqua
ha osservato come l’emancipazione del “so­
ciale” preluda non tanto ad una riedizione
aggiornata di “una storia senza la politica”,
quanto permetta proprio alla stessa storia
politica di ridefinire un proprio ambito spe­
cialistico, meno generico e ideologizzato che
un tempo, ma sicuramente anche meno vul­
nerabile sul piano scientifico.
La storia politica — ha scritto Bevilacqua — può
finalmente trasformarsi in storia della politica,
ricostruzione di tutti quei processi, disseminati
nell’universo sociale o strutturati nelle articola­
zioni molteplici dello Stato, in cui si esprime la
lotta per il controllo delle risorse, per il potere di
comando nelle istituzioni, per il governo degli uo­
mini6.
A sua volta, nel riflettere sui percorsi di ri­
cerca recentemente emersi negli studi sulla
dimensione politico-istituzionale delle vicen­
de storiche, grazie ad una felice coniugazio­
ne tra scienze sociali e storia, Paolo Macry
ne ha riassunto gli itinerari, ormai non più
estranei alla stessa storiografia italiana:
3 Gaetano Quagliariello (a cura di), Il partito politico nella Belle Epoque. Il dibattito sulla forma-partito in Italia
tra ’800 e ’900, Milano, Giuffrè, 1990. Per un’ampia discussione del volume, Federico Mioni, La cupola incrinata:
forma-partito e forme della politica in Italia tra Ottocento e Novecento, “Il Pensiero Politico”, 1990, n. 2.
4 Per una ricognizione sulle principali storiografie europee, G. Quagliariello, Il ritorno della storia politica. Note
sui recenti sviluppi della ricerca, in II partito politico, cit., pp. XXIX-XXX in particolare. Va comunque segnalata
l’intensità con la quale in Francia ci si interroga sulla “nuova” storia politica; cfr. René Remond (a cura di), Pour
une histoire politique, Paris, Ed. du Seuil e Denis Peschansky-M. Pollak-Henri Rousso (a cura di), Histoire politi­
que et sciences sociales, Bruxelles, Editions Complexe, 1991.
5 Non è forse superfluo ricordare come, a dispetto della scarsa ricezione da parte della storiografia, sempre impor­
tante sia l’eredità degli studi di Paolo Farneti per l’analisi del rapporto tra società civile e sistema politico e quindi
per un incontro fecondo tra storia e scienza della politica. A patto che se ne discutano criticamente gli assunti me­
todologici e se ne verifichino le linee interpretative sulle fonti.
6 Piero Bevilacqua, Storia della politica o uso politico della storia?, “Meridiana”, 1988, n. 3, p. 176. Si vedano an­
che Ernesto Galli Della Loggia, Una storiografia indifferente, “Il Mulino”, 1986, n. 4, e Francesco Barbagallo, Po­
litica, ideologia, scienze sociali nella storiografia dell’Italia repubblicana, “Studi storici”, 1986, n. 4.
Storia sociale e ‘rifondazione’ della storia politica
una nuova storiografia politica cerca di uscire dal­
la trappola del “racconto dei fatti” e riesuma, dal
passato, i sistemi politici più che le vicende dei
singoli stati, i processi decisionali legislativi più
che la storia di singoli governi o di singoli statisti,
le tipologie dell’organizzazione politica più che la
narrazione di congressi di partito o l’illustrazione
delle idee dei leader sindacali, il comportamento
elettorale nelle sue variabili socio-culturali più che
la descrizione dei parlamenti e del loro operato
ecc. Niente di più lontano, insomma, dalla vec­
chia histoire événementielle. [...] Anche taluni
storici politici producono dunque tipologie e siste­
mi, introducendo in un campo tradizionalmente
descrittivo un livello di generalizzazione e di for­
malizzazione che è evidentemente mutuato dalle
scienze sociali. [...] Analisi di reti impersonali e di
conflitti tra individui e famiglie riscoprono, dietro
le etichette di partito, la realtà della lotta politica
e le sue motivazioni concrete7.
In sostanza, come anche Macry è indotto a
osservare, “la nuova storia politica è, in
realtà, storia della politica” .
La storia come scienza della politica
Nell’editoriale che nel 1986 annunciava il
primo annale del Centro ricerche di storia
politica si prospettava un’ “agenda di lavo­
ro” che, negli anni a seguire, sarebbe stata
confortata da molteplici apporti. Nell’osservare come “l’ambito della politica” fosse
ancora “un territorio abbastanza disertato
dai dibattiti teorici degli storici italiani”, si
contestava la circostanza per cui
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la discussione su cosa sia la politica, quali le rego­
le e le modellistiche che la governano, quali le for­
me in cui essa si organizza, quali le sue istituzioni
fondanti ed i loro ritmi di trasformazione, si vor­
rebbe da più parti esclusa per lo storico8.
Attraverso la promozione e lo svolgimento di
studi volti a porre l’attenzione storiografica
sulla nascita della moderna forma-partito in
Italia e in Europa9, Paolo Pombeni ha deli­
neato una precisa e concettualmente agguer­
rita proposta metodologica di ricerca sulle
trasformazioni che interessano l’organizza­
zione della politica e la regolamentazione
dell’obbligazione politica nella società con­
temporanea. Nella ricongiunzione alla storia
costituzionale di Brunner e Hintze e attraver­
so una riattualizzazione della lezione weberiana, la prospettiva di riconsiderare la storia
come una delle scienze della politica rivela
molteplici potenzialità esplicative e interpre­
tative. La premessa è però duplice: da una
parte, che la scienza della politica attivi fe­
condi contatti col sapere storico (“l’uso della
categoria del tempo e dello spazio come mo­
menti determinanti nell’indagine del disporsi
di relazioni”) e contempli una forte attenzio­
ne per la dimensione giuridico-formale, il
terreno costituzionale e le tradizioni di pen­
siero politico; dall’altra, che la storia metta
fine alla marginalizzazione di “ogni interesse
per lo studio dei sistemi di relazioni che non
[siano] sistemi di relazioni personali”10 e si
riprometta di “studiare non più semplicemente delle vicende della sfera politica, ma le
relazioni, e se possibile i sistemi di relazione
1 Paolo Macry, La società contemporanea. Una introduzione storica, Bologna, Il Mulino, 1992, pp. 321-322. Il vo­
lume, rivolto ad un prevalente scopo didattico, si articola sulla base di una precedente edizione (Bologna, Il Muli­
no, 1980), con la significativa aggiunta di un nuovo capitolo anche su “Lo stato e la politica”. Un “segno dei tem­
pi”, si potrebbe osservare.
8 Editoriale, “Ricerche di Storia Politica”, 1986, n. 1, p. 5.
9 Si considerino i volumi collettanei: P. Pombeni (a cura di), La trasformazione politica nell’Europa liberale 18701890, Bologna,, Il Mulino, 1986; Nicola Matteucci e P. Pombeni (a cura di), L ’organizzazione della politica. Cul­
tura, istituzioni, partiti nell’Europa liberale, Bologna, Il Mulino, 1988; P. Pombeni (a cura di), Potere costituente e
riforme costituzionali, Bologna, Il Mulino, 1992.
10 P. Pombeni, La storia come scienza della politica. A proposito della forma partito, in II partito politico, cit.,
pp. 70-71.
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Maurizio Ridolfi
che hanno presieduto alla costruzione della
sfera politica in un determinato contesto”11.
