spazi, storie e soggetti del welfare

Stefano Munarin
Vito Martelliano
SPAZI, STORIE E SOGGETTI
DEL WELFARE
Sul ruolo delle politiche
di welfare state
nella costruzione della città
Stefano Munarin Vito Martelliano
Spazi, storie e soggetti
del welfare
Sul ruolo delle politiche di welfare state
nella costruzione della città
con saggi di
LAURA AZZOLINA
PIERA BUSACCA
GIULIO ERNESTI
CELESTINA FAZIA
FRANCESCO GIUNTA
DOMENICA LA BANCA
LAURA LONGHITANO
FRANCESCO LO PICCOLO
STEFANO MAGAGNOLI
FRANCESCA MORACI
MICHELANGELO SAVINO
BERNARDO SECCHI
ALICE SOTGIA
VITO MARTELLIANO
STEFANO MUNARIN
Indice
Presentazione
STEFANO MUNARIN E VITO MARTELLIANO
Introduzione
Welfare e città. Perché occorre tornare ad esplorare
“una straordinaria forma di civilizzazione”
STEFANO MUNARIN
7
9
PRIMA PARTE: STORIE E PROSPETTIVE
Esperienze di welfare
BERNARDO SECCHI
21
Welfare, città, cultura del piano
GIULIO ERNESTI
25
La forma dell’acqua. Il Welfare State italiano tra sostegno all’impresa e politiche abitative
STEFANO MAGAGNOLI
33
Welfare e governance urbana. Percorsi di ricerca
FRANCESCA MORACI E CELESTINA FAZIA
49
SECONDA PARTE: TEMI DI RICERCA DAL SUD
Welfare e governo urbano. La carenza dei servizi pubblici nelle città meridionali
prima e dopo la stagione di riforme
LAURA AZZOLINA
65
Messina e qualità della vita: contraddizioni in termini
MICHELANGELO SAVINO
75
Welfare o diritto alla città? Sguardi e voci plurali nell’esercizio di forme di cittadinanza attiva
FRANCESCO LO PICCOLO
89
Welfare e Democrazia: periferie dal di dentro
PIERA BUSACCA E LAURA LONGHITANO
99
Forme urbane e politiche sociali nei quartieri del piano Ina-Casa
ALICE SOTGIA
111
La Casa della madre e del bambino: per una topografia dello stato sociale (1932-1975)
DOMENICA LA BANCA
119
La pianificazione del welfare nei territori informali. Dalla degenerazione del (bi)sogno 131
del mare alla nascita della città costiera informale
VITO MARTELLIANO
Welfare space e spazio rurale
FRANCESCO GIUNTA
139
caso contraddittorio e non solo perché se ne
debbano come d’abitudine sottolineare i ritardi nella realizzazione delle opere infrastrutturali (a fronte di una notevole spesa
pubblica e di ingenti investimenti), nella costruzione delle politiche sociali o nella fornitura di servizi e attrezzature, anche per il solo adeguamento (per legge) agli standard urbanistici, fattori che concorrono ad un drammatico quadro dell’offerta. Un diverso corno
della questione diviene semmai la manifesta
difficoltà che si incontra nella ricostruzione
della domanda reale di servizi ed attrezzature e in una dettagliata ed articolata analisi
critica delle esigenze di una collettività abitualmente in difficoltà. O nella rilevazione
dell’oggettiva percezione della sottodotazione, della bassa qualità dell’offerta, degli standard prestazionali dei servizi e di conseguenza della qualità della vita che nelle città del
Sud gli abitanti realmente accusano: le eventuali risposte a questi dubbi spiegherebbero,
in parte, la permanenza nel tempo di una situazione di generale deficit, probabilmente
legata anche ad una sorta di assuefazione che
abbassa le aspettative degli abitanti e di conseguenza induce ad uno scarso impegno del
ceto politico ed amministrativo ad assolvere
all’obbligo di legge di garantire servizi ai cittadini. Un percorso analitico ed interpretativo complesso ed incerto da affrontare, anche
se forse aiuterebbe a comprendere alcuni dei
processi in corso nelle città meridionali in
tempi di ristrettezze finanziarie e tagli ai bilanci e allineerebbe un ragionamento sul welfare alle numerose riflessioni da tempo avanzate sulla legalità debole o sul difetto di capitale sociale delle società meridionali.
