17 La resistenza al fascismo cidente, aveva indotto gli Istituti ufficiali di Mosca e di Varsavia, pur essi ripetutamente invitati, a rifiutare l’invio di delegazioni. Il delegato jugoslü' vo, ugualmente assente, aveva inviato una lunga comunicazione, che non si è potuta leggere nel corso della conferenza per assoluta mancanza di tempo, difetto altresì dimostrato dal sacrificato spazio riservato alle discussioni. La Conferenza si è conclusa a Bruxelles con un discorso di L. E. Halkin, pro' fessore all’ Università di Liegi sulla eredità della Resistenza. Tutti gli Atti della Conferenza saranno prossimamente pubblicati a cura dello stesso Ente promotore. Rimandiamo pertanto a quella data, che speriamo vicina, l’analisi critica della Conferenza di cui ci siamo qui limitati a dar conoscenza dell’ordine dei lavori. Pubblichiamo per intanto il testo integrale della comunicazione di G. Vaccarino, e di un intervento di L. Valiani, richiamando •— se pur sia necessario — l’attenzione dei nostri ìettori sui particolari caratteri di brevità e di generalità che una così ampia sintesi storica, svolta per un pubblico internazionale, forzatamente impO' nevano al relatore. LA R E S IS T E N Z A DAL AL FA SCISM O 19 23 A L IN IT A L IA 1945 La Resistenza al fascismo nacque in Italia vent’anni prima che negli altri paesi democratici dell’Europa occidentale. Lo studio della Resistenza italiana, propriamente detta, e cioè dei venti mesi dell’occupazione tedesca, dal settembre 1943 all’aprile 1945, non può quindi prescindere dall’opposizione al fascismo nei vent’anni precedenti, in cui essa affonda le sue radici e ritrova i suoi storici precedenti. Quando il re d’Italia nell’ottobre 1922, designò Benito Mussolini presidente del Consiglio, cedendo al timore della guerra civile e soprattutto al timore dei pericoli in cui gli pareva corresse la dinastia, i partiti democratici in Parlamento non si levarono in op­ posizione. Non solo i liberali di destra, guidati da Salandra, che già avevano sostenuto il fascismo nella sua illegale repressione delle irrequietezze proletarie nel paese; ma anche i liberali democratici, rappresentati dal vecchio presidente del Consiglio Giolitti, espri­ mevano la loro fiducia in una rapida normalizzazione del fascismo, in un suo inevitabile assorbimento nella legalità costituzionale. 18 Giorgio Vaccânno Il loro atteggiamento, nella particolare loro concezione neutra* listica dello stato, era ancora quello che Giolitti aveva tenuto di­ nanzi ai moti estremistici degli anni precedenti. Il « provvidenzia­ lismo » dello stato liberale avrebbe provveduto ad incanalare nella legalità le irrequietudini fasciste, così come aveva saputo scongiurare il degenerare di quelle operaie. Dopo che i liberali tradizionalisti avevano assunto questo con­ ciliante atteggiamento, non pensarono ad operare diversamente i cattolici del partito popolare, il quale autorizzò, nonostante il parere contrario di Don Sturzo, i suoi parlamentari a partecipare al Governo. La maggior voce di opposizione fu allora quella del leader dei socialisti unitari Filippo Turati, che rimproverò i liberali di aver offerto accondiscendenti le « groppe » allo scudiscio fascista. Anche il partito socialista massimalista ed il partito repubblicano votarono contro la fiducia al primo governo Mussolini. Ma in seguito alla serie dei sanguinosi eccessi fascisti nel paese, che andarono dalla devastazione delle redazioni dei giornali di op­ posizione alle spedizioni punitive contro antifascisti, agli eccidi col­ lettivi, favoriti dall’assenteismo benevolo o dal tardivo intervento della forza pubblica (come quello del 18 dicembre 19 2 2 a Torino, in cui l’ impunito organizzatore della strage, Brandimarte, si vanterà di avere ucciso ben 22 sovversivi); in seguito al voto della nuova legge elettorale fascista, che premiava con la maggioranza assoluta la lista che avesse riportato il solo 2 5 % dei voti, e che pratica­ mente rendeva inoperante il suffragio; in seguito alle inaudite san­ guinose violazioni delle operazioni elettorali e specialmente dopo che, con evidente complicità del primo ministro, fu sequestrato e massacrato il io giugno 1924 il deputato socialista Matteotti, che quelle violenze si apprestava a documentare in Parlamento; allora solo si ebbe la secessione sul cosidetto Aventino dei gruppi parla­ mentari di opposizione, dal liberale al cattolico popolare, al repub­ blicano, al socialista unitario e al socialista massimalista. Costitui­ rono essi il primo « comitato delle opposizioni » che generò rapida­ mente altri comitati via via più periferici, in cui si riunivano tutti gli uomini di buona volontà, disposti a lottare per la difesa delle libertà e la restaurazione della legge. In questi comitati si realizzava per la prima volta quell’unità di La resistenza al fascismo 19 intenti tra socialisti, cattolici e liberali che, tempestivamente rag' giunto, avrebbe salvato il paese dall’avventura fascista, e che preannunciava la futura grande solidarietà della Resistenza. Ma sull’Aventino gravava il mito della legalità e l’equivoco del costituzionalismo monarchico. La proposta dei comunisti che l’Aventino si costituisse a parte in solo e vero Parlamento sovrano del popolo, fu rigettata e non si fece appello allo sciopero generale anche perchè la combattività delle masse operaie era poco elevata. Eppure — come ebbero a riconoscere più tardi taluni stessi esponenti del conservatorismo cattolico, quale lo Jacini — solo quella rivoluzionaria frattura con l’ormai irriconoscibile mondo legalitario, avrebbe consentito di salvare le libertà costituzionali. I comunisti stessi passavano però da un estremo all’altro e dopo pochi giorni abbandonarono l’Aventino per tornare alle sedute della Camera, dominata dai fascisti. Gravava sull’Aventino sopratutto l’equivoca speranza che il re avrebbe finito col far funzionare le garanzie del meccanismo costituzionale, rimandando Mussolini e indicendo nuove elezioni. Senonchè il re, anziché giudicare paralizzato il Parlamento dalla secessione della minoranza, lo ritenne perfettamente funzionante nella sua maggioranza legale, e, traviato dal suo « bigottismo costi­ tuzionale », respinse tutti gli appelli che gli venivano rivolti da uomini politici rappresentativi, al di fuori dei canali costituzionali. Valga d’esempio la sorte di quella petizione fatta pervenire dai tre principali giornali liberali contro la sistematica violazione della libertà di stampa, che per tutta risposta ebbe la comunicazione di esser stata trasmessa, d’ordine del sovrano, per competenza a S. E. il Presidente del Consiglio dei ministri! L ’intransigenza