I DIALOGHI BILATERALI Il movimento ecumenico ha sempre avuto come fine l’Unità dei Cristiani. Nel cammino ecumenico nessuna realtà cristiana rifiuta l’unità anche se ogni chiesa ha un proprio concetto di unità. Il dialogo resta il mezzo privilegiato per perseguire un’intesa che non deve sacrificare le diversità, ma, al contrario, deve essere valutata come una una ricchezza per ogni cristiano. La base del dialogo per l’unità è la preghiera: bisogna ritrovarsi soprattutto nella preghiera che ha sicuramente come fine comune la Glorificazione di Dio e la salvezza dell’uomo. RAPPORTI TRA CHIESA CATTOLICA-ROMANA E CHIESA LUTERANA LA DOTTRINA DELLA “GIUSTIFICAZIONE” Abbiamo visto come la pubblicazione delle 95 tesi di Lutero (31 ottobre 1517) contro la vendita delle indulgenze fu all’origine delle polemiche sorte nel XVI secolo fra la chiesa di Roma ed i seguaci di Lutero. Per “giustificazione” s’intende la comprensione del rapporto che esiste fra essere umano e Dio. Una dottrina riguardante quest’argomento viene sviluppata per la prima volta in modo sistematico dall’apostolo Paolo. Nella lettera ai Romani (cfr. 3,21-31) ed in quella ai Galati (cfr. 2,15; 3,29) l’apostolo afferma che l’essere umano non può essere visto da Dio come “persona giusta” (giustificata) a causa delle opere compiute. Il ragionamento può essere esemplificato nel modo seguente: chi non osserva i comandamenti divini è, in ogni caso, “non giustificato”. Ma il compiere le opere della legge porta all’insuperbirsi dell’essere umano, che ora chiede la “giustificazione” come contropartita delle sue opere. 84 In quest’atteggiamento egli ricade nuovamente nel peccato e quindi non è “giusto” agli occhi di Dio. Per ovviare a questa situazione, Dio stesso ha inviato Gesù che, tramite il suo sacrificio, ha scontato il peccato di tutti gli esseri umani. Solo la fede nell’azione di Cristo porta alla giustificazione (essere giusto al cospetto di Dio). L’amore di Dio per il credente è la fonte dell’amore umano da cui scaturiscono le opere buone. Le opere sono una conseguenza della fede, ma di per sé non hanno alcun valore ai fini della giustificazione (e quindi della salvezza eterna). Il credente, che è sia giusto che peccatore, è chiamato a non farsi dominare dal male ma a dominarlo. Dopo che nella chiesa medioevale, l’annuncio della giustificazione per fede presentato da Paolo, era stato per lo più dimenticato o inserito nel sistema ecclesiastico della dispensazione della grazia, Lutero e i suoi collaboratori hanno reso proprio questo annuncio, facendone il proprio punto cardinale della riscoperta del messaggio della grazia: “l’articolo stantis et cadentis ecclesiae”. Il Concilio di Trento (1545–1563) ha in parte riformulato e precisato la dottrina della chiesa di Roma su questo tema, ma condannò comunque le dottrine “luterane”. I luterani, a loro volta, condannarono le dottrine cattoliche presentate dal Concilio. Le conseguenze furono un indurimento delle posizioni delle due parti. DICHIARAZIONE CONGIUNTA SULLA DOTTRINA DELLA GIUSTIFICAZIONE FIRMATA AD AUGUSTA/GERMANIA IL 31 OTTOBRE 1999 Solo nel 1999 con “La Dichiarazione Congiunta sulla dottrina della giustificazione” c’è un forte riavvicinamento tra luterani e cattolici romani. Questa dichiarazione si basa sulla rilettura comune dei passi biblici che riguardano questa dottrina favorendo un consenso comune sulle verità fondamentali di fede. Su questa base le condanne espresse nel XVI secolo vengono ritenute sorpassate e non toccano la dottrina della giustificazione così come è espressa nel documento comune. Questo non significa che tutte le differenze siano state superate, ma che 85 almeno in molte cose si è trovato un punto comune che favorisce sicuramente un maggior dialogo. Certamente in questo documento non si sono volute sottolineare le differenze, ma (come d’altronde auspica il dialogo