Ecco allora che il mosaico della dimensione
politica da ricostruire storicamente appare
ben schizzato nei suoi soggetti centrali:
La cultura politica europea, cioè quel patrimonio
di riflessioni in cui si fondono apporti del pensie­
ro storico, del pensiero giuridico e del pensiero
politico (nel senso classico del termine); l’orga­
nizzazione dello spazio politico nell’Europa tra il
1830 e il 1950, cioè quello che noi possiamo e vo­
gliamo chiamare le “costituzioni materiali” dei
vari stati; l’organizzazione delle relazioni e delle
obbligazioni politiche all’interno delle diverse so­
cietà prese in considerazione12.
Nella proposta metodologica avanzata da
Pombeni assume un rilievo caratterizzante il
ritorno alla lezione weberiana dell’idealtipo-,
“uno strumento abbastanza sconosciuto” —
avverte lo stesso Pombeni13 — e che spesso è
facilmente confuso con il modello o con la
categoria classificatoria. In sostanza, si trat­
ta di costruire uno strumento scientifico che,
nell’analisi della dimensione politica, pur
prescindendo dai dati reali e presentandosi
allo stato “puro” , mantenga un indispensa­
bile carattere di “verificabilità”14. Come
“una storia inevitabilmente idealtipica” si
presenta infatti la ricognizione effettuata da
Pombeni sul rapporto tra potere politico e
autorità sociale nell’Italia postunitaria.
Muovendo dalla mancanza di un sufficiente
panorama di studi, nonché da un codice di­
sciplinare ancora poco aduso a cimentarsi
oltre il piano descrittivo e privo di una for­
malizzazione lessicale, l’autore persegue la
“costruzione di uno strumentario di catego­
rie e di concetti”: per l’appunto di idealtipi,
grazie ai quali “non solo capirci, ma inter­
pretare il nostro oggetto di studio, piegare la
lettura del passato a una attribuzione di si­
gnificato”15. Si tratta di un impianto che
compendia problemi di metodo, acquisizioni
della più recente storia costituzionale e pre­
messe di ulteriori ricerche. L’approccio
adottato come “schema di riferimento” per
dar conto degli sviluppi della storia politico­
costituzionale, verte sui sistemi di relazioni
politiche osservabili grazie alla costruzione
idealtipica della “costituzione materiale” .
I problemi analitici e interpretativi relativi
agli anni di fondazione dello stato-nazione
italiano sono oggetto di numerosi contributi
di storia costituzionale. Le analogie e la
comparazione col “caso tedesco”16, a partire
da un processo di modernizzazione che ac­
comuna i due paesi sia per la mancata nazio­
nalizzazione dell’arena politica17 che per una
asimmetrica trasformazione della società e
della politica, permettono di rilevare la rigi-
11 P. Pombeni, La storia come scienza della politica, cit., p. 83.
12 P. Pombeni, La storia come scienza della politica, cit., p. 78.
13 P. Pombeni, Premessa a Autorità sociale e potere politico nell’Italia contemporanea, Venezia, Marsilio, 1993,
p. 15.
14 P. Pombeni, Introduzione alla storia dei partiti, cit., pp. 12-13.
15 P. Pombeni, Autorità sociale e potere politico, cit., pp. 14-15. In sostanza, nella riproposizione idealtipica della
“costituzione materiale”, si attualizzano e si reinterpretano le congiunte eredità scientifiche di Costantino Mortati e
Otto Brunner.
16 Su questi orizzonti comparativi è da anni impegnato l’Istituto storico italo-germanico in Trento. Con diretto ri­
ferimento ad un tema quale quello della storia dei concetti che è strettamente legato allo sviluppo della storia costi­
tuzionale e istituzionale, da ultimo si veda Raffaella Gherardi e Gustavo Gozzi (a cura di), I concetti fondamentali
delle scienze sociali e dello stato in Italia e in Germania tra Otto e Novecento, Bologna, Il Mulino, 1992.
17 Sulla percezione delle forze antisistema — socialiste e cattoliche in particolare — da parte della classe dirigente
liberale, tra la trasformazione delle relazioni sociali in una dimensione sempre più politicizzata e la invece comples­
sa individuazione di un’arena nazionale per l’azione dei soggetti politici, cfr. Fulvio Cammarano, Nazionalizzazio­
ne della politica e politicizzazione della nazione. I dilemmi della classe dirigente nell’Italia liberale, relazione pre­
sentata al convegno sul tema “Dalla città alla nazione. Borghesie ottocentesche in Italia e in Germania” (Trento, 22
maggio 1992), in corso di stampa.
Storia sociale e ‘rifondazione’ della storia politica
dità del sistema istituzionale italiano e la
frammentazione della società civile. Sul pri­
mo versante, si lamentano forti resistenze al­
la legittimazione del potere politico, dovute
anche alla mancanza di un unificante mito
di fondazione dello stato-nazione che sup­
porti un condiviso e formalizzato potere co­
stituente. A ciò si aggiungono i limiti e il de­
bole impatto manifestati dalla pur tentata
legittimazione del sistema politico come “re­
ligione civile” e “religione della patria” pro­
mossa dalla classe dirigente liberale18. Sul­
l’altro versante, invece, nella società civile si
intersecano e si sovrappongono diversi siste­
mi di autorità sociale, non facilmente circo­
scrivibili nel nuovo panorama costituziona­
le. Ne deriva una “costituzione materiale” in
cui limitato risulta lo spazio per le riforme
istituzionali, fatta eccezione per quelle elet­
torali, non a caso oggetto di una larga atten­
zione storiografica19. È questo un terreno
che però evidenzia ancor più le peculiarità
del caso italiano rispetto alle principali real­
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tà europee, con l’accostamento di una con­
cezione astratta e quasi automatica del dirit­
to individuale di voto a norme di gestione
del corpo elettorale che collidono con le an­
tiche logiche comunitarie, a cui rinviano an­
cora le istanze di aggregazione indotte dal
nuovo sistema della rappresentanza. In que­
sto sistema di relazioni assume rilevanza as­
soluta il ruolo del notabile. Come si dirà an­
che in seguito, si tratta di una figura essen­
ziale nella vita politica e sociale dell’Italia li­
berale, una sorta di mediatore, nonché di
garante e di agente di legittimazione, nei
rapporti tra cittadino e istituzioni incapaci
di instaurare un ordinario canale di comuni­
cazione, tra interessi in cerca di una rappre­
sentanza e possibile “discrezionalità” deci­
sionale dell’amministrazione pubblica. Ne
conseguono diffuse pratiche manipolatorie e
clientelati nell’espressione del consenso e la
sterilizzazione degli esiti di quest’ultimo.
Inoltre, la regolamentazione dei sistemi di
autorità al di fuori della “costituzione for-
18 A differenza di altre storiografie, basti pensare alle francese e tedesca, quello dei simboli e dei riti patriottici è un
tema su cui manchiamo di sufficienti ricerche. Ancor più rimarchevole è perciò lo studio di Bruno Tobia, Una pa­
tria per gli italiani. Spazi, itinerari, monumenti nell’Italia unita (1870-1900), Roma-Bari, Laterza, 1991. Ma ora si
vedano anche Umberto Levra, Fare gli Italiani. Memoria e celebrazione del Risorgimento, Roma, Istituto per la
Storia del Risorgimento, 1992 e Massimo Baioni, I musei del Risorgimento. Santuari laici dell’Italia liberale, “Pas­
sato e Presente”, 1993, n. 29, anticipazione de La religione della patria, Padova, Pagus, 1993.