puramente morale dell’A ventino, trascurata dal re, alle cui sovrane decisioni esso legalitariamente pur rendeva omaggio, non godeva di forti risonanze nel paese. La vasta bor­ ghesia era stata abituata dai liberali a confidare nella normalizza­ zione del fascismo che già l’aveva garantita dall’estremismo ribelle; le forze socialiste permanevano involte negli equivoci di un classi­ smo non collaborante ed i cattolici erano trattenuti dalle autorità vaticane ed ecclesiastiche dal contribuire, con il promuovimento di nuove elezioni, a quel salto nel buio che avrebbe potuto favorire l’affermazione socialista. Già il Vaticano aveva privato della sua 20 Giorgio Vaccartnò fiducia don Sturzo, favorendo la qualificazione clerico-fascista dei popolari di destra ed ora, nei riguardi dell’Aventino, esprimeva at­ traverso l'« Osservatore Romano » tutta la sua ostilità all’associa­ zione dei cattolici popolari con i socialisti. Non senza significato risulta che già nel gennaio 19 2 3 il Vaticano, nella persona del car­ dinale Gasparri, aveva avuto i primi contatti con Mussolini, per avviare a soluzione la questione romana. Dinanzi alla statica e legalitaria opposizione parlamentare si costituirono nel paese i primi nuclei di cultura e di azione antifa­ scista. L ’associazione « Italia libera » nasceva clandestinamente a Firenze, pochi giorni dopo l’uccisione di Matteotti, ad opera di alcuni ex combattenti. Intesa alla restaurazione delle libertà demo­ cratiche, essa provvedeva a redigere e diffondere fogli clandestini, affiggere manifesti, raccogliere armi per il giorno della crisi rivo­ luzionaria. Allo scoperto invece, nell’estate-autunno 1924, il deputato li­ berale Giovanni Amendola costituiva l’ « Unione Nazionale delle forze liberali e democratiche », cui aderirono esponenti della poli­ tica e della cultura. Ma sia la seconda organizzazione che la prima, per quanto di alto livello politico e morale, non erano fatte per sbloccare la situazione, per difetto di coordinamento ed incapacità di penetrazione nelle grandi masse. Più agguerrito fu il gruppo del giornale clandestino «Non mol­ lare », attorno a cui si raccolsero gli attivissimi futuri fondatori del movimento « Giustizia e Libertà » e che provocò le ire sanguinarie del fascio fiorentino, che già aveva brillato per vandalismo nei primi giorni dell’anno con la devastazione delle sedi del « Nuovo gior­ nale » e del « Circolo di cultura » e che ora si copriva d’infamia negli eccidi della notte del 3 ottobre. A Torino attorno al periodico « Rivoluzione Liberale » di Piero Gobetti, che del suo nuovo liberalismo faceva un’idea-forza suscitatrice di energie rivoluzionarie e socialmente progressive, si raccoglieva un gruppo di intellettuali, decisi a rompere con gli indugi della lotta legalitaria. Particolarmente invisi al Governo, Gobetti e Amendola, così diversi fra loro, furono accomunati nel medesimo destino. Aggrediti e malmenati dalle squadracce fasciste, furono costretti a esulare e, in conseguenza di quelle violenze, a morire in esilio. La resistenza al fascismo 21 Uscito indenne dalla crisi pericolosa, seguita all’uccisione di Matteotti, durante la quale estremamente facile sarebbe stato al­ l’iniziativa costituzionale del sovrano di liquidare il fascismo, Mussolini riprese il suo ardire e nel famigerato discorso del 3 gennaio 1925 alla Camera, potè impunemente assumersi la responsabilità di tutti i delitti politici compiuti fino a quel momento dal fascismo. Furono emanate allora le leggi « fascistissime » del maggio giugno 19 25, intese alla repressione anticostituzionale delle residue libertà civili e politiche, furono soppressi tutti i giornali antifascisti, sciolti tutti i partiti e associazioni non fasciste, decretata la deca' denza dei deputati aventiniani, già individualmente aggrediti e per­ seguitati e di quelli comunisti, pur rientrati da lungo tempo nel­ l’aula, e infine istituito il Tribunale speciale per la difesa dello Stato (25 novembre 1926), i cui giudici non furono dei magistrati di car­ riera, ma degli alti ufficiali della milizia fascista. Soffocata la vita pubblica in Italia si aperse, sin dal 1927, una nuova fase della lotta politica; quella clandestina. Essa si svolse su due settori, in Italia e all’estero, ove si diresse ad ondate succes­ sive l’emigrazione politica. Il fenomeno del «fuoruscitismo», così spregiativamente definito dalle gerarchie fasciste, ebbe un carattere particolare in questi anni. Esso non fu solo costituito da un’élite politica di intellettuali, ma fu alimentato fin dal 19 22 da un’emigrazione di massa, di molte decine di migliaia di lavoratori prevalentemente manuali, cui il fa­ scismo aveva reso impossibile la vita in patria. A questo flusso migratorio si aggiunsero le personalità poli­ tiche di primo e secondo piano, cui le più recenti vicende avevano imposto la via dell’esilio; ricorderemo fra i più noti: Nitti, Sturzo, Salvemini, Sforza e Ferrerò. T ra i rappresentanti dei partiti politici (repubblicano, socialista unitario e massimalista, la ricostituita Confederazione Generale del Lavoro e la parigina « Lega Italiana dei diritti dell’uomo », rical­ cata sulla Ligue des droits de l’ homme, che rieccheggiava il diffuso spirito anti-autoritario e il radicalismo laico della Terza Repubblica), si costituì a Nérac, nel Lot-et-Garonne, nell’aprile 1927, la « Con­ centrazione antifascista », che ebbe poi sede a Parigi e godette del­ l’appoggio del partito radicale, del partito socialista francese e delle organizzazioni sindacali operaie, quali la C. G. T . di Léon Jouhaux e la Federazione internazionale dei lavoratori dei trasporti. 22 Giorgio Vaccarino Sebbene la propaganda fascista ne facesse una scuola di terròrismo, essa era nata per concertare tra i fuorusciti un’azione di pro­ paganda all’estero e anche una futura azione in Italia, ma solo quando la situazione, per ragioni indipendenti dai fuorusciti, vi fosse venuta a maturazione. La « concentrazione » appariva ripercorrere idealmente la via dell’Aventino, di cui conservava la base politica e la tradizionale fisonomia propria dei vecchi partiti. Inizialmente essa neppure osò proclamarsi repubblicana o nominare nel suo programma la monar­ chia o far menzione dell’idea di costituente e di riforma sociale. Pareva che la prudenza degli stessi capi socialisti unitari facesse meditare costoro sulla possibilità di una futura successione legale, a cui era bene fin dal principio non rinunciare. La professione repub­ blicana della concentrazione fu proclamata solo l’anno seguente, nel maggio 1928. Rimaneva inoltre operante l’equivoco classista, che rendeva insicura e diffidente