con tutti gli altri fratelli cristiani ed anche non cristiani) le “cose comuni”, le affinità, ma anche le diversità come ricchezza per l’altro. La Dichiarazione è stata una pietra miliare del dialogo ecumenico nonostante che molti teologi protestanti (in maggioranza tedeschi) hanno espresso le loro riserve a riguardo. Essa è stata siglata ad Augusta in Germania, luogo simbolo: infatti è qui che nel 1530 venne presentata la più famosa confessione di fede della Riforma. La Dichiarazione è un documento teologico che ha segnato la fine delle reciproche condanne dottrinali in materia. Nel 2006 anche l'Assemblea mondiale delle chiese metodiste riunita a Seoul in Corea del Sud, decise di sottoscriverlo. I singoli capitoli della Dichiarazione Congiunta sulla dottrina della Giustificazione (DCG): 1. Messaggio biblico della giustificazione 2. La giustificazione come problema ecumenico 3. La comune comprensione della giustificazione 4. La spiegazione della comune comprensione della giustificazione 4.1 Incapacità e peccato dell’uomo di fronte alla giustificazione 4.2 Giustificazione come perdono dei peccati e azione che rende giusti 4.3 Giustificazione mediante la fede e per grazia 4.4 L’essere peccatore del giustificato 4.5 La Legge e il Vangelo 4.6 La certezza della salvezza 4.7 Le buone opere del giustificato 5. Il significato e la portata del consenso raggiunto Alcune voci sulla dichiarazione congiunta 86 Past. Ishmael Noko, segr. gen. FLM, e Card. Walter Kasper, pres. Pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani, 2004: «Con questa firma la nostra comunione, anche se non completa, è diventata più vera e profonda. Questa è la conseguenza storico-ecclesiologica della “Dichiarazione congiunta”. Questa firma ci permette di testimoniare l’Evangelo in comune. Nella nostra società odierna, caratterizzata da un’avanzante secolarizzazione in cui la domanda sul senso della vita è sempre più urgente, ciò ha un significato profondo». «Dopo la divisione nel XVI secolo della chiesa occidentale in Europa nelle diverse chiese riformate (luterana e riformata) da una parte e nella Chiesa romano-cattolica dall'altra, con la Dichiarazione congiunta dopo quasi 500 anni è stato firmato un documento, nel quale le condanne, nette e reciproche, riguardo la dottrina della giustificazione sono state relativizzate. Esse non riguardano più l'attuale dottrina dei cattolici e dei luterani, come presentata nella Dichiarazione congiunta. La divisione della Chiesa è stata in parte sanata e in questo modo resa retroattiva». La DCG non ha risolto tutti i problemi e neanche intendeva farlo. Nel secondo punto fondamentale della Riforma, cioè quello del significato della salvezza e della funzione di mediazione della chiesa per il raggiungimento di essa le posizioni sono ancora inconciliabili. La critica di fondo espressa dal Riformatore del XVI secolo alla pretesa di mediazione e di potere del clero e della Santa Sede rimane per la Chiesa luterana il criterio sul quale la verità ecclesiastica deve orientarsi. In fatto di fede non può esistere alcuna pretesa di controllo da parte del clero sulla coscienza dei credenti. Decano Jürgen G. Astfalk, Chiesa Evangelica Luterana in Italia, 2004 «Si può oggi dire su questo punto cruciale una parola comune, che non significa dire la stessa cosa, come unità non significa uniformità. Dal dialogo - parlarsi l’un l’altro - si è passati al discorso comune, parlare insieme, testimoniare insieme l’Evangelo. Questo dovrebbe porre fine a qualsiasi separazione, almeno così la intenderebbe Lutero, per cui tutto derivava dal modo di intendere la giustificazione. 