19 Si veda dapprima Raffaele Romanelli, Le regole del gioco. Note sull’impianto del sistema elettorale in Italia
(1848-1895), “Quaderni storici”, 1988, n. 69. Sull’impatto della riforma dei primi anni ottanta, dello stesso Roma­
nelli, cfr. Alla ricerca di un corpo elettorale. La riforma del 1882 e il problema dell’allargamento del suffragio, ora
anche in Id., Il comando impossibile. Stato e società nell’Italia liberale, Bologna, Il Mulino, 1988, pp. 151-206; per
un “caso di studio”, mi permetto di rinviare a Maurizio Ridolfi, Associazionismo, sociabilità elettorale e organizza­
zione della politica. Le elezioni del 1882 in Romagna, in Id., Il circolo virtuoso. Sociabilità democratica, associa­
zionismo e rappresentanza politica nell’Ottocento, Firenze, Centro Editoriale Toscano, 1990. Mentre manca uno
studio approfondito sulla riforma elettorale del 1912, per quella postbellica si veda almeno Serge Noiret, Riforme
elettorali e crisi dello stato liberale 1918-1919, “Italia contemporanea”, 1989, n. 174. La questione elettorale e il di­
battito su di essa sono oggetto dello studio di Maria Serena Piretti, La giustizia dei numeri. Il proporzionalismo in
Italia 1870-1923, Bologna, Il Mulino, 1990. Sempre insufficienti sono invece gli studi sulle elezioni amministrative,
su cui ora cfr. Pier Luigi Ballini, Riforma dell'elettorato e lotta amministrativa nella crisi di fine secolo, in Verso
l ’Italia dei partiti. Gli anni della formazione del Psi, a cura di Maurizio Degl’Innocenti, Milano, Angeli, 1993. Sul
bicameralismo e sul ruolo del Senato si vedano Nicola Antonetti, Gli invalidi della costituzione. Il Senato del Re­
gno 1848-1924, Roma-Bari, Laterza, 1992 e Maria Elvira Lanciotti, La riforma impossibile. Idee, discussioni e pro­
getti sulla modifica del Senato regio e vitalizio (1848-1922), Bologna, Il Mulino, 1993. Quello del diritto di voto e
quindi del mancato accesso alla cittadinanza, è stato uno dei pochi temi di politica affrontati in Italia dalla storio­
grafia sulle donne; cfr. Mariapia Bigaran, Progetti e dibattiti sul suffragio femminile: da Peruzzi a Giolitti, “Rivi­
sta di storia contemporanea”, 1985, n. 1 e l’introduzione al fascicolo di Mariuccia Salvati, La storia delle donne
può essere anche storia istituzionale?
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Maurizio Ridolfi
male” e della sfera politica, senza formaliz­
zazione giuridica, assegna un ruolo crescen­
te all’amministrazione, ad un pur controlla­
to decentramento dei poteri e alla negozia­
zione degli spazi propri dei corpi sociali e
politici.
È comunque il problema della legittima­
zione del potere politico a campeggiare nel­
l’Italia liberale, apertamente contestato già
nei primi anni da autorità sociali distinte ma
egualmente ostili come la Chiesa e la leader­
ship democratica20. In mancanza di entità
statali e costituzionali preesistenti — a diffe­
renza della stessa Germania —, la “costitu­
zione materiale” dello stato è elaborata ex
post dai giuristi. L’importazione delle dot­
trine liberali e dei più avanzati modelli costi­
tuzionali europei21 si scontra però con una
società civile ancora refrattaria alla moder­
nizzazione sociale ed economica borghese e
attraversata da radicate identità localistiche
e comunitarie.
È insomma la configurazione del “coman­
do impossibile” descritto da Raffaele Roma­
nelli a sostanziare il processo di fondazione
della “costituzione materiale” nell’Italia li­
berale22.
Tra i problemi istituzionali più dirompen­
ti vi è quello della creazione di uno stato di
diritto in un paese privo di tale tradizione e
con una larga frammentazione burocratica.
La trama della pars administrativa del poli­
tico e dei connessi rapporti con le scienze
dell’amministrazione è disegnata nello stu­
dio di Raffaella Gherardi23. È il frutto di un
meditato lavoro di storia costituzionale sul­
l’assetto politico-amministrativo dell’Italia
nel secondo Ottocento e sui modelli teorici
messi a punto dalla classe dirigente con l’e­
mergere della ‘questione sociale’. Lo studio
si avvale di una frequentazione approfondi­
ta delle fonti coeve e degli scritti di Marco
Minghetti (tra gli anni settanta e ottanta) per
scandagliare la ‘via italiana’ approntata dal
moderatismo nella costruzione della “costi­
tuzione materiale”: 1’ “arte della media­
zione”.
Nell’itinerario che conduce l’Italia dall’età della
costituzione all’età dell’amministrazione — scrive
Gherardi — e che dai segni della “crisi” dello Sta­
to di diritto già vede delinearsi all’orizzonte lo
Stato amministrativo, tanto più rilevanti diver­
ranno l’incontro tra scienza e politica e la conse­
guente nuova legittimazione di cui, proprio sulla
20 Cfr. P. Pombeni, Autorità sociale e potere politico, cit., pp. 41-42, dove comunque si rileva il carattere ambiva­
lente della leadership democratica, formalmente all’ “opposizione” in quanto fautrice di un alternativo modello co­
stituzionale, ma in fondo accomunata alla classe dirigente liberale da una cultura politica spesso affine. La compe­
tizione coi moderati sembrerebbe allora spostarsi sul piano sociale più che su quello politico-istituzionale. Il discor­
so pare ancora più complesso dove il mondo democratico gode effettivamente di un largo radicamento sociale; cfr.
Roberto Balzani, Aurelio Saffi e la crisi della sinistra romantica (1882-1887), Roma, Edizioni dell’Ateneo, 1988 e
M. Ridolfi, Il partito della Repubblica. La Consociazione repubblicana romagnola e le origini del Pri nell’Italia li­
berale (1872-1895), Milano, Angeli, 1989.
21 Gli studi sulla crisi di legittimazione del potere politico liberale hanno fatto emergere un diffuso richiamo al mo­
dello istituzionale inglese, esempio di un equilibrio tra i poteri costituzionali. Oltre ai citati studi di P. Pombeni,
cfr. F. Cammarano, Il modello politico britannico nella cultura del moderatismo italiano di fine secolo, in La
scienza moderata. Fedele Lampertico e l ’Italia liberale, a cura di Renato Camurri, Milano, Angeli, 1992.
22 R. Romanelli, Il comando impossibile, cit., pp. 7-30, sulla “natura del progetto liberale di governo” . Un approc­
cio diverso, con una accentuazione dello “statocentrismo” italiano, muove lo studio di Umberto Allegretti, Profilo
di storia costituzionale. Individualismo e assolutismo nell’Italia liberale, Bologna, Il Mulino, 1989; si veda la di­
scussione a più voci del volume in “Società e storia”, 1991, n. 53.
23 R. Gherardi, L ’arte del compromesso. La politica della mediazione dell’Italia liberale, Bologna, Il Mulino,
1993. Sulla “filosofia civile” del liberalismo (in relazione al pensiero di Staurt Mill) e anche per meglio comprende­
re come in Italia la scienza della politica si sviluppi più come scienza dell’amministrazione che come scienza della
società, cfr. Nadia Urbinati, Le civili libertà. Positivismo e liberalismo dell’Italia unita, Venezia, Marsilio, 1990.
Storia sociale e ‘rifondazione’ della storia politica
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base di accorti compromessi che si tingono di un
alone scientifico, le forze moderate andranno alla
ricerca.
smo sembreranno addirittura sinonimi, coloran­
dosi ben altrimenti che della mera incapacità di
porre in atto un modello25.
