venerdì, 10 marzo 2017 – ore 20.30
SERGEJ KRYLOV
Wolfgang Amadeus Mozart
Ouverture da Le nozze di Figaro KV 492
Max Bruch
Concerto n. 1 in sol minore per violino e orchestra op. 26
Vorspiel. Allegro moderato
Adagio
Finale. Allegro energico
***
Rodion Ščedrin
Carmen Suite
Introduzione – Danza – Primo intermezzo – Cambio della guardia – Entrata di Carmen e Habanera –
Scena – Secondo intermezzo – Bolero – Il torero – Il torero e Carmen – Adagio – La predizione delle
carte – Finale
Violino solista e direttore
Sergej Krylov
Orchestra I Pomeriggi Musicali
«CINQUE… DIECI! VENTI... TRENTA! TRENTASEI… QUARANTATRÉ!»
di Nicolò Rizzi
Che Mozart stia dando i numeri? Forse. In verità Figaro, e non il compositore, li sta dando
letteralmente a se stesso (e un po’ anche a Susanna, sua promessa sposa) per calcolare però lo
spazio di un letto nuovo, da far entrare nella loro piccola camera matrimoniale. È folgorante
l’incipit de Le nozze di Figaro di Wolfgang Amadeus Mozart, che in soli pochi istanti chiarifica il
soggetto della trama come realmente ‘borghese’, avviando così, nei primi mesi del 1786, un’opera
che diverrà poi pietra miliare nel teatro musicale europeo. Colpisce così che Mozart non abbia
scelto, contrariamente alla prassi più in voga, di anticipare alcun materiale musicale in questa bella
ouverture. Il preludio orchestrale svolge qui la sua funzione, non tanto perciò come presentimento
motivico o tematico, quanto invece – drammaturgicamente – come vero ‘prologo sonoro’. Nel suo
incedere baldanzoso, ci è preannunciato così il carattere di una commedia: una complessa serie di
burle e d’intrighi, di fraintendimenti e segreti. E, nel nostro caso, non c’è forse scelta migliore di
un’ouverture – tra le più brillanti di Mozart – per cominciare un programma che, dal teatro
d’opera viennese di metà Settecento, si addentrerà nell’Ottocento tedesco, per poi giungere infine
allo sperimentalismo del Novecento sovietico.
Con il Concerto in sol minore di Max Bruch ci troviamo innanzi ai più consueti chiaroscuri del
Romanticismo. Nel dominio delle potenzialità tecniche e più altamente espressive dello strumento,
il concerto romantico cela in verità tutte quelle ossessioni titaniche, quell’umano intimismo, e quel
desiderio (ma al contempo timore) di sopravanzamento dei classici che sono ineludibile cifra per
comprendere l’estetica musicale tedesca di pieno Ottocento. È riconosciuto come il posto d’onore,
in quest’epocale avventura, certo spettò al pianoforte. Il violino però non fu certo da meno, grazie
in primo luogo ai grandi capolavori di Mendelssohn e Schumann, di Brahms, Čajkovskij, e persino
Sibelius, ma anche a quel vasto universo di cosiddetti ‘minori’ che affollò tutto l’espandersi
dell’Ottocento europeo. Bruch è tra questi, ma il suo primo concerto (dei tre che in tutto compose)
è assurto da allora all’intoccabile empireo dei ‘sancta sanctorum’, per il violinismo sino a ieri
contemporaneo. L’opera, relativamente giovanile, ebbe genesi lunga, e tormentata. Nei quattr’anni
che separano la prima stesura degli abbozzi dal 1868, anno della veste definitiva, il compositore
tedesco ne diede alla luce quasi tredici diverse versioni. Caso decisamente intricato anche per un
compositore romantico, seppur facile ai ripensamenti. Tant’è che l’autore non ne sarebbe venuto
più a capo, con ogni probabilità, se non grazie al soccorso dei provvidenziali consigli fornitigli da
Joseph Joachim, forse il più grande violinista del tempo, di certo il più noto. Ecco che si palesa così
un’altra importate caratteristica della letteratura romantica: se molti compositori limitarono gran
parte della propria opera ad uno strumento elettivo, prescelto perché essi stessi ne erano
riconosciuti virtuosi (si pensi al caso di Chopin o di Liszt), è vero che altri si avvicinarono a un
dato repertorio strumentale solo ricorrendo alla consulenza di uno ‘specialista’. Nel caso del
violino, tre grandi capolavori romantici sono emblematici di questa prassi comune: il Concerto in
mi minore di Mendelssohn, il Concerto in re maggiore di Brahms e il Concerto in re maggiore di
Čajkovskij non sarebbero probabilmente esistiti (di certo non nella forma in cui noi oggi li
conosciamo) senza gli interventi rispettivamente di Ferdinand David, di Joseph Joachim o di Iosif
Kotek. Curioso tra l’altro che questi tre violinisti siano poi stati legati tra loro da un rapporto
reciproco di maestro-allievo: David fu maestro di Joachim, con cui a sua volta si perfezionò Kotek.
