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Pietro Stellini
DIALOGHI
ISBN 978-88-85437-00-5
© 2017 Gallica 1689 s.r.l. – 39100 Bolzano
Tutti i diritti riservati
16
89
GALLICA
INDICE
pag.
La tua richiesta, Marco, di sapere
5
1
Dialogo di Giotto e di Munch
9
2
Dialogo di Raffaele Bombelli e di Torquato Tasso
23
3
Dialogo di una notte d’agosto tra un uomo e il suo genio
41
4
Dialogo di Gian Lorenzo Bernini e di Galileo Galilei
49
5
Dialoghetto per strada
55
1
DIALOGO
DI GIOTTO E DI MUNCH
Munch
Che cosa fai, padre?
Giotto
Sto studiando un quadro singolare, che, senza arte, ne
è pieno.
Munch
Che cos’è? Fammi vedere. Ah, Ettore e Andromaca.
Giotto
Ne sono affascinato, non capisco perché; certo non è il
modesto trucco di disfare il linguaggio ... Sono troppo
vecchio perché mi paia nuovo ... E come esecuzione ...
Un ceffone gli davo, se in bottega ne trovavo uno così
tronfio e scarso ... Eppure ...
Munch
Ti sei dato all’arte moderna? Lascialo dire a me, che ne
capisco: c’è più poesia nelle tue orlate mura, che in
questi amanti colorati e di legno.
Giotto
Forse, ma non è di poesia che parlavo, né la poesia è
tutto.
Munch
Padre, l’arte moderna fu solo uno schiamazzo di oche
in Campidoglio.
Giotto
Sei troppo duro.
Munch
Perché? Non salvarono esse forse Roma, il 390 avanti
Cristo, dai Galli penetrati dentro mura? E non credo
che non ci fossero a Roma cittadini o sentinelle o cani:
dormivano tutti della grossa, mi pare. Quelle almeno
le ascoltarono ... A noi non è toccato neanche questo,
ma solo i gridolini ebeti.
Giotto
Eh! ... Ma già ... In settentrione le case sono così calde
dentro come fuori è freddo; noi, invece, con alte sale
che lasciano entrare solo l’azzurra profondità dell’aria
e un’ombra fresca ci ripariamo dall’assolato cielo tutto
turchino; e fuori i folletti dalle chiome d’oro per tutto
fanno come i bambini, ridendo i tormentosi giochi sui
cani pazienti.
Folletto ... E il sole non s’ha intonacato il viso di ruggine; come
fece, ma secondo Virgilio, per la morte di Cesare: della
quale io credo si prese tanta pena quanta se ne pigliò
la statua di Pompeo.
Giotto
S’è mossa la tenda, e uno sbuffo d’aria ... Come è bella!
Folletto Grazie, padre!
Giotto
… Ma lasciamo questa bagatella di quadro. In che cosa
posso servirti?
Munch
Veramente sei tu che mi hai chiamato, padre ... Ma in
giro si sente di certe stanze che vai dipingendo ...
Giotto
Ah, già! ... No, no, bagatelle!
Munch
... E che gli hai messo intorno più sentinelle tu che
quelle ninfe belle che, con la scusa di servirla, il Sole ...
Giotto
Son trucchi del mestiere, li conosci.
Munch
Anche il fumo di arrosto è un vecchio trucco, ma non è
mica la prova che non ci sia l’arrosto.
Giotto
Riservatezza di vecchi ... Ma un’insicurezza … Non so
dire ... Ti ho chiamato per questo … Una insicurezza, o
della mano, forse, o più profonda ancora, m’impaccia e
mi trattiene. E mi serve consiglio.
Munch
Ah, ah! ... Questa è bella!
Giotto
E perché?
Munch
… I giovani che chiedono consiglio è un gran guaio già
fatto e vogliono rimedio; o un guaio da fare, e bussano
a quattrini; ma un vecchio! … Oh! ... È proprio il gatto
che chiede aiuto al topo!
