dialoghi bilaterali

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I DIALOGHI BILATERALI
Il movimento ecumenico ha sempre avuto come fine l’Unità dei
Cristiani.
Nel cammino ecumenico nessuna realtà cristiana rifiuta l’unità anche se
ogni chiesa ha un proprio concetto di unità.
Il dialogo resta il mezzo privilegiato per perseguire un’intesa che non
deve sacrificare le diversità, ma, al contrario, deve essere valutata come
una una ricchezza per ogni cristiano.
La base del dialogo per l’unità è la preghiera: bisogna ritrovarsi
soprattutto nella preghiera che ha sicuramente come fine comune la
Glorificazione di Dio e la salvezza dell’uomo.
RAPPORTI TRA CHIESA CATTOLICA-ROMANA E CHIESA LUTERANA
LA DOTTRINA DELLA “GIUSTIFICAZIONE”
Abbiamo visto come la pubblicazione delle 95 tesi di Lutero (31 ottobre 1517)
contro la vendita delle indulgenze fu all’origine delle polemiche sorte nel XVI secolo
fra la chiesa di Roma ed i seguaci di Lutero.
Per “giustificazione” s’intende la comprensione del rapporto che esiste fra essere
umano e Dio. Una dottrina riguardante quest’argomento viene sviluppata per la prima
volta in modo sistematico dall’apostolo Paolo. Nella lettera ai Romani (cfr. 3,21-31)
ed in quella ai Galati (cfr. 2,15; 3,29) l’apostolo afferma che l’essere umano non può
essere visto da Dio come “persona giusta” (giustificata) a causa delle opere compiute.
Il ragionamento può essere esemplificato nel modo seguente: chi non osserva i
comandamenti divini è, in ogni caso, “non giustificato”. Ma il compiere le opere della
legge porta all’insuperbirsi dell’essere umano, che ora chiede la “giustificazione”
come contropartita delle sue opere.
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In quest’atteggiamento egli ricade nuovamente nel peccato e quindi non è “giusto”
agli occhi di Dio. Per ovviare a questa situazione, Dio stesso ha inviato Gesù che,
tramite il suo sacrificio, ha scontato il peccato di tutti gli esseri umani. Solo la fede
nell’azione di Cristo porta alla giustificazione (essere giusto al cospetto di Dio).
L’amore di Dio per il credente è la fonte dell’amore umano da cui scaturiscono le
opere buone. Le opere sono una conseguenza della fede, ma di per sé non hanno
alcun valore ai fini della giustificazione (e quindi della salvezza eterna). Il credente,
che è sia giusto che peccatore, è chiamato a non farsi dominare dal male ma a
dominarlo.
Dopo che nella chiesa medioevale, l’annuncio della giustificazione per fede
presentato da Paolo, era stato per lo più dimenticato o inserito nel sistema
ecclesiastico della dispensazione della grazia, Lutero e i suoi collaboratori hanno reso
proprio questo annuncio, facendone il proprio punto cardinale della riscoperta del
messaggio della grazia: “l’articolo stantis et cadentis ecclesiae”.
Il Concilio di Trento (1545–1563) ha in parte riformulato e precisato la dottrina
della chiesa di Roma su questo tema, ma condannò comunque le dottrine “luterane”. I
luterani, a loro volta, condannarono le dottrine cattoliche presentate dal Concilio. Le
conseguenze furono un indurimento delle posizioni delle due parti.
DICHIARAZIONE CONGIUNTA SULLA DOTTRINA DELLA
GIUSTIFICAZIONE FIRMATA AD AUGUSTA/GERMANIA IL 31 OTTOBRE 1999
Solo nel 1999 con “La Dichiarazione Congiunta sulla dottrina della
giustificazione” c’è un forte riavvicinamento tra luterani e cattolici romani.
Questa dichiarazione si basa sulla rilettura comune dei passi biblici che riguardano
questa dottrina favorendo un consenso comune sulle verità fondamentali di fede.
