Funzione del bilancio e Capital maintenance nella dottrina

Funzione del bilancio e Capital maintenance nella dottrina tedesca
del primo Novecento: alcuni spunti per una riflessione
sugli orientamenti del Framework IASB
Corrado Corsi *
SOMMARIO: 1. - Il quadro concettuale di riferimento; 2. - Genesi e peculiarità della concezione statica del bilancio; 3. - L'enfasi sul significato dinamico della rappresentazione dei
valori; 4. - Conservazione del capitale, determinazione del risultato economico e funzione del bilancio: alcune considerazioni sugli orientamenti es pressi dal Framework IASB.
1.
Il quadro concettuale di riferimento
Il dibattito dottrinale sulla funzione informativa del bilancio d'esercizio e sulle
connesse implicazioni riguardanti la stima e l'interpretazione dei valori che ne
costituiscono, ad un tempo, l'intima essenza ed il fondamento per la determinazione dei risultati di sintesi, ha rappresentato, sin dalle sue origini, uno dei
temi di maggior interesse per la disciplina economico-aziendale, la cui evoluzione ha portato alla formazione ed alla progressiva diffusione, anche a livello
europeo, di una cultura contabile saldamente ancorata a solide basi teoriche.
Sotto questo profilo, giova, peraltro, sottolineare come taluni concetti cardine - approfonditamente trattati dai numerosi Autori italiani che hanno promosso
la formazione ed il consolidamento dell'attuale patrimonio di conoscenze in
campo aziendale - possano essere rinvenuti anche nei contributi elaborati, tra
la fine dell'Ottocento ed i primi decenni del Novecento, da alcuni tra i più illustri
Esponenti della dottrina tedesca.
L'analisi dei suddetti contributi svela, in particolare, non pochi, interessanti,
riferimenti a problematiche che, alla luce dei recenti provvedimenti legislativi in
tema di redazione del bilancio, assumono notevole rilievo, quali la nozione di
"conservazione del capitale" - strumentale ai fini della determinazione e della
corretta interpretazione del risultato netto di esercizio - e l'individuazione dei
destinatari del bilancio, aspetto, quest'ultimo, che ne condiziona direttamente
l'obiettivo conoscitivo, il contenuto informativo nonché i risvolti di natura formale e sostanziale.
Le differenti impostazioni dottrinali delineatesi in Germania nell'arco temporale considerato possono essere ricondotte a due filoni principali, formati l'uno
dalle "teorie di bilancio1 " (Bilanztheorien) dualistiche, l'altro dalle cosiddette teo(*) Ricercatore di Economia Aziendale, Dipartimento di Economia Aziendale, Università degli
Studi di Verona.
1
A questo proposito è doveroso precisare che, per la dottrina tedesca dell'epoca, il termine Bi-
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rie monistiche2 , secondo un criterio classificatorio fondamentalmente basato
sugli scopi assegnati al bilancio.
L'approccio dualistico trovò nello sviluppo della concezione organica3 di
Fritz Schmidt 4 una delle sue più note e significative espressioni5 . Il presupposto
teorico di tale impostazione - che concepiva il bilancio come strumento idoneo
alla congiunta determinazione del valore complessivo del patrimonio aziendale
e del risultato economico di esercizio6 - si fondava sull'assunto che la corretta
misurazione dell'utile o della perdita da assegnare ad un determinato periodo
non potesse prescindere dalla preventiva salvaguardia della continuità aziendale.
Quest'ultima condizione poteva dirsi realizzata soltanto allorché, in chiusura
di esercizio, risultasse preliminarmente garantito l'approvvigionamento di risorse almeno sufficienti ad assicurare all'azienda la medesima competitività inilancio (Bilanz) valeva ad identificare il solo "stato patrimoniale", assumendo, pertanto, un significato più circoscritto rispetto a quello attuale. Tale s ignificato "restrittivo" del termine è stato, pera ltro, a lungo accolto anche dal Codice Civile italiano, il quale, nel dettato antecedente al D. Lgs.
127/91, identificava nel "bilancio" sia l'insieme dello stato patrimoniale e del conto economico
(artt. 2423 ultimo comma, 2431, 2432, 2433 ecc.) sia il solo stato patrimoniale (artt. 2217, 2423,
2424, 2427, ecc).
2
P. ONIDA, , Il bilancio d'esercizio nelle imprese, Milano, 1951, p. 9; C. CAMPANINI, Saggio sul
contenuto del bilancio d'esercizio (stato patrimoniale) nella dottrina tedesca, Bologna, 1988, p. 36.
3
Come precisa Ferraris Franceschi, «l'unità produttiva, secondo Schmidt, non è un meccan ismo chiuso in se stesso da osservare e gestire, ma un complesso di quantità in diretto colleg amento con il mercato. Le aziende sono "organi" dell'economia in quanto ogni mutamento qualitativo, quantitativo ed ogni trasferimento di beni provoca variazioni nei valori che tali quantità ra ppresentano», in effetti, «la parte centrale della ricerca teoretica di Schmidt è dedicata all'azienda
inserita nel contesto economico e con precisione all'analisi del sistema di rapporti reciproci tra
quella e questo»; R. FERRARIS FRANCESCHI , L'indagine metodologica in economia aziendale, Milano, 1978, pp. 44- 45. Sull'argomento si rinvia anche a A. CECCHERELLI , Economia aziendale e
amministrazione delle imprese, Firenze, 1961, p. 52; G. CATTURI, Evoluzione storica del conto
come fonte di informazioni per le decisioni aziendali, in Rivista Italiana di Ragioneria e di Economia Aziendale, n. 9- 10, 1992, p. 413.
4
F. SCHMIDT, Die organische Tageswertbilanz , Lipsia, 1929. Per un approfondimento sull'imp ostazione teorica elaborata da Schmidt si veda, utilmente, L. BAGNOLI , Il bilancio organico di Fritz
Schmidt nel pensiero economico-aziendale tedesco della prima metà del '900, Padova, 1997.
5
Al filone dualistico appartiene anche l'elaborazione teorica proposta da K. Sewering (si veda,
in proposito, K. SEWERING, Die Einheitsbilanz , Lipsia, 1933), il quale, peraltro, si differenzia da
Schmidt in ordine alla definizione dei criteri di valutazione adottati in sede di redazione del bilancio. Per Sewering, infatti, «le rimanenze di beni destinati alla vendita, ad es., si dovrebbero valutare a presunto ricavo attuale, nello Stato attivo e passivo, ma dovrebbero farsi concorrere alla
formazione del reddito, in base al costo passato, salvo che questo costo non potesse ritenersi
definitivamente superiore al presunto ricavo attuale. ... Diverso è anche il pensiero dei due Autori
per quanto concerne la val utazione delle immobilizzazioni attive. Gl'impianti, secondo il Sewering,
si dovrebbero valutare a costo passato e non a costo attuale di riproduzione»; P. ONIDA, Bilancio
d’esercizio, op. cit., nota 15, p. 9.
6
Commenta, in proposito, Onida: «Lo SCHMIDT dopo aver osservato che l'imprenditore ha due
scopi fondamentali da raggiungere: a) conservare il "valore relativo" dell'impresa nel mercato, nel
seno dell'economia collettiva di cui essa è cellula: b) trarre il massimo reddito possibile dall'impi ego del capitale, assegna corrispondentemente al bilancio d'esercizio un duplice intento: rilevare il
valore attuale del patrimonio ed insieme il reddito d'esercizio»; P. ONIDA, Bilancio d’esercizio, op.
cit., pp. 8-9.
2
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alcuni spunti per una riflessione sugli orientamenti del Framework IASB
zialmente espressa, sia in termini di potenzialità produttiva sia in termini di capacità reddituale, tenuto conto del continuo mutamento di condizioni indotto dal
progresso tecnologico ed economico.
Ciò implicava, dunque, la necessità di premettere alla quantificazione del risultato economico - interpretato come incremento o decremento della dotazione di capitale iniziale - la determinazione del valore di ricostituzione del patrimonio, necessario al fine di mantenerne l'integrità economica, nell'accezione
sopra richiamata, e di impedire l'inclusione, tra i componenti reddituali, di variazioni di valore non classificabili in termini di nuova ricchezza generata (o di
ricchezza distrutta) per effetto dell'attività svolta nel periodo.
Tale concetto di integrità economica, definita in termini relativi e sostanziali,
del capitale si dimostrava, dunque, fondato non tanto sulla conservazione di un
equivalente monetario, quanto su quella di un equivalente fisico, con specifiche
caratteristiche quantitative e qualitative, espresso in valori monetari correnti alla data del bilancio7 .
In effetti, quello del "prezzo corrente" risultava essere il criterio comunemente assunto per tutti gli elementi patrimoniali soggetti a valutazione in fase di determinazione del capitale di bilancio8 . Quest'ultimo veniva, pertanto, sistematicamente riespresso a valori di ricostituzione, allogando le contropartite delle
eventuali variazioni di valore apportate ai singoli elementi - dovute tanto a fenomeni inflazionistici, peraltro assai frequenti nella Germania del tempo, quanto a cause di altra natura verificatesi nel corso del periodo9 - in un apposito
conto di capitale acceso alle "variazioni di valore" (Wertänderungskonto)10 riferite al patrimonio11 .
Coerentemente con il concetto di integrità economica del capitale così formulato, il risultato economico d'esercizio era, dunque, concepito da Schmidt
come differenza tra ricavi di vendita e costi attuali di acquisto o riproduzione
7
Nella concezione in parola la compatibilità tra i due obiettivi assegnati al bilancio è ritenuta
possibile proprio grazie all'adozione di «criteri di valutazione legati ai valori di riproduzione. Infatti,
istituendo una differenziazione tra profitto derivante dal fatturato, da una parte, e variazione del
patrimonio (capitale a riposo), dall'altra, Schmidt si prefigge di confrontare il vero reddito con il
vero valore dei singoli beni e, quindi, con il valore dell'impresa, determinando l'effettiva redditività
aziendale»; L. B AGNOLI , Bilancio organico, op. cit., pp. 65-66.
8
A. PROVASOLI , Adeguamento monetario e valori correnti nelle determinazioni di bilancio, in Rivista dei Dottori Commercialisti , n. 4, 1975, p. 739.
9
Sul punto lo stesso Schmidt precisa, infatti, che la sua teoria «è sorta al tempo dell'inflazione
monetaria. Ma già nella prima edizione [1921, n.d.r.] si fece notare che si tratta di una fondame ntale presa di posizione nel problema delle variazioni di valore d'ogni specie che si ripercuotono
sulla gesione»; F. SCHMIDT, Tageswertbilanz , op. cit., p. IV (traduzione tratta da U. DE DOMINICIS,
I bilanci delle imprese nei periodi di oscillazione del valore economico della moneta, Torino, 1959,
nota 77, p. 55).
10
F. SCHMIDT, Tageswertbilanz , op. cit., p. 103.
11
«Tutte le variazioni del "patrimonio in riposo" (ruhende Vermögen) dovrebbero riferirsi ad un
sottoconto del capitale netto, che l'A. chiama "Conto variazioni di valore"»; P. ONIDA, Bilancio
d’esercizio, op. cit., nota 39, p. 46.
3
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dei beni venduti, determinati al momento del completamento del ciclo economico, proprio al fine di quantificare correttamente il costo di ricostituzione di tutte le risorse utilizzate per l'ottenimento di tali beni12 .
Nel caso di operazioni ancora in corso di svolgimento alla data di chiusura
del bilancio, l'iscrizione delle relative "rimanenze" doveva avvenire in base al
prezzo corrente del giorno; la differenza tra quest'ultimo valore ed il corrispondente valore storico, precedentemente rilevato come costo di acquisto, trovava
la propria contropartita nel suddetto conto acceso alle variazioni del netto, in
quanto non rappresentava un componente di reddito13 , bensì una variazione di
capitale da contabilizzare in risposta alle variazioni dei prezzi dei fattori di produzione verificatesi nel corso dell'esercizio14 .
La convinzione di poter apprezzare, attraverso un unico processo di valutazione, tanto il risultato economico di esercizio, quanto il valore complessivo
dell'aggregato patrimoniale non trovò, peraltro, piena condivisione nell'ambiente dottrinale tedesco dell'epoca, lasciando spazio al diverso orientamento che
riteneva, invece, possibile cogliere correttamente, attraverso la redazione del
bilancio, solo una delle dimensioni quantitative sopra richiamate.
Tra le impostazioni mono-finalistiche, definite, per l'appunto teorie monistiche, rispondenti all'orientamento in parola assunsero rilievo, da un lato, la concezione statica del bilancio15 , che perseguiva l'obiettivo della determinazione
12
«Secondo questo Autore, il reddito dovrebbe determinarsi dalla differenza tra i ricavi delle
vendite ed i costi attuali di riacquisto o di riproduzione dei beni venduti, nel momento in cui questo
scambio avviene. Dalla formazione del reddito dovrebbero restare, quindi, escluse non solo le
variazioni di valore dei beni di durevole uso nell'azienda (ad es. di macchine e impianti destinati
alla produzione) ma anche le differenze tra i costi passati di acquisto o di produzione e quelli attuali dei beni venduti... Tutte queste variazioni dovrebbero – secondo la concezione in esame –
essere riferite unicamente al patrimonio»; P. ONIDA, Bilancio d’esercizio, op. cit., pp. 45-46. Per
una critica all'impostazione di Schmidt ed, in particolare, al confronto tra ricavi e costi espressi a
valori correnti si rinvia a P. ONIDA, Bilancio d’esercizio, op. cit., pp. 45 e segg.