87 Di fatto non è così: è necessario lavorare sulle conseguenze e le implicazioni di questo importantissimo passaggio, punto di partenza più che di arrivo, realtà in forma di promessa più che realtà già realizzata: ma questo non ne sminuisce il peso. Il cammino ecumenico è sempre sul filo teso del già e non ancora». Alcuni pensieri sulla dichiarazione e sulle sue possibili e necessarie conseguenze. La DCG sottolinea una testimonianza biblica centrale: «solo per grazia nella fede nell’azione salvifica di Cristo, e non in base ai nostri meriti, noi veniamo accettati da Dio e riceviamo lo Spirito Santo, il quale rinnova i nostri cuori e ci abilita e chiama a compiere le opere buone» (DCG 15). Essa conferma a ragione che i partners confessano insieme «che le opere buone - una vita cristiana nella fede, nella speranza e nella carità - seguono la giustificazione e sono frutti della giustificazione» (DCG 37). Il fatto che nel 1999, tra Federazione Luterana Mondiale (FLM) e Chiesa Cattolico-Romana, si sia giunti a una vera e propria convergenza su come intendere il messaggio biblico centrale della giustificazione per grazia e per fede, è stato un passo fondamentale sia per il metodo sia per il risultato raggiunto, le cui conseguenze e ripercussioni possibili e auspicabili potranno e dovranno rivelarsi davvero riformatrici. Il partner protestante deve “riscoprire” il messaggio biblico della grazia divina che ci accoglie e che ci ri-forma rendendoci graziati e liberati a responsabilità; il partner cattolico e in parte anche le chiese ortodosse e orientali, deve aprirsi all’accoglienza delle diversità che insieme formano l’Unità della Chiesa. Quindi d’ora in poi si parlerà (come invita e spinge il Concilio Vaticano II) di Unità nella Diversità. È proprio questa visione che può aiutare ad affrontare con più “serenità” quelle tematiche spinose sotto il profilo teologico ed etico: ruolo del ministero consacrato, maggiori possibilità di intercomunione per coppie e famiglie 88 interconfessionali; rapporto tra Sacra Scrittura e tradizione ecclesiale; interpretazione dell’eucaristia in genere; insegnamento del magistero cattolico e libertà di coscienza. Dobbiamo pregare e sperare che questo dialogo tra la Chiesa Cattolico-Romana e la Federazione Luterana Mondiale prosegua nella carità, nella preghiera e nella ricerca teologica, senza perdere mai di vista la dignità di ogni persona. Vi è urgenza di procedere con pazienza e con tenacia sul cammino intrapreso ovviamente tenendo ben presente la fondamentale comunione che si sta sempre più intensificando tra le chiese luterane e quelle riformate (di stampo zwingliano e soprattutto calvinista). DIALOGHI BILATERALI TRA I CATTOLICI E LE ALTRE CONFESSIONI CRISTIANE BREVE RIEPILOGO STORICO Il dialogo ecumenico nasce dall’esigenza di ricomporre una frattura creatasi all’interno della chiesa cristiana già dai primi secoli della sua esistenza con la non accettazione dei Concili di Nicea e di Calcedonia che riguardavano la discussione sulla divinità di Cristo. Con i concili di Bari (1098), di Lione (1274) e di Firenze (1438) c’è un primo tentativo di riportare all’unità tutti i cristiani. Dopo il grande scisma d’oriente, abbiamo un’altra grande frattura con Lutero, Calvino e Zwingli. Ma è solo nei primi anni del XIX sec., e per iniziativa dei protestanti, che ci si rende conto che è necessaria una reale intesa tra i cristiani: l’evangelizzazione dei paesi in cui le varie confessioni cristiane svolgono attività missionaria deve avvenire 89 in modo coerente ed essenzialmente uniforme, il Cristo che si va ad annunciare è Uno ed una è la fede. La nascita ufficiale del movimento ecumenico si fa risalire abitualmente alla Conferenza missionaria mondiale di Edimburgo (1910). La Conferenza di Edimburgo sfocia in un forum che dà vita al Consiglio Missionario Internazionale (1921). Seguono la formazione di altre strutture, in particolare “Vita e Azione” e “Fede e Costituzione” che alla fine hanno trovato convergenza nel CEC: Consiglio Ecumenico delle Chiese (1948). Il CEC persegue lo scopo dell’unità dei cristiani cercando