Su questa base le condanne espresse nel XVI secolo vengono ritenute sorpassate e
non toccano la dottrina della giustificazione così come è espressa nel documento
comune. Questo non significa che tutte le differenze siano state superate, ma che
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almeno in molte cose si è trovato un punto comune che favorisce sicuramente un
maggior dialogo. Certamente in questo documento non si sono volute sottolineare le
differenze, ma (come d’altronde auspica il dialogo con tutti gli altri fratelli cristiani
ed anche non cristiani) le “cose comuni”, le affinità, ma anche le diversità come
ricchezza per l’altro.
La Dichiarazione è stata una pietra miliare del dialogo ecumenico nonostante che
molti teologi protestanti (in maggioranza tedeschi) hanno espresso le loro riserve a
riguardo. Essa è stata siglata ad Augusta in Germania, luogo simbolo: infatti è qui che
nel 1530 venne presentata la più famosa confessione di fede della Riforma.
La Dichiarazione è un documento teologico che ha segnato la fine delle reciproche
condanne dottrinali in materia. Nel 2006 anche l'Assemblea mondiale delle chiese
metodiste riunita a Seoul in Corea del Sud, decise di sottoscriverlo.
I singoli capitoli della Dichiarazione Congiunta sulla dottrina della Giustificazione
(DCG):
1. Messaggio biblico della giustificazione
2. La giustificazione come problema ecumenico
3. La comune comprensione della giustificazione
4. La spiegazione della comune comprensione della giustificazione
4.1 Incapacità e peccato dell’uomo di fronte alla giustificazione
4.2 Giustificazione come perdono dei peccati e azione che rende giusti
4.3 Giustificazione mediante la fede e per grazia
4.4 L’essere peccatore del giustificato
4.5 La Legge e il Vangelo
4.6 La certezza della salvezza
4.7 Le buone opere del giustificato
5. Il significato e la portata del consenso raggiunto
Alcune voci sulla dichiarazione congiunta
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Past. Ishmael Noko, segr. gen. FLM, e Card. Walter Kasper, pres. Pontificio
Consiglio per l’unità dei cristiani, 2004:
«Con questa firma la nostra comunione, anche se non completa, è diventata più
vera e profonda. Questa è la conseguenza storico-ecclesiologica della “Dichiarazione
congiunta”. Questa firma ci permette di testimoniare l’Evangelo in comune. Nella
nostra società odierna, caratterizzata da un’avanzante secolarizzazione in cui la
domanda sul senso della vita è sempre più urgente, ciò ha un significato profondo».
«Dopo la divisione nel XVI secolo della chiesa occidentale in Europa nelle diverse
chiese riformate (luterana e riformata) da una parte e nella Chiesa romano-cattolica
dall'altra, con la Dichiarazione congiunta dopo quasi 500 anni è stato firmato un
documento, nel quale le condanne, nette e reciproche, riguardo la dottrina della
giustificazione sono state relativizzate. Esse non riguardano più l'attuale dottrina dei
cattolici e dei luterani, come presentata nella Dichiarazione congiunta. La divisione
della Chiesa è stata in parte sanata e in questo modo resa retroattiva».
La DCG non ha risolto tutti i problemi e neanche intendeva farlo. Nel secondo
punto fondamentale della Riforma, cioè quello del significato della salvezza e della
funzione di mediazione della chiesa per il raggiungimento di essa le posizioni sono
ancora inconciliabili. La critica di fondo espressa dal Riformatore del XVI secolo alla
pretesa di mediazione e di potere del clero e della Santa Sede rimane per la Chiesa
luterana il criterio sul quale la verità ecclesiastica deve orientarsi. In fatto di fede non
può esistere alcuna pretesa di controllo da parte del clero sulla coscienza dei credenti.
Decano Jürgen G. Astfalk, Chiesa Evangelica Luterana in Italia, 2004
«Si può oggi dire su questo punto cruciale una parola comune, che non significa
dire la stessa cosa, come unità non significa uniformità. Dal dialogo - parlarsi l’un
l’altro - si è passati al discorso comune, parlare insieme, testimoniare insieme
l’Evangelo. Questo dovrebbe porre fine a qualsiasi separazione, almeno così la
intenderebbe Lutero, per cui tutto derivava dal modo di intendere la giustificazione.
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Di fatto non è così: è necessario lavorare sulle conseguenze e le implicazioni di
questo importantissimo passaggio, punto di partenza più che di arrivo, realtà in forma
di promessa più che realtà già realizzata: ma questo non ne sminuisce il peso. Il
cammino ecumenico è sempre sul filo teso del già e non ancora».