la collaborazione dei socialisti massimalisti, e teneva lontani dalla concentrazione i comunisti, che ancora con­ trapponevano al « blocco borghese », cui i socialisti unitari avevano aderito, il « blocco operaio », guidato dalle avanguardie comuniste. Indifferenti alle ragioni costituzionali, considerate di importanza transitoria, i comunisti irridevano alla formulazione di « repubblica socialista » proclamata dal partito socialista, laddove la nuova so­ cietà politica non aveva senso per essi se non posta sotto il controllo delle organizzazioni proletarie italiane. In queste circostanze ebbe occasione di svilupparsi un nuovo movimento politico, che ritenne di bandire recisamente ogni resi­ dua idea di soluzione legalitaria e proporre l’azione insurrezionale immediata e radicale come il solo mezzo per liberare l’Italia dal fascismo. Con questa fisonomia aderì alla « Concentrazione » il movimento di Giustizia e Libertà, costituito fra un gruppo di mili­ tanti antifascisti e un esiguo gruppo di esiliati, tra cui il fondatore e teorizzatore Carlo Rosselli, il cui pensiero si proponeva di conci­ liare l’esigenza socialista con quella liberale rivoluzionaria. La rigida pregiudiziale repubblicana che questo movimento si era imposto tagliava netto con l’equivoco monarchico, che già aveva ingenerato le perniciose attese dell’Aventino. Di più l’identificazione che esso faceva di monarchia e fascismo, di cui la prima era ritenuta respon­ sabile, poneva il rovesciamento istituzionale alla base della nuova La resistenza al fascismo 23 democrazia, così come riteneva irrinunciabile il rinnovamento immediato della vecchia società politica dei partiti prefascisti, dalle cui insufficienze storiche e dalla cui degenerazione giudicava esser usci­ to il fascismo. La sola azione radicale, e non la polemica dei partiti, poteva galvanizzare le energie della lotta antifascista. Persino i comunisti non si sarebbero tirati indietro e lasciati superare nell’azione, per cui l’unità degli spiriti si sarebbe ristabilita. L ’occasione propizia fu offerta dalla guerra civile in Spagna, in cui Mussolini aveva pro­ fuso mezzi considerevoli e inviato truppe ad aiutare l’aggressione di Franco alla libera repubblica spagnola. Carlo Rosselli pensò che in Spagna si decideva il destino di Mussolini e dell’Italia fascista e, prevedendo profeticamente che in caso di successo la guerra fascista si sarebbe propagata in Europa, fino a divenire generale, si adoperò perchè le potenze europee prevenissero il male e soffocassero questi primi bagliori d’incendio in Europa. « Giustizia e Libertà » testi­ moniò per prima questa convinzione e intervenne in Spagna con una colonna di suoi militanti in appoggio alle truppe repubblicane e vincendo le riluttanze dei comunisti, che ancora nell’agosto 1936 facevano sapere di non essere disposti a mandare in Spagna altro che medicinali e medici. Seguì invece la costituzione del battaglione « Garibaldi » composto di comunisti, socialisti e repubblicani, al comando del repubblicano Pacciardi. Sotto la pressione attivistica del movimento G. L. e il suo fervore ideologico, espresso in un programma rivoluzionario che poco teneva conto del denominatore comune ai partiti tradizionali, che esso tendeva ad ignorare, la Concentrazione si incrinò, con la crisi del partito repubblicano, sino a sciogliersi nel maggio 1934, dopo che uno scritto di Lussu aveva presentato G. L. come il par­ tito socialista vero e proprio. In realtà non era questa una posizione personale del Lussu e, per quanto avversata dai moderati del movi­ mento, essa tradiva nella sua ingenua presunzione le premesse ideo­ logiche di taluno dei fondatori di esso. Sul territorio nazionale le repressioni fasciste, che si esprime­ vano nei provvedimenti della Commissione di confino (che inviò migliaia di antifascisti nelle isole di deportazione) e nell’attività anticostituzionale del Tribunale speciale, che ne condannava altre migliaia a lunghi anni di carcere duro, ottenevano l’effetto contra­ rio. Pareva incoraggiassero l'attività antifascista, che verso il 1930, 24 Giorgio Vaccarmo appoggiata dalle sue centrali all'estero, aveva raggiunto, special' mente tra i militanti comunisti e i gruppi di « Giustizia e Libertà », un buon livello di organizzazione. Nelle grandi fabbriche italiane esistevano già allora cellule comuniste e larga era la diffusione del materiale clandestino di propaganda. Il Tribunale speciale tornò più violento a calare i suoi colpi. In molte decine di processi, tenuti a porte chiuse, senza che gli imputati potessero scegliersi liberamente il difensore, un paio di migliaia di comunisti fu condannato dal 19 27 al 1939 a pene che andavano sino a venti anni di carcere. Andhe nel campo di « G. L. » l’organizzazione spionistica fascista aveva lavorato diligentemente. Il 30 ottobre 19 30 caddero nelle mani della polizia ventiquattro dirigenti di questo movimento, contro i quali il Tribunale speciale irrogò condanne fino a venti anni di reclusione, quali quelle di Riccardo Bauer e Ernesto Rossi. Uno dei ventiquattro, Umberto Ceva, si tolse la giovane vita in carcere. Ancora nel 1930 la polizia fascista mise le mani sui membri di un altro movimento ad indirizzo politico più moderato e meno arditamente illegale: l’ « Alleanza Nazionale ». Le condanne, in­ flitte dal Tribunale speciale il 22 dicembre 1930 , inflissero pene detentive di quindici anni a ciascuno dei due maggiori responsabili. Il poeta Lauro De Bosis, sfuggito all’arresto, perchè all’estero, de­ cise di sacrificarsi per l’idea comune venendo in volo da Cannes su Roma, per lanciarvi migliaia di manifestini. Sul piccolo apparec­ chio s’aggirò per mezz’ora sulla capitale, poi riprese la via del Me­ diterraneo ove precipitò, mai più ritrovato. L ’organizzazione G. L . si spostò da Milano a Torino, ove nel 19 32 una retata della polizia effettuò arresti che consentirono al Tribunale speciale di infliggere condanne a otto anni di detenzione. Altri arresti e altre serie di condanne ai superstiti del gruppo G. L. si registrarono negli anni 1934 e 19 35, l’ultima delle quali, la più vasta di tutte, mise in crisi duratura il movimento in Italia. Ma il colpo più grave e sordido che il governo fascista potè arrecare ai « G. L . » fu la decisione di sopprimere il capo del movi­ mento, suscitatore della resistenza spagnola, Carlo Rosselli, che fu trucidato da sicari, insieme con il fratello Nello, storico insigne del Risorgimento italiano, in una località della Normandia il 9 giu­ gno 19 37. La resistenza al fascismo 25 Questi episodi, scelti qua e là nella cronaca della repressione, non sono che cenni