in primis i punti comuni e poi le sostanziali diversità che non possono essere rimosse o cambiate ad un punto tale da unificarsi in un unicum. Preso coscienza di ciò il CEC da questo momento persegue la strada del rispetto delle diversità perché comunque l’origine e il fine comune a tutte le realtà cristiane è Cristo e la fede in Lui. La chiesa cattolica si è sempre astenuta dal partecipare in maniera diretta ed attiva ai lavori del CEC perché perseguiva l’idea che sostanzialmente l’Unità si sarebbe avuta quando le altre confessioni cristiane fossero tornate nella chiesa cattolica stessa, accettando il primato di Roma e cioè il primato del Papa. È con Papa Giovanni XXIII che la visione cattolica sull’unità dei cristiani inizia ad assumere un’altra dimensione: la chiesa cattolica intuisce che abbandonando l’idea del proprio primato sulle altre chiese cristiane favorisce ed intensifica il dialogo con esse. Il dialogo è la base della conoscenza che porta al rispetto e alla comprensione reciproca delle proprie tesi sia in campo teologico che in quello liturgico. Per la chiesa cattolica, però, il dialogo deve basarsi su dei principi essenziali che possono essere riassunti nella ricerca della purezza della dottrina cattolica, nella sua profonda ed esatta esposizione, condotta con amore della verità, carità ed umiltà. Punto essenziale è anche la preghiera privata e pubblica per l’unità dei cristiani: 90 questa è da ritenersi l’anima del movimento ecumenico e per tanto possiamo definirlo “ecumenismo spirituale”. Molto fruttuosi sono stati, e sono, i dialoghi bilaterali tra i cattolici e le singole confessioni cristiane. Cominciamo ad esaminare il dialogo tra cattolici ed ortodossi. 4.1 CATTOLICI/ORTODOSSI I PRINCIPALI OSTACOLI La visione ecclesiologica Gli ortodossi non riconoscono una struttura ecclesiale di forma piramidale. C’è un’uguaglianza fondamentale fra tutte le comunità eucaristiche locali e i vescovi che le presiedono (i Patriarcati): essi sono dei rappresentanti delle loro comunità e le chiese locali hanno una propria autonomia interna. In tal modo l’insieme delle Chiese locali costituiscono una fraternità o comunione di Chiese che si esprimono in un collegio episcopale. Il collegio episcopale è espressione del circolo apostolico; si riunisce almeno una volta all’anno e attraverso i concili locali o ecumenici raccoglie le istanze delle singole realtà e le iscrive nel patrimonio della chiesa universale. Ciò ci fa capire che è un vertice al contrario: è la base che detta in qualche modo le direttive alla chiesa universale. I Patriarchi sono tutti primus inter pares. Il primato del vescovo di Roma È chiaro che per la visione ecclesiologica che abbiamo innanzi esposto non può trovare posto il primato del Vescovo di Roma che, invece, pone l’accento sui dirittidoveri del Papa verso la chiesa universale. In Oriente, piuttosto l’attenzione va alle relazioni di comunione tra le chiese e i rapporti giuridici si limitano essenzialmente all’ambito conciliare, sottolineando la visione sinodale entro la quale viene esercitata la potestas primaziale. Sostanzialmente l’istituto patriarcale non implica alcuna autorità nemmeno di diritto divino; la gerarchia è soggetta al sinodo e nessun primate può avallare a sé un potere ricevuto da tutti i vescovi nel sacramento 91 dell’ordinazione. Ed è per questo che già dal VI sec. il vescovo di Roma è considerato “Patriarca d’Occidente” insieme agli altri quattro Patriarchi (Costantinopoli, Alessandria, Antiochia e Gerusalemme): la sua funzione è concepita dagli ortodossi come semplice ruolo di guida ed esclude una suprema autorità giurisdizionale. In effetti non è il primato di Pietro in discussione nella chiesa ortodossa, perché non vi è dubbio che Pietro è il primo tra gli Apostoli. Il problema si pone sulla successione: per gli ortodossi tutti i vescovi sono in ugual