Alcuni pensieri sulla dichiarazione e sulle sue possibili e necessarie
conseguenze.
La DCG sottolinea una testimonianza biblica centrale: «solo per grazia nella fede
nell’azione salvifica di Cristo, e non in base ai nostri meriti, noi veniamo accettati da
Dio e riceviamo lo Spirito Santo, il quale rinnova i nostri cuori e ci abilita e chiama a
compiere le opere buone» (DCG 15). Essa conferma a ragione che i partners
confessano insieme «che le opere buone - una vita cristiana nella fede, nella speranza
e nella carità - seguono la giustificazione e sono frutti della giustificazione» (DCG
37).
Il fatto che nel 1999, tra Federazione Luterana Mondiale (FLM) e Chiesa
Cattolico-Romana, si sia giunti a una vera e propria convergenza su come intendere il
messaggio biblico centrale della giustificazione per grazia e per fede, è stato un passo
fondamentale sia per il metodo sia per il risultato raggiunto, le cui conseguenze e
ripercussioni possibili e auspicabili potranno e dovranno rivelarsi davvero
riformatrici.
Il partner protestante deve “riscoprire” il messaggio biblico della grazia divina
che ci accoglie e che ci ri-forma rendendoci graziati e liberati a responsabilità; il
partner cattolico e in parte anche le chiese ortodosse e orientali, deve aprirsi
all’accoglienza delle diversità che insieme formano l’Unità della Chiesa. Quindi
d’ora in poi si parlerà (come invita e spinge il Concilio Vaticano II) di Unità nella
Diversità. È proprio questa visione che può aiutare ad affrontare con più “serenità”
quelle tematiche spinose sotto il profilo teologico ed etico: ruolo del ministero
consacrato, maggiori possibilità di intercomunione per coppie e famiglie
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interconfessionali; rapporto tra Sacra Scrittura e tradizione ecclesiale; interpretazione
dell’eucaristia in genere; insegnamento del magistero cattolico e libertà di coscienza.
Dobbiamo pregare e sperare che questo dialogo tra la Chiesa Cattolico-Romana e
la Federazione Luterana Mondiale prosegua nella carità, nella preghiera e nella
ricerca teologica, senza perdere mai di vista la dignità di ogni persona.
Vi è urgenza di procedere con pazienza e con tenacia sul cammino intrapreso ovviamente tenendo ben presente la fondamentale comunione che si sta sempre più
intensificando tra le chiese luterane e quelle riformate (di stampo zwingliano e
soprattutto calvinista).
DIALOGHI BILATERALI TRA I CATTOLICI
E LE ALTRE CONFESSIONI CRISTIANE
BREVE RIEPILOGO STORICO
Il dialogo ecumenico nasce dall’esigenza di ricomporre una frattura creatasi
all’interno della chiesa cristiana già dai primi secoli della sua esistenza con la non
accettazione dei Concili di Nicea e di Calcedonia che riguardavano la discussione
sulla divinità di Cristo. Con i concili di Bari (1098), di Lione (1274) e di Firenze
(1438) c’è un primo tentativo di riportare all’unità tutti i cristiani. Dopo il grande
scisma d’oriente, abbiamo un’altra grande frattura con Lutero, Calvino e Zwingli.
Ma è solo nei primi anni del XIX sec., e per iniziativa dei protestanti, che ci si
rende conto che è necessaria una reale intesa tra i cristiani: l’evangelizzazione dei
paesi in cui le varie confessioni cristiane svolgono attività missionaria deve avvenire
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in modo coerente ed essenzialmente uniforme, il Cristo che si va ad annunciare è Uno
ed una è la fede.
La nascita ufficiale del movimento ecumenico si fa risalire abitualmente alla
Conferenza missionaria mondiale di Edimburgo (1910).
La Conferenza di Edimburgo sfocia in un forum che dà vita al Consiglio
Missionario Internazionale (1921).
Seguono la formazione di altre strutture, in particolare “Vita e Azione” e “Fede e
Costituzione” che alla fine hanno trovato convergenza nel CEC: Consiglio
Ecumenico delle Chiese (1948).