13
In effetti, nell'impostazione in esame il reddito di esercizio doveva determinarsi «indipendentemente dalle variazioni di valore di scambio delle merci o dei prodotti durante la loro giacenza
presso l’impresa fino all’epoca della vendita»; P. ONIDA, Bilancio d’esercizio, op. cit., p. 46.
14
«Quando il reddito di esercizio scaturisce dalla contrapposizione dei ricavi di vendita con i
costi di sostituzione dei beni venduti, i redditi assumono il significato di incremento o decremeto
del valore di ricostituzione del capitale netto ottenuto dalla somma algebrica dei valori di ricostituzione degli elementi attivi e passivi. L'insieme delle differenze tra componenti di reddito di derivazione numeraria e componenti di reddito ricalcolati sul fondamento dei costi di sostituzione ... te nde dunque ad esprimere quote di "risparmio" ricollegabili in via esclusiva alle variazioni interven ute, durante il periodo, nei prezzi dei fattori della produzione»; G. CERIANI , L'integrità economica
del capitale in condizioni monetarie perturbate, in Studi in onore di Ubaldo De Dominicis, Trieste,
1991, p. 329.
15
Per un approfondimento sull’impostazione in parola si vedano, tra gli altri: H.V. SIMON , Die Bilanzen der Aktiengesellschaften und der Kommanditgesellschaften auf Aktien, Berlin, 1886; J.F.
SCHAER , Versuch einer wissenschaftlichen Behandlung der Buchhaltung, Basel, 1890; R.
FISCHER , Die Bilanzwerte, was sie sind und was sie nicht sind, Leipzig, Teil 1 1905, Teil 2 1908;
R. PASSOW , Die Bilanzen der privaten und oeffentlichen Unternehmungen, Berlin-Leipzig, 3° Auf lage, 1923; W. OSBAHR, Die Bilanz vom Standtpunkt der Unternehmung, Berlin-Leipzig, 3° Auflage, 1923.
4
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alcuni spunti per una riflessione sugli orientamenti del Framework IASB
del valore della sostanza patrimoniale, e, dall'altro, la concezione dinamica16
del medesimo - fermamente sostenuta, in particolare, da Autori come Schmalenbach17 , Walb, Kosiol - che ne identificava, invece, il fine principale nella
quantificazione del reddito d’esercizio e nell'individuazione delle sue
determinanti.
2.
Genesi e peculiarità della concezione statica del bilancio
Con riferimento alle origini della concezione statica18 del bilancio, un doveroso cenno meritano le disposizioni concernenti la valutazione dei beni presenti
nell'inventario contenute nell' Ordonnance de Commerce francese del 167319 ,
dalle quali emerge abbastanza chiaramente lo scopo che ne aveva ispirato la
redazione, rappresentato, in estrema sintesi, dalla tutela degli interessi dei terzi
creditori20 .
16
In merito alla concezione dinamica del bilancio d’esercizio si consultino: E. SCHMALENBACH,
Dinamische Bilanz, (7a ed.) Lipsia, 1939 e (12a ed.) Colonia e Opladen 1956, nonché Le bilan
dynamique, Parigi, 1961, traduzione francese dell’edizione tedesca del 1926; E. WALB, Die Erfolgsrechnung privater und öffentlicher Betriebe, Berlin-Wien, 1926; A HOFFMANN, Der Gewinn der
kaufmännischen Unternehmung, Lipsia, 1929, nonché, dello stesso Autore, Wirtschafteslehre des
kaufmännischen Unternehmung. Betriebswirtschaftslehre, Lipsia, 1932. E. KOSIOL, Bausteine der
Betriebswirtschaftslehre, Berlin, 1973, nonché, del medesimo Autore, Pagatorische Bilanz , Berlin,
1976.
17
«Contro il dualismo dei bilanci si pronuncia nettamente lo SCHMALENBACH il quale mentre
giudica non scientifico il dualismo, fa rilevare come il valore del capitale di un'impresa in quanto
questa forma un complesso economico funzionante, non possa determinarsi valutandone disti ntamente i singoli componenti, qualunque base di valutazione voglia usarsi. Il bilancio composto
per la determinazione dei risultati economici dell'impresa in funzionamento, non può pertanto servire - secondo lo SCHMALENBACH - a rilevare il valore del patrimonio. Sono notevoli, però, i particolari che questo Autore assegna - almeno teoricamente - al "bilancio dei risultati economici" od
al "bilancio dinamico" (dinamische Bilanz), com'egli lo chiama: esso dovrebbe esprimere la efficienza economica o la "economicità" (Wirtschaftlichkeit) della produzione aziendale, non rispetto
alla particolare impresa che la attua ma rispetto all'economia collettiva. L'economicità dovrebbe
essere rilevata in guisa da poterne percepire l'andamento, attraverso la comparazione dei risultati
d'esercizio, in tempi successivi, e da consentire inoltre il confronto dei risultati di produzioni diverse attuate da una medesima impresa. La misurazione dell'efficienza economica della produzione
dovrebbe, infine, offrire fondamento per giudicare l'operato più o meno saggio degli amministratori
e per attuare consapevolmente la selezione dei dirigenti»; P. ONIDA, Bilancio d’esercizio, op. cit.,
p. 10.
18
In merito al significato dell’aggettivo sopra riportato Campanini precisa: «L’attributo di “statico” ... oltre ad avere il significato generico di rappresentazione riferita ad un dato momento, viene
ad assumere anche quello specifico di rappresentazione del patrimonio redatta per un dato scopo
e, di conseguenza, con certi criteri»; C. CAMPANINI, Saggio, op. cit., p. 47.
19
Sul dettato dell'Ordonnance de Commerce, emanata da Colbert, ministro del Re Luigi XIV, fu,
in seguito, modellato il Codice di Commercio francese del 1808, successivamente assunto, a sua
volta, quale riferimento nell'ordinamento giuridico di numerosi paesi europei, Germania inclusa.
20
Riguardo allo specifico contenuto dell’Ordonnance, Campanini puntualizza: «L’art. 8 del titolo
III disponeva: “Entro il ... termine di sei mesi tutti i commercianti saranno tenuti ... a redigere e sottoscrivere l’inventario di tutti i loro beni, mobili ed immobili, e dei loro crediti e debiti, il quale sarà
5
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Tale obiettivo era perseguito, nella fattispecie, attraverso la rappresentazione del presunto "vero" quadro del momento della situazione patrimoniale,
secondo un'interpretazione inequivocabilmente materialistica del concetto
stesso di patrimonio, completamente refrattaria alla percezione degli effetti legati alla dinamica dei fenomeni che, nel concreto, ne influenzano l'entità.
Alla luce di ciò appare, allora, del tutto comprensibile l'estrema attenzione
riservata, in generale, dai promotori della concezione statica del bilancio (tra i
quali figurano Autori quali Nicklisch21 , Le Coutre22 , Rieger23 ) all'aspetto formale
della sua redazione. In effetti, solo attraverso precise indicazioni in merito alle
voci da esporre nello stato patrimoniale, alla loro disposizione ed al loro significato, era possibile pervenire alla stesura di un documento pienamente rispondente alle esigenze di trasparenza così fortemente avvertite, dal quale si pretendeva, altresì, di ottenere, grazie al confronto temporale dei valori, indicazioni utili ai fini del giudizio sull’economicità della gestione24 .
In tale contesto, la rappresentazione e l'analisi del processo di formazione
del reddito costituivano, pertanto, aspetti del tutto secondari, in quanto ritenuti
non indispensabili alla misurazione del capitale da porre a garanzia dell'interesse dei terzi. Il reddito di esercizio era, in effetti, concepito essenzialmente
come valore patrimoniale differenziale, scaturente dal semplice confronto tra
due consistenze patrimoniali consecutivamente determinate, secondo uno
schema interpretativo che identificava nell'analitica ed autonoma attribuzione di
rinnovato ogni due anni”. Nessun du bbio che il fine esclusivo della norma fosse quello della tutela
dei creditori. Lo ammetteva anche il ben noto autore de “Le parfait négociant”, J. Savary, il quale
fu l’artefice primo della formulazione dell’ordinanza. Egli afferma, infatti, che l’inventario richiesto
dall’articolo 8, titolo III, dell’ordinanza doveva servire a “... giustificare e rendere conto delle operazioni ai creditori in caso di fallimento ..., l’articolo non avendo altro fine fuorché quello di ristabil ire il buon ordine e la buona fede nel commercio»; C. CAMPANINI, Saggio, op. cit., p. 46. «Per la
valutazione delle merci il Savary prevede tre valori: a) costo storico (prix coustant) come criteriobase; b) il valore desunto dall’andamento del mercato; in caso di ribasso il costo storico deve essere diminuito nella stessa proporzione del ribasso intervenuto; c) i presunti prezzi di l iquidazione
per merci fuori moda e difettose»; in sostanza «Le valutazioni di bilancio sono finalizzate al calc olo del “reddito prelevabile”, cioè di un ammontare di “guadagno” che, qualora fosse prelevato
dall’investitore, non danneggerebbe la capacità di copertura delle aspettative dei creditori: “val utazioni di bilancio” e “reddito d’esercizio” vengono saldamente ancorati al paradigma legalisticoprudenziale del creditore»; E. PERRONE, La ragioneria ed i paradigmi contabili, Padova. 1997, p.
273.
21
H. NICKLISCH, Die Betriebswirtschaft, Stuttgart, 7° Auflage, 1932
22
W. LE COUTRE, Zeitgemaesse Bilanzierung. Die statische Bilanzauffassung und ihre praktische Anwendung, Berlin- Wien, 1934
23
W. RIEGER , Einführung in die Privatwirtschafslehre, Nürnberg, 1928
24
Si confronti E. GUTENBERG, Einfuehrung in die Betirebswirtschaftslehre, Wiesbaden, 1975, p.
165. Sulla funzione attribuita al bilancio “statico” Bagnoli osserva: «Il bilancio serve per informare i
finanziatori (imprenditore e creditori) sulla situazione ed inoltre, secondo i suoi fautori, permette il
controllo della economicità della gestione. Entrambi questi compiti richiedono una puntuale defin izione della struttura del bilancio, cosicché nella teoria statica, soprattutto con riferimento agli autori più innovativi, risultano in primo piano i problemi formali di redazione»; L. BAGNOLI , Bilancio
organico, op. cit., p. 15.
6
Funzione del bilancio e Capital maintenance nella dottrina tedesca del primo Novecento:
alcuni spunti per una riflessione sugli orientamenti del Framework IASB
valore ad ogni singolo elemento patrimoniale il fine ispiratore dell'intero procedimento di stima.
Con riguardo alla definizione del criterio di valutazione da adottare, va preliminarmente osservato come la logica di fondo dell'impostazione in esame avesse, inizialmente, suggerito l'adozione generalizzata del valore di liquidazione, indicato quale migliore approssimazione al valore vero od oggettivo 25 , in
grado di riflettere il valore del capitale effettivamente detenuto dall’impresa26 .
Alla luce di tale orientamento, le attività erano valutate in ragione del «valore comune di realizzo diretto ed immediato per i singoli beni» e le passività sulla base del «valore di estinzione del singolo debito»27 .
L’accoglimento del criterio in parola implicava, in buona sostanza, l'esclusivo inserimento, tra le poste dell’attivo, di valori relativi a crediti e beni dotati di
consistenza materiale, ammettendo l'iscrizione di valori relativi a beni immateriali (acquisiti comunque a titolo oneroso) o di valori sospesi solo nel caso in
cui gli stessi, a fronte di uscite passate, incorporassero il diritto ad una prestazione futura ben determinata in sede di ipotetica liquidazione.
Tra i valori del passivo trovavano, invece, posto i debiti ed i valori sospesi ai
quali, a fronte di entrate passate, corrispondesse l’obbligo di fornire prestazioni
future, sempre con implicito riferimento all’ipotesi di liquidazione.
Dal quadro di sintesi delineato traspare, a tutta evidenza, una visione asistemica e frammentaria dei fenomeni e dei valori, caratterizzata da una congenita incapacità di percepire i forti vincoli di complementarietà che avvincono gli
elementi del patrimonio dell’azienda, soprattutto nella fase del suo normale
funzionamento.
Il patrimonio era concepito, in effetti, come un semplice aggregato di beni,
crediti e debiti economicamente indipendenti ed oggetto di autonoma valorizzazione, palesando, pertanto, l'implicita negazione del rapporto di causalità
che lega la valutazione del capitale di funzionamento alla stima del reddito di
esercizio, in merito al quale si giunse, addirittura, a sostenere l'assoluta auto-
25
Come osserva Moxter, l'assunzione del valore di liquidazione quale parametro di riferimento
per l'esposizione in bilancio derivava dalla diffusa convinzione che, grazie ad esso, potessero dirsi pienamente soddisfatte le esigenze di informazione e di garanzia dei creditori; A. MOXTER , Einfuehrung in die Bilanztheorie, Wiesbaden, 1984, p. 6.