(…)
2
DIALOGO
DI RAFFAELE BOMBELLI E DI TORQUATO TASSO
Bombelli
O Torquato, che fai?
Tasso
Sto io leggendo.
Bombelli
Questo lo vedo, ma chiedevo cosa.
Tasso
Come orsa, che l’alpestre cacciatore
ne la pietrosa tana assalita abbia,
sta sopra i figli con incerto core,
e freme in suono di pietà e di rabbia:
ira la invita e natural furore
a spiegar l’ugne e a insanguinar le labbia;
amor la intenerisce, e la ritira
a riguardare ai figli in mezzo l’ira.
Bombelli
Ah, il nostro Ariosto! Ma sai che questa ottava (oh,
se me ne fossi ricordato!) scioglieva la questione che
ho con un meccanico che mi sta sempre appresso?
Tasso
E qual è la questione?
Bombelli
Che devono essere rispettate le condizioni di validità
del discorso.
Tasso
E quali sono?
Bombelli
In matematica sono che l’infinito non ha parti e non
è parte e nemmeno è dicibile secondo le parti; e che
la divisione non annulla; che la linea è irriducibile al
punto ed il punto non è proprio individuabile di per
sé; poi ancora che non si può, e per nessun rinvio,
ridurre a necessità l’origine delle cose; che gli oggetti
immediati, o del mondo, sono irriducibili alle nostre
affermazioni. E chi le trascura fa chiacchiere morte.
Tasso
Direi proprio. Mi sembrano però prescrizioni non di
tua arte solo, ma generali, salvo la terza.
Bombelli
Sì. Tanto che da lì siamo venuti a dire del linguaggio.
Tasso
E che vi siete detti?
Bombelli
Che le regole lo esplicitano, ma non lo fondano; ed
infatti operano su proposizioni, non su di esso, che è
altro, resistente, simile a ciò che diciamo reale.
Tasso
Una conversazione quasi più da poeti.
Bombelli
È per questo che vengo da te. Perché, dicendo lui che
i poeti si contraddicono ad ogni piè sospinto (ed io
stimando invece immensamente la poesia, ma non
volendo entrare in cosa così dotta con apprendista
ruvido e inesperto), l’ho portato a convenire che tali
prescrizioni sono modi di non contraddizione. Ma è
rimasto in sospeso se la poesia sia contraddittoria. E
per esempio il passo che leggevi non lo è, ma dice
bene di più legati insieme, come tutte le cose della
vita mortale.
(…)
3
DIALOGO
DI UNA NOTTE D’AGOSTO
TRA UN UOMO E IL SUO GENIO
Genio
Eccoti qui. Mi attira il silenzio, che è operoso; e fuggo
invece da quelli sempre in agitazione, senza far nulla.
E molti scruto, come gli alberi il picchio finché trova
quello in cui fare il nido, e lì batte e martella, e scure
larve mangia, e sé segnala con geloso amore al luogo
di cui è il solo signore.
Wolfgang È strana questa sera. Ed è anche fredda.
Genio
Ricordi? C’è anche un amplesso che cerca solamente
aver riparo. E nessuno è più lieto del bambino che in
braccio alla sua madre ride e guarda.
Wolfgang È proprio freddo. Ah, quanti ricordi mi assediano.
Genio
Io sono il raccolto, la spiga che si piega sullo stelo.
Wolfgang Chi sei?
Genio
Io sono l’ora che t’inseguì da bambino nei tuoi giochi,
che nei suoni tu insegui; io son colui che negli occhi
spalancati alla tua nascita versò la sete inappagata,
per cui nomi non hai, che nessun uomo può con voce
nominare; io sono l’inesprimibile gemito che implora
il Signore Dio e, come amante fa, così comanda a Lui,
irresistibile e forte; io son colui che sta per recidere il
tuo filo; io sono la lama, che nel tuo petto è già fin
quasi all’elsa, io la gioia che non sai. Io sono colui
che porta a te l’ultimo dono, quello per cui con labbra
tu nel sonno senza alcun suono il nome tenti e non
dici e non sai.