Il CEC persegue lo scopo dell’unità dei cristiani cercando in primis i punti comuni
e poi le sostanziali diversità che non possono essere rimosse o cambiate ad un punto
tale da unificarsi in un unicum. Preso coscienza di ciò il CEC da questo momento
persegue la strada del rispetto delle diversità perché comunque l’origine e il fine
comune a tutte le realtà cristiane è Cristo e la fede in Lui.
La chiesa cattolica si è sempre astenuta dal partecipare in maniera diretta ed attiva
ai lavori del CEC perché perseguiva l’idea che sostanzialmente l’Unità si sarebbe
avuta quando le altre confessioni cristiane fossero tornate nella chiesa cattolica stessa,
accettando il primato di Roma e cioè il primato del Papa.
È con Papa Giovanni XXIII che la visione cattolica sull’unità dei cristiani inizia ad
assumere un’altra dimensione: la chiesa cattolica intuisce che abbandonando l’idea
del proprio primato sulle altre chiese cristiane favorisce ed intensifica il dialogo con
esse. Il dialogo è la base della conoscenza che porta al rispetto e alla comprensione
reciproca delle proprie tesi sia in campo teologico che in quello liturgico.
Per la chiesa cattolica, però, il dialogo deve basarsi su dei principi essenziali che
possono essere riassunti nella ricerca della purezza della dottrina cattolica, nella sua
profonda ed esatta esposizione, condotta con amore della verità, carità ed umiltà.
Punto essenziale è anche la preghiera privata e pubblica per l’unità dei cristiani:
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questa è da ritenersi l’anima del movimento ecumenico e per tanto possiamo definirlo
“ecumenismo spirituale”.
Molto fruttuosi sono stati, e sono, i dialoghi bilaterali tra i cattolici e le singole
confessioni cristiane. Cominciamo ad esaminare il dialogo tra cattolici ed ortodossi.
4.1 CATTOLICI/ORTODOSSI
I PRINCIPALI OSTACOLI
La visione ecclesiologica
Gli ortodossi non riconoscono una struttura ecclesiale di forma piramidale. C’è
un’uguaglianza fondamentale fra tutte le comunità eucaristiche locali e i vescovi che
le presiedono (i Patriarcati): essi sono dei rappresentanti delle loro comunità e le
chiese locali hanno una propria autonomia interna. In tal modo l’insieme delle Chiese
locali costituiscono una fraternità o comunione di Chiese che si esprimono in un
collegio episcopale.
Il collegio episcopale è espressione del circolo apostolico; si riunisce almeno una
volta all’anno e attraverso i concili locali o ecumenici raccoglie le istanze delle
singole realtà e le iscrive nel patrimonio della chiesa universale. Ciò ci fa capire che è
un vertice al contrario: è la base che detta in qualche modo le direttive alla chiesa
universale. I Patriarchi sono tutti primus inter pares.
Il primato del vescovo di Roma
È chiaro che per la visione ecclesiologica che abbiamo innanzi esposto non può
trovare posto il primato del Vescovo di Roma che, invece, pone l’accento sui dirittidoveri del Papa verso la chiesa universale. In Oriente, piuttosto l’attenzione va alle
relazioni di comunione tra le chiese e i rapporti giuridici si limitano essenzialmente
all’ambito conciliare, sottolineando la visione sinodale entro la quale viene esercitata
la potestas primaziale. Sostanzialmente l’istituto patriarcale non implica alcuna
autorità nemmeno di diritto divino; la gerarchia è soggetta al sinodo e nessun primate
può avallare a sé un potere ricevuto da tutti i vescovi nel sacramento
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dell’ordinazione. Ed è per questo che già dal VI sec. il vescovo di Roma è
considerato
“Patriarca
d’Occidente”
insieme
agli
altri
quattro
Patriarchi
(Costantinopoli, Alessandria, Antiochia e Gerusalemme): la sua funzione è concepita
dagli ortodossi come semplice ruolo di guida ed esclude una suprema autorità
giurisdizionale.