26
«Sotto l’aspetto sostanziale, di valutazione, la teoria statica si preoccupa soprattutto di ricercare criteri capaci di evidenziare valori “veri” o “effettivi”, di supposta validità generale. Inizialme nte, lo studio delle problematiche relative era appannaggio esclusivo dei giuristi i quali, legati
all’individuazione di valori comuni, oggettivi, in grado di esprimere lo stato del patrimonio, si orie ntarono verso l’adozione di criteri cosiddetti di liquidazione. Nell’ottica della tutela dei terzi, cioè, si
tendeva a considerare “normali” le sottovalutazioni di elementi dell’attivo. Spesso, poi, alcune poste erano ammesse solo con notevoli limitazioni (es. spese d’impianto) oppure accolte con molte
precauzioni (es. ratei e risconti), anche se talvolta l’eliminazione o l’inclusione di poste in base
alla rilevanza rivestita in ottica liquidatoria potevano portare ben lontano dall’effettivo stato del p atrimonio»; R. POLI , Il bilancio d’esercizio, Milano, 1971, pp. 15-16.
27
C. CAMPANINI, Saggio, op. cit., p. 59.
7
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nomia del bilancio annuale, nonché del singolo esercizio a cui lo stesso era riferito28 .
I successivi sviluppi, intervenuti tanto sotto il profilo dottrinale quanto sotto
quello normativo, portarono al progressivo abbandono dell’ottica di liquidazione29 , per lasciare spazio a criteri maggiormente orientati alla prospettiva del
funzionamento operativo, più idonei a riflettere il carattere della normale continuità temporale dell’attività aziendale30 .
Alla nozione di valore comune di realizzo immediato, a cui si era in precedenza ispirata la valutazione dei diversi elementi patrimoniali, si aggiunse quella di valore d’impresa (Geschäftswert), rappresentato dal valore attribuibile a
ciascun bene patrimoniale nell’ottica del proseguimento della gestione31 . Il
nuovo riferimento - elaborato mutuando alcuni concetti propri dell'economia politica - presupponeva, sostanzialmente, l'individuazione del “valore di scambio”
al momento della redazione del bilancio per i beni destinati alla vendita32 , non28
Afferma, in tal senso, Staub: «Il bilancio non è neppure legato alle precedenti valutazioni, ogni bilancio è autonomo (ein Stück für sich), salvo disposizioni contrarie dello statuto nelle s ocietà
azionarie: questa è l’opinione dominante»; H. S TAUB, Kommentar zum Handelsgesetzbuch, 6a e
7a ed., Berlino, 1900, p. 794; 12a e 13a ed., Berlino e Lipsia 1926, vol. I, p. 274 e vol. II pp. 393394, traduzione riportata in C. CAMPANINI, Saggio, op. cit., p. 64.
29
Tra gli Autori che contribuirono all'evoluzione in questo senso si veda, in particolare, H.V.
SIMON , Die Bilanzen der Aktiengesellschaften und der Kommanditgesellschaften auf Aktien, Berlin, 1886.
30
La crescente consapevolezza circa la necessità di avvicinare maggiormente i criteri di valutazione all’ipotesi generale di continuazione dell’attività d’impresa portò, nel 1873, all’emanazione di
una importante sentenza da parte del Tribunale Superiore di Commercio, dalla quale è tratto il
seguente passo: «Alla base d’un bilancio c’è l’ipotesi d’un realizzo istantaneo di tutte le attività e
passività, nel quale tuttavia si deve assumere come punto di partenza che in realtà si ha di mira
non la liquidazione, bensì la continuazione dell’impresa e che pertanto nella determinazione dei
singoli valori non si deve prendere in considerazione l’influsso che sugli stessi eserciterebbe una
liquidazione». La sentenza in questione è menzionata, tra gli altri, in E. W ALB, Zur Dogmengeschichte der Bilanz von 1861.1919, in Festschrift fuer Eugen Schmalenbach, Leipzig, 1933, p. 6.
31
«Quanto al valore, al quale la legge mira, s’intende il valore comune, che gli “elementi” patrimoniali hanno per l’impresa, non il valore comune che si avrebbe nel caso di una liquidazione forzata istantanea ..., ma neppure quello fondato su considerazioni puramente soggettive o su qual ità puramente soggettive del titolare dell’impresa. ... Un generale realizzo e la continuazione
dell’impresa non sono cose che si escludono; collegando questi due presupposti, si deve iscrivere
a bilancio il valore che gli oggetti hanno nel proseguimento della gestione dell’impresa ... soltanto
con riguardo a circostanze dalle quali dipende il valore, anche se l’impresa passa in altre mani»;
H. STAUB, Kommentar, 6a e 7a ed., p. 192; 12a e 13a ed., vol. I, p. 273, traduzione riportata in C.
CAMPANINI , Saggio, op. cit., p. 63. A questo proposito, Moxter definisce questa nuova tendenza
della teoria statica come una ricerca del valore del cosiddetto patrimonio commerciale, che rappresenta tutto ciò che il soggetto economico ha a propria disposizione ragionando in un ottica di
continuazione della propria attività; A. MOXTER , Einfuehrung, op. cit., p. 6.
32
«Quanto al valore di scambio per i beni da vendita, si precisava che esso doveva figurare in
bilancio al netto dei costi di vendita, di spedizione e delle relative provvigioni»; C. CAMPANINI,
Saggio, op. cit., p. 64. Il valore limite così individuato, pur avvicinandosi significativamente al concetto di valore di presunto realizzo diretto comunemente accolto dalla dottrina economicoaziendale più accreditata, ne differisce in maniera sostanziale per almeno due ragioni. In primo
luogo si riscontra l’assenza, tra le rettifiche da apportare al presunto ricavo di vendita, della quota
di adeguata remunerazione del capitale proprio da garantire nel successivo esercizio attraverso la
8
Funzione del bilancio e Capital maintenance nella dottrina tedesca del primo Novecento:
alcuni spunti per una riflessione sugli orientamenti del Framework IASB
ché del “valore d’uso” per quelli destinati all’utilizzo durevole all’interno
dell’azienda33 .
Poiché, nonostante il mutamento di tendenza sopra accennato34 , la ricerca
del presunto valore comune di realizzo diretto per ciascun elemento patrimoniale continuava a rappresentare il riferimento principale, e posto che la determinazione di un simile valore riusciva estremamente difficoltosa – se non, addirittura, impossibile – per i beni a fecondità ripetuta, la giurisprudenza del tempo
giunse, infine, a quantificare il valore “vero” di questi ultimi in ragione della capacità futura di generare reddito attraverso il loro economico impiego35 .
Alla luce di tale pronunciamento, gli elementi attivi potevano, quindi, essere
iscritti per un valore che – pur mantenendo come limite superiore il costo di acquisto del bene stesso – scaturiva da un processo estimativo più coerente con
l’ipotesi di continuità della gestione, soprattutto con riferimento a quei fattori,
strumentali alla produzione, vocati a permanere per lungo tempo nel sistema
dei valori d’azienda.
conclusione dell’operazione oggetto di valutazione. In secondo luogo il riferimento non è già al
ricavo futuro previsto al momento della vendita del bene, bensì al ricavo conseguibile attuandone
la vendita nel momento in cui avviene la valutazione di bilancio, il quale potrebbe non essere in
grado di rispecchiare fedelmente l’esito prospettico dell’operazione in corso di svolgimento alla
data del bilancio.
33
A fronte dell’opinione, diffusasi al tempo, che il valore d’uso del bene durevole potesse conf igurarsi come costo passato – d’acquisto o di fabbricazione – del medesimo al netto
dell’ammortamento effettuato, Campanini osserva acutamente: «Tale opinione si deve considerare erronea. Innanzitutto, rispetto alla data del bilancio, il valore di costo diminuito degli ammortamenti è un valore passato, mentre il valore d’uso, come valore delle utilizzazioni future del bene
considerato, è un valore futuro. Inoltre, trattandosi di valore d’uso nell’ambito di un’impresa, esso
dovrebbe commisurarsi ad un valore di redditività: è superfluo osservare che il valore di costo di
un impianto diminuito degli ammortamenti non coincide, in linea di principio, col suo valore di re dditività. ... Anziché di valore d’uso, si sarebbe dovuto parlare, in modo più proprio e meno ind eterminato, di valore di realizzo indiretto»; C. CAMPANINI, Saggio, op. cit., pp. 63-64. Il riferimento al
valore di realizzo indiretto avrebbe, peraltro, cons entito il superamento dell’apparente contradd izione insita nel principio di valutazione in esame, che postulava l’adozione di valori di “generale
realizzo” in ipotesi di continuazione dell’impresa, con conseguente impossibilità di determinare il
valore “oggettivo” connesso alla effettiva vendita del bene.
34
Si segnala, a questo proposito, il pronunciamento del Tribunale Superiore di Commercio emesso nel 1879, con il quale si ammetteva la «possibilità di valutare in base al costo i beni per i
quali una diversa valutazione fosse stata impossibile. Si veniva così a riconoscere un’eccezione
per i beni non destinati alla vendita; si deve sottolineare che il valore di costo veniva accolto come
ripiego che consentiva di “togliersi dall’imbarazzo” (secondo le testua li parole della sentenza)»; C.
CAMPANINI , Saggio, op. cit., p. 65.
35
In questo senso si esprime, ancora, il Tribunale Superiore di Commercio con sentenza datata
1887, in base alla quale «nella stima del valore d’impianti in esercizio ci si dovrebbe avvicinare al
massimo alla verità se si calcola il valore corrispondente ad un reddito pluriennale, tenendo conto
di condizioni durevoli o meramente transitorie»; si veda E. WALB , Dogmengeschichte, op. cit., p.
7. Sulla nozione di valore strettamente legato alla funzione assolta dal bene nel processo produttivo si esprime chiaramente Simon, secondo il quale il valore riconosciuto ad un determinato bene
è strettamente dipendente dalle persone e dagli scopi che le stesse si prefiggono attraverso
l’utilizzo del bene; si veda, in proposito H.V. SIMON , Die Bilanzen der Aktiengesellschaften und
der Kommanditgesellschaften auf Aktien, Berlin, 1886.
9
Corrado Corsi
L'analisi dell'evoluzione verificatasi, in tema di valutazioni, nell’ambito
dell’impostazione statica, consente, dunque, di sottolineare il passaggio graduale dall’adozione di un unico valore “obiettivo” all’accoglimento di differenti
criteri valutativi, rappresentati, a seconda delle circostanze, dal “valore comune”, dal “valore d’impresa” o dal “valore di redditività degli impianti”.
Un cenno a parte merita, infine, la disciplina introdotta dalla legge sulle società per azioni del 1884, la quale, nell’intento di scongiurare la distribuzione di
utili “non realizzati”, stabilì, per i beni destinati alla vendita, l’obbligo di valutazione ad un valore non superiore al minore tra costo e “valore generale di
scambio”, assumendo quest’ultimo come valore “comune” di riferimento. La
stessa norma contemplava, tuttavia, la facoltà di iscrizione dei suddetti beni
anche a valori inferiori al “valore generale di scambio”, qualora questo fosse
stato uguale o inferiore al costo. Per i beni ad utilizzo pluriennale, infine, il valore “vero” poteva sempre essere sostituito dal costo diminuito dell’ammortamento.
La norma in oggetto, fissando un limite massimo per la valutazione degli elementi attivi, ma ammettendo, nel contempo, la possibile sottovalutazione degli stessi, favorì il diffondersi di una interpretazione volta ad esaltare il cosiddetto principio di solidità economica, che finì per prevalere sullo stesso principio di
verità del bilancio.
Attraverso la sottovalutazione delle attività e la sopravvalutazione delle passività si ritenne, in effetti, realizzata la massima espressione della tutela per i
terzi creditori, per i quali risultava oltremodo garantito il margine di sicurezza
rappresentato dalla valorizzazione del patrimonio aziendale36 .
Tutto questo comportava, d'altra parte, un sensibile allontanamento dal
principio del valore “vero”, che da sempre aveva orientato i fautori dell’impostazione statica37 . Se, da un lato, la suddetta interpretazione poteva apparire in
linea con la ratio stessa della norma – tesa, sostanzialmente, a scongiurare
l’esposizione e, soprattutto, la distribuzione di eventuali utili non ancora realizzati 38 – dall’altro risultava innegabile la distorsione informativa che ne derivava.
Proprio con riferimento a quest'ultimo aspetto, il bilancio redatto secondo
l'orientamento sopra richiamato assumeva un contenuto non più coerente con
la definizione di "bilancio del patrimonio" inteso come documento rappresenta-
36
Si veda, in questo senso, H. S TAUB, Kommentar, 6 a e 7 a ed., op. cit., p. 793.
«Il bilancio delle società per azioni, così configurato, veniva considerato ed ammesso come
un’eccezione alla teoria statica»; C. CAMPANINI, Saggio, op. cit., p. 73.
