LA RESISTENZA AL FASCISMO IN ITALIA DAL 1923 AL 1945 La

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La resistenza al fascismo
cidente, aveva indotto gli Istituti ufficiali di Mosca e di Varsavia, pur essi
ripetutamente invitati, a rifiutare l’invio di delegazioni. Il delegato jugoslü'
vo, ugualmente assente, aveva inviato una lunga comunicazione, che non si
è potuta leggere nel corso della conferenza per assoluta mancanza di tempo,
difetto altresì dimostrato dal sacrificato spazio riservato alle discussioni. La
Conferenza si è conclusa a Bruxelles con un discorso di L. E. Halkin, pro'
fessore all’ Università di Liegi sulla eredità della Resistenza.
Tutti gli Atti della Conferenza saranno prossimamente pubblicati a
cura dello stesso Ente promotore. Rimandiamo pertanto a quella data, che
speriamo vicina, l’analisi critica della Conferenza di cui ci siamo qui limitati
a dar conoscenza dell’ordine dei lavori. Pubblichiamo per intanto il testo
integrale della comunicazione di G. Vaccarino, e di un intervento di L.
Valiani, richiamando •— se pur sia necessario — l’attenzione dei nostri ìettori sui particolari caratteri di brevità e di generalità che una così ampia
sintesi storica, svolta per un pubblico internazionale, forzatamente impO'
nevano al relatore.
LA
R E S IS T E N Z A
DAL
AL
FA SCISM O
19 23 A L
IN
IT A L IA
1945
La Resistenza al fascismo nacque in Italia vent’anni prima che
negli altri paesi democratici dell’Europa occidentale. Lo studio
della Resistenza italiana, propriamente detta, e cioè dei venti mesi
dell’occupazione tedesca, dal settembre 1943 all’aprile 1945, non
può quindi prescindere dall’opposizione al fascismo nei vent’anni
precedenti, in cui essa affonda le sue radici e ritrova i suoi storici
precedenti.
Quando il re d’Italia nell’ottobre 1922, designò Benito Mussolini presidente del Consiglio, cedendo al timore della guerra civile
e soprattutto al timore dei pericoli in cui gli pareva corresse la
dinastia, i partiti democratici in Parlamento non si levarono in op­
posizione. Non solo i liberali di destra, guidati da Salandra, che già
avevano sostenuto il fascismo nella sua illegale repressione delle
irrequietezze proletarie nel paese; ma anche i liberali democratici,
rappresentati dal vecchio presidente del Consiglio Giolitti, espri­
mevano la loro fiducia in una rapida normalizzazione del fascismo,
in un suo inevitabile assorbimento nella legalità costituzionale.
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Giorgio Vaccânno
Il loro atteggiamento, nella particolare loro concezione neutra*
listica dello stato, era ancora quello che Giolitti aveva tenuto di­
nanzi ai moti estremistici degli anni precedenti. Il « provvidenzia­
lismo » dello stato liberale avrebbe provveduto ad incanalare nella
legalità le irrequietudini fasciste, così come aveva saputo scongiurare
il degenerare di quelle operaie.
Dopo che i liberali tradizionalisti avevano assunto questo con­
ciliante atteggiamento, non pensarono ad operare diversamente i
cattolici del partito popolare, il quale autorizzò, nonostante il parere
contrario di Don Sturzo, i suoi parlamentari a partecipare al
Governo.
La maggior voce di opposizione fu allora quella del leader
dei socialisti unitari Filippo Turati, che rimproverò i liberali di
aver offerto accondiscendenti le « groppe » allo scudiscio fascista.
Anche il partito socialista massimalista ed il partito repubblicano
votarono contro la fiducia al primo governo Mussolini.