In effetti non è il primato di Pietro in discussione nella chiesa ortodossa, perché
non vi è dubbio che Pietro è il primo tra gli Apostoli. Il problema si pone sulla
successione: per gli ortodossi tutti i vescovi sono in ugual modo successori non solo
di Pietro ma di tutti gli Apostoli. Non c’è per loro nessun diritto divino a priori come
invece sostiene Roma definendo primus inter pares il vescovo di Roma.
Ciò comporta anche dei problemi sulla dottrina: gli ortodossi non accettano nessun
sviluppo nella formulazione della fede cattolica avvenuta successivamente alla
separazione: al massimo potrebbero accettarle come theologoumena della chiesa
latina. Sostanzialmente questa forma di papato della “chiesa latina” non potrà mai
essere accettata dalle Chiese Orientali e soprattutto nella formulazione che ne fa il
Concilio Vaticano I. 1
È questo il vero ostacolo all’unità per quanto riguarda gli ortodossi: per loro non è
proprio concepibile un super-vescovo universale che relativizza e talvolta ignora il
potere dei vescovi tutti anch’esso di origine sacramentale.
Per gli ortodossi il Papa è semplicemente il primo vescovo della cristianità, mentre
per i cattolici è il fondamento visibile dell’unità della Chiesa.
Altro serio ostacolo all’unità sono le Chiese Uniate, cioè quelle Chiese orientali
che si sono riunite con “Roma” mantenendo, però, una propria liturgia e un proprio
codice di diritto canonico. Queste Chiese sono malviste dagli ortodossi perché
considerate come Chiese che non hanno saputo difendere la propria identità
1
PIO IX, Pastor Aeternus, Costituzione Dogmatica Concilio Vaticano I, 1870: «Se qualcuno dunque affermerà che non è per
disposizione dello stesso Cristo Signore, cioè per diritto divino, che il beato Pietro abbia per sempre successori nel Primato sulla
Chiesa universale, o che il Romano Pontefice non sia il successore del beato Pietro nello stesso Primato: sia anatema».
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lasciandosi usare da Roma che ha creato attraverso di esse dei patriarcati paralleli a
quelli ortodossi.
IL DIALOGO
È detto chiaramente dalla dottrina cattolica che le Chiese orientali sono quelle con
cui condividiamo in assoluto più "ricchezze" salvifiche: anzitutto sacramenti veri e
validi, ma anche ecclesiologicamente riconosciamo che sono formate da "autentiche
Chiese locali".
Il dialogo teologico tra Roma e Costantinopoli ha come base il cosiddetto “dialogo
della carità” che trova le sue radici nel messaggio natalizio del 1958 di Giovanni
XXIII.
È con Papa Paolo VI e con il Patriarca Atenagora I, nel 1964, che cattolici ed
ortodossi realizzano un abbraccio di pace con il ritiro delle rispettive scomuniche
avvenute nel 1054.
Un anno dopo, Paolo VI e Atenagora I si videro di nuovo in Israele, e in quella
occasione i due religiosi rilasciarono di comune accordo quella che passò alla storia
come La "Dichiarazione comune Cattolico-Ortodossa del 1965": questo documento
ebbe la conseguenza di attivare una commissione congiunta per il dialogo fra le due
confessioni, che effettivamente nacque nel 1966 e che è ancor oggi attiva. Questi
episodi concilianti non devono far credere che il Patriarca abbia accettato la
supremazia papale: anzi, proprio il ruolo di comando del pontefice fu ed è l'ostacolo
più grande sulla via che porta all'unificazione delle due religioni. Condicio sine qua
non sulla fusione tra cattolicesimo e ortodossia resta l'abolizione del ruolo del papa.
In occasione della visita di Giovanni Paolo II al Patriarca ecumenico Dimitrios II a
Costantinopoli viene annunciata ufficialmente la costituzione della Commissione
mista internazionale. Nelle assemblee plenarie di detta Commissione si sono elaborati
vari documenti sui seguenti temi:
-il Mistero della Chiesa e l’Eucarestia alla luce della Santa Trinità (Monaco 1982);
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-Fede, Sacramenti ed Unità della Chiesa (Bari 1987);
-Il Sacramento dell’Ordine nella struttura sacramentale della Chiesa (Valamo
1988);
-L’Uniatismo, metodo di Unione del passato, e la ricerca attuale di unità
(Balamand 1993).