38
In merito alla prassi invalsa in materia di distribuzione degli utili nelle società per azioni,
Campanini precisa: «la legge sulle società per azioni mirava ad evitare la distribuzione di utili “non
realizzati” e a tale scopo le norme di valutazione erano formulate in modo da impedire anche
l’esposizione in bilancio di tali utili. Dal che si credette di poter evincere il principio secondo cui,
per la legge, tutti gli utili figuranti in bilancio dovessero necessariamente essere distribuiti»; C.
CAMPANINI , Saggio, op. cit., p. 72.
37
10
Funzione del bilancio e Capital maintenance nella dottrina tedesca del primo Novecento:
alcuni spunti per una riflessione sugli orientamenti del Framework IASB
tivo del "vero" stato del patrimonio dell'impresa, secondo l'accezione propria
dell'impostazione "statica".
Nella fattispecie risultava, in effetti, ben più appropriata la diversa definizione di “bilancio dell’utile da ripartire” (Gewinnverteilungsbilanz), che rifletteva
pienamente il particolare scopo assegnato al documento in questione, assunto
quale necessario fondamento legale per procedere alla periodica distribuzione
dei dividendi39 .
3.
L'enfasi sul significato dinamico della rappresentazione dei valori
Alla diffusione della concezione dinamica del bilancio40 contribuì, principalmente, l'opera di Eugen Schmalenbach41 , il quale sin dall'apparizione, nel
1908, del suo articolo intitolato Die Abschreibung, pubblicato sulla rivista Zeitschrift für handelswissenschaftliche Forschung da Lui stesso fondata due anni
prima, aveva iniziato a porre le basi della propria originale impostazione teorica.
Un primo elemento distintivo rispetto al paradigma statico era rappresentato
dal concetto di "patrimonio", definito da Schmalenbach non già come somma
dei valori “oggettivi” - o presunti tali - attribuiti ai diversi elementi attivi e passivi,
bensì come espressione della potenzialità produttiva dell'impresa42 , introducendo, per questa via, l'accezione di valore complessivo del patrimonio in termini di valore dipendente alla redditività futura43 .
39
C. CAMPANINI, Saggio, op. cit., p. 73.
Tra i primi ad orientarsi verso la visione "dinamica" del bilancio si ricordano: H SCHEFFLER ,
Ueber Bilanzen, in Vierteljahrsschrift fuer Volkswirtschaft, Politik und Kulturgeschichte, vol. LXII,
n. 2, 1879; B. WILMOWSKY , Das preussische Einkommensteuergesetz vom 24. Juni 1891, 1a ed.,
Breslavia, 1896.
41
Per un utile approfondimento sul pensiero di Eugen Schmalenbach si vedano, tra gli altri,
P.E. CASSANDRO, Sulle teorie aziendali di Eugenio Schmalenbach, Bari, 1941; R. FERRARIS
FRANCESCHI , Indagine, op. cit., pp. 29 e segg.; E. G. PERRONE, I concetti di costo e di ricavo nella
dottrina economico-aziendale tedesca, Padova, 1988.
42
E. SCHMALENBACH, Dinamische Bilanz, (1939), op. cit., p. 84.
40
43
Come precisato dallo stesso Autore, «il valore di una impresa, che rappresenta il suo patrimonio ..., dipende dalla sua attitudine a produrre cose utili o ad adempiere a servizi utili. Se a
questa attuazione concorre un complesso di edifici, macchine, attrezzi e materie prime, le loro
qualità e quindi il loro valore risultano unitari ... Pertanto il valore di un'impresa, le cui parti sono
legate in unità economica, non si può determinare addizionando i valori dei singoli elementi»; E.
SCHMALENBACH, Dinamische Bilanz, (1939), op. cit., p. 123 (traduzione riportata in E. G.
PERRONE, Concetti, op. cit., nota 8, p. 54). Su posizioni simili si attesta anche Walb; come puntu alizza Campanini, infatti, mentre Schmalenbach «nega che il bilancio sia la determinazione del “patrimonio, Walb nega che il bilancio sia la determinazione del “capitale”: ma essi, pur con termini
diversi, esprimono la stessa cosa, perché il “capitale” per Walb, come il “patrimonio” per Schmalenbach, è il valore di redditività dell’impresa. Il capitale (netto) di bilancio, sia per Schmalenbach
che per Walb, rappresenta semplicemente quanto di capitale è stato conferito inizialmente e successivamente, aumentato degli utili non distribuiti e diminuito delle perdite e dei rimborsi»; C.
11
Corrado Corsi
Il fine istituzionale dell'azienda di produzione44 era espressamente individuato da questo Autore nel durevole espletamento di una funzione produttiva e
sociale45 a vantaggio dell'intera collettività46 , e ciò a prescindere dall'eventuale
caratterizzazione privata o pubblica dell'azienda stessa47 .
Sulla scorta di tale assunto, e forte della convinzione che il controllo sull'efficienza economica dell'azienda - da giudicarsi non tanto con riguardo al suo
soggetto giuridico, bensì relativamente al complessivo sistema economico di
riferimento - dovesse necessariamente fondarsi sull'attenta analisi e sul confronto periodico dei risultati generati, Schmalenbach propose una diversa, ed
innovativa, interpretazione del contenuto del bilanz. Al significato "statico" di
valore assegnato in chiusura d'esercizio a singoli elementi del capitale elencati
nel documento in parola Egli sostituì quello "dinamico", che interpretava i me-
CAMPANINI , Saggio, op. cit., pp. 181-182.
44
Si noti, al riguardo, che Schmalenbach, con il termine betriebe – tradotto in lingua francese
con entreprise – intendeva riferirsi genericamente alle unità di produzione agenti sul mercato; E.
SCHMALENBACH, Bilan dynamique, op. cit., p. 26. Come precisa Onida, in effetti, Schmalenbach
identificava nel betriebe «tanto i complessi che noi chiamiamo “aziend e”, quanto le unità economico-tecniche non autonome che nell’azienda possono distinguersi (stabilimenti, officine, reparti,
sezioni, ecc.)»; P. ONIDA, Bilancio d’esercizio, op. cit., p. 41.
45
«Lo Schmalenbach, come d'altronde anche altri aziendalisti tedes chi, ha sempre richiamato
l'attenzione nei suoi vari lavori, e nella stessa attività di docente, sull'attività sociale dell'impresa e
sulla necessità che il profilo di impresa sia fondato su tale utilità»; P. E. CASSANDRO, In memoria
di Eugenio Schmalenbach, in Rivista Italiana di Ragioneria e di Economia Aziendale, Roma, n. 3,
1974, p. 999.
46
Come è stato sottolineato, per Schmalenbach l'azienda «è soltanto uno strumento economico
che svolge una funzione produttiva per la collettività»; P. E. CASSANDRO, Teorie, op. cit., p. 9. Si
confronti anche P. ONIDA, Elementi di ragioneria, Milano, 1942, pp. 14-15.
47
«Il riferimento dell'azienda a questo o a quel soggetto privato o pubblico è irrilevante per il
nostro autore, che si ferma a considerare l'azienda in sé e per sé, come apparato economico produttivo. Il risultato aziendale non è considerato da lui in quanto è un "lucro" o "guadagno" che v ada ad "arricchire" il soggetto dell'azienda; bensì è riguardato come un "plusvalore", la cui esistenza è indispensabile perché l'azienda viva e compia la sua funzione sociale»; P. E. CASSANDRO,
Teorie, op. cit., p. 9. Sull'interpretazione unitaria del concetto di azienda e sulla necessaria ec onomicità che dovrebbe, in ogni caso, contraddistinguerne la gestione Giannessi sottolinea che,
nonostante la diffusa distinzione tra settore pubblico o privato, la gestione aziendale non dovrebbe essere «né "pubblica" né "privata", ma solo economica. Se la gestione non fosse economica, il
servizio non offrirebbe alcuna garanzia di continuità e di sviluppo: in caso di gestione aziendale,
sarebbe destinato ad esaurirsi per dissoluzione della combinazione produttiva sovrastante; in caso di gestione "pubblica", sarebbe fonte di perdite più o meno rilevanti che, prima o poi, in un modo o nell'altro, andrebbero a gravare sulla Collettività interessata»; E. GIANNESSI , Interpretazione
del concetto di azienda pubblica, Pisa, 1961, pp. 45-46. Come ribadisce Broglia, in effetti, non
devono essere «confuse le condizioni di economicità - indispensabili per la sopravvivenza di
qualsiasi strumento aziendale - con i modelli amministrativi da adottare nella singola fattispecie
per far sì che quelle condizioni siano probabilisticamente raggiunte, preservate e potenziate ... La
tensione verso obiettivi di "interesse pubblico" - per quanto lodevoli e condivisibili - che trascurasse o perdesse di vista le esigenze dello strumento a tal fine apprestato, non solo risulterebbe ben
presto vana, ma finirebbe altresì per essere causa di distruzione di ricchezza, traducendosi in una
perdita di valore, sociale oltre che economico, per l'intera collettività»; A. BROGLIA GUIGGI, Uniformità e Peculiarità dell'Azienda Pubblica, in Rivista Italiana di Ragioneria e di Economia Aziendale, n. 3/4, 2003, pp. 144 e 147.
12
Funzione del bilancio e Capital maintenance nella dottrina tedesca del primo Novecento:
alcuni spunti per una riflessione sugli orientamenti del Framework IASB
desimi valori in termini di «immagine dei movimenti»48 generati dalla gestione
nel corso del tempo49 .
Rilevanti, sotto questo profilo, risultano le concezioni di costo e di ricavo accolte dall'Autore; per Schmalenbach la nozione di costo risultava strettamente
connessa al consumo, espresso in termini monetari, di beni o servizi da parte
dell'azienda nel corso del periodo considerato50 , configurando, pertanto, un
concetto di "costo di utilizzo" nettamente distinto da quello di "costo di acquisto" largamente diffuso presso la dottrina economico-aziendale italiana.
Il ricavo, pur in assenza di una precisa definizione - fatta eccezione per il
sintetico riferimento a «ciò che viene fornito all'economia complessiva in merci,
servizi ed altre prestazioni»51 - era, invece, sostanzialmente configurato in termini di produzione ottenuta nell'arco temporale di riferimento52 .
Il risultato economico d'esercizio scaturiva, dunque, dalla contrapposizione
tra “valore economico sociale” o “valore intrinseco”53 della produzione ottenuta
("ricavi") e valore delle risorse consumate ("costi") nell'atto produttivo54 ; a differenza di quanto avveniva per il risultato economico globale, tuttavia, tali quantità non risultavano necessariamente riflesse, per il singolo esercizio, rispettivamente nel totale delle entrate e delle uscite monetarie55 in esso verificatesi.
48
E. SCHMALENBACH, Bilan dynamique, op. cit., p. 17.
«Lo SCHMALENBACH chiama “bilancio statico” quello che ha per fine di rilevare il patrimonio
del commerciante o il capitale dell’impresa in un dato istante. Chiama, invece, “dinamico” il bilancio che dovrebbe rappresentare i “movimenti” avvenuti entro un dato tempo: movimenti intesi come produzioni (Leistung) da una parte e consumi o costi in lato senso (Auwfand) dall’altra»; P.
ONIDA, Bilancio d’esercizio, op. cit., nota 18, p. 10.
49
50
E. SCHMALENBACH, Dynamische Bilanz, (1956), op. cit., p. 67.
E. SCHMALENBACH, Dynamische Bilanz, (1956), op. cit., p. 42, traduzione tratta da C.
CAMPANINI , Saggio, op. cit., p. 126.
52
«I ricavi sono, quindi, i valori dei beni reali e servizi prodotti nel periodo, sia venduti (ricavi di
vendita: Erlöse, Umsatz) che invenduti»; E. G. PERRONE, Concetti, op. cit., pp. 19-20.
53
«Il “valore economico sociale” dei beni sarebbe – secondo lo SCHMALENBACH – un valore intrinseco determinato dalla rarità ed utilità dei beni e che può essere diverso dal prezzo»; P.
ONIDA, Bilancio d’esercizio, op. cit., nota 31, p. 42.
54
Come rileva Cassandro: «Il reddito, considerato in guisa puramente aritmetica, è - secondo il
nostri autore - la differenza tra le produzioni ("Leistungen") ed i corrispondenti consumi ("Aufwand), misurati rispettivamente da entrate ("Einnahmen") ed uscite (Ausgaben)»; P. E.
CASSANDRO, Teorie, op. cit., p. 59. Lo stesso Cassandro precisa, inoltre: «Lo Schmalenbach preferisce le voci produzione e consumo a quelle, rispettivamente, di ricavo e di costo, forse perché
queste ultime fanno troppo pensare al concetto privatistico di "profitto" mentre sappiamo che, per
il nostro autore, almeno tendenzialmente, il reddito deve essere la misura dell' "economicità" dell'impresa»; P. E. CASSANDRO, Teorie, op. cit., nota (1), p. 59.