E ancora:
Nonostante ciò, l’elitismo liberale postunita­
rio non riesce ad adeguare sistema rappre­
sentativo e sistema sociale. Nell’affrontare
di petto il problema della legittimazione del
potere, Crispi intraprenderà la via giacobina
del primato della politica sulla società civile
e del governo come strumento di un nuovo
equilibrio istituzionale che esprima i principi
della razionalità borghese26. Non si viene pe­
rò a capo del “governo” delle trasformazio­
ni sociali in corso, con la sfida alla legittimi­
tà del potere politico posta dalle nuove for­
me di aggregazione e di difesa sociale; anche
perché, causa il debole rapporto tra società
civile e classe politica liberale, la moderna
organizzazione partitica viene ritenuta la
‘forma’ degli ‘esclusi’27: i socialisti per ra­
gioni di classe e i cattolici per la resistenza
opposta alla disgregazione dei tradizionali
equilibri comunitari provocata dai processi
di laicizzazione e di secolarizzazione. In en­
trambi i casi si rivendicano forti fattori di
identità antagonistica e autonomi sistemi di
relazione sociali e politiche, alternativi allo
stato nei contesti di insediamento territoriale
di queste forze28. Ciò contrasterà con l’ela-
A fondamento primo del “sistema” che queste ul­
time vanno costruendo, esse faranno costantemente appello, nei decenni di fine secolo, alla lo­
ro vocazione anti-ideologica, identificando quale
prototipo dell’astrattismo dell’ideologia sia il lo­
ro nemico di sempre, il socialismo, sia “vecchie
idolatrie” della costituzione tipica della dottrina
liberale nella sua fase primigenia24.
Gherardi confuta l’interpretazione relativa
alle presunte “carenze” del liberalismo ita­
liano rispetto ai pur evocati modelli del co­
stituzionalismo europeo; anzi, ricostruisce la
presenza di una consapevole strategia di “di­
sincantamento politico” e di “sperimentali­
smo”, con una perseguita osmosi tra politica
e scienza volta a neutralizzare i conflitti po­
litico-ideologici, a perorare le buone ragioni
dell’assimilazione ed a legittimare la via me­
dia nel passaggio dall’ ‘età della politica’
all’ ‘età dell’amministrazione’.
Facendosi forte delle armi della scienza, la sfida
anti-progettuale del liberalismo italiano, patroci­
nata dalle forze moderate, risulterà alla fine tes­
sere da vicino la trama di una Realpolitik per la
quale i concetti di trasformazione e di trasformi­
24 R. Gherardi, L ’arte del compromesso, cit., p. 8.
25 R. Gherardi, L ’arte del compromesso, cit., pp. 9, 24-25 e, in particolare, 34-35.
26 P. Pombeni, Autorità sociale e potere politico, cit., p. 44. Si guardi comunque Le riforme crispine, “Archivio
Isap”, n. 6, 4 voli., Milano, Giuffrè, 1990 e quindi Problemi istituzionali e riforme nell’età crispina, Roma, Istituto
per la Storia del Risorgimento, 1992.
27 Sul problema del partito nella classe dirigente liberale, si veda Hartmut Ullrich, Ragione di stato e ragione di
partito. Il “grande partito liberale” dall’Unità alla prima guerra mondiale, in II partito politico nella Belle Epoque,
cit., pp. 107-191. A proposito della pur breve vita della Federazione “Cavour”, un organismo a metà tra movimen­
to d’opinione ed embrione partitico, cfr. F. Cammarano, Il progresso moderato. Un’opposizione liberale nella
svolta dell’Italia crispina (1887-1892), Bologna, Il Mulino, 1990, pp. 61-137.
28 Su questi temi, in quanto preliminari ad ogni analisi delle moderne forme associative e dei processi di politicizza­
zione, ho avuto occasione di avanzare alcune osservazioni nel mio II circolo virtuoso, cit., pp. 32-37. Ora però, in
questo stesso fascicolo, cfr. soprattutto la riflessione comparativa di Marco Fincardi, Sociabilità e secolarizzazione
negli studi francesi e italiani. Nonostante la consuetudine sociologica a trattare delle identità politiche nelle subcul­
ture territoriali, in campo storiografico sono del tutto insufficienti gli studi, sia sui “bianchi” che sui “rossi”. Per la
ricerca recente più significativa, rinvio ancora a M. Fincardi, Primo Maggio reggiano. Il formarsi della tradizione
rossa emiliana, Reggio Emilia, Edizioni della Camera del lavoro di Reggio Emilia e Guastalla, 1990.
536
Maurizio Ridolfi
borazione e la condivisione di una civic cul­
ture, vale a dire di un comune nucleo di va­
lori e comportamenti collettivi. L’accetta­
zione della politica sarà allora confinata alle
istituzioni statali-governative e alle strutture
burocratiche dell ’amministrazione.
È comunque con l’Italia giolittiana che si
afferma compiutamente 1’ ‘età dell’ammini­
strazione’. La pubblica amministrazione di­
viene la dimensione centrale nella trasfor­
mazione dello stato di diritto, imposto dalla
percezione del processo di massificazione
della società; essa si impone come perno del
sistema di mediazione degli interessi della
società civile, altrimenti frammentati e tali
da risultare privi di adeguata rappresentan­
za. L’integrazione politica avviene però at­
traverso il depotenziamento delle nuove for­
ze sociali su un piano sindacale, settoriale e
corporativo, con una reiterata scissione tra
potere e autorità sociale ed un sistema politi­
co capace sì di assorbire i conflitti, ma non
di attivare un largo processo di legittimazio­
ne29. È una condizione che l’impatto della
guerra e la crisi successiva renderà esplosiva,
con il dissolvimento dello ‘stato amministra­
tivo’ e la paralisi politico-costituzionale del­
la classe dirigente liberale. Basti pensare a
come avviene l’introduzione della rappre­
sentanza proporzionale: essa si rivelerà inet­
ta di fronte al problema del superamento
delle rigidità di un sistema politico retto sul
modello notabilare della rappresentanza e
quindi di un suo adattamento ai cleavages
socio-culturali, alla diffusa mobilitazione
politica e alla discesa nell’arena nazionale
dei nuovi partiti di massa30.
Storia politica e storia sociale
Se dovessimo limitarci a confrontare il codi­
ce scientifico e il tradizionale campo d’azio­
ne tanto della storia politica quanto della
storia sociale, apparirebbe poco incorag­
giante qualsiasi ricerca di punti di incontro.
Infatti, se la storia politica ha perseguito a
lungo un terreno di analisi che espungeva
gli uomini, dibattendosi tra eccessi di crona­
chismo e la veste di protagonisti accordata
sia alle ideologie che agli organismi partitico-sindacali, la storia sociale aveva rivendi­
cato un autonomo spazio proprio in opposi­
zione alla histoire événementielle. In effetti,
anche in Italia, almeno fino alla metà degli
anni ottanta, sulla scorta di un dibattito
storiografico che all’inizio del decennio pre­
cedente aveva registrato un’accesa e saluta­
re contestazione dei metodi e dei contenuti
della tradizionale storia politica31, la dimen­
sione politica dei problemi analitici e inter­
pretativi aveva trovato una scarsa eco nella
traduzione nazionale della storia sociale.