All’interno dei dialoghi non è mai stato affrontato in modo aperto e chiaro il tema
dell’Uniatismo e del primato del Papa. Infatti fino all’ultimo incontro dell’anno 2000
si è evidenziata la mancanza di qualsiasi accordo in merito.
CATTOLICI/LUTERANI
I PRINCIPALI OSTACOLI
Visione ecclesiologica
La visione luterana della Chiesa è strettamente connessa al problema della
giustificazione mediante la fede, che diede inizio alla riforma.
Il protestantesimo è scaturito da una nuova lettura della Bibbia attraverso cui
Lutero ha affermato che i cristiani sono giustificati non attraverso le loro opere e
meriti che ne derivano, ma soltanto per la grazia di Dio ricevuta nella fede.
La conseguenza di questa affermazione è che sia la Chiesa e sia il singolo
individuo non possono rivendicare un ruolo di cooperazione alla salvezza.
La Chiesa, quindi, non è considerata come Sacramento di Salvezza: i suoi ministeri
non sono mezzi efficaci per la comunicazione della Grazia.
Per Lutero l’unico strumento di salvezza è Cristo stesso e quindi la sola Scriptura.
È evidente che la frattura è proprio sul ruolo della Chiesa e dei suoi ministeri, della
sua autorità e della sua relazione con Cristo.
Secondo Lutero l’ordinazione ministeriale che avviene con l’imposizione delle
mani è un rito che non ha nulla di sacramentale, esso è una semplice azione simbolica
senza alcun conferimento di grazia e di un particolare carattere. Per cui l’istituzione
del ministero del vescovo, del parroco e del ministro è semplicemente un atto
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politico- amministrativo che ha la sua radice nell’abilitazione conferitagli dalla
comunità senza alcun potere sacralizzante.
Il primato del vescovo di Roma
Questa interpretazione del ministero si riversa anche sulla concezione luterana del
primato e, quindi, in particolare sul primato del vescovo di Roma.
In un primo momento Lutero non ha negato al Papa i legittimi poteri spirituali sia
nella sua diocesi che a livello generale. Lutero cercava una sorta di riforma, dovuta
alla situazione storica del momento, che riportasse la Chiesa ad essere testimone di
Cristo in maniera autentica.
Ma ben presto cominciò una rapida e crescente critica specialmente in opposizione
all’insegnamento della bolla Una sanctam che affermava la necessità che ogni essere
umano per la salvezza deve essere soggetto al vescovo di Roma.
Questo contrasto si evidenziò attraverso dei libri antipapali che appunto rifiutavano
il primato di giurisdizione del Papa, e la sottomissione alla sua autorità.
L’apice della crisi si manifesta con l’identificazione del Papa con l’anticristo. Ciò
sanziona la rottura definitiva con Roma.
Questo rifiuto dell’ufficio papale perdura ancora oggi, sia nelle Chiese Luterane
che nelle altre Chiese protestanti, come giudizio semplicemente tramandato di
generazione in generazione.
IL DIALOGO
I primi contatti con i luterani li abbiamo con la partecipazione dei luterani al
Vaticano II come osservatori.
In seguito nel 1965 e nel 1966 si formò un gruppo di lavoro per esaminare due
problematiche: le controversie teologiche tradizionali e i matrimoni misti.
Successivamente abbiamo tre fasi attraverso cui si è sviluppato il dialogo ufficiale:
- nella prima fase (1967-1973) è stato prodotto il Rapporto Il Vangelo e la Chiesa
riesaminato prima a Zurigo nel 1973 e poi a Roma nel 1974. La conclusione fu
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che i temi principali da sottoporre alle commissioni del dialogo dovevano
essere: l’eucarestia, il ministero episcopale e le vie verso la comunione;
- nella seconda fase (1073-1984) abbiamo lo sviluppo delle discussioni intorno
alle tematiche proposte durante la prima fase. Inoltre in occasione del
cinquecentesimo anniversario della nascita di Lutero la Commissione ha
pubblicato la Dichiarazione comune Martin Lutero, testimone di Gesù Cristo
(1983). Nell’anno successivo è stato pubblicato il documeto L’unità davanti a
noi, che sottolinea la necessità dell’impegno per raggiungere la comunione
ecclesiale;
- nella terza fase (1986-1993) si evidenzia e sottolinea il problema della
giustificazione e della concezione della Chiesa in rapporto a ciò che sono le
reciproche relazione o implicazioni rispetto a tale concezione. Ciò si è
concretizzato nel documento Chiesa e giustificazione. La comprensione della
Chiesa alla luce della dottrina della giustificazione (1993).