Nel caso del Concerto di Bruch, l’intervento di Joachim non si tradusse nell’accentuazione
virtuosistica della scrittura, come ci si potrebbe aspettare. È ormai invece riconosciuto come ai
consigli del concertista possano essere ricondotti una più evidente cura dell’eleganza stilistica, la
costante attenzione per l’equilibrio formale e una generale continuità nell’avvicendarsi della
spontaneità melodica, al solista, con l’abbraccio più appassionato dell’orchestra. Colpisce l’entrata
scoperta dello strumento, priva d’introduzione orchestrale, caratteristica questa che accomuna il
Concerto in sol minore al suo più noto fratello tedesco (il capolavoro di Mendelssohn). Il tema poi
è di quelli che non si scordano più, sia per la passionalità del suo carattere rapsodico (che ben
avrebbe giustificato il titolo inizialmente previsto di ‘Fantasia’), sia per la sincera e umana purezza
della voluta melodica.
Nell’appressarsi del centenario, il prossimo autunno, della Rivoluzione d’ottobre, ricorrono anche i
cinquant’anni di una tra le più note composizioni di Rodion Konstantinovič Ščedrin. Compositore
russo importante nel panorama del secondo Novecento, forse il più ben accetto e apprezzato della
sua generazione, Ščedrin ha affrontato negli anni la difficile eredità estetica del linguaggio
sovietico (nuda e violenta a volte, spesso spietata verso la propria discendenza post-romantica),
per traghettarla con inconfondibile stile verso un mare più aperto, sul finire del secolo. Autore
prolifico, sia nel campo della letteratura per pianoforte, sia nel repertorio sinfonico-orchestrale,
Ščedrin ha col tempo approfondito alcuni suoi tratti caratteristici, capaci di fondere la sottile
sapienza della raffinatezza linguistica a un’impareggiabile sense of humour, più unico che raro.
Nella sua opera così par veder occhieggiare il volto divertito di un Gogol’, padre letterario
indiscutibile di quell’elegante ironia che in tempi più recenti arruola un Bulgakov o un Sergej
Dovlatov. (Per altro vissuti, così come Ščedrin, in pieno regime). Una sorta di ‘passione letteraria’
si rivela in molta della produzione musicale sovietica, in particolar modo a teatro. E Ščedrin non è
da meno, come dimostrano il suo Anime morte (per l’appunto da Gogol’), o le sue valentissime
prove di balletto, nel solco di quella grande tradizione che ben ricorda Čajkovskij. Sono infatti
balletti tre suoi importanti lavori, scritti in poco più di un decennio, tra il 1967 e il 1980. Ci bastino i
titoli: Carmen suite, Anna Karenina e Il gabbiano. Non Dovlatov, né Bulgakov, è vero, ma altri due
colossi delle lettere russe, come Čechov e Tolstoj, qui condividono gli onori con l’immortale eroina
di Georges Bizet. La Carmen suite, omaggio quindi al teatro d’opera romantico, fece la sua première
al teatro Bolšoj di Mosca, nel 1967. La coreografia era a firma di Alberto Alonso (primo ballerino
del Balletto nazionale di Cuba), il ruolo di étoile per Maija Plisetskaja, e la dedica alla moglie del
compositore. L’opera ci viene oggi riproposta nella sua ben nota versione di suite orchestrale,
trascrizione d’autore con organico tutto particolare, nel suo affiancare alla più usuale compagine
d’archi un drappello di strumenti a percussione insolitamente nutrito. Sia la peculiarità di scrittura
con cui Ščedrin maneggia il materiale melodico (tra i più noti di sempre), sia le stesse scelte
timbriche, e di organico, divengono così strumentali in quest’opera all’intelligenza umoristica e
all’impareggiabile chic sčedriniano. Ritroviamo così, in conclusione al programma, da un lato la
grande tradizione operistica (cui ci aveva introdotto l’Overture mozartiana), dall’altro il
virtuosismo più appassionato (già testimoniato nel Concerto di Bruch), qui però conciliati al
fascino unico della trascrizione. Questa Carmen suite suggella ovviamente una terza tappa ideale,
in un agile percorso tra il Settecento viennese e il Novecento sovietico, ma ancor più testimonia
l’ineludibile cifra di tutto un secolo. Nelle rifrazioni dell’immaginazione fantastica, in quel
mutevole gioco che è la riscrittura, riscoprire il passato (sia per omaggio, o per sola memoria) torna
a ricordarci come scelte di timbro e di suono, come armonie e colori, siano in verità il cuore vivo e
pulsante della musica stessa. Così in grado di rivivere, nel tempo, con sperimentalità sempre
nuove, idealmente infinte.