La questione circa il welfare nella città meridionale risulta ben più complessa di quanto
non sembri e l’opacità del tema è dovuta a diverse problematiche non pienamente esplorate. Ad esempio, il quadro generale della reale
dotazione di servizi pubblici o di attrezzature
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Spazi, storie e soggetti del welfare
collettive nelle città meridionali – da un punto di vista tecnico-quantitativo – resta alquanto confuso ed indeterminato se non integrato con la valutazione dei costi sociali determinati dalle strutture mai completate, dal
degrado di quelle esistenti che spingono verso l’alto le spese di gestione e di manutenzione delle strutture (un complesso di questioni
che pone le amministrazioni in una condizione di “emergenza costante” a cui oggi si aggiunge non senza drammaticità la razionalizzazione della spesa pubblica); d’altro canto
non possono essere trascurati gli effetti economici e sociali dello squilibrio nella distribuzione territoriale dei servizi sul territorio.
Nel primo caso, infatti, lo scenario dell’offerta pubblica di servizi ed attrezzature risulta
alquanto indeterminato, mancando inoltre una
rilevazione concreta dell’efficacia nella fornitura dei servizi (più che la loro effettiva presenza) o piuttosto dei livelli di standard (in primis quelli del trasporto pubblico) così come
vengono percepiti dai residenti, al punto che
un’eventuale riduzione o cessazione della fornitura dei servizi per quanto paventata non
sembra aver sortito (a Messina come a Palermo
e Catania per esempio per il fallimento delle diverse società erogatrici di servizi pubblici, in
primis trasporti, acqua e smaltimento di RSU)
alcuna rilevante contestazione o mobilitazione collettiva (lasciando presupporre se non l’inconsistenza della domanda, un generale adattamento al disservizio e l’abituale ricorso ad indispensabili alternative).
Di faticosa definizione risulta il quadro
dell’offerta privata, non solo per l’assenza di
aggiornate rilevazioni, ma anche perché la dimensione privata di servizi ed attrezzature
appare articolata, eterogenea e confusa soprattutto per la sua natura particolarmente
“ibrida” (per via delle sovvenzioni pubbliche o
per la particolarità delle convenzioni con le
quali molte prestazioni vengono fornite al limite della regolarità contabile) quando non di
difficile descrizione e relativa mappatura (dovute non di rado a situazioni di illegalità o
mancanza di rispetto dei requisiti e standard
normativi che determina la loro relativa invisibilità). Va tenuto quindi ben presente che il
settore privato nelle regioni del Mezzogiorno
ha comunque potenzialità e risorse limitate
rispetto al resto del contesto nazionale.
Nel secondo caso, invece, la riflessione diventa più complessa osservando come dotazione e qualità dei servizi dipendano ancora
dalla dimensione urbana a cui si intende far riferimento nella valutazione della dotazione di
servizi come delle qualità della vita, poiché nei
diversi sistemi insediativi meridionali – ed in
Sicilia in particolar modo per la presenza di
un’organizzazione territoriale fortemente squilibrata – se la grande dimensione urbana sembra penalizzare la qualità della vita (presentando alti livelli di congestione, tassi di inquinamento maggiori, densità edilizie superiori e
via discorrendo), al contempo solo la “grande
città” riesce a garantire una certa quantità e
qualità dei servizi, nonostante registrino un
“lento ma costante deterioramento dei valori
di urbanità” (cfr. Ruggiero, Scrofani, Ruggiero,
2007). Al contrario di quanto accade nelle
realtà policentriche della pianura Padana o del
centro d’Italia, i servizi, quindi, appaiono meno
diffusi e generalizzati nei territori ed assenti
nelle realtà urbane minori: negli ultimi anni,
infatti, le attività economiche ed i servizi più
qualificati risultano ancora sostanzialmente
accentrate nei capoluoghi (ibidem). Anzi, nei
centri minori persiste un livello di qualità della vita abbastanza bassa e una dotazione minima di servizi, alla quale le famiglie sembrano
poter rimediare solo con il trasferimento verso
i centri maggiori o con un’elevata mobilità veicolare privata. Il progresso materiale che ha distinto questi luoghi periferici – così come molte delle stesse realtà urbane meridionali – è
stato d’altro canto essenzialmente basato più
sui consumi e sull’omologazione degli stili di
vita delle popolazioni che su un effettivo incremento delle attrezzature urbane (Ceci,
2002). Nel complesso, comunque, i dati
dell’Istituto Tagliacarne sull’infrastrutturazione della province meridionali indicano valori
molti bassi (e per inciso le province siciliane
manifestano livelli di grande sofferenza rispetto alle altre regioni del Sud).
Altro tema da dibattere poi sono le ragioni e le caratteristiche di un processo che ha
impedito che nel corso degli anni questo quadro mutasse significativamente, a fronte soprattutto dei notevoli interventi ed investimenti che comunque sono stati compiuti.