55
E' opportuno osservare, al riguardo, che per Schmalenbach le "entrate" e le "uscite" - identificate dai termini "Einnahmen" ed "Ausgaben" - erano rappresentate esclusivamente da movimenti
di denaro, con esclusione dei debiti e crediti numerari; tuttavia, come precisa Campanini, «L' estensione del significato di tali termini anche alle variazioni di crediti e debiti pecuniari, fatta in s eguito da Walb, sembra non sia stata attuata da Schmalenbach per un motivo di s emplificazione a
scopo didattico»; C. CAMPANINI, Saggio, op. cit., p. 126. Della stessa opinione è anche W
LEHMANN, Die dynamische Bilanz Schmalenbachs , Wiesbaden, 1963, pp. 62- 64. Per maggiori
approfondimenti sull'approccio dinamico-numerario elaborato da Ernst Walb sia concesso il rinvio
51
13
Corrado Corsi
In effetti, la stretta derivazione logica del concetto di costo dal "consumo"
ammetteva, implicitamente, la possibilità di sostenere uscite nel corso del periodo senza necessariamente generare "costi" in senso proprio.
Era il caso, per esempio, degli acquisti di fattori a fecondità semplice giacenti in magazzino a fine esercizio e degli acquisti di fattori a fecondità ripetuta
per la parte non ancora ammortizzata, il cui utilizzo avrebbe condotto solo in
futuro alla generazione dei corrispondenti "costi di consumo".
Nella medesima classe rientravano, inoltre, i valori connessi ad operazioni
iniziate con la manifestazione di flussi monetari in uscita in relazione alle quali
non si attendevano futuri "consumi", bensì flussi monetari in entrata a conclusione dell'operazione medesima, tipicamente rappresentata dalla concessione
di finanziamenti a terze economie in attesa di rimborso.
Analogamente, la qualificazione del ricavo in termini di "produzione ottenuta" nel periodo implicava l'esistenza sia di ricavi derivanti da operazioni che solo in futuro avrebbero generato flussi monetari in entrata (rimanenze finali di
prodotti, crediti di fornitura, ratei attivi) sia di ricavi privi della relativa manifestazione monetaria, in quanto connessi alla produzione diretta di beni destinati all'utilizzo interno ed esclusi dalla vendita.
Seguendo il medesimo ragionamento, risultavano pure configurabili costi di
utilizzo in attesa della corrispondente uscita monetaria (debiti di fornitura relativi a fattori utilizzati ma non ancora pagati, fondi spese e fondi rischi relativi ad
eventi che avrebbero richiesto pagamenti futuri, ratei passivi) o per i quali si attendeva direttamente la manifestazione di un ricavo (fondo manutenzione e riparazione)56 ed, infine, entrate monetarie in attesa di tramutarsi in ricavi di produzione (per esempio anticipi da clienti o risconti passivi) nonché entrate monetarie alle quali erano correlate solo uscite future (ottenimento di finanziamenti da terze economie in attesa di rimborso)
Sulla scorta delle considerazioni dianzi formulate, l'attivo dello stato patrimoniale dinamico risultava composto dalle disponibilità liquide e da quattro
classi di elementi, per le quali era possibile formulare una interpretazione con
riferimento sia alla gestione passata sia a quella futura:
a C. CORSI , La determinazione del reddito d'esercizio nell'impostazione dinamica di Ernst Walb, in
Rivista di Contabilità e Cultura Aziendale, Rirea, 2003, Vol. III, N. 1, pp. 50 e segg.
56
Secondo la logica interpretativa adottata dall'Autore, l'accantonamento al fondo manutenzione e riparazione rappresentava un costo relativo al "consumo" futuro del servizio di manutenzione
che veniva, tuttavia, imputato preventivamente in quanto economicamente già maturato per effetto dell'utilizzo del fattore nel corso dell'esercizio. La successiva manutenzione avrebbe condotto
al diretto conseguimento di una sorta di ricavo per produzione interna, rappresentato dal recupero
di valore attribuibile al bene per effetto della manutenzione stessa.
14
Funzione del bilancio e Capital maintenance nella dottrina tedesca del primo Novecento:
alcuni spunti per una riflessione sugli orientamenti del Framework IASB
CLASSI DI ELEMENTI ATTIVI
Interpretazione consuntiva
Interpretazione prospettica
liquidità esistente
-
-
uscite non ancora costi
passati flussi monetari in uscita con- futuri costi emergenti all'atto del
nessi all'acquisto di fattori non con- "consumo" dei fattori acquistati
sumati
uscite non ancora entrate
ricavi non ancora costi
passati flussi monetari in uscita non
futuri flussi monetari in entrata a
connessi all'acquisto di fattori
compensazione delle passate uscite
passati ricavi in natura ottenuti da futuri costi di utilizzo emergenti all'atproduzioni interne non destinate alla
to del consumo delle produzioni ni -
vendita (assenza di flussi monetari terne (assenza di flussi monetari di-
ricavi non ancora entrate
direttamente correlati)
rettamente correlati)
passati ricavi per vendite ancora da
futuri flussi monetari in entrata con-
incassare o per ottenimento di pro- nessi ad incassi da realizzare
dotti destinati alla vendita
In contrapposizione all'attivo si trovava l'aggregato formato dal capitale netto (inteso come debito nei confronti della proprietà) e da quattro classi di elementi passivi, anch'esse interpretabili, con perfetta simmetria rispetto all'attivo,
secondo il duplice punto di vista consuntivo o prospettico:
CLASSI DI ELEMENTI PA SSIVI
capitale netto
Interpretazione consuntiva
passati flussi monetari in entrata
Interpretazione prospettica
futuri flussi monetari in uscita connessi al rimborso delle quote versate
costi non ancora uscite
passati costi per "consumo" di fattori futuri flussi monetari in uscita conancora da pagare o per accantona- nessi a pagamenti da effettuare
menti a fondi spese o fondi rischi in
vista di pagamenti futuri
entrate non ancora uscite
passati flussi monetari in entrata non futuri flussi monetari in uscita a comconnessi a vendite di prodotti
costi non ancora ricavi
pensazione delle passate entrate
passati costi per accantonamenti a futuri ricavi emergenti all'atto della
fondi spese non connessi a paga- prestazione (assenza di flussi monementi futuri (assenza di flussi mone- tari direttamente correlati)
tari direttamente correlati)
entrate non ancora ricavi
passati flussi monetari in entrata futuri ricavi emergenti all'atto della
connessi a prestazioni ancora da e- prestazione
seguire
15
Corrado Corsi
Prescindendo dalle passate uscite destinate a tramutarsi in future entrate,
dalle passate entrate alle quali sarebbero seguiti future uscite, dai mezzi liquidi
e dal capitale proprio - che costituivano poste esclusive dello stato patrimoniale
- i restanti elementi patrimoniali rappresentati nel bilanz risultavano, dunque,
sostanzialmente valorizzati in funzione del collegamento logico stabilito tra la
dinamica gestionale passata e futura considerata sotto il profilo reddituale.
Il valore degli elementi patrimoniali in parola risultava, in effetti, espressivo
del peso in termini di costi e ricavi delle diverse operazioni in corso di svolgimento, dalla cui valutazione scaturivano, in ultima analisi, i diversi elementi patrimoniali secondo una visione profondamente diversa dall'impostazione "statica" consistenziale.
Le entrate non ancora ricavi e le uscite non ancora costi esprimevano, infatti, le premesse per la nascita di componenti, rispettivamente, positivi e negativi
di reddito a carico dei futuri esercizi mentre, nel contempo, non provocavano
alcun effetto sul reddito dell'esercizio in chiusura (tali poste non trovavano, infatti, alcun valore di contropartita nel conto economico).
Ricavi non ancora costi e ricavi non ancora entrate, da un lato, costi non
ancora ricavi e costi non ancora uscite, dall'altro, rappresentavano, invece, le
contropartite di altrettanti componenti positivi e negativi di reddito imputati a
conto economico.
In quest'ultimo prospetto, nel quale ai componenti sopra richiamati si affiancavano costi di utilizzo connessi ad uscite od a ricavi già contabilizzati (nel corso dell'esercizio in chiusura o dei precedenti), nonché ricavi corrispondenti ad
entrate o a costi già rilevati (durante l'esercizio in chiusura o nei precedenti),
risultava, dunque, rappresentato il valore della produzione ottenuta (sia venduta che invenduta) in contrapposizione al valore dei consumi effettuati per ottenerla (relativi sia a fattori acquistati sul mercato, sia a beni prodotti internamente)57 .
La concezione dinamica del bilanz induceva, pertanto, alla redazione di un
ulteriore prospetto informativo – il conto economico - al quale era assegnato il
compito di dimostrare come i «movimenti» prodottisi nell’arco temporale considerato avessero condotto l’azienda dallo stato iniziale a quello finale, rappresentando nel dettaglio i fattori determinanti che avevano condotto alla rilevazione del reddito dell’esercizio.
57
Alla luce dell'interpretazione strettamente monetaria delle uscite e delle entrate propria dello
Schmalenbach, sembra opportuno far notare come i crediti e i debiti numerari o di fornitura potessero rientrare, rispettivamente, tra i ricavi non ancora entrate e tra i costi non ancora uscite solo
nel caso in cui la produzione venduta fosse già stata realizzata ed il consumo dei fattori acquistati
a credito fosse già avvenuto. Per conseguenza, risultava, ad esempio, incoerente con la logica di
fondo l'iscrizione di valori relativi a fattori, tanto a lento quanto a veloce ciclo di utilizzo, acquistati
a credito e non ancora utilizzati, nonché di eventuali crediti verso soci per versamenti ancora dovuti. Sulle problematiche in oggetto e su alcune delle proposte avanzate dalla Dottrina tedesca
per una loro efficace soluzione si rinvia a C. CAMPANINI, Saggio, op. cit., pp. 139 e segg.
16
Funzione del bilancio e Capital maintenance nella dottrina tedesca del primo Novecento:
alcuni spunti per una riflessione sugli orientamenti del Framework IASB
A rigore, i componenti positivi e negativi del risultato economico d'esercizio
avrebbero dovuto esprimere il “valore economico sociale” o “intrinseco” dei
prodotti ottenuti e quello dei beni consumati nell’atto produttivo, con riguardo
all’epoca in cui i prodotti erano posti in vendita. Tuttavia, riconosciute le rilevanti difficoltà che – nella pratica – ostacolavano la determinazione di siffatti valori,
lo stesso Schmalenbach ritenne opportuno assumere come parametro di riferimento il prezzo dei beni58 .
Dall'esame del pensiero dell'Autore emerge la rilevante importanza assunta
dalla salvaguardia dell'integrità del capitale, quale necessaria premessa alla
quantificazione del risultato economico riferito ad un determinato arco temporale. Per Schmalenbach, tuttavia, e, più in generale, per i sostenitori della concezione dinamica del bilancio, il riferimento fondamentale era rappresentato non
già dall'integrità sostanziale accolta da Schmidt, bensì dal concetto di integrità
reale del capitale, fondato sull'invarianza, nel corso di un dato esercizio, del
potere d'acquisto generico dei mezzi propri investiti nell'attività d'impresa59 .
Più precisamente, l’integrità reale del suddetto capitale si sarebbe realizzata
se, al termine del periodo considerato, il suo valore monetario fosse stato in
grado di assicurare l’acquisto di una quantità di beni generici ma di valore equivalente a quello dei beni inizialmente presenti nel patrimonio aziendale60 .
Tra gli obiettivi da raggiungere attraverso la redazione del bilancio, un posto
di rilievo doveva essere, inoltre, riservato alla sagace condotta dell’azienda, da
attuare tramite l’attenta valutazione dell’efficienza economica della sua gestione61 : il reddito di esercizio costituiva appunto, nel lucido pensiero di Schmalenbach, una grandezza indispensabile per il raggiungimento di tale scopo62 .
58
Si confronti P. ONIDA, Bilancio d’esercizio, op. cit., p. 42. Tuttavia, a ribadire la preminenza
della “funzione economico-sociale” dell’impresa rispetto alla sua “funzione economico-privata”,
l’Autore tedesco ebbe a precisare che, al di là della remunerazione garantita dall’attività
d’impresa, era, in primo luogo, fondamentale che quest’ultima non si risolvesse nell’impiego antieconomico delle risorse produttive; E. SCHMALENBACH, Kostenrechnung und Preispolitik, Colonia
e Opladen, 1956, p. 2.
59
In questo senso si orienta, in particolare, Walb, secondo il quale: «Prima di poter giustificare
un reddito deve essere conservato un capitale di uguale potenza economica ovvero, come anche
si può dire appoggiandosi alla terminologia invalsa per il salario, lo stesso capitale originario reale»; E. WALB, Die Erfolgsrechnung privater und öffentlicher Betriebe, Berlino, 1926, p. 341 (trad uzione tratta da U. DE DOMINICIS, I bilanci delle imprese nei periodi di oscillazione del valore economico della moneta,Torino, 1959, pp. 63-64).