esemplificativi. N ell’apparente ordine esteriore della vita civile italiana, in cui la canaglia operaia più non festeggiava il 1° maggio, in cui i treni arrivavano in orario, in cui Mus­ solini, l’autore della pace religiosa, si faceva fotografare a torso nudo a mietere il grano o ad accarezzare i bimbi, che imponeva agli ita­ liani di produrre in gran numero; in questo quadro edificante che si svolgeva sotto gli occhi ammirati dei turisti stranieri, l’organizza­ zione spionistica fascista, O .V .R .A ., e il Tribunale speciale lavora­ vano di concerto senza riposo. La statistica delle condanne politiche sotto il fascismo sta a testimoniare il frutto di questo duro e incivile compito. Dal 19 27 al primo semestre del 19 35 il Tribunale speciale condannò 2947 imputati a complessivamente 14.458 anni di car­ cere. Dopo la guerra d’Etiopia, le condanne non furono più rese pubbliche, ma alla liberazione si seppe che altri 2000 imputati erano stati condannati dal 19 35 al 1943. A seguito dell’avvento al potere di Hitler, del patto franco­ sovietico e del fronte popolare, il partito comunista veniva via via abbandonando la vecchia politica di isolamento, che lo teneva lon­ tano dall’azione e dai successi comuni, per farsi guida di una coa­ lizione antifascista. Le alleanze che per primo esso si propose di raggiungere fu­ rono quelle dei gruppi e movimenti politicamente più vicini. Un primo patto di unità d’azione fu firmato a Parigi nell’agosto 1934 con il partito socialista. Senonchè il patto fra Hitler e Stalin ruppe i rapporti fra i comunisti e il resto dell’antifascismo italiano fuorusci­ to, che si schierò a difesa delle democrazie occidentali. Le trattative fra i comunisti e i socialisti furono riprese nel 19 4 1, dopo l’aggres­ sione nazista all’U .R.S.S. e furono estese a Giustizia e Libertà, sino a che nel settembre di quell’anno a Tolosa, tra i due gruppi sud­ detti furono gettate le basi di un « Comitato d’azione per l’unione del popolo italiano ». Scoppiata la seconda guerra mondiale e superata facilmente la crisi ingenerata dal patto germano-sovietico (giacche nell’Italia fa­ scista, alleata della Germania, non v ’era guerra antitedesca da sa­ botare), il partito comunista italiano fu il primo ad organizzarsi ef­ ficacemente, trasferendo da Parigi la direzione in Italia nel 19 4 1 e volgendo le sue energie ad organizzare le masse operaie dei grandi 2Ó Giorgio Vaccarino centri industriali del Nord, in cui diffondeva sempre più frequenti i manifesti e i periodici clandestini. I grandi scioperi del marzo 19 43, di cui non si poteva misco­ noscere la portata politica, nonostante le richieste economiche, e che tennero per più giorni paralizzata tutta l’industria del Nord, ini­ ziando compatti da Torino, ove più di 100 mila operai incrocia­ rono le braccia, debbono in gran parte il loro successo all’opera ferma e coraggiosa degli ancora scarsi attivisti comunisti. A l principio del 1942 gli elementi di « Giustizia e Libertà » e i seguaci del martire Amendola avevano fondato il partito d’azio­ ne, che era il nome che Mazzini aveva dato al suo movimento nel Risorgimento. Nel primo semestre del 19 43, gli insuccessi militari degli eser­ citi fascisti facevano pensare che l’ Italia stava avvicinandosi alla fine della sua guerra disgraziata. Occorreva quindi uscirne prima che fosse troppo tardi, scalzando l’indebolito regime fascista, che si sarebbe invece affrettato a consegnare lo stesso suolo fisico d’ Italia nelle mani della disperata difesa tedesca. Era l’ora dell’esplosione nazionale dell’antifascismo, favorito ancora di recente dalla dimostrazione di forza delle masse operaie del Nord. Dinanzi ai nuovi compiti, due erano allora le posizioni politiche che tenevano il campo dell’antifascismo italiano: quella di coloro che ancora facevano affidamento sul prestigio del re e della sua iniziativa costituzionale per rovesciare il fascismo, evitando gli scomodi e imprevidibili sviluppi del moto popolare, e quella di coloro che fondavano le speranze esclusivamente su quest’ultimo. Del primo gruppo facevano parte i vecchi esponenti liberali e conservatori, che dal canto del cigno del filosofo Croce al Senato, col discorso del maggio 1929 contro i patti lateranensi, se n’erano vissuti piuttosto appartati e non avevano alimentato, se non talora individualmente, l’emigrazione. Ma ciò che è più singolare è che a questi eredi del legalitarismo aventiniano si presentassero allora i comunisti incaricandoli di recare la loro offerta di collaborazione ai generali dell’esercito e pregandoli di intercedere presso il re, perchè gradisse da parte comunista, sino alla fine del conflitto la tregua della lotta istituzionale, aperta di fatto nel paese dall’antifascismo, garantendo in cambio la partecipazione dei comunisti al prossimo governo democratico del paese. Poteva scaturire questo atteggia­ mento dei comunisti dalla volontà di non lasciare inutilizzata alcuna La resistenza al fascismo 27 forza disponibile, di non frantumare in due tronconi le forze di opposizione, proprio all’inizio del movimento di liberazione; ma ancor più pareva contasse per loro il desiderio, tutto particolare, di evitare il temuto isolamento, e di inserirsi nel giuoco delle forze democratiche come il nuovo grande partito nazionale. In realtà la successiva giornata del 25 luglio 1943, che portò la caduta del fascismo, non venne per queste vie, tentate dagli antifascisti. Il voto di fiducia richiesto eccezionalmente in un momento di crisi da Mussolini al suo Gran consiglio, e da questo negatogli, portò lo stesso Mussolini a rassegnare il mandato al re, che si ritenne finalmente autorizzato dal meccanismo costituzionale ad accettarlo. In più provvide ad arrestare Mussolini dopo aver dato l’incarico al maresciallo Badoglio di costituire un nuovo governo. Il fascismo cadde dunque per esaurimento interno, in un tri' pudio incontenibile di gioia popolare, senza che le opposizioni de­ mocratiche direttamente lo determinassero; ma non senza che l’an­ tifascismo militante, specialmente attraverso i moti operai della primavera, avesse fatto valere la sua incontenibile pressione. I partiti che già si erano venuti ricostituendo nel paese sin dal 1942 in « Comitato delle opposizioni », uscirono alla luce e richie­ sero la fine della guerra, l’estirpazione del fascismo, l’immediata liberazione dei prigionieri politici antifascisti. Le masse operaie del Nord, appoggiarono le richieste con agi­ tazioni, ma furono dalla forza militare tenute indietro con le armi. Gli avvenimenti sopravanzarono il governo nel suo incerto procedere. Dopo 45 giorni di attesa gli Alleati, reso pubblico