PARTE PRIMA
INTRODUZIONE
La produzione di vino rappresenta un importante aspetto dell‘economia nazionale,
da sempre presente nella storia e cultura del popolo italiano. Dati recenti inseriscono
l‘Italia al primo posto come paese produttore di uve da vino con 86200 migliaia di
quintali pari al 14% della produzione mondiale. I vini si differenziano tra loro per il
sistema di vinificazione (vini normali e speciali) e per le proprietà organolettiche:
colore, profumo, gusto e retrogusto; altri parametri concorrono a definire le
caratteristiche di un vino: alcol, acidità, sapidità, sensazione di astringenza (dovuta ai
tannini). I vini possono essere differenziati in vini tranquilli, vini frizzanti e spumanti, a
seconda del fatto che siano in grado o meno di sprigionare anidride carbonica
all'apertura delle bottiglie. Costituisce ulteriore distinzione il contenuto in zuccheri non
fermentati del vino (secco, semisecco, dolce).
Gran parte di questi parametri vengono monitorati durante le varie fasi della
fermentazione, per avere un indice dell‘andamento della vinificazione. Tra i vari
parametri, è stato recentemente introdotto il tasso di acido acetico, che per legge non
deve superare 1 g/l, mentre per valori compresi tra 0,7 e 1 g/l si parla di acescenza o
spunto, ovvero il caratteristico odore e sapore acre. Il superamento di tali valori
conferisce alla bevanda la denominazione di aceto e non più quella di vino. Risulta
quindi necessario sviluppare sistemi diagnostici atti all‘analisi del tasso di acetato, che
vanno ad affiancare le analisi di routine: monitoraggio della temperatura, dei sali
d‘ammonio, dei lipidi e dei tannini, oltre che la caratterizzazione degli zuccheri.
In questo lavoro è stato sviluppato un kit diagnostico su base enzimatica che
sfrutta la reazione in serie di tre enzimi chiave del metabolismo ottenuti in maniera
ricombinante per misurare la concentrazione in acido acetico di prodotti sottoposti a
fermentazione. In particolar modo il lavoro si focalizza sull‘enzima acetil-CoA sintetasi
AMP forming (ACS), che sarà caratterizzato da un punto di vista biochimico,
strutturale e cinetico. Nel nostro laboratorio sono stati sviluppati tre enzimi ACS in
maniera ricombinante, due dei quali provengono da Bacillus subtilis mentre il terzo
proviene da Saccharomyces cerevisiae. In precedenti lavori sono stati ottenuti, sempre
in maniera ricombinante, gli enzimi ACS di Escherichia coli e Sulfolobus sulfataricus.
Verranno discusse in questo lavoro, le tecniche e gli sviluppi affrontati a partire dalla
fase di clonazione e processamento del gene acs, la fase di espressione e purificazione
proteica e i saggi di attività specifici.
1
1.1
ACIDO ACETICO
L'acido acetico è un composto chimico organico la cui formula molecolare è
CH3COOH, meglio conosciuto per conferire all'aceto il suo caratteristico sapore acre e
il suo odore pungente. L'acido acetico puro, privo di acqua, a temperatura ambiente è
un liquido incolore che attrae acqua dall'ambiente e che congela al di sotto dei 16,7°C
in un solido cristallino incolore. Chimicamente si comporta come un acido debole per
via della sua limitata capacità a dissociarsi in soluzioni acquose (1.86x10-5),
caratteristica che lo rende utilizzabile anche in molto sistemi tampone. In condizioni
fisiologiche può perdere un H+ e lo ione risultante è l'anione acetato.
Soluzioni di acido acetico molto concentrato manifestano una tossicità
respiratoria causando infiammazione delle vie respiratorie e congestione polmonare,
risultando anche irritante per gli occhi e le mucose in genere. È un importante reagente
chimico
e
prodotto industriale
che
viene
utilizzato
nella
produzione
del
polietilentereftalato, usato principalmente per le bottiglie di plastica per le bibite;
dell'acetato di cellulosa, principalmente per le pellicole fotografiche; dell'acetato di
polivinile per le colle da legno e in molte fibre sintetiche e tessuti. Nell'industria
alimentare, l'acido acetico è usato come additivo alimentare con la funzione di
regolatore di acidità; è classificato sotto il codice E260. La sua presenza all‘interno di
prodotti alcolici, in particolar modo nel vino, è una caratteristica indesiderata che va a
influenzare negativamente la qualità di tale bevanda, oltre ad essere un indice della
degradazione della bevanda stessa.
L‘interesse biochimico per tale composto risiede nel suo importante
coinvolgimento in diversi pathways metabolici dove risulta sia come prodotto di
ossidazioni, che come intermedio di sintesi, che come prodotto finale nella
2
fermentazione acetica, caratteristiche queste, che lo portano ad essere definito
composto chiave del metabolismo sia eucariotico che procariotico.
Questo debole acido lipofilico può permeare attraverso la membrana plasmatica
cellulare, sia nella sua forma indissociata, che in quella acida, in funzione del gradiente
di pH transmembrana. Il protone acidifica il citoplasma, mentre l‘anione influenza la
pressione osmotica. Essendo solo parzialmente ossidato, poi, può ancora restituire
energia andandosi ad inserire a diversi livelli del metabolismo catabolico, mentre con i
successivi passaggi di dissimilazione e assimilazione regola tale aspetto.
L‘acetato cellulare necessita di una attivazione per poter essere sfruttato: diversi
sistemi enzimatici catalizzano, infatti, una reazione di tioesterificazione tra acetato e
Coenzima A (CoA) producendo acetil-CoA, molecola ad elevata energia che
rappresenta il punto di incontro dei vari percorsi metabolici cellulari.
Il ruolo principale dell‘acetil-CoA è permettere l'utilizzo del prodotto della
glicolisi, il piruvato, nel ciclo di Krebs. Inoltre è fondamentale nel metabolismo degli
acidi grassi e degli amminoacidi. È precursore dell'HMG-CoA (β-idrossi-βmetilglutaril-CoA), componente fondamentale delle vie di sintesi del colesterolo.
Un'altra importante reazione in cui è coinvolto, catalizzata dalla colina acetiltransferasi
è l'acetilazione della colina per formare il neurotrasmettitore acetilcolina (figura 1.1).
FIG 1.1
Acetil-CoA come punto di incontro dei principali
percorsi metabolici cellulari
L‘intermedio ad alta energia acetil-fosfato (acetil-P), gioca un ruolo egualmente
importante nella regolazione dei processi cellulari, assimilazione dei nitro-composti,
regolazione osmotica, biogenesi dei flagelli, pili, capsule e adesione e strutturazione dei
biofilm.
3
Analizziamo ora in dettagli lo situazioni fisiologiche in cui l‘acido acetico è
coinvolto: le fermentazione acetica e l‘acetogenesi.
La prima viene considerata come diretta conseguenza della fermentazione alcolica
del mosto in vino, dove la produzione di acetato diventa una condizione degradante la
qualità della bevanda. La seconda, invece, rappresenta la serie di meccanismi comuni
sia a procarioti che eucarioti, per la mobilitazione dell‘acetato cellulare.
1.2
FERMENTAZIONE ALCOLICA
La fermentazione alcolica è una forma di metabolismo energetico che avviene in
alcuni lieviti in assenza di ossigeno. Essa è responsabile di diversi fenomeni che
vediamo ogni giorno, quali la lievitazione del pane o la trasformazione del mosto in
vino. Questo evento, noto sin dall‘antichità, è mediato dall‘azione di una particolare
classe di microrganismi, i Saccharomyces, dei quali il più comune è senz'altro il S.
cerevisiae, presente sulla buccia dell'uva. Nell‘uomo esiste la fermentazione omolattica,
coinvolta nella generazione di lattato a seguito di un intenso lavoro muscolare, ma non
la fermentazione alcolica, caratteristica solo dei microorganismi fermentatori.
Dal punto di vista chimico si tratta di una ossidazione in anaerobiosi, condizione
questa che non permette l‘utilizzo dell‘ossigeno come accettore finale di elettroni,
ragion per cui, lo stesso substrato viene in parte ossidato e in parte ridotto. Le
fermentazioni sono quindi delle disproporzioni. Nella maggior parte delle
fermentazioni il metabolita di partenza è uno zucchero o un altro composto in cui il
numero di ossidazione medio del carbonio è zero in quanto il carbonio stesso verrà in
parte ossidato ed in parte ridotto. Nelle fermentazioni conviene distinguere due parti:
 la glicolisi, comune alla maggior parte delle fermentazioni;
 la modalità di rigenerazione del NAD+, specifica delle varie fermentazioni.
Nella prima parte, la glicolisi, il glucosio viene trasformato in due molecole di
acido piruvico con contemporanea produzione di due molecole di ATP e due molecole
di NADH, reazione, quest‘ultima, mediata dalla GAPDH (gliceraldeide-3-fosfatodeidrogenasi).
Nella seconda parte della fermentazione, la cellula provvede alla rigenerazione
del NAD+, necessario per i successivi cicli di ossidazione glicolitica, a livello della
GAPDH. Il NADH, nella sua forma ridotta, rappresenta una grossa fonte di energia che
4
per essere utilizzata, rigenerando NAD+, richiede però la presenza di ossigeno,
accettore finale di elettroni nella successiva fase di respirazione metabolica. In assenza
di ossigeno, il piruvato deve essere convertito in un prodotto finale ridotto, in modo da
poter riossidare il NADH prodotto dalla reazione della GAPDH. Le varie fermentazioni
differiscono per il modo in cui il NAD+ viene rigenerato. Nel lievito, il piruvato viene
decarbossilato a CO2 e acetaldeide, che viene poi ridotta dal NADH, ottenendo NAD+
ed etanolo. Nel muscolo, invece, il piruvato viene ridotto a lattato per rigenerare NAD+,
in un processo chiamato fermentazione omolattica.
Il lievito produce etanolo e CO2, attraverso due reazioni consecutive (FIG 1.2):
1. La decarbossilazione del piruvato a formare acetaldeide e CO2, catalizzata
dalla piruvato decarbossilasi (un enzima che non è presente negli animali).
2. La riduzione a etanolo da parte del NADH, catalizzata dall‘alcol deidrogenasi;
si rigenera così il NAD+.
FIG 1.2
Produzione di etanolo a partire da piruvato. Reazione 1: decarbossilazione mediata
dalla piruvato decarbossilasi. Reazione 2: riduzione mediata dall‘alcol deidrogenasi.
La termodinamica ci permette di dividere il processo della fermentazione nelle
sue varie parti e di considerare la variazione di energia libera in ognuna di esse. Tutto
ciò ci consente di calcolare con quale efficienza l‘energia libera ricavata dalla
degradazione del glucosio viene utilizzata per la sintesi dell‘ATP. Per la fermentazione
alcolica la conversione di una molecola di glucosio in 2 molecole di CO2 e 2 molecole
di etanolo, è accompagnata ad una variazione di energia libera ΔG°’ = -235 kJ · mole-1.
La formazione netta di 2 ATP, evento accoppiato alla fermentazione, richiede un
ΔG°’ = +61 kJ · mole-1. Facendo il rapporto tra il ΔG°’ per la formazione di ATP e il
ΔG°’ per la formazione di etanolo, si ottiene che la fermentazione alcolica ha
un‘efficienza del 26%, cioè il 26% dell‘energia libera rilasciata in condizioni
biochimiche standard durante questo processo, viene recuperata sotto forma di ATP.
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Il resto viene dissipato come calore, rendendo il processo irreversibile. In
condizioni fisiologiche, però, dove le concentrazioni dei reagenti e dei prodotti
differiscono dalle condizioni standard, le fermentazioni hanno un‘efficienza superiore
al 50%. In ogni caso è bene ricordare come le fermentazioni utilizzino il glucosio in
maniera assolutamente inefficiente se paragonata alla fosforilazione ossidativa.
Gli organismi fermentatori, liberando nell'ambiente il loro prodotto etanolo,
abbandonano un catabolita ricco di energia, ulteriormente utilizzabile in presenza di
ossigeno. La scarsa resa energetica della fermentazione è compensata dalla flessibilità
ecologica che permette ai fermentatori di vivere anche in condizioni in cui gli
organismi aerobi obbligati non sono in grado di sopravvivere. Questo si nota nella
produzione di aceto: essa avviene dopo la fermentazione alcolica ed è dovuta a
microrganismi aerobici del genere Acetobacter e Mycoderma che sfruttano
aerobicamente proprio il catabolita etanolo, prodotto finale della fermentazione alcolica
(riferimento 1).
1.3
FERMENTAZIONE ACETICA
Una delle conseguenze indesiderate della fermentazione alcolica, può essere
dovuta all‘azione dell‘Acetobacter, normalmente presente sulle bucce delle uve o
venuto a contatto con il mosto durante la fase dell‘ossigenazione. Tale microorganismo
aerobio, infatti, è in grado di ossidare fonti carboniose quali etanolo e zuccheri del vino,
restituendo acido acetico, secondo quella che viene definita fermentazione acetica. Le
condizioni di reazione sono temperature comprese tra i 20 e i 30 °C, titolo in etanolo
inferiore al 10% e presenza di ossigeno nell‘ambiente.
Vini lasciati per molto tempo senza controllo del tasso acetico, possono
sviluppare anche un tenore tra il 3% e il 5% di acetato e, come si è detto, sopra il 10%
non si parla più di vino ma di aceto. L‘acetificazione rimane in ogni caso, un evento
irreversibile del normale processo di vinificazione, che può essere ritardato se
l‘operatore dispone di buona manualità e di un attento sistema di controllo.
La presenza di acido acetico nel vino risulta inevitabile anche nel caso in cui il
vino venga a contatto con batteri del genere delle Enterobacteriaceae, che favoriscono
una fermentazione anaerobica parallelamente a quella alcolica,
6
denominata
fermentazione mista-acida e che utilizza sorgenti di carbonio per produrre sia etanolo
che acetato, lattato e formato, aumentando inevitabilmente il tenore acido del vino (2).
1.4
SWITCH FISIOLOGICI: ACETOGENESI
Per poter sopravvivere la maggior parte delle cellule deve saper alternare i propri
programmi metabolici in funzione dei nutrienti biodisponibili secondo determinati
―switch ― o transizioni metaboliche. Un esempio di switch avviene quando cellule
batteriche transitano da un programma a crescita rapida che produce e secerne acetato
(dissimilazione) ad un programma a crescita lenta, favorito dall‘acquisizione
dell‘acetato rilasciato precedentemente (assimilazione). Lo ―switch acetato‖ si realizza
quando le cellule depletano l‘ambiente intracellulare delle fonti di carbonio per la
produzione di acetato quali D-glucosio e L-serina con contemporaneo rilascio di acido
acetico nell‘ambiente extracellulare (acetogenesi), quindi, in una successiva fase, si
affidano alla loro abilità di ―scavengers ― dell‘acetato circostante. Tale switch necessita
dell‘espressione e attivazione del pool enzimatico responsabile dell‘assimilazione
dell‘acetato, tra i quali spicca l‘acetil-CoA sintetasi (ACS) oggetto di studio e
applicazioni in questa ricerca.
Il coinvolgimento dello switch acetato è stato analizzato in colture batteriche sotto
differenti condizioni di crescita: terreno con glucosio o con acetato e si è visto che
durante la fase di crescita esponenziale, le cellule generano e dissimilano acetato (3,4).
Prima dell‘esaurimento del glucosio, in prossimità della fase stazionaria avviene lo
switch e le cellule coassimilano entrambi i nutrienti, rallentando la propria crescita (FIG
1.3).
FIG 1.3
Lo switch acetato durante crescita aerobica in terreno minimale e glucosio come
sola fonte di carbonio (A) e in brodo di triptone (B). La freccia singola punta lo switch fisiologico
dell‘acetato. OD, densità ottica. [glc] e [ace], concentrazioni extracellulari di glucosio e acetato. La
freccia a doppia punta denota l‘intervallo di consumo degli aminoacidi.
7
1.5
La
TURNOVER DELL ACETATO
necessità
dell‘escrezione
dell‘acetato
nell‘ambiente
extracellulare
(acetogenesi) risulta dal bisogno di ripristinare il NAD+ consumato dalla glicolisi e per
riciclare il CoA a CoASH richiesto per la conversione di piruvato ad acetil-CoA.
L‘acetogenesi si attiva nel momento in cui il TCA non completa l‘ossidazione
dell‘acetil-CoA in condizioni anaerobiche (fermentazioni) o in eccesso di prodotti
(inibizione a feedback negativo) o se il flusso di CO2 eccede la capacità della cellula di
gestirlo (capacità anfibolica)(5, 6, 7). Esiste anche una condizione aerobica di
acetogenesi: in cellule che crescono in eccesso di glucosio, o altre fonti di carbonio,
viene inibita la respirazione, un aspetto noto come ―effetto Crabtree batterico‖ (8) e
circa il 15% di glucosio viene escreto come acetato.
La disponibilità di O2 e la natura delle fonti di carbonio, guidano lo stato del ciclo
dei TCA (9). In assenza di ossigeno e di repressione catabolica (es: eccesso di
glucosio), le cellule di E. coli non inducono pienamente il TCA, ma sfruttano un
percorso ramificato, che forma succinil-CoA attraverso una via riduttiva, e
2-ketoglutarato, attraverso una ossidativa (9). Questa strada alternativa non genera
energia, ma favorisce solo la biosintesi di importanti precursori metabolici. L‘ATP
necessario alla cellula deve perciò provenire dalla glicolisi (10) e la fosforilazione dei
substrati, avviene grazie al pathway della fosfotransacetilasi (PTA)-acetato chinasi
(ACKA) (11).
Questa versione ramificata occorre poiché l‘assenza di ossigeno inibisce
potentemente l‘espressione di alcuni degli enzimi del TCA, in particolar modo la
succinato deidrogenasi (SDH), il complesso succini-CoA sintetasi (SCSC) e
2-ketoglutarato deidrogenasi (KGDH) . In anaerobiosi, infatti, i regolatori globali
ossigeno-sensitivi ArcA e FNR mediano la repressione dei promotori dei geni TCA e
gli operoni sdh-suc (12).
Il pool cellulare di CoA comprende principalmente la forma non esterificata
CoASH, e poi i tioesteri acetil-CoA, succinil-CoA e malonil-CoA. La concentrazione
del CoA oscilla tra 100 e 500 µM (13) e viene regolata sia a livello del precursore acido
pantotenico, che a livello della degradazione del CoASH stesso. La limitata
concentrazione di CoA risponde anche alle variazioni in termini di quantità e qualità
delle fonti di carbonio nel terreno di crescita. L‘aggiunta di D-glucosio a cellule in
coltura aumenta il livello di CoA e CoASH, mente l‘aggiunta di acetato, succinato e
8
altri zuccheri non assimilabili non ha effetto. Questo fenomeno spiega il motivo del
picco di acetil-CoA nella fase di dissimilazione di fonti acetogeniche che diminuisce
quando la cellula assimila l‘acetato precedentemente escreto. Questo aspetto è
inversamente correlato anche con il ciclo TCA, che viene represso durante la crescita su
D-glucosio (14) e indotto durante la crescita su acetato (15) (FIG 1.3).
FIG 1.4
I percorsi
del metabolismo centrale.
Le
frecce
puntinate
indicano il bypass PDHC
proposto, per POXB e
AMP-ACS. Le frecce
tratteggiate indicano gli
enzimi (sottolineati) e i
passaggi del bypass del
gliossilato. Le caselle e le
frecce con la doppia linea
indicano passaggi e enzimi
unici della gluconeogenesi.
9
PATHWAYS DI ESCREZIONE DELL’ACETATO
1.6
Per rilasciare acetato, così come per etanolo e formato, le cellule batteriche
devono prima decarbossilare il piruvato in acetil-CoA, che avviene per via ossidativa
sotto condizioni aerobiche, oppure per via non ossidativa in condizioni anaerobiche. La
decarbossilazione ossidativa è mediata dal complesso piruvato deidrogenasi (PDHC)
(FIG 1.6), che genera due NADH per molecola di glucosio ossidata. Elevate
concentrazioni di NADH inibiscono l‘attività del PDHC. Tale complesso, non è quindi
cataliticamente attivo in anaerobiosi, condizione che non favorisce la rapida
riossidazione del NADH in NAD+. L‘anaerobiosi stessa è condizione che reprime la
trascrizione dei geni che codificano per il PDHC.
Durante l‘anaerobiosi, invece, i batteri decarbossilano piruvato in acetil-CoA e
formato, grazie all‘azione della piruvato formato liasi (PFL) che catalizza una reazione
non ossidativa (16). Il formato, in funzione del pH può andare incontro alla conversione
in H2 e CO2, mentre l‘acetil-CoA segue due destini alternativi: conversione ad acetato o
riduzione ad etanolo.
FIG 1.5
Pathway per l‘escrezione di metaboliti parzialmente ossidati, sottolineati in figura.
La conversione ad acetato è mediata dal pathway PTA/ACKA che genera due
ATP per glucosio, senza consumare però equivalenti riducenti (FIG 1.5). La riduzione
ad etanolo invece, catalizzata dall‘alcol deidrogenasi (ADH) sacrifica energia ma
10
consuma equivalenti riducenti. Attraverso la modulazione dei livelli di etanolo ed
acetato, una cellula può bilanciare le sue richieste e rigenerare NAD+ necessario per
l‘energia (17).
L‘acetato può anche essere escreto tramite l‘azione di un terzo enzima, la piruvato
ossidasi (POXB), che catalizza la decarbossilazione ossidativa direttamente in acetato
in condizioni aerobiche, coinvolgendo la riduzione del FAD a FADH + H+ (18).
Evidenze recenti connotano tale enzima come non necessario al metabolismo, con una
funzione prettamente di supporto alla crescita aerobica, e la sua attivazione sembra
correlata all‘induzione dell‘ACS-AMP forming (19, 20).
FIG 1.6
Percorsi di attivazione dell‘acetato. PDHC, complesso
piruvato deidrogenasi; POXB, piruvato ossidasi; PTA, fosfotransacetilasi;
ACKA, acetato chinasi; ACS, AMP forming acetil-CoA sintetasi; PPase,
pirofosfatasi; TCA, ciclo degli acidi tricarbossilici; GB, bypass del
gliossilato. Le frecce puntinate denotano il meccanismo proposto per il
bypass PDHC mediato da POXB e AMP-ACS.
11
1.7
PATHWAYS DI ATTIVAZIONE DELL’ ACETATO
1.7.1
SISTEMA PTA/ACKA: dissimilazione dell’acetato
In E. coli e B. subtilis, la dissimilazione dell‘acetato è catalizzata dagli enzimi