60
Oltre alle due accezioni di integrità sostanziale e reale a cui si è fatto cenno, si riscontra, ne ll'ambito della dottrina tedesca, anche l'esistenza di una terza accezione di integrità detta "nomin ale", in base alla quale, al fine di mantenere nel tempo il potenziale produttivo dell'impresa s arebbe
sufficiente assicurare, al termine di ogni esercizio, l'uguagli anza tra la quantità di moneta esprimente la misura finale del capitale netto e quella corrispondente alla sua misura iniziale. Osserva,
in proposito, Campanini: «Nella maggior parte delle concezioni tedesche sul bilancio si assume
momentaneamente, in modo espresso o tacito, l’ipotesi della stabilità monetaria: si “pensa in denaro”, salvo considerare in un capitolo particolare la svalutazione monetaria e le eventuali conseguenti correzioni»; C. CAMPANINI, Saggio, op. cit., p. 38.
61
«Lo Schmalenbach ... afferma - riallacciandosi in ciò alle concezioni etiche del commercio af fermate già dallo Schär - che l'economista aziendale non deve preoccuparsi del "profitto", che c o-
17
Corrado Corsi
Anzi, in risposta alle affermazioni dei fautori della concezione statica, che
esaltavano la validità della propria impostazione indicando nella tutela dei creditori il fine essenziale del bilancio - da cui la necessità di dimostrare attraverso
l’indicazione dei valori “veri”, “oggettivi” o “comuni” la solidità patrimoniale
dell’azienda – Schmalenbach indicò proprio nella corretta rappresentazione del
risultato economico il mezzo migliore per la salvaguardia dell’interesse dei terzi 63 .
Veniva, in tal modo, sancito, con qualche decennio di anticipo, quel principio che così profondamente avrebbe influenzato la dottrina economicoaziendale italiana, ossia che la reale garanzia per i creditori di un’azienda di
produzione non va ricercata nella consistenza attuale del suo patrimonio, bensì
nella capacità di creare reddito coordinando efficacemente ed efficientemente i
fattori della produzione64 .
Schmalenbach non giunse ad elaborare compiutamente una teoria della
valutazione, accogliendo, in gran parte, i criteri già propri della concezione statica, quali il costo di acquisto o – in presenza di forti variazioni del valore dei
beni o del modulo monetario – il valore corrente, oppure ancora, per i fattori a
lento ciclo di utilizzo, il costo di acquisto al netto della parte ammortizzata65 .
D’altra parte, avendo più volte indicato lo scopo del bilancio non tanto nella
determinazione di valori “assoluti”, “obiettivi” o “effettivi”, bensì nella corretta
rappresentazione del reddito secondo i principi di una “ordinata contabilità”66 ,
stituisce lo scopo privato dell'imprenditore, bensì dell'utilità economico-sociale dell'azienda, ossia
della sua "economicità" (Wirtschaftilichkeit)»; P. E. CASSANDRO, Teorie, op. cit., pp. 11-12. L'azienda appare, dunque, concepita «non come strumento per il conseguimento del profitto dell'imprenditore ma come organismo del sistema economico che adempie la funzione sociale di produrre beni o di apprestare servizi»; E. G. PERRONE, Concetti, op. cit., p. 37.
62
«Pour nous, l'objet essentiel d'un bilan économique est de constater le résultat d'une entreprise afin de pouvoir la diriger rationnellement»; E. SCHMALENBACH, Bilan dynamique, op. cit., p.
23. Precisa, criticamente, Onida al riguardo: «la nozione di reddito delineata dallo SCHMALENBACH
tende a far conoscere l’economicità di distinti complessi di produzioni che l’impresa attua»; tuttavia, date «le molteplici interrelazioni economiche esistenti tra le operazioni di gestione, non pare
che il bilancio possa di regola offrire espressione sufficiente e non ingannevole della “economicità” di ciascuna di esse o dei distinti complessi che in seno all’azienda si v olessero considerare. In
ogni caso, i risultati economici particolari, ottenuti contrapponendo a determinati ricavi i corrispondenti costi o, per esprimerci al modo dello SCHMALENBACH, contrapponendo al valore intrinseco o economico sociale dei prodotti, il valore intrinseco dei beni consumati nella produzione,
non si potrebbe esclusivamente attribuire (a parte la consueta estrema arbitrarietà della loro determinazione) alle operazioni cui sono riferiti, né potrebbero quindi essere considerati – sic et
simpliciter – come espressione dell’ “economicità” di quelle operazioni»; P. ONIDA, Bilancio
d’esercizio, op. cit., pp. 42-44.
63
E. SCHMALENBACH, Bilan dynamique, op. cit., p. 25.
64
U. CAPRARA, La banca. Principii di economia delle aziende di credi to, Milano, 1946, p. 7.
65
Si confronti, sul punto, L. BAGNOLI , Bilancio organico, op. cit., pp. 29-32.
E. SCHMALENBACH, Dynamische Bilanz, (1956), op. cit., p. 25. In particolare, come sottolinea
Campanini, Schmalenbach «sovverte il procedimento tradizionale, consistente nel partire dal patrimonio alla data del bilancio e nel farne prima l’analisi qualitativa e, poi, quella quantitativa (o
qualitativo-quantitativa), cioè la valutazione»; C. CAMPANINI, Saggio, op. cit., p. 149.
66
18
Funzione del bilancio e Capital maintenance nella dottrina tedesca del primo Novecento:
alcuni spunti per una riflessione sugli orientamenti del Framework IASB
l’Autore si limitò a manifestare la propria preferenza per criteri di valutazione
“praticabili”, tali, cioè, da offrire la minor difficoltà di applicazione – anche se
non “esatti”67 nell’accezione propria dell’impostazione statica – conferendo, in
altri termini, particolare rilevanza al cosiddetto “principio della sicurezza del
calcolo o della sostituzione dei metodi”68 .
Attesa l’importanza attribuita al reddito di esercizio, tanto ai fini del controllo
di gestione quanto in riferimento alla funzione di garanzia per i terzi, non può
stupire che Schmalenbach suggerisse, per la sua determinazione, l’adozione di
una metodologia volta ad evidenziarne distintamente le determinanti69 , enfatizzando il ruolo del conto economico come strumento essenziale per interpretare
il processo di creazione della ricchezza e favorire, dunque, la comprensione
dei valori iscritti nel Bilanz70 .
L'impostazione logica dell'Autore in esame evidenzia, da ultimo, l’estremo rilievo attribuito al «principio della comparabilità» dei bilanci periodici71 , nella profonda convinzione che la valenza informativa del reddito di esercizio non risiedesse tanto nella sua misura assoluta, quanto piuttosto nella comparazione dei
risultati economici riferiti ad esercizi consecutivi72 .
Lo stesso Schmalenbach non trascurò, peraltro, di sottolineare il principale
vincolo insito nella sistematica applicazione del suddetto principio, ravvisabile
nell’imprescindibile rispetto di appropriati criteri di uniformità, tanto formale
quanto sostanziale73 ; ciò nonostante, la comparazione dei bilanci fu da Egli ri67
E. SCHMALENBACH, Dynamische Bilanz, (1956), op. cit., p. 63.
«Il citato principio comporta una disparità di trattamento dei costi e dei ricavi da imputarsi
all’esercizio. I costi sono imputati in base al principio di causalità (Verursachungsprinzip), sono
cioè da rilevarsi a carico dell’esercizio che li ha causati. I ricavi, invece, sono da imputare
all’esercizio in base al principio di “realizzazione” (Realisationsprinzip)»; C. CAMPANINI , Saggio,
op. cit., p. 116. Per Schmalenbach «il concetto di “costo”, al fine della determinaz ione del risultato
economico dell'esercizio, è quello di “costo di utilizzazione” o di consumo di beni reali e servizi, a
valore», i ricavi sono, invece, «i valori dei beni reali e servizi prodotti nel periodo, sia venduti (ricavi di vendita: Erlöse, Umsatz) che invenduti ed il valore di eventuali altri beni ottenuti senza la
fornitura di un prodotto (bene reale o servizio), a titolo gratuito, da considerarsi nel calcolo del risultato economico. ... La forma del conto profitti e perdite che risponde all’impostazione di
Schmalenbach, quale emerge anche dalle prime definizioni di “costo” e di “ricavo” dianzi citate, è
quella di conto dei “costi” e dei “ricavi” dell’intera produzione»; C. CAMPANINI, Saggio, op. cit., pp.
127-129.
69
E. SCHMALENBACH, Bilan dynamique, op. cit., p. 24.
70
Sintetizza Schmalenbach: «Le sens profond que comporte l'idée du bilan dynamique est que
celuici est le "serviteur", et non "le maître" du calcul annuel des résultats »; E. SCHMALENBACH,
Bilan dynamique, op. cit., p. 24.
71
E. SCHMALENBACH , Bilan dynamique, op. cit., p. 24.
72
Già alcuni anni prima della pubblicazione del Bilancio dinamico, l’Autore ebbe modo di sottolineare l’importanza da Egli attribuita alla comparabilità dei risultati economici di esercizio; si confronti, in tal senso, E. SCHMALENBACH, Grundlagen, op. cit., p. 13.
73
In tema di comparabilità dei risultati l’Autore sottolinea che l’applicazione del principio in
questione «impose, d'abord, la nécessité de ne pas faire varier, sans raison particulière, la méthode comptable, ni dans sa forme, ni dans ses principes»; E. SCHMALENBACH, Bilan dynamique,
op. cit., p. 27. Nello stesso senso Besta ribadisce, più in generale: «Se i risultati degli inventari
68
19
Corrado Corsi
tenuta condizione indispensabile per trarre da tali documenti informazioni complete ed utili sull’andamento della gestione aziendale74 .
A questo riguardo, l’Autore non mancò, altresì, di puntualizzare come la variabilità ambientale, influenzando la formazione del reddito di esercizio a causa
di congiunture particolarmente favorevoli o sfavorevoli, potesse rappresentare
un non trascurabile “elemento di disturbo” nella determinazione di tale grandezza, tanto da imporre l’adozione di opportune rettifiche tese a neutralizzarne
gli effetti, senza le quali la comparazione dei bilanci non avrebbe potuto fornire
alcuna indicazione utile.
Il carattere della comparabilità risultava, per altro verso, limitato dall’implicito
accoglimento del principio di prudenza, secondo il quale era consigliabile,
nell’incertezza, determinare un risultato economico di misura inferiore ma
maggiormente attendibile. Lo stesso carattere avrebbe, potuto, di contro, essere rafforzato attraverso la determinazione di un risultato economico ordinario,
con separata indicazione delle componenti straordinarie o estranee alla gestione caratteristica ed accessoria75 .
4.
Conservazione del capitale, determinazione del risultato economico e funzione del bilancio: alcune considerazioni sugli orientamenti espressi dal Framework IASB
L'emanazione del Regolamento (CE) N. 1606/2002 del 19 luglio 2002, che
ha sancito l'introduzione dei principi contabili internazionali IAS nell'ordinamento dei diversi Paesi dell'Unione Europea76 , segna, senza dubbio, una tappa
compiuti alla fine di due esercizi consecutivi debbono essere confrontati fra loro per la determinazione dell’utile o della perdita imputabile all’ultimo, ne viene come logica conseguenza che i medesimi criteri debbono guidare alla determinazione dei valori dei componenti positivi e negativi del
patrimonio sia nell’uno che nell ’altro inventario. Onde ne seguirebbe che, scelti in una data azie nda i criteri di valutazione, in quelli si dovrebbe persistere costantemente per tutti i periodi successivi»; F. B ESTA, La ragioneria, vol. III, Milano, 1916, p. 608. Sull’argomento si confronti anche V.
A LFIERI , Ragioneria generale, Roma, 1914, pp. 379 e segg.
74
E. SCHMALENBACH, Bilan dynamique, op. cit., p. 57. Sul punto, tuttavia, Onida ammonisce:
«Allorché si confrontano ... i risultati di esercizi successivi per giudicare l’economicità comparata
di essi, non si deve dimenticare che nella gestione d’azienda, di regola, il passato condiziona, più
o meno largamente, il presente, mentre questo è pure determinato, in parte, dalle previsioni relative alle future condizioni di vita dell’impresa»; P. ONIDA, Bilancio d’esercizio, op. cit., p. 44.
75
C. CAMPANINI, Saggio, op. cit., pp. 118-119.
Il testo dei suddetti principi tradotti in lingua italiana e rilevante ai fini del SEE è stato pubblicato nel Regolamento (CE) N. 1725/2003 del 29 settembre 2003, relativo all'adozione di "taluni
principi contabili internazionali conformemente al regolamento (CE) n. 1606/2002 del Parlamento
europeo e del Consiglio", apparso sulla Gazzetta Ufficiale dell'Unione Europea del 13 ottobre
2003. Attenta considerazione merita, infine, l'attuazione della direttiva 2003/51/CE, con la quale
risulteranno modificate tutte le direttive contabili precedentemente approvate: essa si propone, in
particolare, di conferire al quadro giuridico comunitario la flessibilità necessaria a garantire, in
prospettiva, un armonico sviluppo dei principi contabili adottati, orientando la modifica degli asset76
20
Funzione del bilancio e Capital maintenance nella dottrina tedesca del primo Novecento:
alcuni spunti per una riflessione sugli orientamenti del Framework IASB
fondamentale nell'evoluzione della disciplina sulla redazione del bilancio di esercizio e consolidato.