l’armi­ stizio convenuto segretamente con Badoglio, sbarcarono a sud di Napoli. Roma fu occupata dai tedeschi che nel frattempo avevano calato in Italia sino a 18 divisioni, mentre il sovrano con il governo Badoglio ripararono per via mare a Brindisi, nell’estremo lembo della penisola. L ’esercito italiano, sorpreso dall’aggressione dei tedeschi si di­ fese come potè. Non mancarono atti di supremo coraggio nel primo, quanto atti di barbaro cinismo nei secondi. Per citare un esempio famoso, il presidio di Cefalonia, isola dell’Egeo, che si rifiutò di cedere le armi, fu sterminato. I superstiti 5000 uomini, fatti pri­ gionieri, vennero fucilati. La Marina, più agevolmente potè eseguire l’ordine dei nuovi 28 Giorgio Vaccarino alleati, e, nella sua quasi totalità, levò le ancore verso la base di Malta. Quel poco di vita politica e sindacale che era emersa alla luce nei 45 giorni di Badoglio, precipitò nuovamente nella olande' stinità. Il Comitato delle opposizioni si costituì fra i sei partiti anti' fascisti (liberale, democristiano, socialista, comunista, d’azione e, solo per il Sud, la democrazia del lavoro) in « Comitato di Libera' zione Nazionale ». Tale formula compositiva fu quella del C .L.N . Centrale che ebbe nascita e sede a Roma, quanto quella del « Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia » (C.L.N .A.I.) con sede a Milano, e si riprodusse identica nei C .L .N . regionali e in quelli via via più periferici, da quelli provinciali a quelli comunali, a quelli di categoria professionale o di fabbrica. Sono questi C .L .N ., costituiti per lo più dai vecchi militanti antifascisti, che suscitano energie alla Resistenza, raccolgono fondi, coordinano l’afflusso dei giovani renitenti alle bande partigiane, che ora vanno sorgendo ovunque nelle zone montuose e nei boschi. Sono essi che nei grandi centri regionali assumono la direzione non solo dell’azione politica ma di quella militare, costituendo sotto il proprio controllo un comando tecnico che coordina e dirige l’azione militare delle bande. E ’ un nuovo mondo quello che nasce clandestinamente nei prb mi mesi dal settembre 1943 e che via via tende ad allargare il suo cerchio d’influenza, per entrare in contatto con tutti i gruppi sociali, con tutte le forze vive del paese, dalle masse popolari fino ai circoli dirigenti dell’economia ed agli intellettuali. Esso tende a far riconoscere la sua legittimità rivoluzionaria affinchè il paese possa facilmente accettare i sacrifici che gli si vanno richiedendo. Il mezzo più facile e più diretto per il C .L.N . sarebbe quello di ottenere una « delega di poteri » dal governo del re che rappresenta il legame con il passato, delega che pure gli ab leati riconoscerebbero. Ma proprio in ragione degli avvenimenti vecchi e nuovi, una profonda divergenza si manifesta tra Governo e Comitato di Liberazione. Se i partiti d’azione e socialista, che già si erano rifiutati nei mesi precedenti di collaborare con il re per un colpo di stato, vorrebbero ora che fosse senz’ altro indugio dichiarata decaduta la monarchia in Italia, i partiti della coalizione, compresi i comunisti, convengono collegialmente sulla necessità dell’abdica' zione ma insieme sul rinvio della questione istituzionale alla deci' sione di un referendum popolare da indirsi alla fine del conflitto. La resistenza al fascismo ig E su questo punto gli Alleati stessi, indotti dalla sollecitazione pòlitica e morale dell’antifascismo ventennale, promettono formalmente a varie riprese, per voce di Roosevelt, di Berle, suo sottose­ gretario, di Cordell Hull — promesse cui lo stesso Churchill dovet­ te aderire, nonostante le sue personali simpatie monarchiche, — che a guerra finita il popolo italiano avrebbe avuto la facoltà di scegliere liberamente le sue istituzioni, tra monarchia e repubblica. Di più si rimprovera al governo Badoglio di non aver prepa­ rato opportunamente la proclamazione dell’armistizio, di avere ab­ bandonato Roma impreparata dinnanzi alla minaccia tedesca e spe­ cialmente di non rappresentare, composto com’è di soli funzionari ministeriali, l’effettiva volontà politica del paese. Il Comitato di Liberazione Nazionale Centrale, in un ordine del giorno del 16 ot­ tobre 1943 richiese dunque la costituzione di un governo straordi­ nario, capace di realizzare l’unità spirituale di tutto il paese e di continuare la guerra di liberazione a fianco delle Nazioni Unite, decisione convalidata poi dal Congresso dei partiti antifascisti, te­ nutosi a Bari nel gennaio ’44. Dichiarando di non voler partecipare al governo Badoglio il C .L .N . segna così l’isolamento in cui era nato, a differenza della maggior parte degli altri movimenti di resistenza in Europa, che avevano continuato a mantenere i rapporti con i loro governi legit­ timi in esilio. Questo isolamento contribuì certo a rendere più diffi­ cili i rapporti del C .L .N . con gli stessi Alleati, che avevano conchiuso l’armistizio col governo Badoglio. Se il C .L .N . prendeva origine nell’illegalità, ciò non accadeva dunque soltanto perchè esso sorgeva in un territorio controllato dal nemico, ma più precisamente perchè si costituiva al di fuori della legalità esistente, prendendo posizione per un rinnovamento democratico, contro ogni equivoco tendente alla restaurazione del vecchio regime prefascista, dalle cui deficienze era potuto nascere il fascismo. Questa, sia pur temporanea frattura « repubblicana », che pa­ reva al principio aver persuaso la maggioranza dei partiti del C .L .N ., rappresentava, nelle speranze dei più intransigenti, l’abbandono del­ l’equivoco principio legalitario che aveva avvelenato l’Aventino, in parte la « Concentrazione » ed ancora aveva illuso coloro che, pri­ ma del 25 luglio, avevano atteso dal re un atto di resipiscenza e di salvezza. 