Non diversamente da molte altre regioni, la
Sicilia per esempio ha devoluto al rafforzamento delle strutture sociali, ai servizi collettivi, al miglioramento della qualità della vita
la maggior parte delle risorse e degli interventi degli Assi e delle Misure destinate allo
sviluppo urbano, come si evince dai documenti regionali redatti per l’ottenimento dei
Fondi strutturali 2000-2006 e 2007-2013
(Savino, 2005; Di Giacomo, 2011). In questo
modo, fondi FAS (Fondo per le aree sottoutilizzate) e contributi europei sono stati considerati come vere e proprie compensazioni
dell’intervento ordinario delle amministrazioni comunali, e non solo in termini di capitali,
ma soprattutto in termini di procedure e di
relazioni (clientelari) tra ceto politico-amministrativo e abitanti, senza peraltro rimediare
oggi come allora alla frammentarietà e alla
dispersione delle risorse e delle azioni.
Come anticipato, però, a fronte di una generale insufficienza dei servizi non sembra
emergere generalmente una diffusa domanda
sociale, né la vita amministrativa di città grandi e piccole sembra essere scossa da una protestata insoddisfazione per un quadro desolante
per quel che riguarda la fornitura di servizi, come se il well-being locale fosse legato, invece,
ad altri fattori ambientali – che sia il sole o la
luce o il clima, il mare o gli “odori (e sapori) del-
Messina e qualità della vita: contraddizione in termini
77
la terra” come i colori della natura – capaci di
rimediare alle carenze della città. Al di là delle
facili retoriche che avvolgono le città del
Mezzogiorno, la questione è indubbiamente
nella differenza abissale che è andata creandosi nella “città meridionale” tra sfera pubblica e
sfera privata, la relativa ampiezza della seconda rispetto alla prima ed ancor di più i livelli di
qualità che la seconda sembra di poter offrire
spesso attingendo comunque (e non è questa la
sede per spiegare come e perché) alle risorse
pubbliche: nonostante ciò, la dotazione non
appare comunque sufficiente. Così come parallelamente si manifesta la vistosa discrepanza
tra spazio pubblico (degradato, trascurato, evitato) e spazio domestico (perfetto, ricercato,
confortevole, anelato), “lo scarto tra benessere
privato ed il malessere pubblico, che si manifesta non solo nella maggiore inefficienza dei servizi, ma anche nella forte carenza di beni e servizi collettivi rispetto al grado raggiunto di benessere economico, e nello spregio dei beni comuni” (Trigilia, 2011).
La reale capacità di rimediare alle mancate risposte che la dimensione pubblica privata è riuscita ad assicurare agli abitanti sembra essere al contrario garantita dalla permanenza (e negli ultimi anni anche dal rafforzamento) dei legami familiari e parentali “allargati” o di reti solidali di vicinato, un “reticolo leggero ma importante” (cfr. Magatti,
2007, p. 423)2.
Si potrebbe aggiungere anche un’altra
questione riflettendo sul welfare delle città
del Mezzogiorno, cogliendo e forzando uno
spunto interpretativo suggerito da Munarin,
che interpreta servizi e welfare come “eccipienti” per “lo sviluppo di pratiche di socialità”, “nei quali le persone si incontrano, si
confrontano, convivono” (Munarin, 2009, p.
107), come elemento decisivo nella costruzione di uno “spirito di cittadinanza” (Tosi, 2009):
si potrebbe, infatti, sostenere che la debole
offerta di servizi ed attrezzature come le deboli ed inefficaci politiche di welfare delle
città del Mezzogiorno siano il deliberato esito di uno specifico progetto politico, teso ad
evitare una maggiore coesione sociale e lasciare che una parte della società locale resti
in balia dei poteri forti (legali o meno).
L’assenza di standard come la debolezza del
welfare risulterebbero, quindi, strumentali alla gestione del voto di un “proletariato urbano” mantenuto in permanente condizione di
dipendenza, come sosterrebbero alcuni.
Illazioni queste che richiederebbero studi approfonditi e mirati e che qui si possono lanciare solo come provocazioni per una riflessione sulla città del Mezzogiorno libera dalle
retoriche consolidate o dalla nouvelle vague
revisionista più recente. Si potrebbe aderire
ad un filone di pensiero “laico” indicato da
tempo da Antonio La Spina ipotizzando quella che è stata definita come “sindrome del
Mezzogiorno” (2005) per meglio intendere i
processi da tempo in atto nelle regioni del
Sud3, “un insieme di caratteristiche, di condizioni di contesto, di fattori ostativi e di falli-
2
Con tutto ciò che ne consegue se: “I sistemi di rete, a cominciare da quelli famigliari e parentali,
per proseguire con quelli legati ai movimenti associativi e cooperativi, sono senz’altro efficaci per garantire ai singoli o ai gruppi di individui il sostegno o l’assistenza rispetto a problemi che oggi il welfare non riesce ad affrontare, ma sono anche strumenti che favoriscono l’isolamento e la ghettizzazione,
nonché la frammentazione degli interessi e il particolarismo” (Bagaglini, 2009, p. 131).