Dal 1995 il dialogo è entrato nella quarta fase e si sta occupando dell’apostolicità
della Chiesa.
CATTOLICI/ANGLICANI
I PRINCIPALI OSTACOLI
Visione della Chiesa
È la politica religiosa personale di Enrico VIII all’origine della scissione con la
Chiesa di Roma: voleva ottenere il divorzio per sposare un’altra donna. Pertanto la
scissione nasce per preservare la corona, e quindi per scopi politici, e non piuttosto
per mere divergenze teologico-dottrinali: non c’era il rifiuto del primato del Papa e
quindi non era nella volontà di Enrico VIII il voler creare un cattolicesimo senza
Papa.
È chiaro che gli anglicani risentono dell’influsso del protestantesimo e pertanto la
scissione definitiva si ha con Elisabetta I che viene nominata unico supremo capo del
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Regno sia nelle questioni temporali che ecclesiastiche. Pio V nel 1570 scomunica la
regina segnando il distacco quasi completo tra le due Chiese.
La separazione diventa una questione dottrinale solo nel XVII: al centro della
discussione c’è l’ecclesiologia con una grande varietà di pareri. Da un lato c’è chi
vede il papato come un’istituzione difettosa dove il Papa viene identificato come
l’anticristo.
Altri considerano il papato come un’istituzione corrotta ma suscettibile di riforma.
L’anglicanesimo in pratica, non rifiuta il primato come tale, ma la supremazia
romana: esso identifica il primato in un contesto regionale o più precisamente
nazionale e da farsi svolgere in un contesto fortemente collegiale e conciliare. La
visione anglicana del primato è più vicina a quella orientale che a quella protestante:
il Papa di Roma è considerato Patriarca d’occidente.
Il primato è considerato il segno della koinonia visibile che Dio vuole per la
Chiesa; esso è lo sturmento attraverso il quale si realizza l’unità nella diversità.
Resta da chiarire ancora oggi nel dialogo ecumenico se :
- questo ministero sia necessario,
- se è richiesto de iure divino o per ragioni pratiche
- in che maniera deve essere esercitato.
IL DIALOGO
Il dialogo cattolico/anglicano ha avuto origine dagli incontri di Madera nel 1890.
In seguito è stato formalizzato nella dichiarazione comune del 1966 tra il Papa
Paolo VI e l’Arcivescovo Runcie. In seguito fu istituita una commissione teologica
che avrebbe dovuto spianare la via alla piena riconciliazione.
La prima fase (1967-1968) si concluse con la pubblicazione del Rapporto di Malta
che prese in esame i problemi relativi all’eucarestia, al ministero e all’autorità nella
Chiesa. Da qui emerse ciò che unisce cattolici ed anglicani nella fede e ciò che
invece è ancora sul piano delle divergenze.
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Nel 1969 viene istituita la Commissione Internazionale Anglicana-Romana
cattolica che svolse i suoi lavori dal 1971 al 1982. Dalla Commissione furono
redatti due dichiarazioni: Dottrina sull’eucarestia e Ministero e ordinazione. A
queste fecero seguito ulteriori delucidazioni espresse nei Chiarimenti di Salisbury
(1979).
Sull’autorità della Chiesa vengono pubblicati altri due documenti: Dichiarazione di
Venezia Autorità nella Chiesa I (1976) e la Dichiarazione di Windsor Autorità
nella Chiesa II (1981).
Nel 1982 in seguito alla visita di Giovanni Paolo II a Canterbury fu istituita una
seconda commissione che diede luogo alla dichiarazione comune circa le principali
differenze dottrinali che ancora ci separano.
È opportuno sottolineare che solo nel dialogo bilaterale cattolico-anglicano è
affrontato in modo approfondito e ampio il problema del primato e del papato.
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