Wolfgang Che chiedi?
Genio
Tu veramente pensi che qualcosa io da chiedere a te
abbia o che possa tu qualcosa per me? Tu veramente
credi che la fonte abbia da chieder mai essa qualcosa,
là dove trabocca, a cocci e terra su cui danza e ride?
Wolfgang Sì. Io sono da troppo in vita e in dolore e in gioia, per
non sapere questo. O forse tu non sai, forse non credi
che diversamente fa l’acqua, mentre sui sassi e sopra
i cocci passa e ride, dal piede che li calcia ridendo, o
piangendo?
Genio
Sia. Io per me voglio più di Idomeneo: un’opera che
sia di così alta e riservata bellezza e sì ineguale che io
riposi in essa ed essa sia, come sorgendo il sole tra le
brume, tale vittoria che chi la guarda fisso anche si
acceca; o che guardi come chi la sua mente rifugia tra
nebbie vuote e vinte, e non capisce, e crede il niente
suo che poi sia tutto, ed il mio tutto niente. Io voglio
da te cosa che ricapitoli te con il tuo mondo, prima
che l’incedente incendio lo consumi e qui tutto divori.
Wolfgang E che pegno mi dai per questo tu? Quale caparra?
Genio
Io sono fiamma, e tu sei la candela: la mia caparra è
sfavillante e amara. Io sono la Clemenza. Io sono la
luce d’agosto quando il sole arrossa, la spada che già
ti trafigge. Io te la toglierò dall’anima col sommo di
questa estate e tu saprai quanto lungo e quanto breve
è il fiotto per cui essa a luce e luce ad essa irrompe, o
tenebra.
Wolfgang Che dici?
Genio
Ah! Ma cagion di maraviglia non è già, felice Augusto,
che gli dèi, chi lor somiglia, custodiscano così!
(…)
4
DIALOGO
DI GIAN LORENZO BERNINI E DI GALILEO GALILEI
Galilei
Prendetemi la mano: sì, così, forza! Il piede là, su, ecco
... Ah, visto? Sedetevi ora qui vicino a me, e guardate.
Bernini Ah, ho avuto un mancamento. Ora sto meglio, grazie.
Chi siete? E dove siamo qui? Che cos’è questo fiume?
Galilei
È bello, vero?
Bernini Sì, veramente. Io sono molto amico delle acque, esse
calmano il mio spirito.
Galilei
Io vidi cosa simile, pur non così solenne, in un corteo
magnifico di barche, venendo un giorno da Venezia in
quel di Valsanzibio: le imbarcazioni erano illuminate
da torce e per le rive fiaccole innumerate fino proprio
al grand’arco ove l’acqua, gli dèi, tritoni e ninfe ridono
scherzando e la cascata si cambia in dolce lago e fa da
approdo; là smontando dalle barche entrammo in villa
e selvatici boschi di golfi ventosi e lieti colli vidi che la
cingono tutta in loro abbraccio. Ma come più magnifica
è la riva che qui raccoglie tutta questa gente.
Bernini Sì … Ah! Le mie mani!
Galilei
Oh, ma qui voi, come tutti, lasciato avete la vecchiezza
a prima.
Bernini Sono dunque io morto? O questo è un sogno?
Galilei
Quei nomi son carcasse, questo è il vero; lo stesso vero
che vedevate già, ogni qual volta eravate con gli occhi
a quella stampa che tanto vi piaceva del Signore e che
vi portavate sempre appresso, e in Francia; il vero per
cui faceste voi del marmo cera e carne, e la materia fu,
tra vostre mani, dolce.