Per effetto di tale provvedimento può dirsi, in effetti, definitivamente superato il regime delle opzioni diffusosi con il recepimento della IV e della VII direttiva CEE 77 che, pure, erano state originariamente concepite, almeno nelle intenzioni del legislatore, al fine di favorire l'armonizzazione degli ordinamenti contabili degli Stati membri.
In realtà, a seguito del mancato accordo, in sede comunitaria, circa la convergenza delle disposizioni in materia contabile adottate dai diversi Paesi, questi ultimi hanno continuato a mantenere in vita corpi di principi contabili sostanzialmente difformi, in quanto concettualmente ispirati alla coerenza, più o meno
realizzata, rispetto ai principi ed ai criteri sanciti dalla dottrina e dalla prassi
contabile nazionale.
La recente imposizione, per alcune tipologie d'impresa, dello standard comune modellato sullo schema IAS - di matrice prettamente anglosassone e,
pertanto, estraneo al modello contabile storicamente affermatosi nell'Europa
continentale - configura, dunque, uno scenario del tutto nuovo, destinato a
produrre conseguenze tutt'altro che trascurabili, sia sotto l'aspetto dell'interpretazione delle informazioni desumibili dai valori esposti in bilancio sia con riguardo alla funzione stessa che a tale documento può essere assegnata.
Con specifico riferimento all'ambito italiano, il recepimento dei principi contabili in questione è sancito dalla Legge Comunitaria del 31 ottobre 2003, n.
306, la quale, all'art. 25, ne definisce puntualmente il campo di applicazione
obbligatorio e facoltativo individuandone, nel contempo, i casi di esclusione.
Sulla base di tale disposto, a partire dal 1° gennaio 2005 dovranno obbligatoriamente redigere il bilancio di esercizio ed il bilancio consolidato secondo i
principi IAS:
- le società quotate;
- le società aventi strumenti finanziari diffusi presso il pubblico di cui all'art.
116 D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 (Regolamento Consob, art. 2, adottato
con delibera n. 11971 del 14 maggio 1999, modificato con delibera n.
13616 del 12 giugno 2002: società dotate di un patrimonio netto non inferiore a cinque milioni di euro e con un numero di azionisti o obbligazionisti
superiore a 200);
- le banche e gli intermediari finanziari sottoposti alla vigilanza da parte della Banca d'Italia.
ti giuridici interni dei singoli Stati dell'Unione in modo tale da uniformare agli IAS anche la redazione dei bilanci delle imprese escluse da tale vincolo ai sensi del Regolamento comunitario
1606/2002.
77
Direttive attuate, in Italia, con D. Lgs. 9 aprile 1991, n. 127, ai sensi dell'art. 1, comma 1, della
Legge 26 marzo 1990, n. 69.
21
Corrado Corsi
L'obbligo di applicazione dei principi IAS riguarda, inoltre, il solo bilancio
consolidato delle imprese di assicurazione quotate (D. Lgs. 26 maggio 1997, n.
173) nonché il bilancio di esercizio per le imprese di assicurazione quotate che
non redigono il bilancio consolidato.
E' data, invece, facoltà di scelta tra la redazione del bilancio di esercizio e
del bilancio consolidato in base agli IAS in alternativa ai "principi civilistici" alle
società non quotate. Esulano, infine, dal campo di applicazione degli IAS la redazione del bilancio di esercizio e consolidato delle imprese di assicurazione
non quotate (D. Lgs. 26 maggio 1997, n. 173) e la redazione del bilancio di esercizio delle società per le quali è ammessa la forma abbreviata ex-art. 2435bis del c.c.
Al fine di favorire l'opportuna «armonizzazione della normativa, dei principi e
delle procedure contabili connesse alla preparazione e alla presentazione dei
bilanci»78 , lo IASB ha adottato, nell'aprile 2001, il «Quadro sistematico (Framework) per la preparazione e la presentazione del bilancio», secondo il testo
approvato dallo IASC già nell'aprile del 198979 e pubblicato nel luglio dello
stesso anno80 .
Nella prefazione del documento in parola si precisa che il Quadro sistematico di riferimento «non costituisce un Principio contabile internazionale e, di
conseguenza, non contiene principi per nessuna specifica tematica concernente la valutazione o l'informativa». Pertanto, in caso di contrasto tra quanto esposto nel Quadro in esame ed un Principio contabile internazionale, «le disposizioni del Principio contabile internazionale prevalgono su quelle del Quadro sistematico»; al contenuto del Framework - sviluppato «in maniera tale da
poter essere applicabile a diversi sistemi contabili e a diversi concetti di capitale e di mantenimento del capitale»81 - è, tuttavia, riservato un ruolo basilare ai
78
Framework, paragrafo 12: la presente e le successive citazioni sono tratte dalla traduzione italiana del Framework for the Preparation and Presentation of Financial Statements , pubblicata in
Principi contabili internazionali 2001, ed. Il Sole 24 ore, Milano, 2002.
79
Al paragrafo 4 del Framework IASC del 1989 si legge: «Il Quadro sistematico sarà rivisto periodicamente sulla base dell'esperienza pratica maturata dal Board in merito»; tuttavia, il testo attualmente assunto come riferimento dallo IASB risulta essere ancora invariato rispetto alla stesura originale approvata nel 1989. Si confronti International Accounting Standards 2002 - The full
text of all International Accounting Standards, SIC Interpretations and IAS 39 Implementation
Guidance - Questions and Answers extant at 1 January 2002.
80
Come è noto, a partire dal 1° aprile 2001, l'organismo internazionale che si occupa della elaborazione dei principi contabili ha assunto la denominazione di IASB (International Accounting
Standards Board) ed ha sostituito il precedente IASC (International Accounting Standard Commi ttee). Con l'entrata in funzione dello IASB, i principi contabili internazionali già esistenti ed approvati anche da quest'ultimo continueranno ad essere identificati dalla sigla IAS (International Accounting Standard), mentre quelli di nuova elaborazione assumeranno la denominazione di IFRS
(International Financial Reporting Standard).
81
Framework, Prefazione.
22
Funzione del bilancio e Capital maintenance nella dottrina tedesca del primo Novecento:
alcuni spunti per una riflessione sugli orientamenti del Framework IASB
fini della elaborazione e dello sviluppo di nuovi Principi contabili da parte dello
IASB, nonché per il riesame di quelli già in vigore82 .
Secondo il documento in questione, lo scopo assegnato al bilancio resta
sostanzialmente individuato nella esposizione di «informazioni in merito alla situazione patrimoniale-finanziaria, all'andamento economico e ai cambiamenti
della situazione patrimoniale-finanziaria di un'impresa, utili a un'ampia serie di
utilizzatori nel processo di decisione economica»83 ; a tale riguardo il Framework sembra, peraltro, privilegiare, in particolare, la salvaguardia delle esigenze informative di una specifica categoria di fruitori del bilancio, ovvero gli investitori, assumendo l'ipotesi di base secondo cui, essendo questi ultimi «i fornitori di capitale di rischio all'impresa, un bilancio che soddisfi le loro esigenze
informative soddisferà anche la maggior parte delle esigenze di altri utilizzatori
del bilancio»84 .
Più precisamente, secondo quanto riportato dal testo in esame, tanto gli
«investitori» quanto i loro «consulenti» sarebbero principalmente interessati al
rendimento dell'investimento nel capitale proprio d'impresa da ponderare in
funzione del rischio a cui è esso risulta assoggettato. Per tale motivo i citati
soggetti necessitano «di informazioni che li aiutino a decidere se comprare,
mantenere o vendere. Gli azionisti, inoltre, sono interessati a usufruire delle informazioni che li mettano in grado di valutare la capacità dell'impresa di pagare
dividendi»85 : sulla base di tali premesse, al bilancio di esercizio viene attribuito
il ruolo di principale strumento per il soddisfacimento delle suddette finalità conoscitive.
Alla luce di quanto sopra si spiegano, dunque, i ripetuti richiami al concetto
di distribuibilità del reddito di esercizio86 , a fronte dei quali si evidenzia, di contro, la mancanza di espliciti riferimenti alla salvaguardia delle condizioni di
equilibrio prospettico della gestione e di durabilità dell'impresa, che, ferma restando l'attitudine dell'istituto economico aziendale a perdurare nel tempo, dovrebbero costituire la logica premessa alla eventuale distribuzione degli utili rilevati. L'unico cenno al carattere della continuità, appare, in effetti, nella definizione delle istanze informative di altre due particolari categorie di "utilizzatori
del bilancio", rappresentate dai fornitori e dai clienti dell'impresa, rispetto ai
82
Framework, paragrafi 2 e 3.
Framework, paragrafo 12.
84
Framework, paragrafo 9, lettera (g).
83
85
Framework, paragrafo 9, lettera (a).
Oltre che alla lettera (a) del paragrafo 9, il Framework riporta espliciti riferimenti ai concetti di
"utili distribuibili" e "distribuzione di dividendi" ai soci anche alla lettera (f) della Prefazione, al paragrafo 15 (nell'ambito della definizione della "finalità del bilancio") ed, ancora, al paragrafo 28 (in
relazione alla "significatività" dell'informativa di bilancio).
86
23
Corrado Corsi
quali, peraltro, il carattere in esame appare temporalmente circoscritto alla durata del rapporto tra i citati soggetti e l'impresa87 .
Se, da un lato, la preminenza accordata al carattere della distribuibilità del
risultato economico d'esercizio appare in tutta la sua evidenza, dall'altro desta
qualche perplessità la mancata esplicitazione di un preciso concetto di integrità
del capitale a cui poter univocamente riferire tale distribuibilità.
A questo proposito si deve preliminarmente osservare che, per il Framework, la consistenza patrimoniale dell'impresa può essere alternativamente
concepita secondo due differenti accezioni, ricondotte al "concetto finanziario"
ed al "concetto fisico" di capitale.
Il "concetto finanziario" di capitale presuppone che quest'ultimo possa essere inteso sia come «denaro investito», sia in termini di «potere d'acquisto investito»88 ; la conseguente definizione di "conservazione del capitale" legata a tale
accezione conduce all'individuazione di utili «solo se l'importo finanziario (o
monetario) dell'attivo netto alla chiusura dell'esercizio è superiore all'importo
finanziario (o monetario) dell'attivo netto all'inizio dell'esercizio, dopo aver escluso qualsiasi distribuzione ai soci e contributo da parte di questi avvenuto
nel periodo. La conservazione del capitale finanziario può essere misurata in
unità monetarie nominali o in unità aventi costanza di potere d'acquisto»89 .
In base al "concetto fisico" il capitale è, invece, concepito in termini di «capacità produttiva dell'impresa, basata, per esempio, sulle unità prodotte giornaliere»90 ; secondo la connessa definizione di "conservazione del capitale fisico"
si può ritenere di aver conseguito un utile «solo se la capacità produttiva fisica
(o operativa) dell'impresa (o le risorse o i fondi necessari per ottenere tale capacità) alla chiusura dell'esercizio è superiore alla capacità produttiva fisica all'inizio dell'esercizio, dopo aver escluso qualsiasi distribuzione ai soci e contributo da parte di essi avvenuto nel periodo»91 .
Lo stesso Framework precisa, infine, come la definizione del "concetto di
conservazione del capitale" rappresenti, in ultima analisi, il «collegamento tra i
concetti di capitale e i concetti di utile, poiché fornisce il punto di riferimento da
cui ha inizio la quantificazione dell'utile; è un requisito preliminare per la distin-
87
«I fornitori e gli altri creditori commerciali sono interessati alle informazioni che possono metterli in grado di determinare se gli importi per cui sono creditori saranno pagati alle scadenze stabilite. E' probabile che i creditori commerciali siano interessati alle sorti dell'impresa loro debitrice
per un periodo più breve dei finanziatori, a meno che essi non siano interessati alla permanenza
in vita dell'impresa stessa in quanto questa rappresenta uno dei loro maggiori clienti»; Framework, paragrafo 9, lettera (d). «I clienti hanno interesse ad acquisire informazioni in merito alla
continuità dell'impresa, specialmente quando essi hanno un coinvolgimento di lungo termine e
dipendono dalla stessa»; Framework, paragrafo 9, lettera (e)
88
Framework, paragrafo 102.
89
Framework, paragrafo 104, lettera (a), corsivo aggiunto.
90
91
Framework, paragrafo 102.
Framework, paragrafo 104, lettera (b), corsivo aggiunto.
24
Funzione del bilancio e Capital maintenance nella dottrina tedesca del primo Novecento:
alcuni spunti per una riflessione sugli orientamenti del Framework IASB
zione tra remunerazione del capitale investito e rientro del capitale; solo i flussi
in entrata di attività che superano gli importi necessari per conservare il capitale possono essere considerati come utili e, di conseguenza, come remunerazione sul capitale. Perciò, l'utile è il valore residuo che resta dopo che sono
stati dedotti dai ricavi i costi (incluse le rettifiche per la conservazione del capitale, laddove appropriate)»92 .
La necessità di preordinare la definizione dell'integrità in parola alla determinazione, prima ancora che alla distribuzione, del risultato economico di esercizio rappresenta, in effetti, un aspetto di fondamentale rilievo sotto il profilo
logico ed operativo93 .