Non erano però mancati interventi tesi a
29 Sul rapporto tra questione sociale, politica e amministrazione, vanno richiamati almeno gli studi di Guido Melis,
Burocrazia e socialismo nell’Italia liberale, Bologna, Il Mulino, 1980 e G. Gozzi, Modelli politici e questione socia­
le in Italia e in Germania fra Otto e Novecento, Bologna, Il Mulino, 1986. Sulla correlazione tra istituzionalizzazio­
ne della società civile borghese in ascesa, burocrazia statale e processi di modernizzazione, cfr. R. Romanelli, Un
ceto di impiegati tra privato e pubblico: i segretari comunali in Italia (1860-1915), Bologna, Il Mulino, 1989. Cfr.
infine Maurizio Fioravanti, Costituzione, amministrazione e trasformazioni dello stato, in Aldo Schiavone (a cura
di), Storia e cultura giuridica dall’unità alla repubblica, Roma-Bari, Laterza, 1990, per il prefascismo.
30 Oltre agli studi citati di M.S. Piretti e S. Noiret, cfr. R. Vivarelli, Storia delle origini del fascismo. L ’Italia dalla
grande guerra alla marcia su Roma, vol. II, Bologna, Il Mulino, 1991, capp. I e II. Sulla percezione del partito
di massa nell’Italia prefascista, cfr. Francesco Traniello, La figura del partito politico nella cultura politica del
primo Novecento, in Id., Città dell’uomo. Cattolici, partito e stato nella storia d ’Italia, Bologna, Il Mulino, 1990,
pp. 99-138.
31 II dibattito sulle tendenze della storiografia contemporaneistica italiana era stato aperto da Alberto Caracciolo e
Pasquale Villani, Proposte per un riesame critico, “Quaderni storici”, 1972, n. 20. Per alcuni aspetti del seguito che
esso ebbe negli anni seguenti, si vedano i citati articoli di N. Gallerano, E. Galli Della Loggia e F. Barbagallo.
Storia sociale e ‘rifondazione’ della storia politica
reimpostare le questioni metodologiche e
storiografiche al di là degli iniziali steccati.
Già nella seconda metà degli anni settanta,
Raffaele Romanelli e Tommaso Detti si era­
no orientati verso la ricerca di un possibile
terreno di incontro tra storia politica e storia
sociale. Raccogliendo alcune valutazioni
espresse da Giuseppe Galasso sul dinamico
rapporto tra società e stato riscontrato nella
Storia politica e sociale condotta da Ernesto
Ragionieri (e Carlo Pinzani) all’interno dell’einaudiana Storia d ’Italia, Romanelli ave­
va rilanciato alcune esigenze di innovazione
metodologica. Facendo propria l’individua­
zione del nucleo del lavoro ragionieriano
nella storia istituzionale, volta a porre l’ana­
lisi dei “rapporti di potere” come la via at­
traverso la quale ricostruire la “storia della
società”, Romanelli traeva l’indicazione per
un’attività di ricerca capace
di avere più compiuta nozione delle realtà sociali
che sono alla base di quelle politiche, di sostan­
ziare la descrizione delle seconde con la cono­
scenza delle prime, e semmai di far storia del
“politico” e non della “politica”, come lunga­
mente si è fatto32.
Mentre però Detti, in relazione agli studi sul
movimento operaio, rilevava nella metodo­
logia ragionieriana la possibilità di fare di
una nuova storia istituzionale il terreno per
537
una “ricomposizione unitaria di storia socia­
le e storia politica”33, Romanelli suggeriva
una revisione più profonda. Nel prospettare
un più stretto intreccio tra storia e scienze
sociali — antropologia e psicologia sociale
in particolare —, si lamentava come la “sfe­
ra del politico” continuasse ad essere limita­
ta ai conflitti di classe e ai momenti organiz­
zativi, secondo lo schema di indagine pro­
prio dello storicismo marxista e ritenuto ina­
deguato allo studio dell’età contemporanea.
Bisognava insomma prender atto che la sto­
ria politica non solo non è rappresentativa
della totalità del vissuto nella quotidianità
dei singoli e nelle relazioni interpersonali,
ma anche che
il sistema delle classi non si definisce più soltanto
nella società civile, bensì anche nel “politico”,
mentre la “politica” non è più soltanto l’espres­
sione di una autocoscienza, o lo specchio del rap­
porto tra le classi, ma è anche il campo dell’orga­
nizzazione ideologica di massa, nel quale l’ege­
monia mal si distingue da nuove forme di domi­
nio.34
Alla storia sociale, invece, Romanelli chie­
deva di assumere come proprio compito co­
noscitivo lo studio dei mutamenti e dei sog­
getti che ne sono protagonisti; un oggetto
analitico “costituito dai tempi e dalle forme
in cui la disgregazione degli equilibri sociali
32 R. Romanelli, Storia politica e storia sociale: questioni aperte, in P. Macry e Antonio Palermo (a cura di), So­
cietà e cultura dell’Italia unita, Napoli, Guida, 1978, p. 90.
33 Tommaso Detti, Storia politica e storia sociale nella storiografia sul movimento operaio, in L ’Italia unita nella
storiografia del secondo dopoguerra, a cura di Nicola Tranfaglia, Milano, Feltrinelli, 1980, p. 309. In ogni caso,
sulle funzioni della politica e sulla centralità del rapporto tra momento associativo e momento istituzionale nella
nascente “microstoria”, già aveva richiamato l ’attenzione Edoardo Grendi, Una prospettiva per la storia del movi­
mento operaio, “Quaderni storici”, 1972, n. 20. Per un aggiornamento del dibattito metodologico alla fine degli
anni ottanta, cfr. invece Giovanni Gozzini, Lavoro e classe. Le tendenze della storiografia, “Passato e presente”,
1990, n. 24, dove il recupero e la ridefinizione della politica alimentati dalla network analysis di taglio sociologico e
antropologico vengono valorizzati, pur nella sottolineatura dei rischi dell’ “individualismo metodologico” e di una
unilaterale lettura “razionale” e funzionalista dei comportamenti umani. Il richiamo di G. Gozzini (pp. 108-109) è
soprattutto allo studio di Maurizio Gribaudi, Mondo operaio e mito operaio. Spazi e percorsi sociali a Torino nel
primo Novecento, Torino, Einaudi, 1987; si veda comunque anche Gabriella Gribaudi, La metafora della rete. In­
dividuo e contesto sociale, “Meridiana”, 1992, n. 15. Per una puntuale discussione di un concetto largamente e di­
sinvoltamente utilizzato negli studi di storia sociale sulla politica, cfr. gli interventi su Comunità, fascicolo di “Pa­
role Chiave”, 1993, n. 1 (la nuova serie di “Problemi del socialismo”).
34 R. Romanelli, Storia politica e storia sociale, cit., p. 93.
538
Maurizio Ridolfi
‘tradizionali’ libera soggetti ‘moderni’ —
come gli individui e le classi — disponendoli
a rapporti di nuovo tipo e contenuto”35. Si
scontano qui le peculiarità del caso naziona­
le; vale a dire di una realtà quale quella ita­
liana in cui, rispetto ai modelli europei clas­
sici, col continuo riproporsi di una sovrap­
posizione tra ‘atavismo’ e ‘modernità’, si ri­
scontra una “modernizzazione indotta da
strumenti politico-istituzionali fortemente
connotati ideologicamente”36 e condizionata
da pervasivi modelli organicistici e politiciz­
zati di acculturazione.