SERGEJ KRYLOV
Affermatosi come uno dei maggiori talenti della sua generazione, è ospite regolare delle principali
sale da concerto europee e ha collaborato con orchestre quali la Staatskapelle di Dresda,
Filarmonica di San Pietroburgo, Royal Philharmonic, Filarmonica della Scala, Philharmonique de
Radio France, DSO Berlin, Russian National Symphony, Accademia di Santa Cecilia, London
Philharmonic, English Chamber Orchestra, Hessischer Rundfunk Frankfurt, Budapest Festival
Orchestra, NHK Symphony Tokyo, Atlanta Symphony Orchestra, Filarmonica Toscanini e
Copenhagen Philharmonic. Tra le personalità artistiche che hanno maggiormente influenzato la
sua formazione artistica spicca Mstislav Rostropovič per il rapporto di amicizia e stima
professionale creatisi negli anni. Tra i direttori con cui lavora abitualmente figurano Andrej
Borejko, Dmitrij Kitajenko, Michail Pletnëv, Omer Meir Wellber, Valery Gergiev, Yuri Temirkanov,
Vladimir Ashkenazy, Fabio Luisi, Asher Fisch, Vasilij Petrenko, Nicola Luisotti, Vladimir
Jurowski, Julian Kovatchev, Saulius Sondeckis, Zoltán Kocsis e Yuri Bashmet. Nel 2008 è stato
nominato Direttore Musicale della Lithuanian Chamber Orchestra, con la quale ha una intensa
attività nel doppio ruolo di direttore e solista con un repertorio che spazia dal barocco alla musica
contemporanea. Nato a Mosca in una famiglia di musicisti, ha iniziato lo studio del violino a
cinque anni e ha completato gli studi alla Scuola Centrale di Musica di Mosca. Giovanissimo, ha
vinto i primi premi di tre importanti concorsi internazionali: Lipizer, Stradivari e Kreisler di
Vienna. La sua discografia include registrazioni per le etichette EMI e Melodija.
ORCHESTRA I POMERIGGI MUSICALI
Fondata nel 1945, l’orchestra conta su un vastissimo repertorio che include i capolavori del
Barocco, del Classicismo e del primo Romanticismo insieme alla gran parte della musica moderna
e contemporanea. Compositori come Honegger e Hindemith, Pizzetti, Dallapiccola, Petrassi e
Penderecki hanno diretto la loro musica sul podio de I Pomeriggi Musicali, che diventano
trampolino di lancio verso la celebrità di tanti giovani artisti. È il caso di Claudio Abbado,
Leonard Bernstein, Rudolf Buchbinder, Pierre Boulez, Michele Campanella, Giuliano Carmignola,
Aldo Ceccato, Sergiu Celibidache, Riccardo Chailly, Daniele Gatti, Gianandrea Gavazzeni, Carlo
Maria Giulini, Vittorio Gui, Natalia Gutman, Angela Hewitt, Leonidas Kavakos, Alexander
Lonquich, Igor Markevitch, Zubin Mehta, Carl Melles, Riccardo Muti, Hermann Scherchen,
Thomas Schippers, Christian Thielemann, Salvatore Accardo, Antonio Ballista, Arturo Benedetti
Michelangeli, Bruno Canino, Dino Ciani, Severino Gazzelloni, Franco Gulli, Nikita Magaloff,
Nathan Milstein, Massimo Quarta, Maurizio Pollini, Corrado Rovaris e Uto Ughi. Tra i direttori
stabili dell’orchestra, ricordiamo Nino Sanzogno (il primo), Gianluigi Gelmetti, Giampiero Taverna
e Othmar Maga, per arrivare ai milanesi Daniele Gatti, Antonello Manacorda e Aldo Ceccato,
direttore emerito dell’orchestra. In alcuni casi, la direzione musicale è stata affiancata da una
direzione artistica; in questa veste: Italo Gomez, Carlo Majer, Marcello Panni, Marco Tutino,
Gianni Tangucci, Ivan Fedele, Massimo Collarini e, da luglio 2013, Maurizio Salerno. L’Orchestra I
Pomeriggi Musicali svolge la sua attività principalmente a Milano e nelle città lombarde, mentre in
autunno contribuisce alle stagioni liriche dei Teatri di Bergamo, Brescia, Como, Cremona,
Mantova, Pavia (circuito OperaLombardia) e alla stagione di balletto del Teatro alla Scala. Invitata
nelle principali stagioni sinfoniche italiane, l’orchestra è ospite anche delle maggiori sale da
concerto europee. I Pomeriggi Musicali sono una Fondazione costituita dalla Regione Lombardia,
dal Comune di Milano, dalla Provincia di Milano, e da enti privati, riconosciuta dallo Stato come
istituzione concertistico-orchestrale e dalla Regione Lombardia come ente primario di produzione
musicale. Sede dell’Orchestra I Pomeriggi Musicali è lo storico Teatro Dal Verme, sito nel cuore di
Milano.