Ma in seguito alla serie dei sanguinosi eccessi fascisti nel paese,
che andarono dalla devastazione delle redazioni dei giornali di op­
posizione alle spedizioni punitive contro antifascisti, agli eccidi col­
lettivi, favoriti dall’assenteismo benevolo o dal tardivo intervento
della forza pubblica (come quello del 18 dicembre 19 2 2 a Torino,
in cui l’ impunito organizzatore della strage, Brandimarte, si vanterà
di avere ucciso ben 22 sovversivi); in seguito al voto della nuova
legge elettorale fascista, che premiava con la maggioranza assoluta
la lista che avesse riportato il solo 2 5 % dei voti, e che pratica­
mente rendeva inoperante il suffragio; in seguito alle inaudite san­
guinose violazioni delle operazioni elettorali e specialmente dopo
che, con evidente complicità del primo ministro, fu sequestrato e
massacrato il io giugno 1924 il deputato socialista Matteotti, che
quelle violenze si apprestava a documentare in Parlamento; allora
solo si ebbe la secessione sul cosidetto Aventino dei gruppi parla­
mentari di opposizione, dal liberale al cattolico popolare, al repub­
blicano, al socialista unitario e al socialista massimalista. Costitui­
rono essi il primo « comitato delle opposizioni » che generò rapida­
mente altri comitati via via più periferici, in cui si riunivano tutti
gli uomini di buona volontà, disposti a lottare per la difesa delle
libertà e la restaurazione della legge.
In questi comitati si realizzava per la prima volta quell’unità di
La resistenza al fascismo
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intenti tra socialisti, cattolici e liberali che, tempestivamente rag'
giunto, avrebbe salvato il paese dall’avventura fascista, e che preannunciava la futura grande solidarietà della Resistenza.
Ma sull’Aventino gravava il mito della legalità e l’equivoco del
costituzionalismo monarchico.
La proposta dei comunisti che l’Aventino si costituisse a parte
in solo e vero Parlamento sovrano del popolo, fu rigettata e non si
fece appello allo sciopero generale anche perchè la combattività
delle masse operaie era poco elevata. Eppure — come ebbero a
riconoscere più tardi taluni stessi esponenti del conservatorismo
cattolico, quale lo Jacini — solo quella rivoluzionaria frattura con
l’ormai irriconoscibile mondo legalitario, avrebbe consentito di salvare le libertà costituzionali. I comunisti stessi passavano però da
un estremo all’altro e dopo pochi giorni abbandonarono l’Aventino
per tornare alle sedute della Camera, dominata dai fascisti.
Gravava sull’Aventino sopratutto l’equivoca speranza che il
re avrebbe finito col far funzionare le garanzie del meccanismo costituzionale, rimandando Mussolini e indicendo nuove elezioni.
Senonchè il re, anziché giudicare paralizzato il Parlamento dalla
secessione della minoranza, lo ritenne perfettamente funzionante
nella sua maggioranza legale, e, traviato dal suo « bigottismo costi­
tuzionale », respinse tutti gli appelli che gli venivano rivolti da
uomini politici rappresentativi, al di fuori dei canali costituzionali.
Valga d’esempio la sorte di quella petizione fatta pervenire dai
tre principali giornali liberali contro la sistematica violazione della
libertà di stampa, che per tutta risposta ebbe la comunicazione di
esser stata trasmessa, d’ordine del sovrano, per competenza a S. E. il
Presidente del Consiglio dei ministri!
L ’intransigenza puramente morale dell’A ventino, trascurata
dal re, alle cui sovrane decisioni esso legalitariamente pur rendeva
omaggio, non godeva di forti risonanze nel paese. La vasta bor­
ghesia era stata abituata dai liberali a confidare nella normalizza­
zione del fascismo che già l’aveva garantita dall’estremismo ribelle;
le forze socialiste permanevano involte negli equivoci di un classi­
smo non collaborante ed i cattolici erano trattenuti dalle autorità
vaticane ed ecclesiastiche dal contribuire, con il promuovimento di
nuove elezioni, a quel salto nel buio che avrebbe potuto favorire
l’affermazione socialista. Già il Vaticano aveva privato della sua
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Giorgio Vaccartnò
fiducia don Sturzo, favorendo la qualificazione clerico-fascista dei
popolari di destra ed ora, nei riguardi dell’Aventino, esprimeva at­
traverso l'« Osservatore Romano » tutta la sua ostilità all’associa­
zione dei cattolici popolari con i socialisti. Non senza significato
risulta che già nel gennaio 19 2 3 il Vaticano, nella persona del car­
dinale Gasparri, aveva avuto i primi contatti con Mussolini, per
avviare a soluzione la questione romana.