30 Giorgio Vaccarino Senonchè la solidarietà del Comitato di Liberazione, di fronte al problema istituzionale del governo, ebbe breve durata. Mentre già gli Alleati si apprestavano a togliere il loro appoggio al re per sbloccare la situazione e consentire all’ Italia la formazione di un governo rappresentativo ed effìcente, la Russia Sovietica venne a rinforzare la posizione del re con il riconoscimento diplomatico, avvenuto il 13 marzo 1944, del governo italiano quale esso era e con l’invio di un suo rappresentante presso il medesimo. Di più, in linea con questo comportamento, il leader comu­ nista Paimiro Togliatti, che tornava allora da Mosca, recò l’ade­ sione del suo partito al governo Badoglio, e così facendo indusse anche gli altri partiti, che non potevano ovviamente apparire più a sinistra del partito comunista, a fare altrettanto. Si costituì in tal modo inaspettatamente il terzo ministero Ba­ doglio, fra lo stupore generale di coloro che ricordavano l’atteggia­ mento rigidamente antimonarchico tenuto dai comunisti sino al giorno prima. Il solo partito d’azione si rifiutò per qualche tempo di partecipare al governo, sino a che poi non cedette alle ragioni della lotta comune. Nella intransigenza repubblicana, che più di ogni altro aveva adottato, esso intendeva fosse riconosciuta non tanto una questione di preferenza istituzionale, quanto il segno stesso della frattura col vecchio mondo politico. Con la liberazione di Roma la posizione del partito d’azione prevalse in buona parte. Badoglio fu estromesso dal ministero, la cui presidenza fu affidata al presidente del C .L .N ., Bonomi. Il re dovette cedere i suoi poteri ad un luogotenente, che si impegnava ad accettare la convocazione di una costituente a guerra finita e ad inchinarsi dinanzi al risultato della futura scelta popolare fra mo­ narchia e repubblica (1). (1) In quelle circostanze si manifestò appieno il pensiero del maresciallo Stalin, nei riguardi del governo Badoglio e dei suoi oppositori del C .L .N . (pensiero, con cui la posizione di Togliatti dell’ aprile si era trovata in linea), nel testo di un messaggio, personale e segreto, inviato a Churchill l T l giugno 1944, due giorni dopo le dimis­ sioni del maresciallo Badoglio: « Ho ricevuto — diceva Stalin — il vostro messaggio sulle dimissioni di Badoglio. Anche per me le dimissioni di Badoglio sono giunte inattese. Pensavo che, senza il consenso degli alleati inglesi e americani, non si po­ tesse sostituire Badoglio e nominare Bonomi. Tuttavia dal Vostro messaggio risulta che ciò è accaduto contro la volontà degli alleati. E ’ da ritenere che alcuni circoli italiani intendano compiere il tentativo di modificare a loro favore le condizioni del­ l’armistizio. Comunque, se le circostanze suggeriranno a Voi e agli americani che in La resistenza al fascismo 31 Mentre la lotta del Sud si svolgeva in termini, per cosi dire, prevalentemente diplomatici, nel Nord si andava sviluppando la guerra partigiana sotto la guida dei C .L .N . regionali. Anche a Napoli, gli ultimi giorni di settembre, la popolazione era insorta generosamente contro i tedeschi e per tre giorni aveva tenuto le loro forze in ritirata sotto il fuoco delle sue armi raccogliticcie, in un vero miracolo d’improvvisazione insurrezionale, ma si trattava di uno sforzo non organizzato e non fatto per essere politicamente consapevole e duraturo. N el Nord sono i partiti di sinistra che costituiscono il maggior numero di bande, che essi fanno dirigere da un binomio inscindi­ bile, il comandante ed il commissario, responsabile della condotta politica della guerra partigiana, ma in realtà, tranne che presso i comunisti, compartecipe con il comandante di competenze e fun­ zioni di comando. Le formazioni di ispirazione comunista (e in realtà le più nu­ merose) erano le brigate « Garibaldi »; seguivano le « Giustizia e Libertà » organizzate dal partito d’azione, le « Matteotti » del par­ tito socialista. Anche democristiani e liberali ebbero le loro forma­ zioni. Questi ultimi in particolare sostenevano organizzativamente le formazioni « autonome », o militari pure, guidate da ufficiali del vecchio esercito e dichiaratamente apolitiche, nel senso di lealtà a un partito. Alcuni comandanti « autonomi » facevano aperta pro­ fessione monarchica. Nonostante la differenza e le divergenze politiche i rapporti tra le bande furono quasi ovunque soddisfacenti, e spesso anche ottimi, fino al reciproco scambio di aiuti militari nel momento drammatico dei rastrellamenti nazi-fascisti. La concordia che re­ gnava quasi universalmente nei Comitati di Liberazione scendeva benefica fino alle formazioni periferiche e contribuiva a dirimere le vertenze nelle sedi più opportune. Si dovette a questa relativa concordia se, in una società clande­ stina improvvisata e dalle immense esigenze, si potè realizzare lo sviluppo delle formazioni secondo delimitazioni territoriali e giuri- Italia sia necessario avere un altro governo, e non il governo Bonomi, potete contare che da parte sovietica non vi saranno ostacoli » (cfr. La seconda guerra mondiale nel carteggio di Stalin con Churchill, Roosevelt, Attlee e Truman, vol. I, p. 259, Editori Riuniti, Roma, 1957). 3i Giorgio Vaccarino sdizionali previamente stabilite, senza pericolosi conflitti. N ell’estate del ’44, dopo aver superato cruenti rastrellamenti, le formazioni crea' rono vere e proprie repubbliche partigiane, o vaste zone sottratte temporaneamente al controllo nemico. V i si costituivano ammini' strazioni popolari, anche popolarmente elette, si calmieravano i viveri, si ripartivano gli oneri fiscali e si predisponevano apprestamenti militari rigidi per difendere la zona liberata dal ritorno offensivo del nemico. Non sempre questi successi e questi programmi, favoriti dal' l’entusiasmo patriottico, rimasero nei limiti delle possibilità della guerra partigiana, fatta per essere assai più elastica e meno legata a difese territoriali, per cui talora seguirono gravi delusioni. Così sugli Appennini modenesi, ove operava la divisione garb baldina Modena, fu occupata nel giugno ’44 la regione di Monte' fiorino, di circa 100 Km. quadrati, e tenuta nonostante gli attacchi tedeschi, sino alla grande battaglia della fine di luglio, nel corso della quale il nemico impiegò gli effettivi di tre divisioni con artiglieria campale, mortai, elementi corazzati e lanciafiamme. Nella provincia di Cuneo le valli alpine Maira e Varaita furono occupate integralmente e tenute dai partigiani G. L . e così vaste zone collinari delle Langhe e del Monferrato furono a lungo controllate dalle formazioni « Autonome ». Perfino la città di Alba, occupata il 9 ottobre 1944, fu tenuta sino al 2 dicembre. Più sa' lienti le vicende della città di Domodossola e di una vasta zona della V al d’Ossola, che dietro un sistema difensivo improvvisato respinse gli attacchi nazi-fascisti dall’8 settembre al 22 ottobre ’44. Mentre nelle campagne e sui monti, per diciotto mesi vissero segregati e militarmente inquadrati i partigiani, nelle città i C .L.N . mobilitavano mediante le organizzazioni politiche e la stampa clan' destina, l’opinione pubblica, gruppi di « ardimento patriottico » (G.A.P.) eseguivano audaci colpi di mano, e le masse operaie davano la misura della loro forza e della loro solidarietà con la guerra parti' giana, scioperando compatte agli ordini dei Comitati sindacali di agitazione ma sopratutto grazie all’attiva opera degli organizzatori comunisti. Dopo gli scioperi del