È anche nello svolgimento di questi itine­
rari di ricerca che la storia sociale ha contri­
buito a ricollocare le relazioni politiche in
una posizione centrale negli studi contemporaneistici, accentuandone la natura interdi­
sciplinare e comparativa. Anzi, non sembra
azzardato rilevare come la trasformazione
degli idiomi e dei moduli della comunicazio­
ne politica tra i gruppi umani e il mutamen­
to delle strutture sociali siano ormai diventa­
ti il vero terreno di incontro tra gli interessi
della storia politica e quelli della storia so­
ciale37. Sotto questo profilo, sembra possibi­
le il superamento della spesso denunciata in­
comunicabilità tra le analisi dedicate a strut­
ture sociali, mobilità dei ceti, relazioni poli­
tiche e misurazione quantitativa dei fenome­
ni. In particolare, rincontro pare rivelarsi
fecondo negli studi recentemente dedicati al­
la formazione della rappresentanza e alla vi­
ta dei collegi elettorali38; un tema che per­
mette di evidenziare come si avvicina e si
pratica la politica, attraverso una stretta
correlazione tra lo ‘spazio del potere’ privi­
legiato dalla storia politico-costituzionale —
le istituzioni e lo stato centrale39 — e quello
a cui meglio corrisponde la metodologia di
35 R. Romanelli, Storia politica e storia sociale, cit., p. 106. Tra gli individui e i gruppi “liberati” dagli equilibri so­
ciali tradizionali che la storiografia avrebbe privilegiato, figurano le donne. Anche in Italia la “contaminazione”
tra storia politica e storia sociale negli anni ottanta ha prodotto infatti un superamento della tradizionale identifica­
zione della storia delle donne con la storia dei movimenti emancipazionisti e politici femminili. La traduzione na­
zionale della gender history non ha però ancora comportato lo sviluppo degli studi sulla ‘qualità’ della partecipa­
zione politica tra le donne e sulla micropolitica dei sistemi di relazione nella configurazione dei poteri quotidiani; e
ciò attraverso una visione duttile dei confini tra sfera privata e sfera pubblica. Sulla storia delle donne, una storia
fatta di continua “rimozione”, muovendo da un’attenzione per il rapporto tra politica e donne dimostrata in diver­
si lavori, cfr. Annarita Buttafuoco, Vuoti di memoria. Sulla storiografia politica in Italia, in Sulla storia politica,
“Memoria”, 1991, n. 31. Si aggiunga almeno La sfera pubblica femminile. Percorsi di storia delle donne tra libera­
lismo e fascismo, a cura di Dianella Gagliani e M. Salvati, Bologna, Clueb, 1992.
36 R. Romanelli, Storia politica e sociale, cit., pp. 109-110.
37 A distanza di molti anni, Romanelli è ritornato a riflettere in modo organico su “storia politica e storia sociale”.
Lo ha fatto in un seminario tenuto T ll maggio 1993 presso la Luiss. In attesa di un testo a stampa, esprimo il mio
debito verso alcune sue considerazioni. Per quanto mi riguarda, il rinvio è a quanto ho già proposto nell’intervento
su Organizzazione e “ricerca del partito" nei movimenti democratici italiani della seconda metà dell’Ottocento: no­
te sui nuovi orientamenti degli studi tra storia politica e storia sociale, “Ricerche di Storia Politica”, 1986, n. 1.
38 Si vedano dapprima i contributi compresi in Antonio Annino e R. Romanelli (a cura di), Notabili, elettori, ele­
zioni, “Quaderni storici”, 1988, n. 69. Emblematica è la carriera politica di un notabile liberal-progressista piemon­
tese, intrecciata con la biografia di un quotidiano di provincia e con quella del collegio elettorale (tra 1892 e 1913)
ricostruita da Emma Mana, La professione del deputato. Tancredi Galimberti fra Cuneo e Roma (1856-1939), Tre­
viso, Pagus, 1992, in particolare pp. 235-307. Ai collegi “rossi” e alla classe politica socialista nell’Italia prefascista
sono dedicati appositi capitoli nel mio studio su II Psi e la nascita del partito di massa 1892-1922, Roma-Bari, Laterza, 1992. Rimarchevole e da additare come esempio è ora il lavoro di ricerca e di sistemazione di informazioni
che sorregge i due volumi: M.S. Piretti e Giovanni Guidi (a cura di), L ’Emilia Romagna in Parlamento (18611919), Bologna, Centro Ricerche di Storia Politica, 1992.
39 II tema del potere locale, come osserva lo stesso autore, non è oggetto di trattazione neppure in P. Pombeni, Au­
torità sociale e potere politico, cit., p. 88, nota 3. Al contrario, anche sotto la spinta della crisi di identità nazionale
di questa fine secolo, la configurazione di poteri e localismi si sta rivelando come una dimensione centrale nelle ri­
cerche. Basti pensare alla proposizione di un tema ancora poco consueto negli studi come la Questione settentriona-
Storia sociale e ‘rifondazione’ della storia politica
ricerca approntata dalla storia sociale — il
territorio, il municipio, i gruppi, la comuni­
tà40.
Per gran parte dei decenni dell’Italia libe­
rale e nonostante l’allargamento del diritto
di voto promosso dalla riforma del 1882, è il
sistema territoriale di relazioni politiche pro­
prio del modello di mediazione notabilare a
regolare i meccanismi della rappresentanza,
senza sostanziali variazioni rispetto ai sup­
posti e del resto mutevoli quanto vaghi ‘co­
lori’ politici dei contendenti41. È un sistema
clientelare di organizzazione del consenso e
delle relazioni politiche che — almeno nel
caso veneto evidenziato da Emilio Franzina
—, stante la necessità di adattare una realtà
sociale frammentata che va modernizzando­
si alle ‘regole del gioco’, la classe dirigente
liberale non ha remore a legittimare e a po­
539
stulare. Se infatti si supera una visione mo­
ralistica del clientelismo e non lo si assimila
tout court alla corruzione, si coglie come es­
so sia “espressione tipica del basso grado di
autonomia del sistema politico dalla società
civile” e sia quindi uno “strumento di una
certa perdurante ‘privatizzazione’ della poli­
tica da parte dei notabili”42. In forza della
sua autorità sociale nel novero delle gerar­
chie locali, il notabile assurto alla soglia del­
la rappresentanza, oltre a proiettare le tradi­
zionali funzioni elitaristico-patronali dell’o­
riginario retroterra rurale nel nuovo rappor­
to di “scambio” politico attivato con l’elet­
tore43, prefigura e controlla lo scambio di le­
gittimazione tra l’elettore e le istituzioni del
potere.
La professionalizzazione della rappresen­
tanza e la classificazione ideologica-partitica
le, “Meridiana”, 1993, n. 16; in particolare, mentre Silvio Lanaro, Le élites settentrionali e la storia italiana, pp.
19-40, rilegge il “paradosso unitario” italiano e richiama la geografia dei poteri alla luce dell’osservatorio milanese
e lombardo, la sovrapposizione tra uno “stato senza società” e diffuse “appartenenze senza stato” è delineata da
Mario Isnenghi, Dalle A lpi al Lilibeo. Il “noi” difficile degli Italiani, pp. 41 -59.
40 Si veda dapprima Franco Andreucci, Alessandra Pescarolo (a cura di), Gli spazi del potere. Aree, regioni, Stati:
le coordinate territoriali della storia contemporanea, Firenze, La Casa Usher, 1989, soprattutto i contributi raccolti
sotto la sezione “Lo spazio del cambiamento politico e sociale” . Cfr. quindi R. Romanelli, Il problema del potere
locale dopo il 1865, in Id., Il comando impossibile, cit., pp. 32-75. Tra i casi di studio sull’Italia liberale, dove la
network analysis permette di ricostruire in modo innovativo la morfologia della società e del potere locale, cfr. al­
meno Alberto Mario Banfi, Terra e denaro. Una borghesia padana dell’Ottocento, Venezia, Marsilio, 1989 e G.