Dinanzi alla statica e legalitaria opposizione parlamentare si
costituirono nel paese i primi nuclei di cultura e di azione antifa­
scista. L ’associazione « Italia libera » nasceva clandestinamente a
Firenze, pochi giorni dopo l’uccisione di Matteotti, ad opera di
alcuni ex combattenti. Intesa alla restaurazione delle libertà demo­
cratiche, essa provvedeva a redigere e diffondere fogli clandestini,
affiggere manifesti, raccogliere armi per il giorno della crisi rivo­
luzionaria.
Allo scoperto invece, nell’estate-autunno 1924, il deputato li­
berale Giovanni Amendola costituiva l’ « Unione Nazionale delle
forze liberali e democratiche », cui aderirono esponenti della poli­
tica e della cultura. Ma sia la seconda organizzazione che la prima,
per quanto di alto livello politico e morale, non erano fatte per
sbloccare la situazione, per difetto di coordinamento ed incapacità
di penetrazione nelle grandi masse.
Più agguerrito fu il gruppo del giornale clandestino «Non mol­
lare », attorno a cui si raccolsero gli attivissimi futuri fondatori del
movimento « Giustizia e Libertà » e che provocò le ire sanguinarie
del fascio fiorentino, che già aveva brillato per vandalismo nei primi
giorni dell’anno con la devastazione delle sedi del « Nuovo gior­
nale » e del « Circolo di cultura » e che ora si copriva d’infamia
negli eccidi della notte del 3 ottobre.
A Torino attorno al periodico « Rivoluzione Liberale » di
Piero Gobetti, che del suo nuovo liberalismo faceva un’idea-forza
suscitatrice di energie rivoluzionarie e socialmente progressive, si
raccoglieva un gruppo di intellettuali, decisi a rompere con gli
indugi della lotta legalitaria. Particolarmente invisi al Governo,
Gobetti e Amendola, così diversi fra loro, furono accomunati nel
medesimo destino. Aggrediti e malmenati dalle squadracce fasciste,
furono costretti a esulare e, in conseguenza di quelle violenze, a
morire in esilio.
La resistenza al fascismo
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Uscito indenne dalla crisi pericolosa, seguita all’uccisione di
Matteotti, durante la quale estremamente facile sarebbe stato al­
l’iniziativa costituzionale del sovrano di liquidare il fascismo, Mussolini riprese il suo ardire e nel famigerato discorso del 3 gennaio
1925 alla Camera, potè impunemente assumersi la responsabilità di
tutti i delitti politici compiuti fino a quel momento dal fascismo.
Furono emanate allora le leggi « fascistissime » del maggio
giugno 19 25, intese alla repressione anticostituzionale delle residue
libertà civili e politiche, furono soppressi tutti i giornali antifascisti,
sciolti tutti i partiti e associazioni non fasciste, decretata la deca'
denza dei deputati aventiniani, già individualmente aggrediti e per­
seguitati e di quelli comunisti, pur rientrati da lungo tempo nel­
l’aula, e infine istituito il Tribunale speciale per la difesa dello Stato
(25 novembre 1926), i cui giudici non furono dei magistrati di car­
riera, ma degli alti ufficiali della milizia fascista.
Soffocata la vita pubblica in Italia si aperse, sin dal 1927,
una nuova fase della lotta politica; quella clandestina. Essa si svolse
su due settori, in Italia e all’estero, ove si diresse ad ondate succes­
sive l’emigrazione politica.
Il fenomeno del «fuoruscitismo», così spregiativamente definito
dalle gerarchie fasciste, ebbe un carattere particolare in questi anni.