La disamina condotta nei paragrafi precedenti ha evidenziato come già la
dottrina tedesca del primo '900 avesse, in effetti, posto l'accento sull'esistenza
di differenti nozioni di integrità del capitale alle quali correlare configurazioni di
risultato economico diverse tanto nel significato quanto nella relativa misura.
Tralasciando l'accezione di integrità nominale del capitale - fondata sulla
mera conservazione dell'ammontare nominale del capitale inizialmente investito e strettamente subordinata all'ipotesi semplificatrice di costanza dei prezzi si sono delineate, al riguardo, due distinte logiche: una orientata al concetto di
integrità sostanziale, l'altra legata a quello di integrità reale.
Secondo la prima delle due linee di pensiero, affermatasi nell'ambito della
teoria organica del bilancio, la conservazione temporale del potenziale produttivo dell'impresa è realizzata preservando un equivalente monetario in grado di
ricostituire la "sostanza" patrimoniale iniziale94 , con particolare riferimento ai
92
Framework, paragrafo 105.
Sulla stretta relazione tra distribuzione del reddito di esercizio e mantenimento dell'integrità
del capitale di funzionamento, riconosciuta a prescindere dalla teorica di riferimento, si sono da
tempo espressi numerosi Esponenti della dottrina economico-aziendale italiana. Già De Gobbis,
tra i primi Autori italiani ad affrontare il problema, puntualizzò in tal senso: «La integrità del capit ale dev'essere il presupposto nella determinazione dell'utile da ripartire e, conseguentemente, il
concetto a cui devono essere informate le valutazioni di bilancio»; F. DE G OBBIS, Il bilancio delle
società anonime, Milano-Genova- Roma- Napoli, 1931, p. 67. Sulla problematica in questione si
vedano, tra gli altri: G. ZAPPA, Il reddito d'impresa, Milano, 1937, p. 338. L. DE MINICO, Lezioni di
ragioneria, Napoli, 1946, p. 224. T. D'IPPOLITO, La contabilità in partita doppia a sistema unico e
duplice e il bilancio di esercizio, Palermo, 1958, p. 181. U. DE DOMINICIS, I bilanci delle imprese
nei periodi di oscillazione del valore della moneta, Torino, 1959, p. 63. A. CECCHERELLI , Il linguaggio dei bilanci, Firenze, 1961, p. 213. Per una interessante analisi del concetto di integrità
del capitale si rinvia utilmente a G. CERIANI , Riserve e politiche di gestione nell'economia delle
imprese, Milano, 1979, pp. 94 e segg.
93
94
Osserva, in proposito, Campanini: «Per “sostanza” s’intende l’aggregato di mezzi, per cui la
conservazione “sostanziale” è, in effetti, la conservazione del “patrimonio” (attivo). Si hanno, peraltro, varie specie di conservazione “sostanziale”, secondo che la “sostanza” sia conservata mediante la ricostituzione: di identici beni e quantità, oppure di un'identica potenzialità produttiva
specifica tenendo conto del progresso tecnologico, oppure di un’identica potenzialità produttiva
generica tenendo conto non solo del progresso tecnologico, ma anche dei cambiamenti dei bisogni e dei gusti dei consumatori, oppure, infine, della stessa posizione relativa nell’ambito
dell’economia complessiva, tenendo conto degli alti e bassi di questa»; C. CAMPANINI, Saggio, op.
cit., p. 37. Sul punto si veda anche L. BAGNOLI , Bilancio organico, op. cit., pp. 12-13.
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Corrado Corsi
fattori specifici impegnati nel processo produttivo. Riguardo a questi ultimi, risulta, pertanto, essenziale la completa reintegrazione sotto il profilo sia quantitativo sia, soprattutto, qualitativo dei fattori utilizzati.
Per altro verso, la conservazione del capitale in termini reali, promossa dai
sostenitori dell'approccio dinamico, impone, invece, che rimanga invariato, nel
corso dei diversi esercizi, il potere d’acquisto generico dei mezzi propri investiti
nell’impresa.
E' appena il caso di osservare, alle luce dei richiami brevemente tratteggiati,
come non sia difficile intravvedere, con riguardo alla nozione di "conservazione
del capitale finanziario" accolta dal Framework, la chiara allusione alle due accezioni di integrità nominale e reale. Analogamente, per quanto attiene la seconda definizione, ovvero quella relativa alla "conservazione del capitale fisico", risulta altrettanto evidente il riferimento al mantenimento della cosiddetta
integrità sostanziale.
Pur cogliendo le differenze, di carattere logico e metodologico, che l'adozione di ciascuna delle tre nozioni di integrità sopra richiamate comporta95 , il documento in esame non assume, tuttavia, una precisa posizione in merito, limitandosi a sostenere che la scelta del concetto "appropriato" di capitale deve
essere effettuata sulla base delle «esigenze informative degli utilizzatori del bilancio. Perciò», prosegue il documento, «si dovrà adottare il concetto finanziario di capitale se gi utilizzatori del bilancio sono principalmente interessati alla
conservazione del capitale nominale investito o al potere di acquisto del capitale investito. Se, peraltro, il principale problema degli utilizzatori riguarda la capacità operativa dell'impresa, deve essere usato il concetto fisico di capitale.
La scelta del concetto determina l'obiettivo da raggiungere nella determinazione dell'utile»96 .
D'altra parte, anche alla luce di queste ultime considerazioni, non si può fare a meno di notare come, a parità di valori, l'applicazione di criteri di valutazione tesi alla salvaguardia dell'integrità nominale, reale oppure sostanziale del
capitale possa indurre sensibili differenze nella misurazione del reddito "distribuibile", con tutte le conseguenze del caso.
Sotto questo punto di vista, l'assenza di specifiche indicazioni circa l'accezione di capital maintenance da preferire appare, dunque, pregiudizievole per
la stessa capacità informativa del bilancio nei confronti suo "principale" utilizzatore, stante la fondamentale importanza attribuita alla conoscenza del reddito
"distribuibile" ai fini del processo decisionale attuato dall'investitore-azionista.
Pare opportuno rilevare, inoltre, come le tre nozioni di integrità sopra richiamate fossero state introdotte in un contesto dottrinale - quello tedesco - in
95
Sulle differenze in parola si vedano, in particolare, i paragrafi 106, 107, 108 e 109 del Framework.
96
Framework, paragrafo 103.
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Funzione del bilancio e Capital maintenance nella dottrina tedesca del primo Novecento:
alcuni spunti per una riflessione sugli orientamenti del Framework IASB
cui si privilegiava il carattere della comparabilità dei risultati economici più che
quello della loro prudente prelevabilità.
Nel Framework le medesime nozioni appaiono, invece, trasposte in un quadro concettuale che, pur contemplando - tra le caratteristiche qualitative del bilancio - il carattere della comparabilità97 , manifesta, com'è stato in precedenza
rilevato, uno spiccato orientamento verso quello della "distribuibilità" del risultato economico, invertendo, pertanto, l'ordine di priorità più sopra accennato98 .
Preme, da ultimo, rilevare come tanto l'integrità sostanziale quanto quella
reale, entrambe prive della necessaria visione prospettica dei fenomeni indagati, sottointendano, in ogni caso, un concetto di prelevabilità alquanto diverso
da quello affermatosi in seno alla scuola redditualista.
Secondo quest'ultima accezione, la prelevabilità del reddito netto assegnato ad un esercizio e, prima ancora, la stessa integrità economica del capitale di
funzionamento quantificato al termine del medesimo esercizio, risultano garantite allorché la proiezione al futuro delle operazioni in corso di svolgimento alla
fine del periodo amministrativo, effettuata sulla base di appropriati piani economici e finanziari prospettici, sia in grado di assicurare un adeguato flusso
reddituale futuro, da porre come base per la periodica remunerazione del capitale proprio99 .
In altri termini, la misurazione del reddito di esercizio prelevabile appare, in
tal caso, strettamente subordinata alla necessità di garantire, in primis, la possibilità di conservare l'adeguata remunerazione futura dei mezzi propri investiti; il valore del connesso capitale di funzionamento, dovrà, per conseguenza,
essere determinato in modo tale da creare ed assicurare, per tutta la durata
delle operazioni in corso alla data del bilancio, idonee condizioni di equilibrio
97
Si legge, in proposito: «Gli utilizzatori devono essere in grado di comparare il bilancio di un'impresa nel tempo al fine di identificare gli andamenti tendenziali della situazione patrimonialefinanziaria e dell'andamento economico. Gli utilizzatori inoltre devono essere in grado di comparare il bilancio di diverse imprese al fine di valutare le relative situazioni patrimoniali-finanziarie, gli
andamenti economici e i cambiamenti della relativa situazione patrimoniale-finanziaria. Perciò la
valutazione e l'esposizione degli effetti finanziari di operazioni e altri eventi tra loro simili devono
essere iscritte in bilancio in modo coerente, nel corso del tempo sia nell'ambito di una stessa impresa sia per imprese diverse»; Framework, paragrafo 39. Poco oltre si precisa, peraltro: «Il requisito della comparabilità non deve essere confuso con la mera uniformità e non deve essere
consentito che divenga un impedimento all'introduzione di migliori principi contabili»; Framework,
paragrafo 41.
98
Si ritiene opportuno ricordare, al riguardo, la problematica sollevata dall'applicazione del criterio di valutazione del fair-value, introdotto dai Principi IAS, in ordine alla effettiva distribuibilità
degli utili conseguentemente rilevati. Sulla tematica relativa all'applicazione del fair -value si rinvia
utilmente a M. PIZZO, Il fair value nel bilancio d'esercizio, Padova, 2000.
99
Al riguardo osserva De Minico: «In generale, se vogliamo che il capitale determinato alla fine
di un esercizio abbia significato e conservi nell'avvenire la sua capacità lucrativa, esso deve esprimere, oltre ai valori numerari, un complesso di valori non numerari tale che la prevedibile loro
sorte riesca ad assicurare la almeno normalità, nei suoi confronti, dei redditi degli esercizi avven ire»; L. DE MINICO, Lezioni di ragioneria, Napoli, 1946, p. 224.
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Corrado Corsi
economico e finanziario prospettico, dalle quali dipende, in ultima analisi, la
stessa sopravvivenza dell'impresa100 .
L'integrità del suddetto capitale di funzionamento si fonda, allora, non già
sul mantenimento di un determinato potere d'acquisto, sia esso particolare o
generale, dell'equivalente monetario dei mezzi investiti, bensì sul rispetto di un
limite cautelare che trova la sua misura massima nel valore attualizzato del
flusso reddituale futuro esprimente il livello atteso di remunerazione adeguata.
Dall'impostazione in parola emergono, pertanto, concetti di capitale e di
conservazione del capitale - da tempo largamente accolti in dottrina e fonte di
ispirazione per la concreta realtà operativa - che si discostano sensibilmente
da quelli più sopra delineati con riferimento alle linee guida esposte nel Framework, in base alle quali viene delineata un'accezione di prelevabilità che
non pare sufficientemente ancorata al mantenimento delle sopra accennate
condizioni di equilibrio101 .
Ciò vale, dunque, a fornire ulteriore testimonianza delle difficoltà implicite
nella forzata adozione, specie in ambito nazionale, di schemi concettualmente
difformi da quelli consolidatisi attraverso l'evoluzione dottrinale avvenuta nel
corso dell'ultimo secolo, con la quale si è assistito alla progressiva affermazione della "prudenza" nel ruolo di principio cardine per la determinazione e rappresentazione di valori di bilancio informati alla sopravvivenza ed allo sviluppo
dell'impresa.
100
Come sintetizza Ceriani, in effetti, «le operazioni in corso di svolgimento, dalla cui valutazione scaturiscono gli elementi attivi e passivi del capitale di funzionamento, debbono essere atte ntamente considerate in relazione ai piani e programmi predisposti per conservare la sopravvivenza dell'impresa nel tempo. In sede di determinazione del reddito di esercizio e del capitale di funzionamento è, quindi, necessario assicurare l'integrale possibilità di attuazione dei piani e dei
programmi predisposti per indirizzare la gestione al conseguimento dei fini istituzionali dell'impresa. Per conseguenza, la nozione di capitale di funzionamento in argomento deve consentire l'attuazione dei piani e dei programmi predisposti per garantire la sopravvivenza dell'impresa nel
tempo»; G. CERIANI , L'integrità economica del capitale in condizioni monetarie perturbate, in Studi
in onore di Ubaldo De Dominicis, Tomo I, 1991, pp. 342-343. Pur ulteriori approfondimenti sul tema si veda G. CERIANI , Riserve, op. cit., pp. 112 e segg.
101
Come avverte Onida, in effetti, «se non si vogliono scientemente effettuare rilevazioni e distribuzioni di utili che, dopo tempo forse anche breve, abbiano a rivelarsi puramente immaginari, i
valori di bilancio relativi ad operazioni in corso non si possono determinare prescindendo dalla
ponderazione (almeno finché questa riesca possibile) dell' esito che le operazioni in corso avranno
negli esercizi venturi»; P. ONIDA, Bilancio d'esercizio, op. cit., p. 56.
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