Bernini Vi ringrazio. Non tutti la pensano così, ma io credo che
mancò agli altri il coraggio di far del sasso pasta, e di
cambiar la pietra anche in pittura.
Galilei
È questo che si sente e che più ammiro e che vi diede
accesso a quella porta per cui materia sente il primo
tocco, con la sua verità dolce ed eterna. Ma manca giù
il coraggio, come pur quello di immaginare lunghezza,
ma non punti, o che ci sono numeri che stanno in falsa
squadra, come in piazza Navona sta il vostro obelisco.
Bernini In falsa squadra io anche feci il sepolcro ad Alessandro
Papa e per la porta vidi entrar la morte e sollevare con
l’ossuto braccio il drappo ben pesante in diaspro rosso
mostrando la clessidra e denudando la bella Verità che
al Successor però piacque vestita, come ai potenti, ed
anche ad altri, accade.
Galilei
E stanno essi proprio fuori squadra e non sanno che il
Signore ama fare della Sua onnipotenza tenerezza. Ma
quello stesso vero, che per natura appare, anche l’opera
vostra a me dimostra, e lo ammiro; come già in quella
statua così bella che non piacque al re fatuo di Francia
e sempre mi commuove, come tutte le vostre.
Bernini Io vi ringrazio. Ma ditemi: chi siete?
Galilei
Fui Accademico e sono il Galileo che nella nostra Roma
un dì fece rumore. E tra gli amanti vostri a me è dato il
bell’onore di essere chi a voi la mano offra, qui dove è
l’alto passo di ogni cosa.
Bernini Oh, le mie opere … Ma io non ho in verità mai avuto
desiderio di dire se non della natura di cui sono tanto,
tanto innamorato. E innamorato certamente è Dio. Ma
dite, che cos’è questo luogo?
(…)
5
DIALOGHETTO PER STRADA
Pietro
No, i concetti sono come sassi di fiume. Riempine pure
le tasche: non ti aiuteranno a nuotare, meno che mai
nel gorgo delle passioni. E nella pietraia deserta in cui
niente ha più senso, perché caricarsene?
Marco
Questo non significa che siano inutili.
Pietro
Non ho detto questo, sto solo guardando come sono. E
per esempio con i fasci di paglia puoi fare dei tetti per
case asciutte e graziose, ben abitabili, ma restano case
col tetto di paglia, restano fasci di paglia.
Marco
D’accordo, ma non vedo dove vuoi arrivare.
Pietro
Dico che gli ombrelli, pur utili contro la pioggia, non si
aprono in tempeste di mare; così i concetti sono come
i peli del cane al cambio di stagione. E che la stagione
sia cambiata è evidente, perché nella modernità tocca
ai semplici la parte che fu di Pulcinella.
Marco
E sarebbe?
Pietro
Capitò a Pulcinella, sbarcato nell’isola dei cannibali, di
essere preso per strano; e scoperto poi che i cannibali
erano tutti filosofi, il povero guitto si mise a discutere
con loro e con pensieri, argomenti ed invenzioni provò
a metter del tempo tra l’esser vivo e l’essere vivanda. E
fece e disse delle cose tali che non filosofo solo, anzi
uno dio, lo acclamarono quelli e di mangiarlo non più,
ma gridavano invece di dargli in pasto e donne e figli,
anche se stessi! E Pulcinella ci chiese sopra anche un
poco di pane. E disse uno “E con che cosa è che si fa il
pane?” “Il lievito” rispose Pulcinella tra gli applausi, le
grida, i fischi, i ‘Bravo!’, le ovazioni: il delirio! In tanto
torrente di ruggente approvazione aggiunse “Acqua e
farina”. Si ghiacciò l’assemblea, ché non un dio, né un
filosofo aveva così tanto applaudito: un mentecatto! E
lo sbranarono crudo.
Marco
Ti va se ci avviamo? Ormai le ombre cedono alla notte.
Pietro
Sì, volentieri.
Marco
E dunque?
(…)
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