3
“Il Mezzogiorno è caratterizzato da uno sviluppo bloccato, e non riesce ad esprimere le sue potenzialità. Non perché al suo interno manchino del tutto le risorse (capitali, risorse umane, capacità innovativa), bensì perché in moltissimi casi è soggettivamente razionale, dal punto di vista di chi vive in un
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Spazi, storie e soggetti del welfare
Fig. 1. Planimetrico del Piano Tange, 1972
strade veicolari anulari a doppia carreggiata;
all’interno di essi la fruizione residenziale,
nonché quella relativa alle attrezzature ed alle attività commerciali, viene demandata ad
una mobilità solo pedonale che si snoda all’interno delle spine verdi e si prolunga a collegare tra loro i vari nuclei sovrapassando
puntualmente le grandi strade anulari sino a
giungere nel grande parco centrale.
“Cominciammo a pensare al verde come un
modo per fondare una struttura urbana”, rea-
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Spazi, storie e soggetti del welfare
lizzando una “rete verde che organizza tutto
il complesso” (Tange, 1971), ed a qualificare il
“living environment” tanto in termini quantitativi – con una dotazione di spazi per attrezzature e servizi che impegna più del 40% dell’intera area – quanto in termini qualitativi
attraverso una definizione progettuale della
fisicità dell’intervento che, andando ben oltre
quanto richiesto dalla legge 162/67, precisa
l’articolazione e localizzazione degli edifici
nonché i caratteri compositivi degli spazi. “Le
Nel commentare l’attribuzione alla Ue del Nobel per la pace 2012 Jurgen
Habermas sottolinea come, accanto al merito di aver garantito la pace dopo
ripetute guerre fratricide e di aver sviluppato la forza costitutiva della
democrazia, il comitato svedese abbia messo in evidenza la terza grande
performance dell’Europa: il suo modello sociale fondato sul welfare state.
I testi riuniti in questo volume, inizialmente pensati per un seminario tenuto
a Siracusa nel 2010 ma poi variamente riscritti, s’inseriscono all’interno di
un programma di ricerca interessato a sondare proprio il ruolo svolto dalle
politiche di welfare nella definizione non solo della società europea ma
anche della sua più evidente manifestazione fisica: la città. Cosa sono state
le politiche di welfare oggi tanto criticate se non addirittura denigrate?
Quale è stato il loro valore e il loro ruolo nella definizione della città
italiana? E, ancora, quali possono essere le strade da seguire oggi per un
loro reale rinnovamento? Queste sono alcune domande che studiosi
provenienti da diversi ambiti disciplinari (urbanistica, economia, storia
urbana) provano qui ad affrontare.
STEFANO MUNARIN (1964), urbanista, Professore Associato all’Università IUAV di Venezia,
ha insegnato anche nelle Università di Catania e Trento. Ha partecipato a diverse
ricerche universitarie (Itaten, The transformation of the urban habitat in Europe;
Returb, I futuri della città) e lavorato ad alcuni piani urbanistici (Brescia, Pesaro,
Macerata, Ferrara, Belluno). Oltre a vari saggi, indagando i processi di trasformazione
del territorio veneto ha scritto il libro Tracce di città (Angeli, 2001) e, quale esito della
ricerca welfare space in Europe, ha recentemente pubblicato il libro Gli spazi del
welfare (Quodlibet, 2011).
VITO MARTELLIANO (1969), ingegnere, Dottore di Ricerca in Progetto e recupero
architettonico, urbano e ambientale presso l’Università degli Studi di Catania e
Docteur en Architecture presso l’Université de Paris VIII Saint Denis-Vincennes. Già
titolare di assegno di ricerca biennale sul tema della pianificazione paesaggistica, dal
2005 è docente a contratto presso l’Università degli Studi di Catania dove attualmente
tiene l’insegnamento di Progettazione urbana. È autore di pubblicazioni inerenti la
storia urbana, la progettazione urbanistica e la pianificazione del paesaggio.
DISTRIBUZIONE I TALIA - ESTERO
VERSIONE DIGITALE EBOOK / APP:
www.gangemieditore.it