PTA [acetil-CoA(CoA):Pi acetiltransferasi; EC 2.7.2.1]

ACKA (ATP:acetato fosfotransferasi; EC 2.3.1.8)
Il primo enzima catalizza la conversione dell‘acetil-CoA e fosfato inorganico, in
acetil-P (acetil-fosfato), un intermedio ad alta energia, mentre il secondo enzima
trasferisce tale gruppo fosfato su una molecola di ADP, restituendo ATP e acetato,
entrambi in maniera reversibile (21). Questa reazione metabolica viene attivata dai
procarioti quando la concentrazione di acetato nell‘ambiente è alta (≥ 30 mM), avendo
la ACKA e la PTA una bassa affinità per l‘acetato (KM tra 7 e 10 mM) (22).
Essendo completamente reversibile, la via ACKA/PTA gioca un importante ruolo
catabolico sia durante la fermentazione che durante la crescita in condizioni aerobiche
in eccesso di glucosio o di altri intermedi glicolitici (21): in condizioni che portano alla
fermentazione acetica o acida mista, l‘acetil-CoA non può entrare nel ciclo di Krebs,
quindi le cellule lo convogliano attraverso il sistema ACKA/PTA, producendo e
secernendo acetato con la contemporanea produzione di ATP (23); in condizioni di
aerobiosi, quando il flusso di carbonio nelle cellule eccede la capacità anfibolica delle
vie metaboliche centrali, come ad esempio il ciclo degli acidi carbossilici, le cellule
rispondono, anche in questo caso, trasformando l‘acetil-CoA attraverso la via
ACKA/PTA. Come conseguenza, le cellule, oltre ad espellere l‘acetato nell‘ambiante
extracellulare, accumulano l‘acetil-fosfato, intermedio di questa via metabolica (24).
Quando, poi, nel passaggio alla fase stazionaria di crescita, le cellule riassorbono
l‘acetato prodotto ed escreto precedentemente per utilizzarlo come fonte di energia,
attraverso il ciclo di Krebs, e per generare composti biosintetici attraverso il ciclo del
gliossilato, i livelli di acetil-fosfato diminuiscono (21, 24). Cellule mutanti per i sistemi
PTA/ACKA crescono molto lentamente in tutti i tipi di terreno.
Alcuni batteri aerobi facoltativi e fermentativi traggono vantaggio dalla
reversibilità del sistema enzimatico ACKA/PTA per conservare energia e mantenere i
livelli di Coenzima A libero nella cellula ad uno stato stazionario. Per questo motivo le
cellule usano PTA per convertire acetil-CoA in acetil-P, il quale è consumato
dall‘ACKA in una reazione che genera ATP e acetato(25, 26, 27, 28).
12
1.7.2
SISTEMA ACS AMP forming: assimilazione dell’acetato
L‘acetil Coenzima-A sintetasi (Acetato:CoA ligasi [AMP forming]; EC 6.2.1.1) è
un enzima chiave del metabolismo energetico sia per le cellule procariotiche che
eucariotiche; appartiene alla superfamiglia degli enzimi ―AMP forming‖ la quale
include tre sottofamiglie: l‘acil- e aril-CoA sintetasi, la luciferasi delle lucciole (29) ed
il dominio adenilante della peptide sintetasi non ribosomiale (NPRS). Nei sistemi
procariotici, l‘ACS oggetto del nostro studio, catalizza l‘assimilazione dell‘acetato
attraverso un classico meccanismo a ping pong. AMP-ACS, o semplicemente ACS,
converte inizialmente acetato e ATP in acetiladenilato (acetil-AMP), intermedio che
rimane associato all‘enzima e pirofosfato, che viene invece rilasciato. In una seconda
fase l‘acetil-AMP reagisce con CoASH per formare acetil-CoA rilasciando AMP (30,
31) (FIG 1.7).
FIG 1.7
Meccanismo catalitico di AMP-ACS
13
Questo pathway anabolico si mobilita per piccoli quantitativi di acetato
nell‘ambiente circostante e possiede una KM di 200 µM per l‘acetato, rendendo tale
sistema in grado di funzionare ma solo per piccole concentrazioni di substrato. Esistono
evidenze che la regolazione del sistema ACS avviene anche ad opera della
concentrazione di acetil-P intracellulare (32) e che AMP-ACS sia coinvolto nel
controllo del flusso di carbonio attraverso il pathway PTA/ACKA e nella modulazione
del espressione e attività del bypass del gliossilato (GB) nel ciclo TCA.
Cellule che crescono in terreni ricchi in acetato quindi, up-regolano i livelli allo
stato stazionario dei trascritti e delle proteine: AMP-ACS (FIG 1.8), GB, ciclo dei
TCA, e della gluconeogenesi. Al contrario, tali cellule down-regolano i trascritti e le
proteine del pathway PTA/ACKA e gli enzimi glicolitici. (33, 34). Condizioni opposte
sopraggiungono per crescita in D-glucosio.
FIG 1.8
Trascrizione di acs da cellule che crescono in terreno minimale
con glucosio. Viene valutata la densità ottica OD, il consumo di fonti di carbonio,
l‘escrezione di acetato e le concentrazioni intracellulari di FIS e IHF.
E‘ nota anche una ACS-ADP forming, che opera attraverso un meccanismo
reversibile a singolo step (35). La catalisi procede attraverso la formazione di acetato a
partire da acetil-CoA e accoppia questa reazione con la sintesi di ATP da ADP e Pi
(acetil-CoA + ADP + Pi → acetato + ATP + CoA).
14
1.8
AMP-ACS: profilo d’espressione e regolazione della
trascrizione
In E. coli, acs, sequenza genica di 1959 paia di basi, è il primo gene in un operone
che include anche una ORF e un gene che codifica per una permeasi, che favorisce la
permeabilizzazione della membrana plasmatica. La trascrizione di acs avviene ad opera
di due promotori: acsP2 prossimale, che è il primario, e acsP1 distale che è debole e
localizzato circa 200 bp a monte di acsP2 (36, 37, 38). Sulla base di analisi di
immunoblot e reverse transcription PCR (39), è stato dimostrato che la trascrizione è
mediata dal fattore σ70 . Esiste poi un fattore σS , di recente scoperta, che per
competizione media una inibizione della trascrizione , riducendo i livelli di acs
trascritto. In vivo la trascrizione è consentita anche dal fattore CRP (Proteina Recettore
del cAMP), che focalizza la formazione del complesso nella regione nucleotidica di
acsP2, attraverso il legame in due siti CRP I e CRP II. Viene così reclutato il dominio
C-terminale delle due subunità α della RNAP (α-CTD) (FIG 1.9).
FIG 1.9
Regolazione della trascrizione di acs in E. coli. (A)Le frecce piegate
rappresentano i siti di iniziazione della trascrizione. (B) Localizzazione dei siti di legame per
CRP, FIS e IHF. (C) Interazione proposta per l‘attivazione mediata da CRP.
15
Esistono poi due proteine Histon-like, FIS e IHF, che giocano un ruolo dinamico
e altamente specializzato nell‘influenzare la trascrizione. L‘espressione di tali
nucleoproteine è modulata dallo status fisiologico della cellula. FIS regola
negativamente la trascrizione di acsP2 CRP dipendente, perciò i livelli di acs trascritto
sono bassi quando quelli di FIS sono alti, mentre raggiungono il picco quando i livelli
di FIS sono minimi. Anche IHF riduce il trascritto acs a livello del promotore acsP1 e
collaborando con FIS nel mantenere tale promotore represso (37, 40). FIS e IHF
possono legare acs contemporaneamente senza influenzarsi l‘un l‘altro.
In Bacillus subtilis, batterio Gram positivo del suolo, il catabolismo dell‘acetato
richiede AcsA, il prodotto del gene acsA, mentre la via della PTA/ACKA opera
principalmente nell‘escrezione dell‘acetato (41). Il fatto che la via dell‘ACS in Bacillus
sia preferita rispetto alla via della PTA/ACKA fa si che l‘ACS di questo organismo
risulti avere un‘attività specifica più alta rispetto all‘enzima di Coli (per questo motivo
abbiamo scelto di clonare l‘ACS di Bacillus). In un precedente lavoro Grundy e
collaboratori (42) hanno descritto in Bacillus subtilis un operone prossimale di tre geni
(distante 161 bp) trascritto in modo divergente dall‘acsA, le cui funzioni erano
necessarie per utilizzare l‘acetoina (acetil-metil carbinolo) ed il 2,3-butandiolo come
fonti di carbonio.
Questo operone è stato denominato acuABC (acetoin utilization) per indicare il
suo coinvolgimento nel catabolismo dell‘acetoina. Rimaneva un problema ancora
aperto scoprire se AcuABC era direttamente o indirettamente coinvolto nell‘utilizzo
dell‘acetoina come fonte di carbonio ed energia (43) (FIG 1.10).
FIG 1.10
Operone AcuABC
La presenza di fonti di carbonio prontamente metabolizzabili nel mezzo di coltura
generalmente comporta la repressione di sistemi genetici per l‘utilizzazione di fonti di
carbonio secondarie e l‘attivazione di vie coinvolte nell‘escrezione di carbonio in
eccesso. Nelle specie di Bacillus è evidente che l‘effettore non è l‘AMP ciclico come
avviene invece in Escherichia coli (41).
16
Probabilmente nei ceppi wild-type di Bacillus subtilis, l‘acetiltrasferasi PTA è
attentamente regolata ad un livello che consente di mantenere un sufficiente livello di
AcsA nello stato deacetilato. I livelli di AcuABC sono probabilmente regolati a livello
trascrizionale dove l‘espressione di acuABC è sotto il controllo della proteina
regolatoria generale CcpA (carbon catabolite protein A) (41).
Il fatto che CcpA controlli l‘espressione di acsA e di acuABC (44) si riflette
sull‘importanza di modulare l‘attività dell‘AcsA sia ad un livello trascrizionale che
post-traduzionale al fine di mantenere un pool di CoA libero tale da soddisfare le
richieste di altri processi metabolici in cui questo importante coenzima è coinvolto.
CcpA è dunque un regolatore chiave del metebolismo del carbonio in B. subtilis
ed altri batteri gram positivi, e reprime la trascrizione di vari geni che codificano per
proteine coinvolte nell‘utilizzazione di fonti di carbonio secondarie (45).
CcpA attiva anche la trascrizione di geni coinvolti nell‘escrezione del carbonio.
Questi geni includono pta e ackA che operano insieme nel convertire acetil-CoA ad
acetato per l‘eliminazione nel mezzo di coltura (42, 46, 47).
La proteina CcpA è un membro della famiglia dei repressori trascrizionali LacIGaIR e si lega a siti cre conservati nel sito promotore dei suoi geni target (48, 49, 50,
51).
I membri di questa famiglia contengono un dominio amino-terminale di legame al
DNA a struttura helix-turn-helix e una regione carbossi-terminale coinvolta nel
riconoscimento dell‘effettore e nell‘oligomerizzazione (52).
L‘attività di CcpA è controllata da HPr o dall‘omologo Crh, ed entrambi sono
fosforilati da una chinasi ATP-dipendente durante la crescita in glucosio (53, 54 55 56).
Mutazioni che bloccano questa via di controllo causano perdita della repressione
operata dal glucosio di alcuni geni target e perdita della attivazione trascrizionale di
ackA e pta (57, 58, 59, 60). Le due unità trascrizionali acsA e acuABC codificano per
prodotti coinvolti nel metabolismo rispettivamente dell‘acetato e dell‘acetoina (FIG
1.11). Siti di controllo sono stati identificati nelle regioni a monte del gene ccpA nel
cromosoma di Bacillus subtilis ed i livelli allo stato stazionario dei trascritti di acsA e
acuABC sono ridotti durante la crescita in presenza di un eccesso di glucosio (42).
17
FIG 1.11
Ipotetico ruolo degli enzimi AcuA e AcuC nel catabolismo dell‘acetoina.
AcoABC,sistema enzimatico dell‘acetoina deidrogenasi; AcoA, subunità della acetoina deidrogenasi
TPP-dipendente; AcoB, subunità b dell‘acetoina deidrogenasi
TPP-dipendente; AcoC,
diidrolipoamide deidrogenasi; AcuA, proteina acetiltrasferasi; AcuC, proteina deacetilasi; GltA,
citrato sintasi. I numeri tra parentesi indicano di seguito: 1, acetoina; 2, acetil-Co-A; 3, acetato; 4,
ossalacetato; 5, citrato. 2e- , due equivalenti riducenti.
Tuttavia la trascrizione sembra rispondere anche a fattori ambientali, inclusa la
bassa pressione parziale di ossigeno, medium povero di nutrienti e elevate temperature
(61, 62), caratteristiche da noi sfruttate nell‘espressione del gene ricombinante. Sembra
improbabile che acetil-CoA, acetil-P e acetato operino direttamente sulla trascrizione di
acs, quanto piuttosto in collaborazione con tutti questi fattori. Da ciò si evince come
acs non sia un semplice gene indotto dal substrato e represso dal catabolita, quanto
piuttosto un complesso circuito regolatorio in cui molti fattori esogeni ed endogeni
assicurano la corretta trascrizione.
1.9
CONTROLLO POST TRADUZIONALE
L‘attività della ACS è controllata post-traduzionalmente attraverso un sistema di
acetilazione e deacetilazione. Una acetiltransferasi di recente scoperta, acetila il residuo
K549 in B. subtilis e K609 nella maggior parte delle altre specie, rimanendo invariato
in tutti i membri della superfamiglia delle
luciferasi. L‘enzima acetilato
(AMP-ACS-Ac) risulta inattivo, poiché tale modifica impedisce la adenilazione
18
dell‘acetato. AMP-ACS-Ac, in E. coli viene riattivata da CobB, una deacetilasi NAD+
dipendente, coinvolta anche nella deacetilazione degli istoni, che gioca un ruolo
centrale connettendo il metabolismo centrale alla trascrizione e altre funzioni cellulari.
In B. subtilis, la somiglianza di AcuA e AcuC a proteine acetiltrasferasi e deacetilasi
suggeriva la possibilità che l‘operone acuABC potesse codificare in Bacillus subtilis
per
un
sistema
proteico
di
modificazione
post
traduzionale
di
acetilazione/deacetilazione (63).
1.10
ANALISI STRUTTURALE
L‘ACS batterica è un monomero caratterizzato da un peso molecolare di circa 70
KDa. Nel caso specifico, ACS di Bacillus subtilis, è un monomero di 572 aminoacidi.
Le sequenze geniche della superfamiglia AMP-forming condividono dal 20% al 40% di
omologia di sequenza, con domini altamente conservati e altri specie variabili. La taglia
media è compresa tra 500 e 700 aminoacidi, composta da un lungo dominio Nterminale di 400-550 aminoacidi e uno più corto C-terminale di circa 130 residui, con il
dominio catalico all‘interfaccia tra i due.
Il grande dominio N-terminale è organizzato in due foglietti β paralleli, che si
ripiegano per otto volte, indicati come foglietti A e B; inoltre contiene un foglietto β
antiparallelo distorto che si ripiega quattro volte (foglietto C). Gli ultimi 130 residui,
che costituiscono il dominio C-terminale, iniziano con un piccolo loop contenente due
filamenti antiparalleli, mentre la restante parte forma un foglietto β che si ripiega tre
volte e che viene fiancheggiato per entrambi i lati da due α-eliche.
I membri di tale superfamiglia, condividono dieci regioni altamente conservate,
chiamate A1-A10. Un acido aspartico in A8 unisce il C-terminale all‘N-terminale. La
regione A10, contiene l‘importante Lys 609 per E. coli o Lys 549 per B. subtilis, parte
della sequenza consensus PXXXXGK. La regione A5 costituisce la tasca di legame per
l‘ATP, la cui sequenza è W413WQTE. Trp 413 è orientato lontano dal sito attivo,
mentre il Trp 414, è coinvolto nel legame al substrato. La sequenza Thr264-Gly273, a
livello delle regione A3 gioca un ruolo importante nell‘orientare i 3 gruppi fosfato
dell‘ATP, prima della semireazione.
Il residuo cardine Lys 609 in E. coli o Lys549 in B. Subtilis è stato proposto
essere il principale responsabile della rotazione di 104° a livello del C terminale,
19
consentendo ad entrambe le semireazioni di avvenire, attraverso un meccanismo di
alternanza del dominio. Mutanti in questa regione non sono in grado di catalizzare la
reazione. (64).
FIG 1.12
Struttura
tridimensionale
di
ACS
e
cambiamenti
conformazionali
proposti.
(A)
ACS
nella
conformazione
AMP-forming,
legata a propyl-AMP. (B) ACS in
conformazione formante tioestere,
legata a CoA e propyl-AMP. (C)
Rappresentazione di 5 mutanti
sovrapposti al wild type (verde).
Dominio N-terminale (blu); CTerminale (rosa); regione A8
(gialla); Gly524 (sfera gialla); Cα
della Lys609 in A10 (sfera nera).
20
FIG 1.13
Struttura e orientamento di ACS a livello degli aminoacidi che
formano la tasca del sito attivo, determinata in presenza di propyl-AMP (A), CoA(B)
1.11
SPECIFICITA’ DI SUBSTRATO E ANALISI CINETICA
L‘ACS è un enzima con una bassa specificità di substrato: in condizioni normali
catalizza la formazione di acetil-CoA a partire da acido acetico, Coenzima A e ATP
21
(65), ma può operare su di una grande varietà di acidi carbossilici a basso peso
molecolare
come
acido
propionico,
acrilico,
fluoroacetico,
metacrilico,
3-cloro-propionico e 3-bromo-propionico e glicina (66).
Attraverso analisi di cinetica enzimatica è stato possibile sperimentare la
specificità di substrato dell‘ACS utilizzando acidi carbossilici a catena corta diversi
dall‘acetato.
Analisi cinetiche riportano le seguenti costanti in relazione a diversi substrati:
KM (µM)
Kcat (S-1)
Kcat/KM (µM−1·S−1)
Acetato
6047±1024
276.8±21.4
0.045±0.008
Proprionato
9413±1709
261.0±20.8
0.027±0.005
Glicina
9450±1658
259.4±13.3
0.027±0.005
Ricordando che la KM esprime la specificità per il substrato: minore è tale valore,
minore sarà la quantità di substrato necessaria a raggiungere la metà della velocità
massima di reazione, il che indica una alta specificità per il substrato utilizzato. Dai
valori tabulati, si nota come la specificità di substrato sia effettivamente bassa. Altra
indicazione è l‘efficienza catalitica Kcat/KM in funzione dei diversi substrati, che indica
il numero di molecole di substrato elaborate da 1 molecola di enzima ogni secondo.
1.12
LOCALIZZAZIONE E FILOGENESI
Oltre che nei procarioti, l‘ACS è presente anche negli eucarioti, quali i lieviti e i
mammiferi. In entrambi questi organismi sono presenti due isoforme di tale enzima.
Nel lievito, ACS1, l‘enzima da noi espresso, è probabilmente presente nei perossisomi,
necessario per la crescita in presenza di composti organici a 2 atomi di carbonio, mentre
ACS2 potrebbe essere implicata nella produzione dell‘acetil-CoA a partire dal piruvato
attraverso la via della piruvato-deidrogenasi (67). Nei mammiferi, invece, ACS1 è un
enzima citosolico, principalmente presente nel fegato, che gioca un ruolo importante
nel fornire acetil-CoA per la biosintesi degli acidi grassi e del colesterolo (68), mentre
ACS2 si trova nella matrice mitocondriale soprattutto nel muscolo cardiaco e
scheletrico (69). L‘acetil-CoA prodotto da questo isoenzima viene primariamente
22
utilizzato per la produzione di energia mediante il ciclo dell‘acido citrico, attraverso il
quale viene ossidato a CO2.
Vengono qui riportate le sequenze di circa 80 aminoacidi all‘N terminale, in cui si
notano le regioni di omologia, relative ai domini più importanti, per quattro organismi
modello:
Staphylococcus
enterica,
Halobacterium
salinarum,
Saccharomyces
cerevisiae e Homo sapiens, rispettivamente un procariote, un archea, il lievito,
anch‘esso oggetto dei nostri studi, un eucariote. Come si può vedere, la Lys609
essenziale alla catalisi, viene conservata sempre. Ricordiamo che in B. subtilis viene
acetilato il residuo Lys549. (70).
1.13
APPLICAZIONE IN DIAGNOSTICA
L‘acetil Co-A sintetasi, prodotta in maniera ricombinante e poi purificata, viene
integrata in un kit enzimatico che sfrutta le seguenti reazioni in maniera sequenziale:
ACS
Acetato + ATP + CoA
Acetil-CoA + AMP + PPi
L‘acetil Co-A formatosi, reagisce con l‘ossalacetato, substrato di una seconda
reazione catalizzata dalla Citrato Sintati (CS) altro enzima del kit, generando citrato e
Coenzima-A:
Acetil-CoA + Ossalacetato + H2O
CS
Citrato + CoA
L‘ossalacetato, necessario alla reazione precedente, proviene dalla reazione
reversibile, mediata dalla Malato Deidrogenasi (L-MDH), che in presenza di NAD+
ossida L-Malato ad Ossalacetato restituendo NADH.
L-Malato + NAD+
L-MDH
Ossalacetato + NADH + H+
23
La presenza del cofattore nicotinamidico ridotto, quindi diventa un indice per
valutare l‘andamento della reazione globale. La variazione nella concentrazione del
NAD+ infatti risulta essere proporzionale al consumo di ossalacetato, il quale a sua
volta governa il consumo di acetil-CoA generato dalla reazione ACS dipendente. Tale
livello è quantificato dalla variazione della misura della densità ottica della soluzione.
Con lo sviluppo della reazione, infatti, si noterà un picco a 340 nm, lunghezza d‘onda
assorbita dal NADH stesso, associato a diminuzione del picco a 260, indice di consumo
di NAD+.
La quantità di NADH formatasi, è proporzionale, seppur non in maniera lineare,
alla concentrazione di acido acetico nel vino.
Schema delle reazioni sequenziali governate dal‘azione di ACS,
CS, L-MDH.
FIG 1.14
1.14
INTERESSE INDUSTRIALE
L‘interesse industriale per l‘enzima Acetil Co-A Sintetasi, risiede nella necessità
di adempiere a normative europee e italiane circa il tasso in acetato nelle bevande
sottoposte a fermentazione, in particolar modo il vino. Esiste già un documento detto
―etichetta del vino‖ che indica gli aspetti caratterizzanti il vino: la zona di produzione, il
tipo
di
uve
utilizzate,
l‘alcolemia
totale,
nominativo
del
produttore
e
dell‘imbottigliatore. Tra le normative europee invece, grande risalto ha la misurazione
24
dell‘acido acetico, che costituisce l‘acidità volatile del vino, così chiamata per il fatto
che tale acido è volatile in corrente di vapore e pertanto può essere separato dagli altri
acidi. La sua presenza è un fatto negativo a differenza di quanto avviene per gli altri
acidi, cosicché la sua determinazione diventa essenziale per la conoscenza del vino e
per la sua conservazione.
Una presenza di tale composto maggiore di 10 g/l poi, ha anche delle conseguenze
negative per la salute, anche se riscontrare tali valori nel vino è molto difficile. Da un
punto di vista tossicologico, infatti, risulta irritante per le vie respiratorie e corrosivo.
Può causare edema bronchiale se inalato, mentre risulta in un elevato pericolo di
perforazione dell‘esofago, bruciature gastro-intestinali, spasmi e vomito se ingerito. Va
da se la necessità di regolamentare la sua presenza nelle bevande. La quantità di acido
acetico presente nel vino (acidità volatile) si esprime in g/l o in meq/l e i limiti massimi
stabiliti per legislazione italiana (D.P.R. 12/2/1965 n. 162) sono:

Vini bianchi: 18 meq/l o 1,08 g/l

Vini rossi: 20 meq/l o 1,20 g/l
Per bevande alcoliche con gradazione superiore al 10% volume,
il tenore
massimo dell‘acidità volatile è pari ad 1/10 del grado alcolico.
Le analisi attuali prevedono l‘utilizzo dell‘Acidimetro Jozzi. Si tratta di un
apparecchio di distillazione in corrente di vapore formato da un generatore di vapore,
un pallone per la distillazione, un pallone refrigerante per la condensazione e i condotti
di collegamento.
Assieme all‘acido acetico, volatilizzano pure l‘acido carbonico e l‘acido solforoso
(SO2 e derivati) eventualmente presenti nel vino, che contribuiscono quindi a falsare il
dato reale. L‘acido carbonico si allontana dal vino per agitazione prima dell‘operazione
analitica; l‘acido solforoso va determinato a parte, come SO2 totale, e detratto poi dal
dato complessivo: si ottiene l‘acidità volatile reale.
L‘intera analisi risulta piuttosto macchinosa e viene eseguita in due ore circa,
tempo necessario alla distillazione e al raffreddamento. Necessita di abilità manuale e
di 200 ml di vino per una misurazione attendibile. Oltre all‘aspetto prettamente tecnico,
rimane incerta anche la sensibilità e la specificità di tale strumento. Come tutti gli
impianti di distillazione, poi, altro aspetto di non poco conto è la manutenzione e
revisione periodica della macchina, con particolare attenzione agli aspetti di pulizia e
taratura dello strumento.
25
Da qui la necessità di sviluppare una tecnica più immediata ed attendibile nelle
risposte, che godesse anche di criteri di specificità nella misura del solo acetato in una
miscela complessa di oltre 800 composti diversi, ovvero il vino, e sensibilità nel
quantificare tale risposta. Un altro aspetto sicuramente importante, è la necessità di
svolgere l‘intera misura in tempi rapidi, con poco quantitativo di reagente e in maniera
pratica da un punto di vista delle operazioni manuali da svolgere.
L‘enzima ACS da noi clonato, espresso e purificato va a sostituire la vecchia
distillazione in corrente di vapore, generando un sistema di analisi sicuramente più
immediato e preciso.
Trattandosi di un sistema di misurazione su base proteica, poi, hanno anche
notevole importanza, gli aspetti caratterizzanti l‘enzima stesso. Si è cercato, quindi, di
ottenere un enzima stabile nel tempo, cioè che non degradasse o che manifestasse
perdita di attività catalitica a distanza di tempo. L‘enzima deve anche essere
termostabile, ovvero non influenzabile dalle temperature, all‘interno di determinati
range, fornendo sempre la stessa risposta. Tale proteina deve essere poi perfettamente
compatibile all‘interno del tampone di misurazione, subendo scarse interferenza da
parte degli altri reagenti (altri enzimi del kit) e dei substrati diversi dall‘acetato.
Nei nostri laboratori, abbiamo cercato di sviluppare tale sistema di misurazione,
secondo i criteri precedentemente elencati. In particolar modo si è cercato di migliorare
un kit diagnostico su base enzimatica esistente, in cui l‘enzima ACS rappresenta
l‘aspetto economicamente rilevante. In un precedente kit, infatti, le tecniche di
ottenimento di tale enzima rappresentavano una spesa che pesava molto nel prezzo
finale di vendita del sistema diagnostico, generando un elevato costo specifico per ogni
lotto commercializzato. Altro criterio, sicuramente ricercato infatti è stato quello del
basso costo rispetto al kit già esistente.
Ad oggi l‘enzima ACS ottenuto soddisfa tali requisiti, e risponde positivamente in
termini di specificità e sensibilità dell‘output, determinando così la conclusione di tale
progetto.
26
PARTE SECONDA
SCOPO DELLA RICERCA
Il goal primario della nostra ricerca è sicuramente l‘ottenimento dell‘enzima ACS
perfettamente funzionante, e in linea con le richieste di interesse industriale
precedentemente enunciate. La sua completa integrazione in un kit diagnostico nel
comparto agro alimentare, presuppone la messa a punto e il perfezionamento di un
protocollo di ottenimento per tale enzima. Un obiettivo collegato, risulta quindi anche
essere la standardizzazione delle metodiche di ottenimento dell‘ACS ricombinante
secondo un protocollo ben definito, in modo da avviare una produzione di questa
componente del kit, completamente automatizzata per l‘operatore. Per far ciò abbiamo
sfruttato inizialmente alcuni strumenti bioinformatici quali le banche dati genomiche
Genbank ed EMBL/EBI per la ricerca del gene acs di diversi organismi procariotici.
Grande risalto è stato dato anche alle informazioni provenienti dal database Swissprot,
in cui venivano analizzate le sequenze aminoacidiche. In tale maniera abbiamo ottenuto
le sequenze geniche dell‘acs di E. coli, B. subtilis e S. cerevisiae, sui quali abbiamo
concentrato il nostro lavoro. In precedenti lavori, di cui forniremo solo accenni, è stato
sfruttato anche la ricerca delle omologie di sequenza sfruttando Fasta. Questa necessità
si è manifestata durante la ricerca del gene acs di Sulfolobus sulfataricus, esperimento
poi accantonato, che aveva evidenziato 7 ORF ritenute delle acs putative.
Ottenuta la sequenza genica, si è proceduto alle operazioni di clonaggio e
amplificazione genica, introducendo in un secondo momento anche dei siti di
restrizione terminali per poter favorire l‘integrazione di tale sequenza, previa digestione
enzimatica operata da endonucleasi di restrizione, all‘interno di un vettore plasmidico
di espressione. Notevole risalto è stato dato a questa porzione di lavoro. Si è passati
infatti attraverso molti plasmidi, prima di trovare quello ottimale. Allo stato attuale si
utilizza il vettore pET45 che possiede una His-TAG N-terminale che ne favorisce le
successive metodiche di purificazione.
L‘espressione proteica, nel ceppo BL21 di E. coli, in diversi terreni e in varie
condizioni ambientali è stato un altro step molto laborioso: sono state allestite colture
cellulari in terreni completi a diverso tasso aminoacidico e glucidico (LB e YT) e in
terreni a minima concentrazione di nutrienti (M9), risultando questi ultimi in un miglior
profilo di espressione proteica. Altri aspetti sensibili nella fase di espressione proteica
sono sicuramente le temperature di reazione impostate a 37°C e l‘utilizzo di induttori
della trascrizione. Ricordando il precedente capitolo in cui si illustrata lo switch
27
dell‘acetato, abbiamo arricchito tali terreni con varie fonti di carbonio, al fine di
identificare il miglior pattern di espressione. Cellule che crescono in acetato, sembrano
manifestare una miglior induzione del sistema di sintesi ACS, rispetto a cellule che
crescono in glucosio. Ciò sicuramente deriva dalla capacità dell‘acetato di attivare il
pathway di assimilazione dell‘acetato AMP-ACS dipendente, e quindi amplificare la
sintesi dello stesso enzima. Sono state approntate diverse condizioni di crescita anche in
funzione del tempo, con durata dell‘induzione proteica da 5 ore e 24 ore, senza
evidenziare marcate differenze.
L‘enzima così espresso è stato purificato e concentrato in una soluzione a pH e
forza ionica ottimale. La metodica di estrazione proteica scelta, è stata quella della
sonicazione a onde ultra soniche, che causa una disgregazione delle membrane
plasmatiche e delle strutture cellulari, rilasciando la frazione proteica di interesse.
Successivi passaggi sono stati la purificazione per affinità del prodotto proteico su
colonne IMAC sfruttando il tag di istidine N-terminali dell‘enzima ricombinante e
l‘integrazione in un buffer di reazione e conservazione idoneo.
Per concludere, l‘intera soluzione è stata saggiata, sia nella condizione di lavoro
industriale che attraverso saggi associati alla riduzione di NAD+ a NADH, di cui
parleremo in dettaglio in seguito.
Passaggi ulteriori saranno l‘allestimento di saggi per quantificare le unità
enzimatiche, attraverso il dosaggio proteico, aspetto questo che conclude il nostro
lavoro prettamente metodologico. Sviluppi auspicabili sono la ricerca di altri geni acs,
provenienti da altri microorganismi, il miglioramento del profilo di espressione degli
enzimi ACS disponibili, nonché il miglioramento delle condizioni di conservazione
dell‘enzima in forme più stabili, quali ad esempio la liofilizzazione.
Tutti gli aspetti sin qui brevemente trattati verranno sviluppati nelle successive
sezioni di questo lavoro, fornendo una visione globale e dettagliata su quanto sinora
studiato e operato sul prodotto genico e sull‘enzima acetil-CoA sintetasi.
28
MATERIALI E METODI
PARTE TERZA
Il lavoro da noi affrontato può essere definito da 5 fasi sperimentali:
1-
Identificazione, isolamento e clonaggio del gene codificante la proteina
bersaglio
2-
Espressione in un sistema eterologo
3-
Purificazione e caratterizzazione della proteina ricombinante
4-
Allestimento di saggi di attività specifici
5-
Progettazione, produzione e caratterizzazione di versioni mutate
3.1.1
IDENTIFICAZIONE GENE acs
Una prima indicazione sugli aspetti qualitativi dell‘enzima ACS deriva dal lavoro
di ricerca effettuato all‘interno di banche dati bioinformatiche. In particolar modo, il
primo passo è stato l‘ottenimento della sequenza genica dell‘acs di diversi organismi.
Sfruttando i database primari NCBI e GENBANK (72) siamo stati in grado di ottenere
tali sequenze, che di seguito riportiamo:
acsA di Bacillus subtilis, 1869 bp
(http://www.ncbi.nlm.nih.gov/entrez/viewer.fcgi?db=nuccore&val=50812173)
1
61
121
181
241
301
361
421
481
541
601
661
721
781
841
901
961
1021
1081
1141
1201
1261
1321
1381
1441
1501
1561
1621
1681
atgaacttga
acgtaccggc
aaactgaatg
gtagcgcttt
gaagaatcaa
cgcgttttta
aaaattggcg
cggcttgaaa
ccggtagaca
ggcacgaata
gaatggatgg
ccaaagggcg
gtccttgatt
ggtacggtat
ggacgtttca
tacagcgcgc
tatgatctaa
atcagatggg
acgggcagtc
aagccgattc
taccgaatgg
aataaccctg
tctgcttaca
atgacctccg
gctattgcag
gcctttattg
ctatttgtaa
aagcttccga
aatctgccgg
aagcgttacc
attttgattg
cggcgtatga
attataaaga
acagagccgg
tttttatgcc
ccatcgccgg
acagtgaggc
aactgcctca
tcatcaatta
ataaaaaaga
tgttgcatgt
taaaggaaga
acggcatttt
gcccggaaag
cgacagcttt
cttcactccg
gacataaagt
agctcatctg
caggagtgga
gcaatctcgc
aaaagtatga
tggatgaaga
gtgagcgcgt
aagcaggcgt
cactcaggga
agcagggtct
aaaccagaag
ctggagatct
agcaatagag
ggccgaggca
agcgattgac
cgcaaaaagg
gaatgtgctg
gagatcaccc
gccgctgttc
aaaggttgtt
cttgcagcat
tgatgaagca
cggctttctg
ccatgaagcg
agacatttat
tgcaccgtgg
ctggtatgga
tcggatgctg
gcatgtgctc
ttttaacaaa
caactatcct
ggcagcgatc
catcaaaaag
atcgtatttc
gggatacttt
cggcccattt
tatcggaaag
aggatttgag
tgcagcccat
cggaaagatc
gtcaacaatg
29
ggggatcata
gagaaacatt
cgccatgccg
gatgaaaaat
agacggtatg
gagctttatt
gaagcattta
gtcacaacgc
gtcttcgtag
gcgaaacagg
cttcactata
atgattcagc
tggtgcacgg
ctgaacggag
acgattgaac
atgggagcgg
agtgtcggtg
cgaatccatg
tgcatggata
gttgacaatc
ggctggcctt
atgccgggcg
tggttccaag
gaagtggaaa
cctgacccgg
ccgtctgata
gcggctccgc
atgaggcgcg
gaggattaa
acttaaaaaa
tctcttggca
aatcgtttcg
acacatttaa
gaaatgtgga
ttattatgct
tggagggagc
ctgagctgct
tcgggggaga
aaagcacaag
catcaggttc
aatatcaaac
ctgatccagg
cgacaaatgt
agcttggcgt
gagatgaaat
agccgctaaa
atacctggtg
ttaaaccggg
aaggcaacga
ccatgatgca
gctggtatgt
gcagagttga
gcaagcttgt
tgcgtggaga
aactgaaaga
gtgagatcga
tgctgaaggc
ctatgaagaa
tgagacaggg
aaaaaacaaa
agaaatgaag
aaaaggggac
tggcgcaatc
ggtgaaagac
ggagagaata
ggctgagagc
attggatatc
cactggtacg
aggaaagtgg
ctgggtgaca
catcgtcggc
caatgtctgg
ggctgcgaaa
tccggaagtc
gatgaccgaa
ttcaatgggt
gctaccgccg
taccatttgg
gtctggggat
tgacgtcatc
cgaacatccg
aatcattaaa
agagatccgc
atttaaagat
atgggagctt
acs di Escherichia coli strain K12, 1959 bp
(http://www.ncbi.nlm.nih.gov/entrez/viewer.fcgi?db=nuccore&val=49175990)
1
61
121
181
241
301
361
421
481
541
601
661
721
781
841
901
961
1021
1081
1141
1201
1261
1321
1381
1441
1501
1561
1621
1681
1741
1801
1861
1921
atgagccaaa
cctcagcagt
gaacagggaa
gcccccggta
tgccttgacc
gacgccagcc
gccaataccc
atggtgccgg
gtgattttcg
cgactggtga
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aagcgtactg
gttgagcaag
attctctaca
tatctggtgt
tactggtgca
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cgtatggcgc
atccgcgcgc
cgcattctcg
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ttcatgatca
ttcttcggcg
gaaggtagcc
cacgaacgtt
ggcgcgcgtc
aacgtctccg
aagattgccg
gcctacgtca
aactgggtgc
tccctgccta
ggcgatacca
ctgcttgaag
ttcacaaaca
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gccatctgca
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cgagcgatca
cctccggttc
acgcggcgct
ccgccgatgt
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ccccgctgcc
tgcaaccggc
tggtaatcac
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aagccgccgt
cgcttaatca
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ccatcatctg
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aaccggcggt
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gggggccacc
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cagcggcgac
cgacgtgctg
ggcgcatccg
ggcgatctac
agaagtccgc
ctggaccgac
aattgcggcg
agtcgagaag
acs1 di Saccharomyces cerevisiae, cromosoma 1, 2142 bp
(http://www.ncbi.nlm.nih.gov/entrez/viewer.fcgi?val=NC_001133)
1
61
121
181
241
301
361
421
481
541
601
661
721
781
841
901
961
1021
1081
1141
1201
1261
1321
1381
1441
1501
1561
1621
1681
atgtcgccct
ttgaaagcaa
gaacatttga
gcaattgcta
aaggagtcta
tggtctaagc
cagaacaatg
catgccttga
ggctattcca
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ggagacattg
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ccgctggctg
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gctgcaaagg
ctgccgtaca
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cccactattc
ttgaagaccc
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catggttcct
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ttacctacaa
tgggcgttcg
taaccttgtt
cttccaactc
atgaatccaa
gagagacccc
ctttccatgc
atccatgcac
ctggtgcccc
ccatgcgcta
gctggattac
tggtctttga
aacacaaagt
gtgattccta
agccaattgc
ccattgtaga
gtggtgttac
ttgttcttga
ccgtcaaagc
tagacactta
ataaggatgg
atcatcaaaa
gtctgccgcc
gatcgtgcca
tccacacttg
tgctaagttc
ggtgttcatc
caacggccaa
caagaaagcc
ggaactactt
caagggcgat
ggccatttcc
cttgagagat
cagaggtggt
aggcgtgaga
ccccagagat
acccgttgat
caagggtgtt
cacttttgac
aggccacact
agggactcct
cacccaattt
catcgaaaat
tgctgaagtt
cacctactgg
accaatgaaa
ccctaacact
tgcatggcca
tttgaaccct
ttatatctgg
30
ctagaagaac
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caacggccca
gacgggttgc
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ccagacccta
ttaaacgcct
attattttcg
gaagaagttt
actgttgccg
cgtatcggtg
cgtatcaacg
aaagtcattg
cacgtcttgg
ttggattggg
tctgaggatc
caacattcta
actcaccaag
tatgtggttt
gcgtacccaa
tatgttgcgc
cattccttaa
tgggagtggt
caaacagaat
ccgggttctg
ggtgaagaac
tcatttgcaa
taccctggct
attttgggtc
agtcaagtga
agaagaagga
tctcagatag
aggactatca
aagctaccca
aaacgggcag
gttacaactg
aaggtgacga
gtcaagtggc
tgtacatgcc
ccattcactc
atggggactc
agactaaaag
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caacagaaaa
cattattctt
ccgcaggtta
aagacgtttt
atggtccctt
attactcccg
caactgcttt
aatctttgcg
actctgaaaa
ctggttcgca
cctcattccc
ttaacaccag
gaactatttg
actatttcac
gtgtagacga
aattgacaag
acatgagtat
actgcagccc
gcgcttgcac
atttttaaac
gccctccttc
tgttgacaga
gcctggccaa
acaagtgctg
tatggtccca
cgtagtcttt
taaagttgtc
aattgttgat
gaccaacaat
gaagaaatac
gttgtatacg
cttgctggga
cttcacagct
actatatggt
ttattgggat
gcgtttgttg
ttgcttgggt
aataggtaaa
tctggtcacc
cttcttcggt
ccacgcagag
gaaaaatcat
tggtgatggt
tgtggtgaac
1741
1801
1861
1921
1981
2041
2101
gtctctggtc
gtggccgagt
tttgtggtgt
atcaagaagc
ttgatcattt
ttaagaaaaa
cctggcattg
accgtctgtc
gtgctgttgt
tgaaaaacaa
atttggtctt
tagtggatga
tcctagcagg
ttagacatct
taccgctgaa
cggattcaac
atctagttgg
tactgttaga
cttgcccaag
agaaagtgac
aattgattcg
attgaggctg
gatgacttga
tccaccgcaa
aaagacatcg
acaagatccg
caactaggcg
gtcaagttgt
ctattatcga
ctggtcaagc
cagatgatga
ggccatttgc
gcaaaattat
acgtttctac
aa
agatccaatt
agttgctgca
attacaagat
cgcaccaaaa
gagacgtatt
attgtcaaac
I genomi di B. subtilis, E. coli e S. cerevisiae, sono noti e completamente
sequenziati, quindi siamo stati in grado di ottenere delle sequenze sicure e univoche che
si riferissero al gene acs da noi cercato. Gli sviluppi su acs di E. coli sono stati portati a
termine con successo nel precedente lavoro e qui riporteremo solo le fasi salienti. Altre
sequenze geniche da noi indagate, in lavori passati, sono quelle di Sulfolobus
sulfataricus,
Listeria
monocytogenes,
Pseudomonas
aeruginosa,
Methanotrix.
Purtroppo, per diversi motivi, questi sviluppi sono stati abbandonati, mentre il lavoro
principale si è concentrato su acs di B. subtilis, gene di riferimento.
3.1.2
ISOLAMENTO E CLONAGGIO
Si è scelto di isolare i geni utilizzando il metodo di clonaggio diretto tramite PCR
(polimerase chain reaction). Il primo step è stata la formulazione di primers
oligonucleotidici complementari alle estremità 3‘ del filamento codificante (primer
forward o F) e 5‘ del filamento antiparallelo (primer reverse o R). Sono stati così
disegnate le seguenti sequenze nucleotidiche con i codoni di inizio e termine
trascrizione sottolineati:
acs di B. subtilis
ACSBac forward:
GCATGAACTTGAAAGCGTTACCAGCAATAGAGG
ACSBac reverse:
CTTTTAATCCTCCATTGTTGACAGATCTCCAGCC
acs di E. coli
ACScoli forward:
GCATGAGCCAAATTCACAAACACACCATTCCTGC
ACScoli reverse:
CAATTGTGGGTTACGATGGCATCGCGATAGC
acs di S. cerevisiae
ACSyeast forward:
ATGTCGCCCTCTGCCGTACAATCATC
ACSyeast reverse:
TACAACTTGACCGAATCAATTAGATGTCTAACAATGC
31
I primers così formulati hanno una lunghezza di circa 30 nucleotidi, che consente
un appaiamento stabile con il DNA parentale. Il calcolo della temperatura di melting
(Tm) definita come la temperatura alla quale la metà del DNA in soluzione si trova
nello stato a doppia elica e la metà in quello denaturato, è calcolata seguendo una
formula empirica:
 Tm = 64.9°C + 41°C x [%(G+C)] – N/500
Dove G e C sono rispettivamente il contenuto in guanine e citosine, mentre N è il
numero totale di basi. Egualmente importante risulta essere la temperatura di annealing
(Ta) , in cui avviene l‘appaiamento tra filamenti singoli di DNA. In PCR è necessaria
per mediare un corretto appaiamento tra oligonucleotidi e DNA templato, prima che la
Taq Polimerasi catalizzi la fase di elongazione. La miscela di reazione per la PCR viene
così preparata:
DNA
6 l
Primers
16 l
miscela: 2 l F + 2 l R + 96 l
H2O
dNTP 10mM
10 μl
AccuTaq buffer 10x
20 l
H2O
148 l
AccuTaq polimerasi (1U/μl)
6 l
Tale miscela è stata poi suddivisa in 4 provette da 50 μl e sottoposta alla reazione
di amplificazione utilizzando un apparecchio termostatato ad effetto Peltier (GenAmp
PCR System 2400-Perkin Elmer). La versione della Taq polimerasi utilizzata in questa
fase è l‘AccuTaq, DNA-polimerasi termostabile specifica per le reazioni di PCR,
caratterizzata da una più bassa frequenza d‘errore.
Le variabili su cui abbiamo lavorato in questa fase della clonazione, sono la Ta e il
numero di cicli. Sono state fatte diverse prove, prima di impostare come ideale la
Ta=66°C e un numero di cicli x=25 per B. subtilis. Per E. coli Ta=70°C e x=25.
Per S. cerevisiae Ta=64°C e x=30 cicli1. Primers diversi posseggono Ta diverse. La
durata di ogni singola fase di PCR e le altre temperature di reazione sono riportate in
figura.
1
Per ACSyeast viene impostata una durata della fase di elongazione pari a 2‘
32
Meccanismo della reazione
polimerasica a catena (PCR)
33
3.1.3
CONTROLLO IN ELETTROFORESI SU GEL D’AGAROSIO
Per verificare se il frammento di DNA, nel nostro caso il gene acs, è stato
amplificato, si procede con un‘analisi su gel di agarosio allo 0,8%.
Per la preparazione del gel analitico allo 0,8% si pesano 240 mg agarosio che
vengono disciolti in 30 ml di tampone TAE 1X (Tris-acetato-EDTA buffer) e portati ad
ebollizione; quando la soluzione diventa limpida si lascia raffreddare e si aggiungono
1,5 l di bromuro di etidio (10 mg/ml), un agente intercalante che mette in evidenza le
bande del DNA quando il gel viene sottoposto ad irraggiamento con lampada
ultravioletta poichè in grado di emettere luce fluorescente.
Per l‘analisi si prelevano 5l di DNA da ogni provetta dell‘amplificato e vi si
aggiungono 1l di Loading Dye 6X, una soluzione contenente glicerolo che facilita
l‘introduzione del campione nei pozzetti del gel. Oltre ai campioni viene caricato anche
il marker dei pesi molecolari GeneRulertm 1 kb DNA Ladder. La corsa viene condotta
per 45 minuti a 80V e una volta terminata, il gel viene irradiato con lampada UV per
visualizzare i frammenti di DNA presenti nell‘amplificato.
Grazie alla presenza del marcatore è possibile determinare la lunghezza del
filamento amplificato e verificare se corrisponde a quella del gene di interesse; inoltre
l‘intensità della luminescenza dà un‘indicazione sulla concentrazione del frammento
amplificato.
acsBAC: Gel d‘agarosio relativo alla prima
reazione di amplificazione del gene acs
con PCR.
3.1.4
PURIFICAZIONE DEL DNA AMPLIFICATO
Il passaggio di estrazione e purificazione del DNA, è necessario per massimizzare
la quantità di frammento amplificato, eliminando il materiale genetico che interferisce,
come nucleotidi liberi, frammenti non di interesse, primers e Taq Polimerasi stessa.
34
Il primo passaggio è la preparazione di un gel allo 0,8% con 400 mg di agarosio
disciolto in 50 ml di tampone TAE 10X, in cui vengono caricati 400 µl totali di
prodotto della prima PCR, suddivisi in 30 µl per ogni pozzetto. La corsa elettroforetica
avviene a 80 V per circa 1 h. Per la purificazione è stato utilizzato il kit MiniElute Gel
Extraction della Quiagen, specifico per i frammenti di DNA con una lunghezza
compresa tra 70 bp e 4 kb.
Le operazioni previste dal protocollo possono essere così schematizzate:
 tagliare la banda del gel contenente il frammento. È opportuno prelevare la
massima quantità di gel con il materiale genetico e limitare quella di gel
pulito;
 pesare la banda con il DNA ed aggiungere 3 volumi di tampone QG, in modo
da portare il gel in fase liquida;
 incubare la soluzione a 50°C per 10‘, o almeno per il tempo necessario a far
dissolvere completamente il gel; per aiutare la dissoluzione è possibile
mescolare la soluzione ogni 2-3‘. Il tampone QG contiene un indicatore di pH
che conferisce a questo una colorazione gialla (pH 7,5); se, una volta avvenuta
la dissoluzione del gel, la colorazione resta tale, si avrà la massima affinità del
DNA con la resina presente nella colonna; se, invece, il colore della soluzione
vira al violetto, allora è necessario aggiungere un piccolo volume di acetato di
sodio 3 M a pH 5, per riportare il pH al valore ottimale;
 aggiungere 1 volume di isopropanolo alla soluzione e mescolare per
inversione;
 inserire la colonna miniElute in una provetta da 2 ml. Questa colonna è
costituita da una matrice di silice a cui il DNA si lega attraverso diversi tipi di
interazioni;
 caricare il campione in colonna, centrifugare per 1‘ e scartare il non-affine.
Poiché la colonna ha una capacità massima di 800 μl, è necessario caricare il
campione in più passaggi;
 aggiungere 500 μl di tampone QG alla colonna, centrifugare per 1 minuto e
scartare il filtrato;
 lavare la colonna con 750 μl di tampone PE e scartare il liquido di lavaggio. È
consigliabile procedere con un‘ulteriore centrifugazione a 13.000 rpm per
eliminare eventuali tracce di etanolo;
 lasciare a temperatura ambiente per almeno 10‘ per permettere all‘etanolo di
35
evaporare naturalmente;
 eluire il DNA con 200 μl di tampone EB (10 mM Tris/HCl, pH 8,5) o H2O
posti al centro della resina e lasciati a riposo per almeno 1 minuto, per
permettere la completa idratazione della matrice.
Una volta raccolto l‘eluato della colonna si procede ad un controllo elettroforetico
in gel di agarosio analitico allo 0,8%, per verificare l‘avvenuta purificazione del
frammento.
3.1.5
INSERIMENTO DEI SITI DI RESTRIZIONE
Il frammento genico proveniente dalla prima PCR, viene amplificato nuovamente,
utilizzando stavolta dei primers che contengono al loro interno dei siti di restrizione
unici non presenti nel gene acs, sensibili alla digestione enzimatica operata da
endonucleasi di restrizione, nella successiva fase. Le sequenze nucleotidiche di tali siti
di restrizione, non compaiono all‘interno del gene acs, in modo da impedire il taglio di
quest‘ultimo in una regione intragenica. Sono stati così formulati i seguenti primers con
i siti unici di restrizione sottolineati:
acs di B. subtilis
Sito
ACSBac forward:
GAACCATGGACTTGAAAGCGTTACCAGCAATAG
NcoI
ACSBac reverse:
GGGGAATTCTTAATCCTCCATTGTTGACAGATC
EcoRI
acs di E. coli
Sito
ACScoli forward:
GTGAATTCTGGGTTACGATGGCATCGCGATAGC
EcoRI
ACScoli reverse:
GGCCATGGGCCAAATTCACAAACACACCATTCC
NcoI
acs di S. cerevisiae
Sito
ACSyeast forward:
ATACCATGGCGCCCTCTGCCGTAC
NcoI
ACSyeast reverse:
GGGAATTCTTACAACTTGACCGAATCAATTAGATG
EcoRI
Anche in questo caso è stata preparata una miscela del volume di 200 μl che è
stata successivamente ripartita in 4 provette da 50 μl:
36
DNA
4 l
Primers
16 l
miscela: 2 l F + 2 l R + 96 l
H2O
dNTP 10mM
10 μl
AccuTaq buffer 10x
20 l
H2O
150 l
AccuTaq polimerasi (1U/μl)
6 l
Nella seconda PCR, solitamente si imposta la Ta su valori più bassi, poichè
diminuisce il livello di complementarietà tra oligonucleotidi e templato, a causa
dell‘introduzione dei siti di restrizione che non esistono nel DNA parentale ovvero il
DNA prodotto dalla prima PCR. Diminuendo la Ta , quindi, si aumenta la stabilità
dell‘appaiamento e diminuisce la probabilità di associazioni non corrette. Vengono
quindi impostate le seguenti Ta, mentre il numero di cicli viene impostato su 25. Gli
altri parametri, ovvero la temperatura e la durata della altre fasi di PCR rimangono
speculari alla prima amplificazione:
ACSBac
56°C
ACScoli
62°C
ACSyeast2
64°C
Successivamente si procede all‘analisi per elettroforesi in gel d‘agarosio allo
0,8% per valutare la bontà dell‘avvenuta amplificazione genica.
2
Per ACSyeast viene impostata una durata della fase di elongazione pari a 2‘
37
3.1.5.1
PURIFICAZIONE
CONTENENTE
DEL
I
SITI
FRAMMENTO
DI
RESTRIZIONE
La purificazione viene effettuata utilizzando il kit MiniElute Gel Extraction della
Quiagen, seguendo la procedura illustrata in precedenza. Un nuovo controllo
elettroforetico ci dà infine conferma della buona riuscita del processo. A seguito
dell‘eluizione in 200 µl di EB, avremo una soluzione concentrata di DNA contenente i
siti unici di restrizione, sensibili al successivo passaggio enzimatico con endonucleasi
di restrizione, più semplicemente definito ―digestione‖.
3.1.5.2
DIGESTIONE
DEL
FRAMMENTO
AMPLIFICATO, CON ENZIMI DI RESTRIZIONE
La digestione è quel passaggio che rende le estremità della sequenza genica da noi
amplificata, complementari a quelle di un vettore plasmidico, necessario nelle
successive fasi della clonazione. Tale vettore infatti, a seguito di una reazione di
ligazione potrà integrare correttamente tale sequenza genica ed essere utilizzato come
vettore di espressione o per la costruzione di una libreria genica. Il vettore così trattato
viene definito correttamente processato.
Importante risulta quindi essere il passaggio catalizzato dalle endonucleasi di
restrizione o deossoribonucleasi. Tali enzimi riconoscono una sequenza consuensus di
circa 8 basi, all‘interno della doppia elica di DNA da digerire, differente per ogni
enzima. Il successivo passaggio è l‘idrolisi tra due nucleotidi prossimali a livello del
gruppo fosfato al 5‘, restituendo di fatto, due frammenti di DNA. Tali enzimi
riconoscono come target, delle sequenze palindromiche, ovvero identiche se lette
secondo la stessa polarità nei due filamenti, ed operano un taglio nucleotidico allo
stesso livello dei due filamenti. Per tale motivo, gran parte delle endonucleasi sono
dimeri che restituiscono dei frammenti di DNA definiti con estremità coesive o ―sticky
ends‖.
La doppia digestione, che prevede l‘uso contemporaneo di due enzimi di
restrizione diversi, rende necessaria la scelta di un tampone di reazione che sia ottimale
per entrambi. Consultando tabelle di compatibilità fornite dalla casa produttrice di
enzimi, è possibile scegliere il tampone ottimale per ogni coppia di enzimi. Nel nostro
caso viene utilizzato il buffer H che fornisce un ambiente a forza ionica e pH
compatibile per la coppia di enzimi da noi utilizzata.
38
Il buffer H è disponibile in forma dieci volte concentrata e viene aggiunto nella
misura di 1:10 del volume totale della miscela di reazione finale.
B. subtilis
E. Coli
S. Cerevisiae
NcoI
C↓ CATGG
GGTAC↑ C
F
EcoRI
G↓ AATTC
CTTAA↑ G
R
NcoI
C↓ CATGG
GGTAC↑ C
F
EcoRI
G↓ AATTC
CTTAA↑ G
R
NcoI
C↓ CATGG
GGTAC↑ C
F
EcoRI
G↓ AATTC
CTTAA↑ G
R
Il DNA acsBac3 viene digerito trattandolo in questo modo:
DNA
180 μl
buffer H 10X
20 μl
enzima di restrizione NcoI
2,5 μl
(10U/μl)
2,5 μl
enzima di restrizione EcoRI
(10U/μl)
La digestione viene condotta a 37°C over night e viene successivamente verificata
con una corsa elettroforetica su gel d‘agarosio allo 0,8%.
Al fine di rimuovere le tracce di enzimi e di concentrare il DNA, il campione è
stato purificato seguendo il seguente protocollo, previsto dal kit NucleoSpin Extract II:
3
•
aggiungere al campione due volumi di tampone NT;
•
inserire la colonna NucleoSpin in una provetta da 2 ml e caricare il campione;
•
centrifugare a 13.000 rpm per 1‘ e scartare il filtrato;
Le quantità sono equivalenti anche per acscoli e acsyeast
39
•
aggiungere 600 μl di tampone NT3, centrifugare a 13.000 rpm per 1 minuto e
scartare il filtrato;
•
centrifugare a 13.000 rpm per 2‘ per rimuovere totalmente il tampone NT3.
Poichè eventuali tracce di etanolo, contenuto nel tampone NT3, potrebbero
interferire con i passaggi successivi, questo deve essere rimosso; in aggiunta
alla centrifugazione, quindi, si può procedere con un‘incubazione della
colonna a 70°C per 2-5‘ prima dell‘eluizione;
•
porre la colonna in una provetta da 1,5 ml pulita; aggiungere 50 μl di tampone
di eluizione NE ed incubare a temperatura ambiente per 1 minuto per
aumentare la quantità di DNA eluito;
•
centrifugare a 13.000 rpm per 1 minuto.
Si ottiene, così, un volume di eluato di 50 µl finale, in cui è utile andare a stimare
la concentrazione del gene acs purificato. Viene approntato un saggio di stima diretta,
per confronto con delle quantità scalari di DNA campione, da analizzare in gel
d'agarosio. Il DNA così preparato può venire conservato per un periodo di qualche
mese a -20°C senza problemi.
3.1.6
OTTENIMENTO DEL VETTORE pET-29/acsBac
3.1.6.1
PREPARAZIONE DEL VETTORE pET-29
Il vettore di clonazione utilizzato in questa fase del nostro lavoro è il pET-294.
Il pET-29 è un plasmide facilmente lavorabile, caratterizzato da un sito multiplo
di clonaggio (MCS), un gene per la resistenza all'antibiotico kanamicina (kan), un
origine autonoma di replicazione(ori) e un promotore specifico per la RNA-polimerasi
del fago T7 che opera il controllo trascrizionale.
4
Nei precedenti lavori è stato utilizzato il plasmide pJET – ampicillina resistente
40
Il plasmide viene digerito con gli stessi enzimi di restrizione utilizzati per il
frammento al fine di creare estremità coesive compatibili per la successiva reazione di
ligasi. Viene così creato un vettore linearizzato.
La miscela di reazione è la seguente:
pET-29
90 μl
buffer H 10x
10 μl
enzima di restrizione EcoRI (10U/μl)
2,5 μl
enzima di restrizione NcoI (10U/μl)
2,5 μl
41
Come visto in precedenza la digestione viene condotta a 37°C overnight.
Successivamente si verifica l‘avvenuta digestione tramite gel analitico allo 0,8% e si
procede con la purificazione utilizzando il kit MiniElute Gel Extraction.
Figura 3 6 Gel d‘agarosio relativo alla digestione del plasmide e
del frammento acsBac amplificato con la seconda PCR. (1) e (2)
sono i frammenti (1869 bp.); (3), plasmide (5371 bp); (L), DNA
Ladder.
Al fine di evitare che il plasmide si richiuda su se stesso nella successiva fase di
ligazione, è necessaria un digestione in fosfatasi alcalina (AP). Questa reazione
catalizza l'idrolisi del gruppo fosfato terminale, nei nucleotidi all'estremità in cui è
avvenuto il taglio, garantendo di fatto che il vettore linearizzato non trovi le strutture
ideali per una eventuale autoligazione.
pET-29 linearizzato
90 μl
buffer AP 10x
10 μl
AP (1U/μl)
2 μl
La miscela è stata tenuta a 37°C per tutta la notte e successivamente purificata per
eliminare l‘enzima ed eventuali agenti interferenti.
Tramite un ulteriore passaggio di purificazione (Nucleobond filters) eliminiamo
nucleotidi liberi ed enzimi, ottenendo il vettore pronto per la ligazione successiva,
caratterizzato da:
5
•
Estremità acsBac5
•
Basso numero di vettori richiusi su se stessi
•
Assenza di agenti interferenti
pET-29 digerito è compatibile sia con acsBac che con acscoli e acsyeast
42
Faccio una stima della concentrazione di DNA diretta, tramite analisi in gel
d'agarosio allo 0,8% per quantificare il materiale genetico purificato.
3.1.6.2
LIGASI pET-29 e acsBac DIGERITI NcoI e EcoRI
Dopo aver digerito frammento e plasmide con gli stessi enzimi di restrizione, si
procede con la ligazione, il passaggio attraverso il quale il gene dell‘acs viene inserito
all‘interno del vettore di clonazione. La miscela di reazione viene così allestita:
prova
controllo
vettore pET-29
2 μl
2 μl
inserto acs
5 μl
buffer 10X
2,5 μl
2,5 μl
H2O
15,5 μl
20,5 μl
ligasi T4 (400U/μl)
0,5 μl
0,5 μl
diluito 1:10 rispetto al volume finale
La miscela viene posta in bagnetto termostatato a 16°C over night.
Contemporaneamente è stata preparata anche una miscela di controllo, nella quale
i 5 μl di inserto sono sostituiti da un‘uguale quantità di H2O; questa operazione è
indispensabile per verificare la capacità del vettore di chiudersi su se stesso e poter
valutare successivamente alla trasformazione, quale è la probabilità che vi siano nella
prova colonie in grado di esprimere la proteina. Poiché vettori che tendono ad
autoligarsi, hanno minore capacità di accogliere al loro interno il frammento, un