marzo ’43, ricordiamo quelli del novembre dello stesso anno, lo sciopero generale del marzo ’44, che durò otto giorni, nonostante la repressione nazista e al quale pre' sero parte varie centinaia di migliaia di lavoratori italiani, quelli La resistenza al fascismo Ìì dell’autunno che tennero paralizzata per alcuni giorni la vita economica dei grandi centri industriali del Nord; e specialmente l’ultimo, dell'aprile ’45, che in un crescendo minaccioso sboccò nell’insurrezione liberatrice, in appoggio ai movimenti delle formazioni partigiane, in marcia sulle grandi città. La controguerriglia dei nazifascisti e le loro repressioni fu ­ rono spietate. In epoche diverse interi villaggi furono messi a fuoco e i loro abitanti trucidati. Ricorderemo solo qualche esempio: il doppio incendio di Boves e il massacro dei suoi 58 civili, il massacro dei 60 ostaggi di Cumiana, operato da un solo tedesco a colpi di pistola, i 43 fucilati di Fondo Toce, i 335 massacrati a Roma nelle fosse ardeatine, il centinaio di giovani inermi passati per le armi alla cascina Benedicta presso Voltaggio, il villaggio di Sant’Anna di Versilia (Toscana) messo a fuoco e la popolazione di donne, vec­ chi e bambini, in tutto 532 persone, riuniti sulla piazza e sterminati con la mitraglia e le bombe a mano. La stessa terribile fine toccò alle 2000 persone, quasi tutte donne e bambini, di Marzabotto, uno dei villaggi distrutti della provincia di Bologna. Il contributo di sangue della Resistenza italiana fu dunque altissimo. I dati raccolti dalla Presidenza del Consiglio parlano di 72.500 caduti nella guerra di liberazione, compresi i civili massa­ crati, e 39 .16 7 tra mutilati e invalidi. I deportati nei lager tedeschi, tra militari e civili furono circa 700.000, di cui la quasi totalità rifiutò di prestar giuramento di fedeltà al nuovo governo fascista, costituito da Mussolini, giuramento che consentiva loro il rientro in Italia. Soltanto IT ,0 3 % tra gli internati, aderì infatti alla repub­ blica fascista, e il 5 % al lavoro volontario. L ’espansione imprevista della lotta partigiana stupì gli Alleati, che avevano previsto e programmato un diverso aiuto da parte dei resistenti italiani. Essi avevano sempre scoraggiato lo sviluppo da loro incontrollato delle formazioni, e tutto avrebbero voluto fuorché un esercito di popolo, sempre pronto a caricarsi di un pericoloso potenziale politico. La sollevazione dei partigiani estremisti greci contro il governo monarchico di Papandreu nell’estate 1944, aveva reagito negativamente sulla loro disposizione di spirito verso il fe­ nomeno partigiano italiano. Essi avevano mostrato sin dal principio di preferire l’apporto dei singoli o di esigui gruppi ai loro ordini dietro le linee nemiche, 34 Giorgio Vaccarino alla presenza operante di formazioni irregolari organizzate autonomamente, tanto più quando gli organizzatori si sapevano essere dei politici militanti nei partiti di sinistra. Nel già lontano mese del settembre ’43, quando un Fronte Nazionale di Liberazione, di cui faceva parte lo stesso filosofo libe­ rale Benedetto Croce, aveva promosso a Napoli la costituzione di gruppi volontari all’infuori delle formazioni regolari dell’esercito del re, gli Alleati avevano rifiutato praticamente i loro favori e di quei gruppi si erano valsi come di un centro di reclutamento di uomini singoli per i servizi di cui essi abbisognavano, il che proprio non concordava con gli intenti dei volontari, che finirono per sciogliersi. N el Nord, la condotta degli Alleati di fronte ai partigiani fu la stessa. Anziché una resistenza organizzata, centralizzata e uni' taria, anche qui essi mostravano di preferire l’azione di mobili gruppi di sabotatori. Tale frantumazione della Resistenza essi evidentemente favo' rivano con la molteplicità delle « missioni » inviate presso i parti' giani, apparentemente indipendenti le une dalle altre, ma sovente tra loro in concorrenza; alle quali si aggiungevano, non certo a dar chiarezza all’organizzazione, quelle inviate dopo la metà del 1944 dal Comando Supremo italiano dall’Italia liberata. Tale molteplicità di contatti, che minava l’organizzazione uni' taria della Resistenza ed anche facilitava la pericolosa infiltrazione di informatori nemici, era sovente favorita dalle stesse formazioni partigiane periferiche che, già inclini per italico individualismo a far parte per se stesse, mostravano talora di prediligere le comuni' cazioni dirette con gli Alleati, per ottenerne favori e aiuti particolari. Accadeva pertanto che una formazione, visitata dalla missione al­ leata, tenesse questa segretamente presso di sè, e non ne informasse il Comando regionale o generale. Il già faticoso controllo dal centro si rendeva vieppiù difficile, e ciò non perchè le formazioni periferiche rigettassero i criteri orga­ nizzativi o i fini politici della Resistenza, ma perchè le dure esi­ genze di vita le portavano ad arrangiarsi, del che evidentemente approfittavano gli Alleati per dare applicazione ai loro metodi di condotta militare e politica. Il problema, così come è stato posto, appariva generale in La resistenza al fascismo 35 Europa e si ripresentava altrove in termini analoghi. Un recente studio di Henry Michel e di Marie Granet su Combat, uno dei mo­ vimenti fondamentali della Resistenza interna francese, ripercorre le medesime esperienze. Di fronte agli Alleati e a De Gaulle stesso che erano d’accordo nel ritenere che la Resistenza dovesse essere costituita da piccoli gruppi selezionati, destinati al sabotaggio e all’informazione, Combat la concepiva sotto specie di una insurre­ zione militare nazionale, e l’altro movimento metropolitano Libération la immaginava come un moto operaio a largo raggio sinda­ cale, esprimentesi a colpi di scioperi. Ma già nella tarda primavera del ’44, con il grande sviluppo delle formazioni partigiane del Nord d’Italia, giunte a più di 100 mila armati e all’occupazione di intere zone liberate, l’accetta­ zione dell’esercito del Corpo dei Volontari della Libertà (C.V.L.) da parte degli Alleati, era un fatto praticamente compiuto, o meglio, subito. Ciononostante molte incomprensioni erano da chiarire, molte riserve da far cadere da entrambe le parti. Specialmente era neces­ sario conchiudere con gli Alleati un accordo di aiuti sistematici, che consentisse alla Resistenza italiana, divenuta un vero esercito clan­ destino, di sostenere l’ultimo e più grave sforzo. Era necessario un incontro, come si direbbe oggi « al vertice », tra 1 dirigenti della Resistenza italiana e il Comando alleato nel Mediterraneo. Dopo molti parziali e minori contatti tale incontro avvenne a Roma, sulla