modo successori non solo di Pietro ma di tutti gli Apostoli. Non c’è per loro nessun diritto divino a priori come invece sostiene Roma definendo primus inter pares il vescovo di Roma. Ciò comporta anche dei problemi sulla dottrina: gli ortodossi non accettano nessun sviluppo nella formulazione della fede cattolica avvenuta successivamente alla separazione: al massimo potrebbero accettarle come theologoumena della chiesa latina. Sostanzialmente questa forma di papato della “chiesa latina” non potrà mai essere accettata dalle Chiese Orientali e soprattutto nella formulazione che ne fa il Concilio Vaticano I. 1 È questo il vero ostacolo all’unità per quanto riguarda gli ortodossi: per loro non è proprio concepibile un super-vescovo universale che relativizza e talvolta ignora il potere dei vescovi tutti anch’esso di origine sacramentale. Per gli ortodossi il Papa è semplicemente il primo vescovo della cristianità, mentre per i cattolici è il fondamento visibile dell’unità della Chiesa. Altro serio ostacolo all’unità sono le Chiese Uniate, cioè quelle Chiese orientali che si sono riunite con “Roma” mantenendo, però, una propria liturgia e un proprio codice di diritto canonico. Queste Chiese sono malviste dagli ortodossi perché considerate come Chiese che non hanno saputo difendere la propria identità 1 PIO IX, Pastor Aeternus, Costituzione Dogmatica Concilio Vaticano I, 1870: «Se qualcuno dunque affermerà che non è per disposizione dello stesso Cristo Signore, cioè per diritto divino, che il beato Pietro abbia per sempre successori nel Primato sulla Chiesa universale, o che il Romano Pontefice non sia il successore del beato Pietro nello stesso Primato: sia anatema». 92 lasciandosi usare da Roma che ha creato attraverso di esse dei patriarcati paralleli a quelli ortodossi. IL DIALOGO È detto chiaramente dalla dottrina cattolica che le Chiese orientali sono quelle con cui condividiamo in assoluto più "ricchezze" salvifiche: anzitutto sacramenti veri e validi, ma anche ecclesiologicamente riconosciamo che sono formate da "autentiche Chiese locali". Il dialogo teologico tra Roma e Costantinopoli ha come base il cosiddetto “dialogo della carità” che trova le sue radici nel messaggio natalizio del 1958 di Giovanni XXIII. È con Papa Paolo VI e con il Patriarca Atenagora I, nel 1964, che cattolici ed ortodossi realizzano un abbraccio di pace con il ritiro delle rispettive scomuniche avvenute nel 1054. Un anno dopo, Paolo VI e Atenagora I si videro di nuovo in Israele, e in quella occasione i due religiosi rilasciarono di comune accordo quella che passò alla storia come La "Dichiarazione comune Cattolico-Ortodossa del 1965": questo documento ebbe la conseguenza di attivare una commissione congiunta per il dialogo fra le due confessioni, che effettivamente nacque nel 1966 e che è ancor oggi attiva. Questi episodi concilianti non devono far credere che il Patriarca abbia accettato la supremazia papale: anzi, proprio il ruolo di comando del pontefice fu ed è l'ostacolo più grande sulla via che porta all'unificazione delle due religioni. Condicio sine qua non sulla fusione tra cattolicesimo e ortodossia resta l'abolizione del ruolo del papa. In occasione della visita di Giovanni Paolo II al Patriarca ecumenico Dimitrios II a Costantinopoli viene annunciata ufficialmente la costituzione della Commissione mista internazionale. Nelle assemblee plenarie di detta Commissione si sono elaborati vari documenti sui seguenti temi: -il Mistero della Chiesa e l’Eucarestia alla luce della Santa Trinità (Monaco 1982); 93 -Fede, Sacramenti ed Unità della Chiesa (Bari 1987); -Il Sacramento dell’Ordine nella struttura sacramentale della Chiesa (Valamo 1988); -L’Uniatismo, metodo di Unione del passato, e la ricerca attuale di unità (Balamand 1993). All’interno dei dialoghi non è mai stato affrontato in modo aperto e chiaro il