numero alto di colonie nel controllo sarà indice di un processo di ligazione scarsamente
efficiente nella prova e quindi di una minore probabilità di trovare in questa colonie di
cloni ricombinanti.
43
3.1.6.3
TRASFORMAZIONE DI CELLULE DI E. coli CEPPO
DH5α6 CON pET-29/acsBac
Con la trasformazione, il plasmide contenente il gene acs (pET-29/acsBac) è stato
introdotto all‘interno di cellule batteriche.
In questa fase del nostro lavoro, lo scopo principale era quello di amplificare il
prodotto di ligazione; per questo motivo abbiamo scelto di trasformare cellule di E.coli
del ceppo DH5α (cellule competenti) che presentano una notevole capacità di
replicazione nei confronti del plasmide introdotto.
La procedura viene condotta in condizioni di assoluta sterilità:
•
scongelare su ghiaccio le cellule competenti (conservate a -80°C);
•
aliquotare 80 μl di cellule (corrispondenti a 108 cellule) in provette sterili;
•
aggiungere il DNA in quantità compresa tra 25 μl;
•
incubare su ghiaccio per 20‘;
•
procedere con lo shock termico incubando a 37°C per 2‘;
•
aggiungere 900 μl di terreno LB preriscaldato a 37°C;
•
incubare a 37°C per 20‘;
•
centrifugare a 3.000 rpm per 2-3‘;
•
aspirare 900 μl del supernatante;
•
risospendere il precipitato con il supernatante residuo;
•
seminare su piastra agar-LB contenente kanamicina 30 mg/ml, in quanto il
vettore utilizzato contiene il gene per la resistenza a questo antibiotico;
•
incubare le piastre per tutta la notte a 37°C.
La stessa procedura viene seguita utilizzando la miscela di controllo contenente il
solo vettore pET-29 senza inserto
3.1.6.4
SCREENING DELLE COLONIE DH5α /pET-29/acsBac
Una volta cresciute le colonie, si valuta quella che è stata l‘efficienza del processo
di ligazione, osservando il numero delle colonie cresciute nella piastra di controllo.
L‘informazione che ci viene data dalla piastra di controllo è solo di carattere statistico,
e serve sostanzialmente per valutare se
intervenire su un processo di ligazione
scarsamente efficace, al fine di aumentare la probabilità di avere colonie di cloni
6
Nei precedenti lavori è stato scelto il ceppo JM109 di E. coli
44
ricombinanti nella piastra di prova. Per avere delle certezze, cioè per valutare quale di
queste contenga effettivamente il plasmide ricombinante, dobbiamo effettuare uno
screening. A tal fine, alcune colonie della piastra di prova vengono scelte a caso ed
utilizzate per la preparazione di colture da cui verranno in seguito estratti i plasmidi da
analizzare.
Operando in condizioni di sterilità, si preleva dalla piastra di prova una colonia,
con il filo di platino, e si mette a crescere in 20 ml di terreno LB contenente 20 μl di
kanamicina in modo da favorire la crescita delle cellule che contengono il plasmide e
che presentano quindi il gene per la resistenza a questo antibiotico. Dopo 24 ore di
crescita in agitazione a 37°C, la coltura viene sottoposta al protocollo di purificazione
per l‘estrazione del plasmide previsto dal kit GenElute miniprep plasmid purification
(sigma):
•
centrifugare a 5.000 rpm per 10‘ e scartare il supernatante;
•
risospendere il pellet con 200 μl di Resuspension Solution;
•
lisare le cellule risospese con 200 μl di Lysis Solution;
•
mescolare 7 volte per inversione ed attendere 3‘ a temperatura ambiente;
poiché la soluzione di lisi contiene NaOH, non prolungare oltre il contatto di
questa con il campione per evitarne la denaturazione;
•
aggiungere 350 μl di Neutralizing/Binding Solution;
•
mescolare 4-6 volte per inversione e centrifugare a 12.000 rpm per 10‘; in
questo modo vengono allontanati i detriti cellulari, le proteine, i lipidi, l‘SDS e
il DNA genomico. Se il supernatante ottenuto non è abbastanza limpido,
procedere con un ulteriore step di centrifugazione;
•
attivare la colonna con 500 μl di Column Preparation Solution, centrifugare la
colonna a 12.000 rpm per 1 minuto e scartare il filtrato; con questo passaggio
si massimizza la capacità di legame della membrana;
•
trasferire il supernatante nella colonna e centrifugare a 12.000 rpm per 1
minuto; ripetere questa operazione per 3 volte per legare alla membrana tutto
il DNA;
•
scartare il filtrato e aggiungere 500 μl di Optional Wash Solution;
•
centrifugare a 12.000 rpm per 1 minuto e scartare il liquido;
•
aggiungere 750 μl di Wash Solution e centrifugare a 12.000 rpm per 1 minuto;
•
lasciare all‘aria per far evaporare tutto l‘etanolo;
45
•
eluire il DNA con 100 μl di Elution Solution senza EDTA e centrifugare a
12.000 rpm per 1 minuto; ripassare l‘eluato sulla colonna per due volte
lasciando incubare per 5‘ prima di centrifugare.
Dei 100 μl di soluzione contenente pET-29/acs, un‘aliquota è stata sottoposta a
digestione con gli enzimi di restrizione precedentemente utilizzati per verificare quale
delle colonie da noi scelte contenesse il vettore con l‘inserto.
La miscela di digestione è la seguente:
plasmide pET-29/acs
8 μl
buffer OPA 10x
2 μl
EcoRI (10U/μl)
0,5 μl
NcoI (10U/μl)
0,5 μl
Dopo un‘ora a 37°C, la stessa miscela viene sottoposta a corsa elettroforetica su
gel d‘agarosio allo 0‘8% .
Gel d‘agarosio relativo allo screening
effettuato su 4 colonie di cloni
trasformati col prodotto di ligazione.
Come si può notare, le colonie 1,3 e 4
sono quelle che contengono il vettore
con l‘inserto.
3.1.6.5
AMPLIFICAZIONE DEL VETTORE RICOMBINANTE
pET-29/acsBac IN CELLULE DH5α
Dei 4 cloni analizzati visti in precedenza scegliamo di amplificare il clone 17.
Utilizziamo quindi il plasmide estratto da questo clone per ritrasformare cellule DH5α
seguendo la stessa procedura già vista nel paragrafo 3.1.6.3. Il clone trasformato viene
prelevato e cresciuto in un terreno di coltura con selezione negativa.
7
Il lavoro sul pET-29/acsBac1 (clone 1) è stato completamente sviluppato in un precedente lavoro.
46
Operando in condizioni di sterilità, prepariamo l‘inoculo, una pre-coltura,
operando nel seguente modo: si preleva dalla piastra una colonia con il filo di platino e
si mette a crescere in 10 ml di terreno LB contenente 10 μl di kanamicina (30 mg/ml).
Dopo 4-6 ore di crescita in agitazione a 37°C, versiamo i 10 ml di inoculo in una
beuta contenente 115 ml di terreno LB (precedentemente equilibrato a 37°C) e 115 μl
di kanamicina (30 mg/ml).
La coltura così ottenuta viene lasciata in agitazione a 37°C over night e in seguito
sottoposta al protocollo di purificazione per l‘estrazione del plasmide previsto dal kit
NucleoBond AX100 (Macherey-Nagel).
I passaggi di tale processo sono i seguenti:
•
centrifugare a 5.000 rpm per 10‘ a 4°C;
•
risospendere il precipitato con 4 ml di S1;
•
aggiungere 4 ml di buffer S2 (soluzione di lisi), risospendere per inversione e
lasciare a temperatura ambiente per 5‘;
•
aggiungere 4 ml della soluzione neutralizzante S3, risospendere per inversione
e lasciare su ghiaccio per 5‘;
•
centrifugare a 12.000 rpm per 25‘ a 4°C;
•
prelevare il supernatante ed applicarlo alla colonna a scambio ionico,
preventivamente equilibrata con il tampone di equlibratura N2;
•
eluire completamente e scartare il filtrato;
•
lavare la colonna per 2 volte con 5 ml del tampone di lavaggio N3;
•
eluire il campione con 5 ml del tampone di eluizione N5;
•
aggiungere all‘eluato 3,6 ml di isopropanolo a temperatura ambiente;
•
centrifugare a 12.000 rpm per 30‘ a 4°C;
•
scartare il supernatante, lavare il precipitato con 1 ml di etanolo al 70% e
centrifugare a 15.000 rpm per 10‘ a 4°C;
•
scartare il supernatante e lasciar asciugare all‘aria;
•
risospendere il precipitato in tampone EB;
Una volta terminata la purificazione si effettua una digestione con gli enzimi di
restrizione NcoI-EcoRI seguita da un controllo elettroforetico su gel di agarosio allo
0,8%.
47
TAMPONE
COMPOSIZIONE
S1
50 mM Tris/HCl, 10 mM EDTA; 100 µg RNasiA/ml pH 8
S2
200 mM NaOH, 1% SDS
S3
2,80 M KAc, pH 5,1
N1
100 mM Tris/H3PO4, 15% etanolo, 400 mM KCl, pH 6,3
N2
100 mM Tris/H3PO4, 15% etanolo, 900 mM KCl, pH 6,3,
0,15% Triton X-100
N3
100 mM Tris/H3PO4, 15% etanolo, 1150 mM KCl, pH 6,3
N5
100 mM Tris/H3PO4, 15% etanolo, 1000 mM KCl, pH 8,5
gel d‘agarosio relativo alla digestione del
plasmide ricombinante pET-29/acs di B.subtilis
estratto e purificato da coltura. La figura ci mostra
come l‘intero processo di clonazione abbia avuto
buon esito in quanto sono presenti sia la banda
relativa all‘inserto (1869 bp) che quella relativa
al vettore (5371 bp).
3.1.7
OTTENIMENTO DEL VETTORE pET-29/acsYeast
Una procedura identica è stata seguita anche per acsyeast, e il vettore ricombinante
pET-29/acsyeast amplificato in cellule DH5α, è stato ottenuto e tuttora conservato per
un‘ulteriore serie di esperimenti. In questo lavoro, come detto in precedenza, verrà dato
risalto soprattutto ad acsBac, fornendo le informazioni salienti relative agli altri geni acs.
3.1.8
OTTENIMENTO DEL VETTORE pET-45/acsBac
3.1.8.1
ESTRAZIONE DEL GENE acs DAL VETTORE
pET-29/acsBac
L‘ottenimento dei vettori pET-29 correttamente processati con il gene acs, ci
consente di conservare tale sequenza nucleotidica di interesse per molto tempo in
48
condizioni stabili e riutilizzarla senza bisogno di passare nuovamente attraverso la fase
di PCR. E‘ stata creata con successo una libreria plasmidica che risulta utile in questa
nuova fase del lavoro, in cui abbiamo scelto di passare dal vettore pET-29 ad un vettore
più comodo per la fase successiva di purificazione proteica, ovvero pET-45.
Scegliamo quindi di estrarre il gene acs da pET-29/acsBac. Viene così preparata la
miscela:
pET-29/acsBac
100 μl
buffer OPA 10x (one phor all)
25 μl
enzima di restrizione KpnI (10U/μl)
2,5 μl
enzima di restrizione SacI (10U/μl)
2,5 μl
La soluzione viene lasciata in stufetta a 37°C per tutta la notte, successivamente si
analizza tramite elettroforesi in gel d‘agarosio allo 0,8% e confermata l‘avvenuta
digestione, si procede alla purificazione del frammento con il kit commerciale Hiyeld
RBS Realgenomics
ACSbac digerita KPN-Sac1
e purificata
49
3.1.8.2
PREPARAZIONE DEL VETTORE pET-45
In questa fase del lavoro, è stato utilizzato il vettore plasmidico pET-45 che
condivide le caratteristiche comuni ai pET, ovvero una resistenza all‘antibiotico, fornito
dal gene ampR, un MCS (sito di clonazione multipla) target dell‘azione di molte
endonucleasi di restrizione, un‘origine autonoma di replicazione (ori) e un promotore
specifico per la RNA-polimerasi del fago T7 che opera il controllo trascrizionale. Il
pET45, poi è largamente usato nella produzione di enzimi ricombinanti perchè, oltre ad
essere facilmente lavorabile, presenta anche una regione prossima al sito di inserzione,
che traduce per una coda di poly-istidine, la quale fornisce la proteina ricombinante
espressa, di un TAG di istidine (His-tag) che trova impiego nella successiva fase di
purificazione proteica8. (spiega il perchè questi enzimi tagliano bene, dato che sono a
monte dei precedenti)
Il plasmide da noi utilizzato proviene da esperimenti di trasformazione di cellule
DH5α con il plasmide pET-45, seguito da una fase di crescita delle colonie
ottenute su terreno a selezione negativa per l‘antibiotico ampicillina e successiva
8
Nel precedente lavoro, abbiamo utilizzato il vettore pHAT, anch‘esso con l‘His-tag, ma senza un sistema di
controllo trascrizionale efficiente simile al pET-45.
50
estrazione plasmidica seguendo il protocollo del kit NucleoBond AX100 (MachereyNagel) visto in precedenza.
Il plasmide viene digerito con gli stessi enzimi di restrizione KpnI e SacI
precedentemente utilizzati per il frammento genico acs, al fine di creare estremità
coesive compatibili per la successiva reazione di ligasi. Viene così creato un vettore
linearizzato.
La miscela di reazione è la seguente:
pET-45
90 μl
buffer H 10x
10 μl
enzima di restrizione KPN (10U/μl)
2,5 μl
enzima di restrizione SacI (10U/μl)
2,5 μl
Come visto in precedenza la digestione viene condotta a 37°C overnight.
Successivamente si verifica l‘avvenuta digestione tramite gel analitico allo 0,8% e si
procede con la purificazione utilizzando il kit MiniElute Gel Extraction.
3.1.8.3
LIGASI pET-45 e acsBac DIGERITI KpnI e SacI
Dopo aver digerito frammento e plasmide con gli stessi enzimi di restrizione, si
procede con la ligazione, il passaggio attraverso il quale il gene dell‘acs viene inserito
all‘interno del vettore di clonazione. La miscela di reazione viene così allestita:
vettore pET-45
prova
controllo
1 μl
1 μl
(diluito 1:1 dalla madre)
inserto acs
7 μl
buffer 10X
2 μl
2 μl
H2O
10 μl
17 μl
ligasi T4 (400U/μl)
0,5 μl
0,5 μl
(diluito 1:10 rispetto al volume finale)
La miscela viene posta in bagnetto termostatato a 16°C over nigh.
51
3.1.8.4
TRASFORMAZIONE DI CELLULE DI E. coli
CEPPO DH5α CON pET-45/acsBac
Con la trasformazione, il plasmide contenente il gene acs (pET-45/acsBac) è stato
introdotto all‘interno di cellule batteriche. Anche in questa fase del nostro lavoro, lo
scopo principale era quello di amplificare il prodotto di ligazione; per questo motivo
abbiamo scelto di trasformare cellule di E. coli del ceppo DH5α (cellule competenti)
che presentano una notevole capacità di replicazione nei confronti del plasmide
introdotto.
Viene utilizzata la medesima procedura vista in precedenza, ovvero lo shock
termico, caratterizzato da una discreta efficienza di trasformazione. Ricordiamo come,
differentemente dal pET-29, il pET-45 non ha la resistenza all‘antibiotico kanamicina,
bensì fornisce la resistenza all‘ampicillina tramite il gene ampR , alle cellule che
acquisiscono correttamente tale vettore. La stessa procedura viene seguita utilizzando la
miscela di controllo contenente il solo vettore pET-45 senza inserto.
3.1.8.5
SCREENING DELLE COLONIE DH5α /pET-45/acsBac
Una volta cresciute le colonie, si valuta quella che è stata l‘efficienza del processo
di ligazione, osservando il numero delle colonie cresciute nella piastra di controllo.
Operando in condizioni di sterilità, si preleva dalla piastra di prova una colonia,
con il filo di platino, e si mette a crescere in 20 ml di terreno LB contenente 20 μl di
ampicillina in modo da favorire la crescita delle cellule che contengono il plasmide e
che presentano quindi il gene per la resistenza a questo antibiotico. Dopo 24 ore di
crescita in agitazione a 37°C, la coltura viene sottoposta al protocollo di purificazione
per l‘estrazione del plasmide previsto dal kit GenElute miniprep plasmid purification
(sigma), vista in precedenza. Dei 50 μl di soluzione contenente pET-45/acs, un‘aliquota
è stata sottoposta a digestione con gli enzimi di restrizione precedentemente utilizzati
per verificare quale delle colonie da noi scelte contenesse il vettore con l‘inserto.
La miscela di digestione è la seguente:
plasmide pET-45/acs
8 μl
buffer OPA 10x
2 μl
KpnI (10U/μl)
0,5 μl
SacI (10U/μl)
0,5 μl
52
Dopo un‘ora a 37°C, la stessa miscela viene sottoposta a corsa elettroforetica su
gel d‘agarosio allo 0‘8% .
Cloni 3 e 4 di pET-45/acsBAC, digeriti
e non con KpnI e SacI. (d, digerito).
Vengono scelti per i successivi passaggi, i cloni pET-45/acsBac3 e pET-45/acsBac4.
3.1.8.6
AMPLIFICAZIONE DEL VETTORE RICOMBINANTE
pET-45/acsBac3 E pET-45/acsBac4 IN CELLULE DH5α
Dei 4 cloni analizzati visti in precedenza scegliamo di amplificare i cloni 3 e 4.
Utilizziamo quindi il plasmide estratto da questi cloni per ritrasformare cellule DH5α
seguendo la stessa procedura già vista nel paragrafo 3.1.6.3. Il clone trasformato viene
prelevato e cresciuto in un terreno di coltura con selezione negativa.
Operando in condizioni di sterilità, prepariamo l‘inoculo, una pre-coltura,
operando nel seguente modo: si preleva dalla piastra una colonia con il filo di platino e
si mette a crescere in 10 ml di terreno LB contenente 10 μl di ampicillina (30 mg/ml).
Dopo 4-6 ore di crescita in agitazione a 37°C, versiamo i 10 ml di inoculo in una
beuta contenente 115 ml di terreno LB (precedentemente equilibrato a 37°C) e 115 μl
di ampicillina (100 mg/ml).
La coltura così ottenuta viene lasciata in agitazione a 37°C over night e in seguito
sottoposta al protocollo di purificazione per l‘estrazione del plasmide previsto dal kit
NucleoBond AX100 (Macherey-Nagel), visto in precedenza.
53
3.1.9
OTTENIMENTO DEL VETTORE pET-45/acsyeast
Una procedura identica è stata seguita anche per acsyeast, e il vettore ricombinante
pET-45/acsyeast, amplificato in cellule DH5α, è stato ottenuto e tuttora conservato per
un‘ulteriore serie di esperimenti. In questo lavoro, come detto in precedenza, verrà dato
risalto soprattutto ad acsBac, fornendo le informazioni salienti relative agli altri geni acs.
3.2
ESPRESSIONE DELLA PROTEINA RICOMBINANTE
I plasmidi purificati e controllati vengono utilizzati per trasformare cellule di
Escherichia coli appartenenti al ceppo BL21 Seguendo la stessa metodica prima
descritta per trasformare le cellule DH5α, utilizziamo 50 μl di cellule ed 1µl di:

pET-29/acsBac9

pET-29/acsyeast10

pET-45/acsBac clone3

pET-45/acsBac clone4

pET-45/acsyeast
Le cellule BL21 sono particolarmente adatte a tale scopo in quanto possiedono
un‘elevata capacità di sintesi proteica se stimolate con l‘induttore IPTG (isopropil-βtiogalattoside), un analogo del lattosio. Tale ceppo, infatti, contiene nel proprio genoma
il gene che codifica per la RNA polimerasi del fago T7, posto sotto il controllo
trascrizionale del promotore del lattosio (lac). Quando il batterio cresce in assenza di
lattosio o composti correlati, questo promotore è bloccato dal repressore lac, che
impedisce il legame dell‘RNA polimerasi batterica al promotore lac stesso e quindi la
trascrizione del gene sotto il suo controllo. Il vettore pET, inoltre, contenendo il
promotore di questo gene a monte del sito di inserzione, subisce una trascrizione
massiccia dell‘inserto ad opera della RNA polimerasi T7, a sua volta codificata da
cellule BL21 sottoposte a induzione con IPTG. Il gene codificante l‘RNA polimerasi
T7 è necessario perciò, per l‘espressione di inserti presenti nel vettore pET, che
contiene il promotore di questo gene.
In questo caso le cellule BL21/pET-45 trasformate vengono seminate su piastre
agar-LB contenente ampicillina (100 mg/ml) e lasciate incubare per 24 ore a 37°C.
Dopo la crescita delle colonie trasformate, l‘espressione della proteina è stata condotta
9
Il lavoro di espressione in pET-29 è stato completato con successo nel precedente lavoro
Il lavoro di espressione di pET-29/acsyeast è stato interrotto, poichè esprimeva un prodotto insolubile
10
54
utilizzando due brodi di coltura diversi: il YT, che è un terreno completo, e l‘M9 che è
invece un terreno minimale, ovvero a minima concentrazione di nutrienti.
3.2.1
ESPRESSIONE IN TERRENO YT
L‘espressione in terreno YT (16 g/l di triptone, 10 g/l di estratto di lievito, 5 g/l di
NaCl, pH 7,2) viene condotta nel modo seguente:
•
pre-inoculo con 10 ml di terreno LB (Luria Broth 10 g/l triptone, 5 g/l estratto
di lievito, 10 g/l NaCl, pH 7,5) contenente 10 μl di ampicillina11 (100 mg/ml);
•
crescita over night (o.n.) a 37°C;
•
inoculo dei 10 ml di coltura o.n. in 115 ml di terreno YT (16 g/l triptone, 10
g/l estratto di lievito, 5 g/l NaCl, pH 7.2) contenente 115 μl di ampicillina (100
mg/ml);
•
crescita per 2 ore a 30°C ;
•
controllo della densità ottica (O.D.), per verificare la curva di crescita (valore
ottimale di O.D. a 600 nm pari a 0.6-0.7);
•
aggiunta di IPTG isopropil-β-tio-galattoside, (induttore dell‘espressione
proteica) 0.5 mM finale pari a 50 μl IPTG 1M per beuta;
11
•
crescita per 5 ore dopo aggiunta di induttore;
•
centrifugazione a 5000 rpm per 10 minuti a temperatura ambiente;
Cellule BL21/pET-29 vengono seminate su piastre agar-LB contenenti kanamicina 30 mg/ml
55
La porzione precipitata dopo centrifugazione contiene la frazione cellulare
utilizzata per la successiva fase di estrazione e purificazione della proteina.
3.2.2
ESPRESSIONE IN TERRENO M9
Per l‘espressione in terreno minimale è stato seguito lo stesso protocollo visto nel
paragrafo precedente ( 3.2.1), con l‘unica variante rappresentata dal terreno, la cui
composizione standard (M9 5X), per 1 litro di soluzione, è la seguente:
Na2HPO4•2H2O
42,7 mg/ml
KH2PO4
15 mg/ml
NaCl
2,5 mg/ml
In un cilindro sterile sono stati preparati 250 ml di terreno minimale, aggiungendo
alla miscela di sali standard, altri componenti, come di seguito riportato:
•
M9 5x
50 ml
MgSO4 1 M
0,5 ml
CaCl2 1 M
25 μl
Basal Medium Eagle 100x (vitamine)
2,5 ml
NH4Cl 0,2 g/ml filtrato e sterile
1,25 ml
glicerolo 50% (v/v)
2,5 ml
H2O sterile
fino a 250 ml
di Volume finale
Questa miscela è stata in seguito divisa equamente in due beute da 300 ml ed in
ciascuna di questa sono stati aggiunti 125 μl di acido pantotenico 1M (precursore del
Coenzima-A), ottenendo così una concentrazione finale di 1 mM.
Le due beute si differenziano tra loro perchè in una sono stati aggiunti 1,25 ml di
acetato di sodio 1M (concentrazione finale 10 mM) e nell‘altra 2,5 ml di glucosio 20%
(w/v). Lo scopo è quello di verificare quale può essere l‘influenza di queste sostanze
sull‘espressione della proteina.
Al momento dell‘inoculo, in ogni beuta sono stati aggiunti 125 μl di ampicillina
100 mg/ml e 10 ml di pre-coltura. Dopo circa 2 ore, raggiunto il giusto valore di densità
ottica (0,6-0,8 O.D. a 600 nm), la coltura è stata indotta con IPTG . Una aliquota di
56
coltura è stata prelevata dopo 5 ore dall‘induzione, mentre la rimanente parte dopo 24
ore. Al termine dell‘induzione, la coltura è stata centrifugata a 5000 rpm per 10 minuti
a temperatura ambiente, i supernatanti scartati ed i precipitati utilizzati per l‘estrazione
della proteina.
3.2.3
ESTRAZIONE DELLA PROTEINA RICOMBINANTE
I precipitati ottenuti dopo la crescita e l‘induzione con IPTG, sono stati risospesi
in tampone NN 1X (Tris-HCl 20 mM pH 8.0, 100 mM NaCl) contenente 0,25% (v/v)
Triton-X100, un tensioattivo che permeabilizza la membrana cellulare, e 1 μM PMSF
(phenil-methyl-sulfonyl fluoride), inibitore delle proteasi cellulari. Nel caso in cui si
scelga di non procedere al passaggio di purificazione su colonne IMAC (utilizzate per
purificare proteine ricombinanti con His-tag) o nel caso in cui si purifica ACS
proveniente da BL21/pET-29, si utilizza tampone NEN 1X che presenta anche: EDTA
0,5 mM, chelante del Ca2+ e 5 mM DTT (ditiotreitolo), un agente riducente.
Ogni precipitato batterico derivante da 125 ml di brodo di coltura viene risospeso
in 5 ml di questa soluzione, sino ad ottenere una soluzione omogenea delle cellule.
La procedura di purificazione, sfrutta la disgregazione cellulare mediata da onde
ultrasoniche; il protocollo è il seguente:
•
Sonicare 6 volte per 20‘‘ con pause da 20‘‘(si lavora su ghiaccio per impedire
che il calore che si sviluppa durante la sonicazione denaturi la proteina);
•
Centrifugare a 10.000 rpm per 10‘ a 4°C;
•
Separare il supernatante dal precipitato;
•
Risospendere il precipitato in 5 ml di tampone NN 1X;
•
Sonicare nuovamente 3 volte per 20‘‘ su ghiaccio;
•
Centrifugare a 10.000 rpm per 10‘ a 4°C;
•
Trasferire il supernatante e riunirlo a quello ottenuto dalla precedente
sonicazione o lasciarlo separato per riunirlo in un secondo momento;
•
Risospendere il pellet ottenuto dalla seconda sonicazione in 5 ml di tampone
NN 1X;
Sia sul precipitato risospeso che sul supernatante si effettuano i prelievi per il
controllo elettroforetico.
57
3.2.4
ANALISI DELLA PROTEINA ESTRATTA
La proteina ACS così ottenuta, può subire o meno successivi passaggi di
purificazione, in funzione dell‘utilizzo. In questa fase del lavoro possiamo scegliere di
non procedere alla successiva purificazione su colonne IMAC e analizzare l‘estratto
proteico in tampone NN 1X, per avere un‘indicazione quantitativa della bontà dei
passaggi precedenti. Si analizza in elettroforesi SDS-PAGE al 10% di acrilamide.
Vengono così ottenuti e conservati i seguenti prodotti di sintesi:

ACSpET45/acsBAC3 cresciuto in YT (5h)

ACSpET45/acsBAC4 cresciuto in YT (5h)

ACSpET45/acsYEAST cresciuto in YT (5h)

ACSpET45/acsBAC3 cresciuto in M9 con acetato (5h)

ACSpET45/acsBAC4 cresciuto in M9 con acetato (5h)

ACSpET45/acsYEAST cresciuto in M9 con acetato (5h)

ACSpET45/acsBAC3 cresciuto in M9 con acetato (20h)

ACSpET45/acsBAC4 cresciuto in M9 con acetato (20h)

ACSpET45/acsYEAST cresciuto in M9 con acetato (20h)

ACSpET45/acsBAC3 cresciuto in M9 con glucosio (5h)

ACSpET45/acsBAC4 cresciuto in M9 con glucosio (5h)

ACSpET45/acsYEAST cresciuto in M9 con glucosio (5h)

ACSpET45/acsBAC3 cresciuto in M9 con glucosio (20h)

ACSpET45/acsBAC4 cresciuto in M9 con glucosio (20h)

ACSpET45/acsYEAST cresciuto in M9 con glucosio (20h)
A seguito dell‘estrazione per sonicazione, inoltre otterremo due sospensioni, una
corrispondente al supernatante ed una al precipitato, per ognuno dei prodotti di sintesi
sopra elencati, caratterizzate da una concentrazione differente di proteina nell‘una o
l‘altra fase. Si ritiene che l‘enzima, qualora attivo e funzionante, vada a trovarsi come
molecola solubile nel supernatante.
Tali prodotti proteici o enzimi putativi, ancora non sono stati accuratamente
screenati. Verrà valutata nella prossima sezione la loro presenza in fase solubile o nella
fase insolubile di aggregati. C‘è da considerare, infatti, che un enzima funzionante verrà
necessariamente a manifestarsi nella fase solubile a seguito della fase di estrazione
proteica, ovvero nel supernatante. Una prerogativa negativa, di alcuni sistemi di
espressione eterologhi, tuttavia, può essere la presenza della proteina ricombinante nel
precipitato. Questo aspetto, indesiderato, influisce ovviamente sulla concentrazione
58
dell‘enzima effettivamente utilizzabile e deriva da una non corretta espressione
proteica, associata a eventi di misfolding o denaturazione durante la sintesi stessa della
proteina.
←70
KDa
←70
KDa
Y
L
SY
SA
SG
PY PA
PG
3S
3P
4S
4P
Analisi SDS-PAGE di estratti proteici a seguito di sonicazione. (L) estratti di ACSYEAST.
S, supernatante; P, precipitato; Y, crescita in terreno YT; A crescita in terreno
M9+Acetato; G, crescita in terreno M9+glucosio. (Y) estratti di ACSBAC3 e ACSBAC4
cresciuti in terreno YT. 3, clone ACS3; 4, clone ACS4; S, frazione supernatante; P,
frazione precipitata.
←70
KDa
←70
KDa
G
3S
A
3P
4S
3S
4P
3P
4S
4P
Analisi SDS-PAGE di estratti proteici a seguito di sonicazione. (G) estratti di ACSBAC3 e
ACSBAC4 cresciuti in terreno M9+glucosio. 3, ACS clone 3; 4, ACS clone 4; S,
supernatante; P, precipitato; (A) estratti di ACSBAC3 e ACSBAC4 cresciuti in terreno
M9+acetato. 3, clone ACS3; 4, clone ACS4; S, frazione supernatante; P, frazione
precipitata.
59
Dall‘analisi elettroforetica, si notano le seguenti evidenze:

ACSYEAST risulta insolubile, indipendentemente dal tipo di terreno
utilizzato. Si nota una grossa banda all‘altezza di 70KDa nella frazione
precipitata, indice dell‘insolubilità della proteina12

I cloni ACSBAC3 e ACSBAC4 hanno un andamento che si ripete, ovvero,
l‘enzima del clone ACS3 risulta completamente solubile e presente nella
fase di supernatante, mentre il clone ACS4 mostra una presenza
dell‘enzima maggiore nella frazione insolubile (precipitato), rispetto a
quella di solubile (supernatante), dove è presente in minima parte.

Si nota come la migliore modalità di espressione sia in terreno M9
addizionato di acetato, che induce una espressione proteica leggermente
maggiore della crescita in YT. Il terreno M9 più glucosio, restituisce poca
proteina nella frazione solubile (supernatante).
Si sceglie così di valutare nuove condizioni di crescita, sviluppando la crescita
in terreno M9 più acetato. Vengono analizzati anche i diversi tempi di
induzione di sintesi con IPTG. L‘espressione in glucosio, risulta sempre di
minore entità rispetto a quella in acetato e scegliamo di non affrontare ulteriori
prove in merito.
←70
KDa
←70
KDa
3
S5
4
P5
S24
S5
P24
P5
S24
P24
Analisi SDS-PAGE di estratti proteici a seguito di sonicazione. Estratti di ACSBAC3 e
ACSBAC4 cresciuti in terreno M9+acetato. (3) ACS clone; (4) ACS clone 4;
5, induzione per 5 ore; 24, induzione per 24 ore; S, supernatante; P, precipitato.
12
Un completo lavoro di rinaturazione dell‘enzima ACS di lievito è stato sviluppato in un precedente lavoro.
60
Si possono notare le seguenti evidenze:

ACS3 esprime molta più proteina nella fase solubile rispetto alla fase
insolubile;

ACS3 esprime molta più proteina nella fase solubile di ACS4

ACS4 esprime molta più proteina nella fase insolubile, rispetto alla fase
solubile;

Portando i tempi di induzione da 5 ore a 24 ore, non si apprezza un
notevole aumento in sintesi proteica.
3.3
TECNICHE DI PURIFICAZIONE PROTEICA
Il principale vantaggio della purificazione è l‘ottenimento di una soluzione
proteica concentrata, priva di agenti interferenti quali sali, prodotti di degradazione
proteica, agenti ossidanti e riducenti utilizzati nelle precedenti fasi.
3.3.1
PRECIPITAZIONE IN SOLFATO D’AMMONIO
Rappresenta la principale tecnica di purificazione grazie alla sua semplicità. Nel
nostro lavoro ha trovato largo impiego soprattutto nella purificazione dell‘ACS
prodotta da BL21/pET-29/acsBac come unica forma di purificazione, seguita da
passaggio in colonna cromatografica a scambio ionico. L‘intera procedura risulta
piuttosto lunga, per questo si è passati a tecniche più immediate sfruttando il tag di
istidine del pET-45. Ricapitoliamo tali passaggi:
Sul supernatante BL21/pET-29/acs abbiamo effettuato una precipitazione in
solfato d‘ammonio. Si effettua un primo frazionamento (salting in) al 35% di
saturazione:
•
Si aggiungono 209 mg/ml di solfato d‘ammonio;
•
La soluzione si tiene in agitazione 1h a 4°C;
•
Si centrifuga a 10.000 rpm per 10‘;
In questo modo molte proteine che non ci interessano vengono allontanate nel
precipitato mentre l‘ACS ricombinante si trova nel supernatante.
Successivamente aggiungiamo al supernatante solfato d‘ammonio fino ad una
concentrazione del 60% (salting out):
•
Si aggiungono 181 mg/ml di solfato d‘ammonio;
•
La soluzione si tiene in agitazione 1h a 4°C;
61
•
Si centrifuga a 10.000 rpm per 10‘;
Il supernatante è stato scartato mentre il precipitato contenente la proteina
d‘interesse è stato solubilizzato in 5 ml di tampone NEN 1X.
grafico che mostra l‘andamento della
solubilità delle proteine in funzione
della
concentrazione
di
sali
in
soluzione
Il precipitato del salting out risospeso in 5 ml di tampone NEN 1X, è stato
dializzato per 72 ore in tampone 20mM Tris/HCl pH 8,0, 20 mM NaCl che è stato
sostituito con tampone fresco dopo le prime 24 h. Lo scopo della dialisi è quello di
allontanare l‘eccesso di sali che possono interferire con i successivi passaggi di
purificazione.
Dopo la dialisi il campione viene infatti sottoposto ad un ulteriore passaggio di
purificazione su colonna cromatografica a scambio ionioco HIGH Q (5 ml di resina
anionica forte) della BioRad.
La resina viene pre-equilibrata con lo stesso tampone usato per la dialisi (20 mM
Tris/HCl pH 8,0, 20 mM NaCl).
La proteina è stata eluita con gradiente lineare da 20 mM NaCl a 1M NaCl con
flusso di 1ml/min per 60 minuti.
Dopo la cromatografia l‘enzima è stato concentrato con una seconda
precipitazione in solfato d‘ammonio al 60%.
Sull‘intero processo di purificazione sono stati fatti controlli elettroforetici in
SDS-PAGE effettuando prelievi sui supernatanti e i precipitati provenienti dalla
sonicazione e dalla precipitazione in solfato d‘ammonio e sulle frazioni eluite dalla
colonna cromatografica.
62
3.3.2
PURIFICAZIONE DELLA PROTEINA CON HIS-TAG
La proteina da noi ottenuta, proveniente da BL21/pET-45/acs presenta
all‘estremità N-terminale un tag di istidine che ne consente la purificazione in un unico
passaggio cromatografico su colonne IMAC, colonne con ioni nichel immobilizzati.
In particolare, la resina da noi utilizzata è la Ni-NTA Agarose (nichel
nitrilotriacetic acid) della Quiagen (Figura 3 17) che ha una capacità di legame pari a 810 mg/ml, ossia 8-10 mg di proteina su ml di gel paccato.
Le colture cellulari precedentemente indotte con IPTG vengono lisate attraverso
sonicazione con le modalità descritte nel paragrafo 3.2.3, utilizzando tampone di
risospensione NN 1X, invece che NEN 1X. Utilizziamo il tampone NN 1X (Tris-HCl
20 mM pH 8.0, 100 mM NaCl), perchè, a differenza del tampone NEN 1X visto in
precedenza, non contiene DTT ed EDTA, molecole che risultano entrambe
incompatibili con le colonne IMAC a causa della loro azione rispettivamente riducente
e chelante nei confronti dello ione nichel.
50 ml di tampone di risospensione contengono:
tampone NN 10X (pH=8)
5 ml
Triton 10% (v/v)
500 μl
PMSF 0,1 M
40 μl
H2O
fino a 50 ml
di Volume totale
Il supernatante ottenuto dalla sonicazione (lisato grezzo) viene chiarificato
attraverso centrifugazione e di seguito caricato su colonna cromatografica.
Un passaggio essenziale, in questa fase del lavoro, è l‘attivazione della colonna
IMAC, ripristinando il Ni2+, naturalmente soggetto a ossidazione
a seguito di
precedenti passaggi cromatografici. Per far ciò di prepara una soluzione rigenerante
(NiSO4 · 6H2O 0,1 M ) da conservare e riutilizzare per riequilibrare la colonna dopo il
passaggio di ogni soluzione proteica.
63
Rappresentazione della struttura di una resina costituita da una matrice polimerica di
agarosio attivata, in cui vengono messi in evidenza i sei legami che lo ione Ni2+, stabilisce
nella formazione di un complesso di coordinazione a geometria ottaedrica. Le sei
posizioni di coordinazione sono occupate dai doppietti elettronici presenti sugli atomi di
ossigeno dei gruppi carbossilici della resina attivata e degli atomi di azoto degli anelli
imidazolici della proteina ―taggata‖.
Si è scelto, naturalmente, di passare in colonna dopo sonicazione solo le soluzioni
corrispondenti al supernatante di ACSBac3 e ACSBac4, poichè nel supernatante di
lievito, non si identifica una frazione proteica delle dimensioni di ACS. Vengono così
scelte le frazioni:

ACSpET45/acsBAC3 cresciuto in YT (5h)

ACSpET45/acsBAC4 cresciuto in YT (5h)

ACSpET45/acsBAC3 cresciuto in M9 con acetato (5h)

ACSpET45/acsBAC4 cresciuto in M9 con acetato (5h)

ACSpET45/acsBAC3 cresciuto in M9 con acetato (20h)

ACSpET45/acsBAC4 cresciuto in M9 con acetato (20h)

ACSpET45/acsBAC3 cresciuto in M9 con glucosio (5h)

ACSpET45/acsBAC4 cresciuto in M9 con glucosio (5h)

ACSpET45/acsBAC3 cresciuto in M9 con glucosio (20h)