Gribaudi, A Eboli. Il mondo meridionale in cent’anni di trasformazioni, Venezia, Marsilio, 1990, in particolare le
pp. 94-188, sulle tappe prefasciste della modernizzazione in un ‘laboratorio’ del Sud. Sull’iniziazione alla politica e
sulla dislocazione dello spazio del potere in un’altra piccola comunità meridionale, cfr. Giuseppe Civile, Il comune
rustico. Storia sociale di un paese del Mezzogiorno nell’800, Bologna, Il Mulino, 1990. Tra i diversi saggi che su
questi temi si ritrovano nelle storie regionali promosse dall’editore Einaudi, vorrei richiamare Giuseppe Barone,
Egemonie urbane e potere locale (1882-1913), in Storia d ’Italia. Le regioni dall’unità a oggi. La Sicilia, a cura di
Maurice Aymard e Giuseppe Giarrizzo, Torino, Einaudi, 1987.
41 Nella promozione di pratiche clientelari e di patronage, non sembrano esserci grandi differenze, per esempio, tra
i moderati veneti e un radicale dell’estrema sinistra (prima di passare con Crispi) come il forlivese Alessandro Fortis. Nel primo caso, cfr. Emilio Franzina, Le strutture elementari della clientela, in La scienza moderata, cit., pp.
377-430, dove si sottolinea come il patronage sia non una patologia ma un elemento fisiologico del sistema e del
mutamento politico nel ‘modello veneto’. Nel secondo caso, il rinvio è alla fitta documentazione dell’archivio pri­
vato di A. Fortis, depositato presso l’Archivio di Stato di Forlì.
42 E. Franzina, Le strutture, cit., pp. 383-384. Per le peculiarità del clientelismo nella società arretrata del meridio­
ne, si vedano i recenti studi di Luigi Musella, Clientelismo e relazioni politiche nel Mezzogiorno tra Otto e Nove­
cento, “Meridiana”, 1988, n. 2 e Relazioni, clientele, gruppi e partiti nel controllo e nell’organizzazione della parte­
cipazione politica (1860-1914), in Storia d ’Italia. Le regioni dall’unità a oggi. La Campania, a cura di P. Macry e
Pasquale Villani, Torino, Einaudi, 1990.
43 Sul patronage esercitato dagli imprenditori agro-industriali veneti nei villaggi operai per canalizzare l’espressione
del voto, cfr. Carlo Fumian, La città del lavoro. Un’utopia agroindustriale nel Veneto contemporaneo, Venezia,
Marsilio, 1991.
540
Maurizio Ridolfi
che, tra i due secoli, comporta la parlamentarizzazione dei conflitti localistico-comunitari
e del linguaggio politico, accelera la pur lenta
decadenza dei notabili. L’organizzazione so­
cialista si profila come il modello delle rela­
zioni politiche proprie del party system italia­
no in gestazione, attraverso l’affermazione
di candidature e di strutture organizzative
con orizzonti tendenzialmente nazionali, sep­
pur mitigati da una forte identità comunita­
ria e collegiale44. L’estensione progressiva del
voto e il passaggio da una garanzia indivi­
duale ad una tutela collettiva e istituzionale,
quale quella che nel negoziato politico può
offrire il partito, “notabile collettivo” e, allo
stesso tempo, “notabile informale” secondo
le definizioni proposte da Pombeni45, perpe­
tuano però il sistema di rapporti personali tra
candidato ed elettori. Grazie anche alla pre­
senza del collegio uninominale e a giudicare
dalla vicenda del panachage6 — inserito in
una riforma elettorale quale quella del 1919
che pure sanziona il primato del voto politi­
co-ideologico —, ad esso la classe dirigente
liberale rimarrà legata fino al dopoguerra.
Se il voto e la partecipazione alle elezioni
assegnano comunque una dimensione nazio­
nale alla politica, è necessario rilevare come i
recenti studi della storiografia sociale sui
“circuiti politici” e sul potere locale abbiano
fortemente contribuito a reimpostare anche
alcune importanti questioni analitiche. Gra­
zie al gruppo di lavoro legato alla rivista
“Meridiana” , a partire da un’ottica rivolta
innanzitutto a ridiscutere gli stereotipi della
storiografia meridionalistica, è stato delinea­
to in modo convincente e metodologicamen­
te raffinato il terreno di lavoro sulla “di­
mensione locale della politica” . In questa
prospettiva, il locale non è uno “spazio mi­
nore” da opporre alla dimensione nazionale,
ma
esso è piuttosto la riscoperta di una materialità
nuova dell’agire umano a fini di potere, per il con­
trollo delle risorse, in un’ambigua linea di confine
che dalle aggregazioni elementari della società (fa­
miglie, parentele, gruppi, clientele) si muove tra­
sversalmente attraverso partiti, istituzioni, luoghi
centrali o disseminati dell’universo statale. È la
politica nel suo farsi, scoperta nei meccanismi
prosaici e disincantati del suo quotidiano lavorio,
che slarga un vecchio palcoscenico storiografico
dominato da pochi attori, ripopolando la scena
con una inattesa moltitudine di protagonisti. Qui,
finalmente, lo Stato e la Nazione perdono le maiu­
scole e sono visti all’opera, entro frammenti più o
meno grandi di società civile47.
Si presenta così sotto nuova luce il rapporto
tra “grande politica nazionale” e “politica
che si fa lontano dal centro” , così come di­
viene possibile ricostruire la geografia del
“potere reale” in ambito locale; non senza
sottoscrivere appieno le ‘avvertenze’ sugge­
rite da Romanelli al fine di sottrarsi alle pos­
sibili ricadute tanto in studi di “patriottismo
municipale” , che riproducano alla periferia
gli idealtipi nazionali, quanto in studi comu­
nitari di natura antropologica, che risultino
troppo suggestionati dall’idea di una società
civile senza stato ed estranea al quadro sovralocale48. Vecchi e nuovi gruppi notabilari
svolgono invece una funzione di mediazione
44 È quanto emerge nel mio ricordato studio su II Psi e la nascita del partito di massa, cit.
45 P. Pombeni, Autorità sociale e potere politico, cit., pp. 69 e 72.
46 In regioni del Sud dove è particolarmente diffusa la pratica elettorale su base clientelare, sembra che il voto di
panachage si riversi massicciamente anche sui candidati socialisti, al di fuori dei canali associativi e partitici; cfr.
Vittorio Cappelli, Politica e politici, in Storia d ’Italia. Le regioni dall’unità a oggi. La Calabria, a cura di P. Bevi­
lacqua e Augusto Placanica, Torino, Einaudi, 1985.
47 Circuiti politici, “Meridiana”, 1988, n. 2, p. 9. Si veda comunque Salvatore Lupo, Tra centro e periferia. Sui
modi dell’aggregazione politica nel Mezzogiorno contemporaneo, pp. 13-50. Su élite e ceti popolari in relazione a
contenuti ideologici e forme della politica, cfr. anche la sintesi di P. Bevilacqua, Breve storia dell’italia meridionale
dall’Ottocento a oggi, Roma, Donzelli, 1993, pp. 74-89.
48 R. Romanelli, La nazionalizzazione della periferia. Casi e prospettive di studio, “Meridiana”, 1988, n. 4, pp. 13-14.
Storia sociale e ‘rifondazione’ della storia politica
politica tra cittadino ed istituzioni (locali e
centrali), troppo spesso ricondotta a sole di­
namiche tipiche delle società arretrate care
alla politologia ed invece espressiva anche
della diffusione, a partire dagli anni ottanta,
“di forme più complesse di organizzazione
politica e amministrativa” e dello “svolgersi
di una crescente e particolare partecipazione
popolare agli affari politici locali”49. Anche
nel meridione emerge allora una ricchezza
inaspettata ed a lungo negata di “circuiti”
della politica, con stimolanti prospettive di
ricerca su forme e contenuti di linguaggio e
conflitto politico che negli spazi comunitari
connaturano il processo di “nazionalizzazio­
ne della periferia” .