tema dell’Uniatismo e del primato del Papa. Infatti fino all’ultimo incontro dell’anno 2000 si è evidenziata la mancanza di qualsiasi accordo in merito. CATTOLICI/LUTERANI I PRINCIPALI OSTACOLI Visione ecclesiologica La visione luterana della Chiesa è strettamente connessa al problema della giustificazione mediante la fede, che diede inizio alla riforma. Il protestantesimo è scaturito da una nuova lettura della Bibbia attraverso cui Lutero ha affermato che i cristiani sono giustificati non attraverso le loro opere e meriti che ne derivano, ma soltanto per la grazia di Dio ricevuta nella fede. La conseguenza di questa affermazione è che sia la Chiesa e sia il singolo individuo non possono rivendicare un ruolo di cooperazione alla salvezza. La Chiesa, quindi, non è considerata come Sacramento di Salvezza: i suoi ministeri non sono mezzi efficaci per la comunicazione della Grazia. Per Lutero l’unico strumento di salvezza è Cristo stesso e quindi la sola Scriptura. È evidente che la frattura è proprio sul ruolo della Chiesa e dei suoi ministeri, della sua autorità e della sua relazione con Cristo. Secondo Lutero l’ordinazione ministeriale che avviene con l’imposizione delle mani è un rito che non ha nulla di sacramentale, esso è una semplice azione simbolica senza alcun conferimento di grazia e di un particolare carattere. Per cui l’istituzione del ministero del vescovo, del parroco e del ministro è semplicemente un atto 94 politico- amministrativo che ha la sua radice nell’abilitazione conferitagli dalla comunità senza alcun potere sacralizzante. Il primato del vescovo di Roma Questa interpretazione del ministero si riversa anche sulla concezione luterana del primato e, quindi, in particolare sul primato del vescovo di Roma. In un primo momento Lutero non ha negato al Papa i legittimi poteri spirituali sia nella sua diocesi che a livello generale. Lutero cercava una sorta di riforma, dovuta alla situazione storica del momento, che riportasse la Chiesa ad essere testimone di Cristo in maniera autentica. Ma ben presto cominciò una rapida e crescente critica specialmente in opposizione all’insegnamento della bolla Una sanctam che affermava la necessità che ogni essere umano per la salvezza deve essere soggetto al vescovo di Roma. Questo contrasto si evidenziò attraverso dei libri antipapali che appunto rifiutavano il primato di giurisdizione del Papa, e la sottomissione alla sua autorità. L’apice della crisi si manifesta con l’identificazione del Papa con l’anticristo. Ciò sanziona la rottura definitiva con Roma. Questo rifiuto dell’ufficio papale perdura ancora oggi, sia nelle Chiese Luterane che nelle altre Chiese protestanti, come giudizio semplicemente tramandato di generazione in generazione. IL DIALOGO I primi contatti con i luterani li abbiamo con la partecipazione dei luterani al Vaticano II come osservatori. In seguito nel 1965 e nel 1966 si formò un gruppo di lavoro per esaminare due problematiche: le controversie teologiche tradizionali e i matrimoni misti. Successivamente abbiamo tre fasi attraverso cui si è sviluppato il dialogo ufficiale: - nella prima fase (1967-1973) è stato prodotto il Rapporto Il Vangelo e la Chiesa riesaminato prima a Zurigo nel 1973 e poi a Roma nel 1974. La conclusione fu 95 che i temi principali da sottoporre alle commissioni del dialogo dovevano essere: l’eucarestia, il ministero episcopale e le vie verso la comunione; - nella seconda fase (1073-1984) abbiamo lo sviluppo delle discussioni intorno alle tematiche proposte durante la prima fase. Inoltre in occasione del cinquecentesimo anniversario della nascita di Lutero la Commissione ha pubblicato la Dichiarazione comune Martin Lutero, testimone di Gesù Cristo (1983). Nell’anno successivo è stato pubblicato il documeto L’unità davanti a noi, che sottolinea la necessità dell’impegno per raggiungere la comunione