ACSpET45/acsBAC4 cresciuto in M9 con glucosio (20h)
64
Il protocollo di purificazione, a questo punto prevede i seguenti passaggi:
•
Si carica la resina sulla colonna e si lava con abbondante acqua al fine di
eliminare l‘etanolo normalmente presente al momento dell‘acquisto come
agente conservante;
•
Qualora ve ne sia la necessità, la resina può essere rigenerata utilizzando la
soluzione di solfato di nichel 0,1 M a cui segue un secondo lavaggio con
acqua, (la colonna rigenerata in cui è presente il nichel assume una
caratteristica colorazione azzurrina);
•
La colonna viene equilibrata con tampone NN 1X;
•
Si carica il campione e si conserva la frazione eluita ―non affine‖;
•
Si effettua un primo lavaggio con tampone NN 1X fino al completo ―washout‖;
•
Si effettua una unica eluizione con una soluzione di imidazolo 0,5 M pH 7,0 al
fine di dissociare dalla resina la proteina di interesse13.
Le differenti frazioni proteiche ottenute e purificate, vengono eluite in un volume
di 1 mL finale di imidazolo 0,5 mM, ed è ritenuto conveniente un passaggio di
precipitazione in solfato di ammonio, secondo il protocollo visto al paragrafo 3.3.1.
Questa volta facciamo un‘unica precipitazione al 60% di solfato di ammonio, per
allontanare l‘imidazolo presente al termine del passaggio in colonna. Il passaggio in
dialisi è opzionale in questa fase del lavoro; il solfato di ammonio infatti, non va ad
intaccare la bontà dei successivi passaggi di valutazione dell‘attività enzimatica, e può
quindi rimanere nella soluzione di enzima ACS come contaminante non dannoso Il
precipitato così ottenuto viene risospeso in 0,5 ml di tampone NN1X addizionato dei
seguenti componenti.
DTT 1M (5mM finale)
25 µl
ATP 0,1M (2mM finale)
100 µl
Sodio Acetato 0,4M (2,5 mM finale)
30 µl
Coenzima-A (10µM finale)
15 µl
13
E‘ anche possibile fare un primo passaggio con imidazolo 5mM pH 7,0 per dissociare le proteine che legano
più debolmente e analizzare tale frazione. Tale passaggio risulta essere opzionale.
65
Viene allestita un analisi elettroforetica in SDS-PAGE con acrilamide al 10% per
controllare l‘avvenuta purificazione:
←70
KDa
←70
KDa
3
4
A5
A24
G5
G24
YT
A5
A24 G5 G24 YT
Analisi SDS-PAGE dopo passaggio su colonna IMAC e precipitazione in solfato d‘ammonio. (3)
ACS3; (4) ACS4. A, crescita in terreno M9+Acetato; G, crescita in terreno M9+Glucosio; YT,
crescita in terreno YT; 5, 5 ore di induzione; 24, 24 ore di induzione
Come da indicazione ottenuta dopo il passaggio di sonicazione, le evidenze che
possiamo riscontrare sono:

La crescita in M9 addizionato di acetato, restituisce un prodotto più puro e
in quantità maggiore in ogni caso, rispetto all‘equivalente crescita in M9 e
glucosio o in YT;

Non si notano evidenti differenze nella quantità di proteina espressa,
variando i tempi di induzione;

La proteina ACS3 risulta essere sempre quella maggiormente espressa.
L‘enzima, in questa forma, può essere utilizzato per la misura dei livelli di acido
acetico, sfruttando sia il test colorimetrico che enzimatico descritti nei paragrafi
successivi.
ALLESTIMENTO DI SAGGI DI ATTIVITA’ SPECIFICI
3.4
Vengono condotti sulle varie soluzioni di ACS ottenute, i seguenti saggi atti a
valutare l‘attività specifica dei diversi prodotti proteici:

Saggio colorimetrico

Saggio enzimatico
66
Il saggio colorimetrico è un saggio indiretto, che valuta in maniera specifica la
presenza di acetato, risultando in un buon test indicativo, ma sensibile anche all‘utilizzo
di acetil-fosfato come substrato. Il test enzimatico, invece, è quello che realmente verrà
utilizzato a fini analitici nell‘industria. Conoscendo il titolo in acetato della soluzione, e
note le altre componenti di tali test, possiamo valutare l‘attività dell‘enzima ACS.
3.4.1
SAGGIO COLORIMETRICO
Questo saggio (71) si basa sulla reazione tra acetil-CoA e idrossilammina che
porta alla liberazione di CoA e acido idrossammico; questo composto può essere
determinato spettrofotometricamente dopo che ha reagito con cloruro ferrico (FeCl3), in
quanto origina idrossammato ferrico che ha una colorazione rosso-arancio.
Le soluzioni richieste sono:
200 mM Tris/HCl (3,15 g/100 ml)
portato a pH 8,1 con 20% KOH
100 mM MgCl2•6 H2O (2,03 g/100 ml)
400 mM acetato di sodio triidrato (5,44 g/100 ml)
3,33 mM CoA sale di litio (2,56 mg/100 ml)
100 mM ATP sale di sodio (55,15 mg/100 ml)
2M FeCl3 (2,5 g/100 ml di HCl)
Idrossilammina cloridrato 1M
uguali volumi di NH2OH•HCl 2M (139 mg/ml) e KOH 2M (56,1 mg/ml)
1M DTT
67
Per eseguire il saggio è stato preparato anche un bianco: stessi componenti della
prova, ma assenza del substrato Co-A.
Ad ogni miscela così preparata sono stati aggiunti 10 µl della proteina da
saggiare; la reazione è fatta avvenire a 37°C per 20‘, trascorsi i quali viene bloccata
mediante l‘aggiunta di 500 µl di FeCl3; si vedrà, a questo punto, un viraggio del colore
dal trasparente al rosso-marrone per la formazione dell‘idrossammato ferrico. Si
centrifuga a 10.000 rpm per 10‘ a RT e si effettua una lettura spettrofotometrica del
supernatante a 520 nm. Per la determinazione quantitativa è stato utilizzato un
coefficiente di estinzione ε 1 mM a 520 nm pari a 0,2.
Volume (µl)
PROVA
BIANCO
Tris/HCl
125
125
NH2OH
50
50
MgCl2
25
25
acetato di sodio
25
25
coenzima A
50
—
ATP
50
50
H2O
162,5
212,5
DTT
2,5
2,5
TOTALE
490
490
Lettura 1
Lettura 2
Precipitato
Perdità attività
a 24 ore
ACS3
0,589
0,303
Si
Dopo 7 cicli
ACS4
0,433
0,194
Si
Dopo 5 cicli
68
Si possono estrapolare le seguenti informazioni:

l‘enzima ACS3 è più attivo di ACS4

Entrambi mostrano del precipitato dopo 24 ore a 4°C, indice di
degradazione della proteina se non opportunamente congelata

Una apprezzabile perdita di attività si manifesta dopo alcuni cicli di
congelamento e scongelamento (da -20°C a Tamb)

Più in generale possiamo notare come ACS3 manifesti molta più proteina
nella fase solubile e sia in effetti più attiva, mentre ACS4 che ne manifesta
di meno, risulta essere leggermente meno attiva.
3.4.2
SAGGIO ENZIMATICO
Il test enzimatico (72) misura la formazione di NADH a partire dall‘ossidazione
di malato ad ossalacetato ad opera della Malato deidrogenasi. L‘ossalacetato
condensa con l‘acetil-CoA a formare citrato grazie all‘azione della Citrato sintasi.
Lo step limitante la reazione è, quindi, l‘attività dell‘acetil-CoA sintetasi, che
agisce trasferendo il gruppo acetile dall‘acido acetico al CoA.
Il kit contiene:
•
128 mM TEA buffer pH 8,4;
•
Liofilo (3,2 mM MgCl2, 9,6 mM L-Malato, 1,1 mM NAD+, 2,7 mM ATP,
0,28 mM CoA);
•
32 mM acetato di sodio;
•
Miscela con 15,7 U/ml Citrato sintasi, 12 U/ml L-Malato deidrogenasi
(MDH/CS);
In una cuvetta da 3 ml si aggiungono:
Liofilo
2 ml
precedentemente disciolto in 20 ml di TEA buffer
MDH/CS
50 µl
Acetato di sodio
20 µl
ACS
50 µl
69
La variazione di assorbanza dovuta alla formazione di NADH è stata registrata in
due differenti modi:
1
seguendo in maniera continua l‘andamento della reazione per 500‖ a 25°C
fino al raggiungimento del plateau;
2
effettuando letture della ΔOD ad intervalli di 5‘ con una incubazione a 37°C.
E‘ stato successivamente possibile analizzare gli aspetti di attività e
concentrazione proteica, in maniera più dettagliata, utilizzando una preparazione
di ACS3, a differenti tempi di induzione proteica, confrontata con l‘ACS
commerciale, già venduta e presente sul mercato.
I test mostrano i seguenti risultati che si riferiscono a preparazioni di enzima
ripreso in 5 ml di tampone ottenuto da 1 litro di coltura a diversi tempi di
induzione; per confronto sono riportati i valori relativi all‘enzima commerciale
impiegato nel kit:
Acs
Acs
Acs
Campioni testati
5 ore
20 ore
comm.
Concentrazione (mg/ml)
7,5
10
15
Resa (mg/litro)
37,5
50
-
Solubilità (dopo cong./scong.)
Solub.
Torb.
Solub.
3,5
2,3
1,0
Attività specifica
acetato consumato espresso in μmoli /mg/min
Risulta noto come ACS a tempi di induzione compresi tra le 5 ore e le 20 ore
risulta essere più attiva, restituendo un prodotto in ogni caso altamente
concentrato. Rispetto all‘ACS commerciale già presente, il nostro enzima risulta
essere più attivo, e quindi potenzialmente concorrenziale.
70
PARTE QUARTA
RISULTATI E DISCUSSIONI
Il principale obbiettivo del nostro lavoro, è stato l‘ottenimento di un enzima
Acetil Co-A sintetasi funzionante, con un attività specifica superiore a quello di E.coli,
ottenuto con successo ma scarsamente attivo, nei lavori passati. La necessità di
esprimere tale proteina, risiede nel suo utilizzo a livello diagnostico, dove può essere
integrata in un kit enzimatico, atto a valutare la presenza di acetato nel vino e in tutte le
bevande sottoposte a fermentazione alcolica. La presenza di tale molecola, infatti, nella
recente normativa deve essere limitata a 1 g/l nel vino, e più in generale a 1/10 del
grado alcolico per bevande con gradazione superiore a 10°C.
Esiste già un distillatore in corrente di vapore, l‘acidimetro Jozzi, che svolge tale
misurazione, ma risulta essere macchinoso, non molto sensibile e suscettibile anche a
substrati acidi diversi dall‘acetato, normalmente presenti nel vino. C‘è da considerare,
infatti, come il vino sia una bevanda altamente complessa, in cui il bilancio tra 800
composti diversi, regola e definisce gli aspetti di sapore, astringenza, acidità, grado
zuccherino.
Esistono sistemi di rilevazione di tutte queste componenti, ma l‘attenzione
legislativa si è concentrata sull‘acetato, in quanto composto dotato di tossicità. Tale
molecola può, in concentrazioni superiori al 5% essere considerata a tutti gli effetti un
bronco convulsivo, causando nausea, vomito e bronco costrizione. Per titoli in acetato
superiori, poi, si è soggetti a intossicazione respiratoria e alimentare. Si è cercato,
quindi di definire in maniera stringente i limiti della presenza in acido acetico, oltre che
per l‘aspetto prettamente clinico, anche per non intaccare la qualità della bevanda vino,
in cui il classico retrogusto in acetato, è indice di degradazione della bevanda stessa. Il
raggiungimento di standard qualitativi elevati nel vino, è da sempre una prerogativa del
mercato agro-alimentare italiano, e in questa accezione, risulterebbe in un grande danno
economico, intaccare la qualità della bevanda, evitando di monitorare costantemente la
presenza di acetato.
L‘enzima ACS da noi espresso, quindi, può ovviare a questi aspetti, certamente
poco graditi, associati alla fermentazione acetica, naturale conseguenza di quella
alcolica. Microorganismi del genere Acetobacter, possono in determinate condizioni,
sviluppare potentemente una fermentazione acetica, utilizzando glucosio ed etanolo
come fonti di carbonio, per restituire acetato nell‘ambiente extracellulare. Le condizioni
71
di reazione, sono presenza in ossigeno e un titolo in etanolo intorno al 10%, condizioni
che naturalmente si sviluppano durante la fermentazione del vino.
A livello molecolare, lo ―switch acetato‖ racchiude un‘importante serie di
meccanismi metabolici, in cui la presenza in acetato intra ed extra cellulare, governa
l‘attivazione di molti sistemi enzimatici. L‘acetato infatti, è considerato dal punto di
vista della cellula, come una molecola modestamente energetica, sicuramente meno
energetica del glucosio o dell‘etanolo, ma che può subire ulteriori cicli di ossidazione
associati a reazioni esoergoniche. Esiste quindi una prima forma di utilizzo dei substrati
cellulari glucosio e carboidrati in genere, che sussiste nel normale ciclo glicolitico e
ciclo TCA, in cui il passaggio da piruvato a acetil Co-A, può essere o meno associato a
fermentazione. Nel caso in cui la reazione avvenga in condizioni ipossiche o in elevate
condizioni riducenti (rapporto NADH / NAD+ alto), o in elevate concentrazioni di
prodotti acidi (acetato, malato, ossalacetato), la cellula può scegliere un meccanismo di
acetogenesi, in cui recupera parte del potenziale riducente NAD+ e in contemporanea
espelle all‘esterno l‘acetato stesso (dissimilazione), in maniera tale da ripristinare le
condizioni fisiologiche che conducono al completamento del ciclo TCA. D‘altro canto,
nelle condizioni opposte, ovvero, scarsa presenza di fonti carboniose intracellulari,
deficit da substrati, deficit da NAD+ , la cellula attiva meccanismi di assimilazione
dell‘acetato precedentemente rilasciato all‘esterno, da utilizzare come fonte energetica.
Esiste quindi, un delicato equilibrio nel mantenimento dell‘omeostasi dell‘acetato, e del
metabolismo energetico, governato dall‘azione di due sistemi enzimatici opposti
PTA/ACKA e ACS, l‘enzima di interesse. L‘indagine molecolare su ACS, pur non
essendo direttamente collegata allo sviluppo della proteina ricombinante, ci è servito
per identificare quelle che possono essere le condizioni migliori di espressione nel
sistema E.coli. Il complesso meccanismo di induzione dell‘espressione genica e dei
promotori della trascrizione, è regolato non solo meccanismi di feedback da eccesso di
prodotti e di substrati, ma anche dalla complessa serie di condizioni ambientali esterne,
ovvero temperatura, pressione, composizione glucidica e proteica del terreno di coltura.
Partendo, quindi da tali considerazioni, abbiamo pianificato il nostro lavoro in 4
parti da sviluppare in maniera sequenziale, rispettivamente:
1
Identificazione, isolamento e clonaggio del gene acsBAC
2
Espressione in un sistema eterologo
3
Purificazione e caratterizzazione della proteina ricombinante
4
Allestimento di saggi di attività specifici
72
La sequenza genica di interesse, nella prima fase del lavoro, è quella di Bacillus
subtilis, sequenza di 1869 bp, già caratterizzata e presente nei database EMBL e
GENBANK. Sono stati quindi progettati dei primer oligonucleotidici idonei per la
prima reazione di PCR, in cui si è solamente amplificata la porzione genica a partire da
librerie dell‘intero genoma. I primers così formulati hanno una lunghezza di circa 30
nucleotidi, che consente un appaiamento stabile con il DNA parentale. Il calcolo della
temperatura di melting (Tm) definita come la temperatura alla quale la metà del DNA in
soluzione si trova nello stato a doppia elica e la metà in quello denaturato, è calcolata
seguendo una formula empirica:
 Tm = 64.9°C + 41°C x [%(G+C)] – N/500
Dove G e C sono rispettivamente il contenuto in guanine e citosine, mentre N è il
numero totale di basi. Egualmente importante risulta essere la temperatura di annealing
(Ta) , a cui avviene l‘appaiamento tra filamenti singoli di DNA. In PCR è necessaria per
mediare un corretto appaiamento tra oligonucleotidi e DNA templato, prima che la Taq
Polimerasi catalizzi la fase di elongazione. La versione della Taq polimerasi utilizzata
in questa fase è l‘AccuTaq, DNA-polimerasi termostabile specifica per le reazioni di
PCR, con attività polimerasica 5‘ → 3‘ e attività proof reading 3‘→ 5‘, con associata
attività esonucleasica. La velocità catalitica è circa 60 nt/sec e la fedeltà è maggiore
della semplice Taq polimerasi, ovvero 1 nt errato ogni 106 nt incorporati, contro 1 su
104 della Taq. La fedeltà di copia del DNA parentale, è uno step cruciale, che andrà poi
a influire sull‘espressione di un prodotto funzionante.
Controllata la congruenza del
frammento amplificato, con le dimensioni attese, si è passati a una seconda serie di
reazioni di PCR, in cui l‘obbiettivo era introdurre dei siti di restrizione terminali al 5‘ e
3‘ dell‘amplificato. Vengono quindi progettati e utilizzati dei primer che presentassero
al loro interno le sequenze nucleotidiche specifiche NcoI e EcoRI. Nella seconda PCR,
inoltre si imposta la Ta su valori più bassi, poichè diminuisce il livello di
complementarietà tra oligonucleotidi e templato, a causa dell‘introduzione dei siti di
restrizione che non esistono nel DNA parentale ovvero il DNA prodotto dalla prima
PCR. Diminuendo la Ta, quindi, si aumenta la stabilità dell‘appaiamento e diminuisce
la probabilità di associazioni non corrette.
I siti scelti per Bacillus sono Nco e EcoRI, sequenza nucleotidiche non presenti
all‘interno del gene stesso, e quindi uniche. L‘unicità di tali sequenze è stata importante
nella fase successiva alla seconda PCR, ovvero la digestione enzimatica ad opera delle
73
endonucleasi di restrizione, rispettivamente NcoI e EcoRI, passaggio atto a creare dei
siti terminali noti nel frammento genico da noi amplificato e purificato con il kit
commerciale MiniElute Gel Extraction della Quiagen.
Importante risulta quindi essere il passaggio catalizzato dalle endonucleasi di
restrizione o deossoribonucleasi. Tali enzimi riconoscono una sequenza consuensus di
circa 8 basi, all‘interno della doppia elica di DNA da digerire, differente per ogni
enzima. Il successivo passaggio è l‘idrolisi tra due nucleotidi prossimali a livello del
gruppo fosfato al 5‘, restituendo di fatti, due frammenti di DNA. Tali enzimi
riconoscono come target, delle sequenze palindromiche, ovvero identiche se lette
secondo la stessa polarità nei due filamenti, ed operano un taglio nucleotidico allo
stesso livello dei due filamenti. Per tale motivo, gran parte delle endonucleasi sono
dimeri che restituiscono dei frammenti di DNA definiti con estremità coesive o ―sticky
ends‖.
La tecnica da noi scelta è stata quella della doppia digestione, con successiva
purificazione dell‘amplificato processato e digerito, da gel di agarosio, utilizzando kit
commerciali. Sono state poi valutate le dimensioni della banda, che corrispondevano a
quelle attese.
Un identico lavoro di digestione è stato fatto per la preparazione del vettore di
espressione. Nella prima serie di lavori, ci siamo concentrati sul vettore pET-29. Il
pET-29 è un plasmide facilmente lavorabile, caratterizzato da un sito multiplo di
clonaggio (MCS), un gene per la resistenza all'antibiotico kanamicina (kan), un origine
autonoma di replicazione(ori) e un promotore specifico per la RNA-polimerasi del fago
T7 che opera il controllo trascrizionale.
Il prodotto enzimatico ACS proveniente da pET-29/acsBAC è stato soddisfacente
in termini di resa e di attività, ma ha necessitato di un lungo lavoro di purificazione. Si
è scelto così di passare all‘utilizzo di un altro vettore, che potesse ottimizzare la fase di
estrazione e purificazione proteica.
Nella seconda serie di lavori, è stato perciò utilizzato il vettore plasmidico di
espressione pET45-b che condivide le caratteristiche comuni ai pET, ovvero una
resistenza all‘antibiotico, fornito dal gene ampR, un MCS, target dell‘azione di molte
endonucleasi di restrizione, un‘origine autonoma di replicazione (ori) e un promotore
specifico per la RNA-polimerasi del fago T7 per il controllo trascrizionale. Il pET45,
poi è largamente usato nella produzione di enzimi ricombinanti perchè, oltre ad essere
facilmente lavorabile, presenta anche una regione prossima al sito di inserzione, che
74
traduce per una coda di istidine, la quale fornisce la proteina ricombinante espressa, di
un TAG di istidine (His-tag) che trova impiego nella successiva fase di purificazione
proteica.
In questa porzione di lavoro, l‘ottenimento del gene acs non è passato attraverso
la reazione di PCR, bensì tramite digestione del vettore pET-29/acs utilizzando gli
enzimi di restrizione KpnI e SacI, e successiva purificazione del frammento genico con
il kit Hiyeld RBS Realgenomics.
L‘utilizzo dei suddetti enzimi, rimane necessario perchè il sito di clonazione
multipla del pET-45, non contiene il sito EcoRI, mentre NcoI è posto a valle della
porzione che traduce per His-tag, e quindi è inutilizzabile ai nostri scopi.
Il passaggio successivo è stata la ligazione, attività catalizzata dalla T4 ligasi, tra
il vettore e l‘inserto acs opportunamente digeriti con i medesimi enzimi di restrizione,
ovvero KpnI e SacI. Il costrutto genico prodotto, è in via teorica un vettore di
espressione maturo, e la conferma di ciò, si effettua dopo un passaggio di
trasformazione e screening delle colonie di trasformato.
Con la trasformazione, il plasmide contenente il gene acs (pET-45/acsBac) è stato
introdotto all‘interno di cellule batteriche del ceppo DH5α, ceppo caratterizzato da
un‘elevato tasso di crescita e quindi di amplificazione plasmidica. La trasformazione
con shock termico è una tecnica moderatamente efficiente, definita a bassa frequenza di
trasformanti, in cui si procede a un rapido passaggio in bagnetto termostatato a 37°C,
dopo una fase a 4°C. Nella prima fase di passaggio in ghiaccio, si sfrutta l‘associazione
che si instaura tra il CaCl2 utilizzato come componente della soluzione di
conservazione di cellule DH5α e la membrana plasmatica di tali cellule, risultando
nell‘adsorbimento dello ione Ca2+ sulla membrana e la genesi di un dipolo a parziale
carica positiva che avvolge le cellule. Questa carica positiva guida l‘avvicinamento del
pET-45/acsBac , a parziale carica negativa fornita dai gruppi fosfato del DNA, grazie a
deboli interazioni ioniche e dipolari, e consente una avvicinamento sterico tra plasmide
e cellula. Durante il rapido passaggio a 37°C, si formano delle momentanee rotture
nella plasmamembrana, che facilitano l‘ingresso e acquisizione del vettore.
Successivamente si procede ad una fase di semina su piastre agar e ampicillina.
L‘informazione che ci viene data dalla piastra di controllo è solo di carattere
statistico, e serve sostanzialmente per valutare se
intervenire su un processo di
ligazione scarsamente efficace, al fine di aumentare la probabilità di avere colonie di
cloni ricombinanti nella piastra di prova. Per avere delle certezze, cioè per valutare
75
quale di queste contenga effettivamente il plasmide ricombinante, dobbiamo effettuare
uno screening. A tal fine, alcune colonie della piastra di prova vengono scelte a caso ed
utilizzate per la preparazione di colture da cui verranno in seguito estratti i plasmidi da
analizzare. I plasmidi ricombinanti, dopo digestione, restituiscono due bande, una
realtiva al plasmide senza inserto, e l‘altra relativa all‘inserto. Le dimensioni risultano
quindi compatibili con quelle attese, e si sceglie sulla base delle dimensioni, quale
colonia portare avanti nella successiva fase di espressione proteica.
Nel nostro lavoro, abbiamo scelto di portare avanti l‘espressione dei prodotti delle
colonie 3 e 4, rispettivamente pET-45/acsBAC3 e pET-45/acsBAC4.
La seconda serie di esperimenti, ha come obbiettivo la produzione dell‘enzima
funzionante in un sistema eterologo. Nel nostro caso, ottenuti i vettori pET-45/acsBAC3
e pET-45/acsBAC4, che di seguito verranno identificati come ACS-3 e ACS-4, abbiamo
cercato di performare un sistema di espressione in cellule di coli, BL21. L‘utilizzo di
tale ceppo non è casuale, infatti, le cellule BL21 sono particolarmente adatte a tale
scopo in quanto possiedono un‘elevata capacità di sintesi proteica se stimolate con
l‘induttore IPTG (isopropil-β-tiogalattoside), un analogo del lattosio. Tale ceppo,
infatti, contiene nel proprio genoma il gene che codifica per la RNA polimerasi del fago
T7, posto sotto il controllo trascrizionale del promotore del lattosio (lac). Quando il
batterio cresce in assenza di lattosio o composti correlati, questo promotore è bloccato
dal repressore lac, che impedisce il legame dell‘RNA polimerasi batterica al promotore
lac stesso e quindi la trascrizione del gene sotto il suo controllo. Il vettore pET, inoltre,
contenendo il promotore di questo gene a monte del sito di inserzione, subisce una
76
trascrizione massiccia dell‘inserto acs ad opera della RNA polimerasi T7, a sua volta
codificata da cellule BL21 sottoposte a induzione con IPTG. Il gene codificante l‘RNA
polimerasi T7 è necessario perciò, per l‘espressione di inserti presenti nel vettore pET,
che contiene il promotore di questo gene.
Anche in questo caso, la tecnica scelta per la trasformazione, è quella dello shock
termico, e successiva semina su piastre agar e ampicillina per la selezione negativa.
Successivamente si procede al prelievo di una colonia dalla piastre
pET-45/acsBAC3 e pET-45/acsBAC4 e si favorisce una crescita in terreno di coltura e
antibiotico ampicillina.
Il terreno di elezione, scelto per il preinoculo è il Luria Broth (LB) composto da
10 g/l triptone, 5 g/l estratto di lievito, 10 g/l NaCl, pH 7,5.
Le condizioni scelte per la crescita prevedono una prima fase detta pre inoculo in
LB, in cui si lavora su piccola scala. In questa fase si favorisce una crescita lenta della
cellula che si ―adatta‖ al nuovo tipo di terreno, fino ad arrivare ad una fase di plateau
sulla curva di crescita, in cui tutti i nutrienti sono esauriti e non si ha più un elevato
livello di duplicazione cellulare; tale crescita viene condotta over night. Si procede,
quindi, all‘inoculo vero e proprio su scala media, trasferendo la frazione cellulare del
preinoculo in beute con altro terreno e antibiotico, stimolandone nuovamente la crescita
77
e duplicazione. Questa fase di crescita è stata da noi monitorata, calcolando la densità
ottica cellulare ed evitando di raggiungere concentrazioni troppo alte di cellule in
coltura. C‘è da considerare come in questa porzione di esperimenti, l‘interesse sia
quello di favorire una successiva produzione proteica, in cui ogni cellula non vada
incontro a deficit di nutrienti e che possa attivare normalmente il proprio metabolismo
proteico. Le colture vengono interrotte dopo circa 3 ore di crescita, a livelli di OD pari
a 0.6 alla lunghezza d‘onda di 600 nm e indotte con IPTG (isopropil-β-tio-galattoside),
attivatore della sintesi proteica mediata dall‘operone lac.
Abbiamo scelto di sperimentare la crescita cellulare in due brodi diversi,
rispettivamente il terreno YT (16 g/l triptone, 10 g/l estratto di lievito, 5 g/l NaCl, pH
7.2), caratterizzato da un‘elevata frazione aminoacidica, e quindi idoneo per la sintesi
proteica, e il terreno M9, a minime concentrazioni di nutrienti, arricchito in sali
minerali e vitamine (composizione molecolare riportata nei materiali e metodi).
Da un punto di vista della crescita cellulare, il terreno YT fornisce alla cellula
tutte i nutrienti necessari e già biodisponibili. Lo ―sforzo metabolico‖ cellulare, quindi,
risiede nella sola produzione dell‘enzima, a partire da aminoacidi e coenzimi già forniti.
Il terreno M9 invece, spinge la cellula a produrre aminoacidi e attivare i circuiti
anabolici di produzione delle componenti nutritive, eccezion fatta per le vitamine,
indispensabili alla crescita. Il tutto si tradurrà in un maggiore ―sforzo metabolico‖ e
sintesi proteica indotta più lentamente.
Una analisi prettamente economica, però, sollecita l‘utilizzo del terreno M9, in
quanto meno costoso del YT, aspetto questo da tenere in considerazione nell‘ambito
dell‘utilizzo industriale di tale enzima.
Sono state performate, relativamente al terreno M9, varie modalità di espressione
proteica. Le diverse condizioni di crescita, prevedono l‘aggiunta nel terreno di glucosio
o di acetato. Abbiamo poi lavorato sui diversi tempi di induzione, bloccando la sintesi
proteica rispettivamente a 5 ore e a 24 ore.
Viene quindi favorita una estrazione proteica con la tecnica della sonicazione a
onde ultrasoniche e successiva raccolta della frazione solubile (supernatante) separata
dalla frazione insolubile (precipitato) mediante centrifugazione; vengono raccolte e
conservate le diverse frazioni contenenti la proteina.
Tali prodotti proteici o enzimi putativi, sono stati analizzati per valutare la loro
presenza nella fase solubile o nella fase insolubile come aggregati. C‘è da considerare,
infatti, che un enzima funzionante verrà necessariamente a manifestarsi nella fase
78
solubile a seguito dell‘estrazione proteica, ovvero nel supernatante. Una prerogativa
negativa, di alcuni sistemi di espressione eterologhi, tuttavia, può essere la presenza
della proteina ricombinante nella fase insolubile (precipitato). Questo aspetto,
indesiderato, influisce ovviamente sulla concentrazione dell‘enzima effettivamente
utilizzabile e deriva da una non corretta espressione proteica, associata a eventi di
misfolding o denaturazione durante la sintesi stessa della proteina.
A seguito della fase di estrazione proteica, e successiva analisi in SDS PAGE al
10% di acrilamide, abbiamo analizzato le diverse frazioni solubli ed insolubili,,
ottenendo le seguenti indicazioni (cap 3.2.4)