fine di novembre tra il comandante alleato del settore del Mediter­ raneo, generale Maitland Wilson, e i rappresentanti della Resistenza del Nord (giunti nell’ Italia liberata attraverso la Svizzera e la Fran­ cia), nelle persone del Presidente del C .L .N .A .I. Pizzoni, del rap­ presentante comunista Pajetta e del vice comandante generale Fer­ ruccio Parri, delle formazioni G. L., e del liberale monarchico Sogno, elemento di collegamento gradito agli Alleati. Il C .L .N .A .I. venne riconosciuto come il solo organo coordi­ natore del movimento di Resistenza e come il tutore dell’ordine, per il periodo che sarebbe seguito alla liberazione sino al giungere degli Alleati, a cui avrebbe rassegnato i poteri. Non era certo questa limitazione di poteri al momento della vittoria, ciò in cui avevano sperato i capi della Resistenza italiana. Il disarmo delle stesse formazioni, che qualcuno sognava avrebbero 36 Giorgio Vaccarinó costituito il nucleo del nuovo esercito italiano, si capiva essere ormai un evento non più evitabile. Del resto non vi era altra scelta e l’accordo, che comportava anche l’aiuto economico ragionevole di 160 milioni di lire mensili per la Resistenza a Nord dell’Appennino (di cui 60 milioni destinati al solo Piemonte), fu sottoscritto. Di lì a pochi giorni giunse pure il riconoscimento del C .L .N .A .I. da parte del Governo italiano che, liberata Roma nel giugno ’44, si era rico' stituito su designazione del C .L .N . centrale. Gli scopi di guerra della Resistenza, collocati nel riscatto del popolo italiano dalla servitù del fascismo e nella consapevole con' quista delle libertà politiche, tanto più durature quanto meno graUntamente concesse, non erano evidentemente gli stessi degli Alleati. Eppure, nonostante le diffidenze e la riluttanza degli Alleati verso l’espansione dell’esercito partigiano, questo fu da essi chia' mato a collaborare intensamente sul piano militare, specialmente nell’ultima fase della guerra in Italia. Possediamo documenti alleati che lo riconoscono e lo provano. T ra questi è il rapporto segreto al Quartier Generale alleato del CO' mandante della Britannica Special Force N . x, colonnello Hewitt, sull’attività svolta nel mese di aprile 1945; documento che per fortunata combinazione è conservato in copia nei nostri archivi. C i' tiamo qua e là dal testo del rapporto i passi più significativi: nel mese di aprile — scrive il rapporto — « vennero catturati dai partigiani complessivamente più di 40 mila prigionieri tedeschi o fa ' scisti. Vennero distrutti o catturati grandi quantitativi di armi e di equipaggiamento. Sacche nemiche, rimaste nel solco delle truppe avanzanti, vennero eliminate permettendo alle armate di avanzare senza ostacoli. Furono salvati dalla distruzione obiettivi quali ponti, strade e comunicazioni telegrafiche e telefoniche, di vitale impor' tanza per una rapida avanzata. Complessivamente più di 100 centri urbani vennero liberati, prima che noi giungessimo, dai partigiani. Il contributo partigiano, alla vittoria alleata in Italia fu assai note' vole e sorpassò di gran lunga le più ottimistiche previsioni. Colla forza delle armi essi aiutarono a spezzare la potenza e il morale di un nemico di gran lunga superiore ad essi per numero. Senza queste vittorie partigiane non vi sarebbe stata in Italia una vittoria alleata così rapida, così schiacciante e così poco dispendiosa ». La resistenza al fascismo 37 Se la Resistenza propriamente detta finisce sul piano militare con la liberazione, il ruolo politico dell’antifascismo non può dirsi storicamente concluso a quella data. Qualche osservazione mi pare dunque di poter legittimamente aggiungere. Sul terreno politico la liberazione del paese aveva lasciato sospese molte speranze e generato non pochi scontenti. Le forze politi­ che di destra guardavano con sospetto all’influenza acquistata dai partiti di sinistra con il contributo vittorioso della Resistenza e inten­ devano affrettare il disarmo delle formazioni partigiane e l’esautoramento del C .L .N ., che gli Alleati per parte loro avevano già ridotto ad una funzione meramente consultiva e di pura rappresentanza; i comunisti parevano adattarsi con realistica saggezza al fallimento inevitabile dei loro massimi obbiettivi, mentre non pareva a taluni che essi curassero con sufficiente slancio la riuscita di quelli medi di una rivoluzione soltanto democratica, che desse però strutture mo­ derne ad un paese invecchiato sotto la dittatura. Assumendo la ma­ schera della superiore magnanimità essi svolgevano la politica della conciliazione nazionale, che consisteva nella rapida conclusione del­ l’epurazione, nel perdono ai fascisti, nell’amnistia, nell’abbraccio al mondo clericale con l’inserimento nella nuova costituzione italiana dei patti lateranensi, stretti tra Mussolini e Pio XI nel 1929. Il partito d’azione, seguito con qualche riserva dai socialisti, procla­ mava invece la necessità che il nuovo Governo, nella carenza tem­ poranea degli organi legislativi, fondasse il suo prestigio su un’as­ semblea permanente dei Comitati di liberazione, quasi « conven­ zione » democratica, sola capace di sostenere sino in fondo l’epura­ zione e la ricostruzione democratica del paese nel clima della Resi­ stenza vittoriosa. Era ancora questa la traduzione in termini attuali del repubblicanesimo intransigente, professato contro il vecchio spirito aventiniano, la lontana Concentrazione antifascista, nonché contro il metodo di accomodamento verso le forze politiche prefa­ sciste, inaugurato dal realismo comunista nella Resistenza. Ma que­ sto atteggiamento appariva, nel suo ingenuo moralismo, superato oramai dalle circostanze e giovanilmente pericoloso nel risuscitar rancori e discordie in mezzo ad un mondo che chiedeva solo più di acquietarsi e di dimenticare. Il primo governo democratico italiano, presieduto dall’azionista Ferruccio Parri, non resse più di alcuni mesi, dal giugno al novem- 38 Giorgio Vaccarino bre ’45. Aprirono la crisi i liberali, sul problema dell’ordine pub' blico ancora carente, li seguirono i democristiani; non sostennero il governo i comunisti, desiderosi di rientrare rinforzati nel successivo ministero: e forse lo avrebbero potuto, nel clima post'insurrezio' naie del paese. Il referendum popolare del 2 giugno ’46 portò, per un lieve scarto di voti, alla vittoria della repubblica; ma la Costituzione re' pubblicana, nata per darle il suo contenuto politico, e che nella fretta di esser conclusa, vide rimandare la definizione dei suoi stessi organi tutori al futuro Parlamento, è ancora oggi, dopo 13 anni, in via di lentissima attuazione. G iorgio V accarino