ecclesiale; - nella terza fase (1986-1993) si evidenzia e sottolinea il problema della giustificazione e della concezione della Chiesa in rapporto a ciò che sono le reciproche relazione o implicazioni rispetto a tale concezione. Ciò si è concretizzato nel documento Chiesa e giustificazione. La comprensione della Chiesa alla luce della dottrina della giustificazione (1993). Dal 1995 il dialogo è entrato nella quarta fase e si sta occupando dell’apostolicità della Chiesa. CATTOLICI/ANGLICANI I PRINCIPALI OSTACOLI Visione della Chiesa È la politica religiosa personale di Enrico VIII all’origine della scissione con la Chiesa di Roma: voleva ottenere il divorzio per sposare un’altra donna. Pertanto la scissione nasce per preservare la corona, e quindi per scopi politici, e non piuttosto per mere divergenze teologico-dottrinali: non c’era il rifiuto del primato del Papa e quindi non era nella volontà di Enrico VIII il voler creare un cattolicesimo senza Papa. È chiaro che gli anglicani risentono dell’influsso del protestantesimo e pertanto la scissione definitiva si ha con Elisabetta I che viene nominata unico supremo capo del 96 Regno sia nelle questioni temporali che ecclesiastiche. Pio V nel 1570 scomunica la regina segnando il distacco quasi completo tra le due Chiese. La separazione diventa una questione dottrinale solo nel XVII: al centro della discussione c’è l’ecclesiologia con una grande varietà di pareri. Da un lato c’è chi vede il papato come un’istituzione difettosa dove il Papa viene identificato come l’anticristo. Altri considerano il papato come un’istituzione corrotta ma suscettibile di riforma. L’anglicanesimo in pratica, non rifiuta il primato come tale, ma la supremazia romana: esso identifica il primato in un contesto regionale o più precisamente nazionale e da farsi svolgere in un contesto fortemente collegiale e conciliare. La visione anglicana del primato è più vicina a quella orientale che a quella protestante: il Papa di Roma è considerato Patriarca d’occidente. Il primato è considerato il segno della koinonia visibile che Dio vuole per la Chiesa; esso è lo sturmento attraverso il quale si realizza l’unità nella diversità. Resta da chiarire ancora oggi nel dialogo ecumenico se : - questo ministero sia necessario, - se è richiesto de iure divino o per ragioni pratiche - in che maniera deve essere esercitato. IL DIALOGO Il dialogo cattolico/anglicano ha avuto origine dagli incontri di Madera nel 1890. In seguito è stato formalizzato nella dichiarazione comune del 1966 tra il Papa Paolo VI e l’Arcivescovo Runcie. In seguito fu istituita una commissione teologica che avrebbe dovuto spianare la via alla piena riconciliazione. La prima fase (1967-1968) si concluse con la pubblicazione del Rapporto di Malta che prese in esame i problemi relativi all’eucarestia, al ministero e all’autorità nella Chiesa. Da qui emerse ciò che unisce cattolici ed anglicani nella fede e ciò che invece è ancora sul piano delle divergenze. 97 Nel 1969 viene istituita la Commissione Internazionale Anglicana-Romana cattolica che svolse i suoi lavori dal 1971 al 1982. Dalla Commissione furono redatti due dichiarazioni: Dottrina sull’eucarestia e Ministero e ordinazione. A queste fecero seguito ulteriori delucidazioni espresse nei Chiarimenti di Salisbury (1979). Sull’autorità della Chiesa vengono pubblicati altri due documenti: Dichiarazione di Venezia Autorità nella Chiesa I (1976) e la Dichiarazione di Windsor Autorità nella Chiesa II (1981). Nel 1982 in seguito alla visita di Giovanni Paolo II a Canterbury fu istituita una seconda commissione che diede luogo alla dichiarazione comune circa le principali differenze dottrinali che ancora ci separano. È opportuno sottolineare che solo nel dialogo bilaterale cattolico-anglicano è affrontato in modo approfondito e ampio il problema del primato e del papato. 98 99