Gli studi sui “circuiti” della politica in
ambito comunitario e locale hanno dimo­
strato che quest’ultima viene definendosi
con un forte carattere di diffusività, inne­
standosi, alla svolta del secolo, il “discorso
politico” ideologizzato su preesistenti con­
flitti di natura fazionale, generazionale o ad­
dirittura spaziale (ad esempio, il “partito di
sopra” opposto al “partito di sotto”). In
ogni caso, come si è rimarcato altrove50, so­
no prevalentemente le vecchie e nuove forme
della sociabilità e dell’associazionismo vo­
lontario — in un continuo intreccio tra ere­
ditarietà e innovazioni — a divenire non so­
lo uno dei principali luoghi in cui viene san­
zionato il mutamento delle gerarchie e delle
541
stratificazioni sociali; esse sono anche i ca­
nali privilegiati per la circolazione della poli­
tica e quindi le unità fondanti e connettive
della sua moderna strutturazione. È questo
uno dei terreni analitici più fecondi della
storiografia europea nello studio dei proces­
si di “civilizzazione” ed anche in Italia sta
divenendo uno dei lieviti di una nuova storia
politica. Non è necessario insistere sul carat­
tere “plastico”, versatile e polifunzionale
(istituzionale, sociale, culturale, politico) di
una categoria analitica quale quella della so­
ciabilità. Può invece essere utile, ‘traducen­
done’ il significato ai fini di un utilizzo da
parte della storiografia italiana, riflettere su
come essa possa contribuire a focalizzare i
nuovi contenuti della politica diffusa all’in­
domani del 1848, le forme della sua scoperta
e della sua trasmissione. Insistendo sul rap­
porto essenziale tra habitat comunitario,
identità, tradizioni ed eventi periodizzanti
— 1848-1849, 1859-1860, 1882, 1888, la
‘grande guerra’ —, Simonetta Soldani ha
opportunamente rilevato come il senso di
appartenenza politica riguardi “tutte le sfere
della mentalità e della cultura del luogo, e
non solo il colore politico, anch’esso — ten­
denzialmente e, fino a tempi relativamente
recenti — più collettivo che individuale”51.
Del resto, questo modello interpretativo ela­
borato da Maurice Agulhon a proposito del­
la costruzione del “politico” dall’alveo del
49 R. Romanelli, La nazionalizzazione della periferia, cit., p. 10. La storiografia sul potere locale ha recentemente
prodotto risultati significativi a proposito del ruolo dei centri urbanizzati e delle istituzioni municipali come luoghi
privilegiati della politicizzazione delle relazioni sociali; per il Meridione si vedano i diversi contributi sulle Città,
“Meridiana”, 1989, n. 5. Per le aree settentrionali, oltre ai contributi raccolti in Salvatore Adorno e Carlotta Sorba
(a cura di), Municipalità e borghesie padane tra Ottocento e Novecento. Alcuni casi di studio, Milano, Angeli,
1991, si segnala la ricerca monografica di Aurelio Alaimo, L ’organizzazione della città. Amministrazione e politica
urbana a Bologna dopo l ’Unità (1859-1889), Bologna, Il Mulino, 1990. Si veda però anche Giulio Sapelli, Comuni­
tà e mercato. Socialisti, cattolici e “governo economico municipale” agli inizi del X X secolo, Bologna, Il Mulino,
1986.
50 Cfr. M. Ridolfi, Associazionismo e forme di sociabilità nella società italiana: problemi storiografici e primi
risultati di ricerca, in II circolo virtuoso, cit., dove si dà anche conto degli studi realizzati nel corso degli anni ot­
tanta.
51 Sociabilità e associazionismo in Italia: anatomia di una categoria debole, discussione a più voci in “Passato e
Presente”, 1991, n. 26, p. 24.
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Maurizio Ridolfi
sociale e dei fenomeni di autoorganizzazione
che lo attraversano52, ha una portata euristi­
ca di ampio respiro. Marco Meriggi ne ha ri­
scontrato gli idiomi nel mondo delle élite
urbane, quando ancora non si era neanche
affacciata la dimensione di massa della so­
cietà contemporanea. Anzi, egli richiama
l’attenzione sul fatto che durante l’Ottocento la
politica in Italia rappresenta una dimensione flui­
da e molto prossima alle istanze elementari di ag­
gregazione sociale non solo per il variegato mon­
do popolare ma anche per gli stessi gruppi diri­
genti: [...] V apprentissage politico, insomma, in­
veste in pieno il mondo delle élites, prima ancora
che i gruppi popolari53.
Se però anche per l’Italia sembra valida la
legge di filiazione ed ereditarietà tra le asso­
ciazioni — il vettore sociale e il rivelatore
principale delle moderne forme di sociabilità
politica —, Maria Malatesta ha rilevato co­
me sia invece meno generalizzabile una dina­
mica verticale di politicizzazione54, con la
“discesa della politica” dalle élite agli strati
popolari grazie ai ceti intermedi della bor­
ghesia e alla permeabilità dei campi sociali.
Se ciò sembra esser riscontrabile nel variega­
to mondo democratico urbano di aree come
la Toscana e la Romagna, si deve invece rile­
vare la natura “oppositiva” della sociabilità
politica dei ceti operai nelle aree padane a
forte concentrazione industriale e in quelle
del bracciantato. Muovendo da una compa­
razione tra la Provenza e la Toscana e nel
porre l’attenzione sul legame tra forme di
sociabilità, conflittualità e processi più lar­
ghi di politicizzazione, Gilles Pécout ha indi­
cato a ragione
la necessità scientifica di ricostruire le modalità
del passaggio da una sociabilità integrativa a una
oppositiva [...] e di scoprirne le condizioni a livel­
lo locale, studiando l’emergere dei partiti di mas­
sa e il loro ruolo nel cambiamento del discorso
politico rivolto alle masse cittadine e contadine55.
In definitiva, sembrano esserci buone pre­
messe per prospettare anche in Italia una
possibile stagione di studi storici sui princi­
pali terreni di analisi della politica: l’accesso
e l’iniziazione, la rappresentanza e l’orga­
nizzazione, la mutevole ricezione e la “rap­
presentazione” . Il rinnovamento metodolo­
gico in atto della storia politica ed i primi ri­
sultati da esso prodotti fanno ben sperare.
Maurizio Ridolfi
52 Sul modello agulhoniano ritorna M. Malatesta nella prefazione all’edizione italiana di Maurice Agulhon, Il sa­
lotto, il circolo e il caffè. I luoghi della sociabilità nella Francia borghese (1810-1848), Roma, Donzelli, 1993 (ed.
orig. 1977), pp. VII-XVI.
53 Sociabilità e associazionismo, cit., pp. 30-31. Sullo “spirito di associazione” e la sua istituzionalizzazione, con la
trasformazione degli idiomi di comunicazione sociale e politica, cfr. i contributi su Elite e associazioni nell’Italia
dell’Ottocento, “Quaderni storici”, 1991, n. 77. Uno di essi ha già assunto un carattere monografico: Marco Me­
riggi, Milano borghese. Circoli ed élites nell’Ottocento, Venezia, Marsilio, 1992.
54 Cfr. M. Malatesta, Il concetto di sociabilità nella storia politica italiana dell’Ottocento, “Dimensioni e problemi
della ricerca storica”, 1992, n. 1, pp. 66-69.
55 Sociabilità e associazionismo, cit., pp. 28-29.