La crescita in terreno minimale sembra da preferirsi in termini di resa proteica, alla
crescita in terreno YT;

L‘aggiunta di acetato al terreno M9, aumenta notevolmente la sintesi di ACS, rispetto
all‘aggiunta di glucosio, che sembra non manifestare effetti rilevanti;

I tempi di induzione non influiscono eccessivamente sulla resa proteica, ed un
periodo di induzione superiore alle 24 ore si riflette nell‘aumento di ACS insolubile,
ovvero, aumenta la frazione ACS nel precipitato dopo sonicazione e aumenta la
tendenza di ACS in soluzione a precipitare dopo qualche giorno, evento che non
avviene per la crescita a 5 ore, indicando come ottimali tempi di induzione compresi
tra le 5 e le 16 ore.

L‘enzima ottenuto dal clone ACSBAC3 risulta essere più solubile di quello del clone
ACSBAC4, che al contrario produce una notevole quantità di proteina insolubile.

L‘enzima ottenuto da lievito, ACSyeast come da notazioni provenienti da esperimenti
passati, risulta essere totalmente insolubile, pur manifestando una notevole frazione
proteica espressa.
Standardizzando il protocollo di espressione, quindi, potremmo scegliere di
esprimere il clone scelto di ACSBAC , o entrambi come nel nostro caso, in terreno
minimale arricchito in acetato per tempi compresi tra le 5 e le 16 ore.
Le colonne IMAC hanno una notevole importanza in questa fase del lavoro.
Previo trattamento con opportuni tamponi di attivazione della colonna e nichel solfato
per ripristinare il Ni2+ ossidato, come riportato nei materiali e metodi, si sfrutta il
legame metallico di coordinazione tra Ni2+ e anello imidazolico delle istidine presenti
nel TAG all‘N-terminale della proteina ricombinante. Il legame metallico instauratosi
tra queste due componenti chimiche è molto stabile e consente di trattenere
79
specificatamente solo la proteina ACS mentre le altre componenti inquinanti verranno
allontanate via con l‘eluato. Si sfrutta successivamente la competizione tra His e
imidazolo 0,5 M nei confronti dello ione metallico per dissociare la proteina, che verrà
raccolta e conservata. La purificazione tramite passaggio su colonne IMAC, restituisce
in breve tempo, un prodotto altamente concentrato e privo di contaminanti, che verrà
poi ulteriormente concentrato a seguito della precipitazione in solfato d‘ammonio e
dialisi, passaggio quest‘ultimo opzionale nel nostro caso, ma indispensabile per
l‘utilizzo in ambito diagnostico. Questa, di fatto rappresenta il livello di scale-up
raggiunto nel nostro lavoro, in cui le condizioni di espressione, in virtù di tali
considerazioni, sono ormai state definite e uniformate. (cap 3.3.2)
Vengono successivamente allestiti dei saggi di attività, del tipo colorimetrico, in
cui si confronta l‘attività tra ACS3 e ACS4 entrambe cresciute in acetato, per diversi
tempi di induzione, ottenendo le seguenti evidenze (cap 3.4.1):

l‘enzima ACS3 è più attivo di ACS4

Entrambi mostrano del precipitato dopo 24 ore a 4°C, indice di instabilità
della proteina se non opportunamente congelata

Una apprezzabile perdita di attività si manifesta dopo alcuni cicli di
congelamento e scongelamento (da -20°C a Tamb)

Più in generale possiamo notare come ACS3 manifesti molta più proteina
nella fase solubile e sia in effetti più attiva, mentre ACS4 che ne manifesta
di meno, risulta essere leggermente meno attiva.
Queste indicazioni ci spingono ad analisi più dettagliate, in particolar modo nei
confronti di ACS, ottenuta dopo 5 ore di induzione, che a seguito di indagini più
raffinate, risulta essere dotato di un‘attività specifica maggiore di ACS ottenuto dopo
24 ore di induzione e soprattutto più attivo di ACS commerciale, l‘enzima già presente
sul mercato. Questo era il parametro da noi identificato come obbiettivo principale e
può considerarsi raggiunto. Altre importanti informazioni sono quelle relative alla
stabilità. Il nostro enzima mantiene una stabilità paragonabile a quella di ACS
commerciale dopo diversi cicli di congelamento e scongelamento, evento che
inevitabilmente porta all‘inattivazione proteica.
80
PARTE QUINTA
CONCLUSIONI
In questo lavoro abbiamo cercato di ottenere una componente fondamentale per
un kit diagnostico a base enzimatica atto a valutare la concentrazione di acido acetico
nel vino e in bevande sottoposte a fermentazione alcolica, ovvero l‘ACS o acetil Co-A
sintetasi. L‘ACS ha un ruolo di primo piano nel metabolismo catabolico, ed è coinvolta
nell‘attivazione dei meccanismi di assimilazione dell‘acetato, in cui la cellula sfrutta un
composto solo parzialmente ossidato, reimmettendolo nel ciclo TCA. Tale enzima non
è un semplice prodotto proteico indotto dal substrato, ma è sottoposto ad un raffinato
controllo trascrizionale e traduzionale ad opera di molti agenti endogeni ed esogeni.
Abbiamo utilizzato tali informazioni per ottimizzare un protocollo di espressione
per la proteina, in cui l‘aggiunta di acetato al terreno di coltura, di cellule
BL21/pET-45/acs ha notevolmente migliorato la resa proteica, anche per tempi di
induzione non elevati, pari a 5 ore. Nel nostro lavoro, poi, ci siamo concentrati su ACS
di B. subtilis, che ha sempre restituito un prodotto in quantità maggiore rispetto a E.
coli e più solubile rispetto a S. cerevisiae, altri enzimi ottenuti sempre in maniera
ricombinante. Dato l‘utilizzo di tale enzima in un kit commerciale, risultava di notevole
spessore l‘aspetto prettamente economico, oltre a quello funzionale. Siamo riusciti a
performare, perciò, un‘espressione proteica in un terreno minimale M9, a basso costo,
che restituisce però una maggiore quantità di prodotto rispetto a quello ottenuto tramite
crescita nel comune e più costoso terreno YT.
Un altro aspetto importante sia dal punto di vista funzionale, che quello
dell‘abbattimento dei costi, è stata la purificazione e concentrazione proteica. L‘utilizzo
del vettore pET-45, ci ha consentito di condensare tutte le tecniche di purificazione, in
un unico passaggio su colonna IMAC agli ioni Ni2+, sfruttando il legame di
coordinazione tra tale ione e il tag di istidine della proteina ricombinante, fornito dal
vettore stesso. A seguito di una successiva eluizione in imidazolo e precipitazione in
solfato d‘ammonio, si è ottenuto in breve tempo un enzima puro, concentrato e in
tampone già pronto per l‘uso.
L‘ultima analisi affrontata, ovvero i test per valutare l‘attività enzimatica, sono
stati tutti positivi, e ci hanno dato importanti indicazioni su quali condizioni di
espressione scegliere per ottenere il miglior rapporto tra quantità di proteina espressa
per attività specifica ottenuta.
81
Grazie al protocollo di espressione e purificazione proteica, da noi creato e
ottimizzato, è possibile standardizzare la procedura di ottenimento dell‘ACS e
aumentare la scala di produzione portandola a livelli industriali.
Sono, altresì, possibili degli sviluppi che in futuro potrebbero portare
all‘ottenimento di enzimi ACS a partire da specie diverse da B. subtilis. E‘ già stata
indagata acs di Pseudomonas aeruginosa, Methnotrix sohengi, Sulfolobus sulfataricus,
senza però fornire un prodotto migliore di quello di B. subtilis. Altre importanti
diramazioni della nostra ricerca hanno portato a esperimenti di mutagenesi stEP tra acs
di B. subtilis e acs di S. cerevisiae, aspetti questi che potranno essere approfonditi in
seguito.
Il nostro enzima ACSBAC, tuttavia, confrontato con preparazioni precedenti e con
quello già presente in commercio, risulta già vincente da un punto di vista dell‘attività
specifica, ovvero della funzionalità, risulta essere più solubile e stabile nel tempo, e
aspetto di rilievo, è anche più economico, rendendo tale preparazione altamente
concorrenziale e sostituibile a tutti gli effetti nel sistema diagnostico già esistente.
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L‘essenza degli ultimi cinque anni è racchiusa in questo momento ormai a me ben
noto: il viaggio in treno. Essere solo, intorno a tanta gente, non può che spingermi a
pensare al tempo trascorso e agli obbiettivi che ho faticosamente quanto
inconsapevolemente raggiunto. Nel mio caso sono ancora pochi, ma il pensiero di aver
rispettato i tempi, almeno questa volta, mi rende pieno di orgoglio e mi fa guardare con
un pizzico di ottimismo in più al futuro. Al mio futuro. Eppure ritrovarmi a pochi giorni
dalla discussione della tesi, ancora in uno stato di apparente tranquillità, non può che
convincermi che in qualche modo sono stato plasmato da questo ambiente, dai
professori, colleghi, esami, alzataccie e treni. La risposta più decisa che ho potuto dare
all‘ambiente variegato di questi ultimi anni è racchiusa tanto nel mio bagaglio emotivo
personale quanto nel confronto con le persone che giravano, e mi auguro di far girare
ancora intorno al mio micro cosmo. E per questa mia predisposizione alla ricerca della
comunicazione con le persone, che tanta serenità mi ha portato, non posso che essere
grato alla mia famiglia, fonte di felicità, consigli, risate e litigi sempre risolti. Se quello
che sono diventato, mi soddisfa, lo devo a loro. Troppe sarebbero le righe da spendere
per parlarne in maniera riconoscente e degna. Troppi attributi positivi dovrei associare a
mamma Angela, papà Angelo e Francesca, che rischierei di diventare mieloso. Del
resto, nella mia costante ricerca di punti fermi e solidi, intorno a cui organizzare le mie
giornate e le mie esperienze, non ho potuto che apprezzare in misura sempre maggiore
col passare del tempo, la sicurezza, l‘affetto e la felicità offertami dalla mia famiglia, ed
è a voi che dedico questa tesi.
L‘interesse mostrato da parte dei parenti tutti, poi, mi è sempre stato utile. Penso a
nonna Gina, e alle serate passate a parlare sempre in maniera intelligente degli
argomenti più vari. Penso alle zie e agli zii, sempre pronti a incitarmi e a offrire parole
gentili. Penso ai cugini, che comincio a scoprire ora nella maniera adulta, con cui
abbiamo condiviso risate e che hanno mostrato interesse per la mia realtà che già li
riguardò quando erano studenti, proprio come me.
Il delicato equilibrio, tanto desiderato poi, non può che essere causa e
conseguenza anche del rapporto che ho quotidianamente con i miei amici. Il
meraviglioso gruppo di persone che chiamo amici, e che in molte occasioni si è
dimostrato tale, meriterebbe una pagina intera, persona per persona. Ma siamo in tanti,
lo sapete. Posso pensare però che ritrovarsi a non saper dare una data di nascita al
rapporto che ho con voi, mi riempie di gioia. Siete sempre stati e spero che rimarrete
quanto più a lungo possibile nelle mie giornate e nella mia vita. Scoprire, poi, che
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ognuno di voi prima di essere amico, è una persona con i propri interessi, le proprie
ansie, i propri desideri e ambizioni, mi stimola a conoscervi sempre più e a condividere
con voi non solo le risate, mai mancate, ma anche le mie di ansie, preoccupazione e
momenti di gioia, proprio come in questo momento.
E strano mi fa, a ritrovarmi a pensare ai miei compagni di corso. Termine quanto
mai limitativo. Negli ultimi due anni ho scoperto la solidità, la simpatia, l‘intelligenza e
la bontà di molti di voi che non posso che reputare amici a tutti gli effetti e augurarmi
di rimanere tali.
Per ultimo, ma solo in ordine cronologico, penso al prof e all‘ambiente del lab.
Penso a voi tutti con infinito affetto, tante e tali sono le storie del lab che si sono
intrecciate con la mia ―vita reale‖ ed è qui che si affievolisce il concetto di posto di
lavoro per lasciar spazio a quello che voi siete: delle belle persone.
La paura per il mio futuro sicuramente passa attraverso tutti voi, so che in un
modo o nell‘altro coinvolgerò voi, persone fidate, nella mia esperienza di vita e so che
quando mi servirà, voi ci sarete. Proprio come mi auguro io, di essere reputato ai vostri
occhi.
Inizio ora un percorso sicuramente nuovo e stimolante, in cui mi impegnerò per
bilanciare le mie ambizioni e i miei desideri con il bisogno di trovare spazio a tutte le
persone a me care, che vuoi per esigenze di studio, vuoi per periodi negativi, ho a volte
trascurato. Dentro di me c‘è sempre stata la vostra presenza a guidarmi e darmi fiducia.
Grazie di cuore.
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