Esso non fu solo costituito da un’élite politica di intellettuali, ma
fu alimentato fin dal 19 22 da un’emigrazione di massa, di molte
decine di migliaia di lavoratori prevalentemente manuali, cui il fa­
scismo aveva reso impossibile la vita in patria.
A questo flusso migratorio si aggiunsero le personalità poli­
tiche di primo e secondo piano, cui le più recenti vicende avevano
imposto la via dell’esilio; ricorderemo fra i più noti: Nitti, Sturzo,
Salvemini, Sforza e Ferrerò.
T ra i rappresentanti dei partiti politici (repubblicano, socialista
unitario e massimalista, la ricostituita Confederazione Generale del
Lavoro e la parigina « Lega Italiana dei diritti dell’uomo », rical­
cata sulla Ligue des droits de l’ homme, che rieccheggiava il diffuso
spirito anti-autoritario e il radicalismo laico della Terza Repubblica),
si costituì a Nérac, nel Lot-et-Garonne, nell’aprile 1927, la « Con­
centrazione antifascista », che ebbe poi sede a Parigi e godette del­
l’appoggio del partito radicale, del partito socialista francese e delle
organizzazioni sindacali operaie, quali la C. G. T . di Léon Jouhaux
e la Federazione internazionale dei lavoratori dei trasporti.
22
Giorgio Vaccarino
Sebbene la propaganda fascista ne facesse una scuola di terròrismo, essa era nata per concertare tra i fuorusciti un’azione di pro­
paganda all’estero e anche una futura azione in Italia, ma solo
quando la situazione, per ragioni indipendenti dai fuorusciti, vi fosse
venuta a maturazione.
La « concentrazione » appariva ripercorrere idealmente la via
dell’Aventino, di cui conservava la base politica e la tradizionale
fisonomia propria dei vecchi partiti. Inizialmente essa neppure osò
proclamarsi repubblicana o nominare nel suo programma la monar­
chia o far menzione dell’idea di costituente e di riforma sociale.
Pareva che la prudenza degli stessi capi socialisti unitari facesse
meditare costoro sulla possibilità di una futura successione legale, a
cui era bene fin dal principio non rinunciare. La professione repub­
blicana della concentrazione fu proclamata solo l’anno seguente, nel
maggio 1928.
Rimaneva inoltre operante l’equivoco classista, che rendeva
insicura e diffidente la collaborazione dei socialisti massimalisti, e
teneva lontani dalla concentrazione i comunisti, che ancora con­
trapponevano al « blocco borghese », cui i socialisti unitari avevano
aderito, il « blocco operaio », guidato dalle avanguardie comuniste.
Indifferenti alle ragioni costituzionali, considerate di importanza
transitoria, i comunisti irridevano alla formulazione di « repubblica
socialista » proclamata dal partito socialista, laddove la nuova so­
cietà politica non aveva senso per essi se non posta sotto il controllo
delle organizzazioni proletarie italiane.
In queste circostanze ebbe occasione di svilupparsi un nuovo
movimento politico, che ritenne di bandire recisamente ogni resi­
dua idea di soluzione legalitaria e proporre l’azione insurrezionale
immediata e radicale come il solo mezzo per liberare l’Italia dal
fascismo. Con questa fisonomia aderì alla « Concentrazione » il
movimento di Giustizia e Libertà, costituito fra un gruppo di mili­
tanti antifascisti e un esiguo gruppo di esiliati, tra cui il fondatore
e teorizzatore Carlo Rosselli, il cui pensiero si proponeva di conci­
liare l’esigenza socialista con quella liberale rivoluzionaria. La rigida
pregiudiziale repubblicana che questo movimento si era imposto
tagliava netto con l’equivoco monarchico, che già aveva ingenerato
le perniciose attese dell’Aventino. Di più l’identificazione che esso
faceva di monarchia e fascismo, di cui la prima era ritenuta respon­
sabile, poneva il rovesciamento istituzionale alla base della nuova
La resistenza al fascismo
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democrazia, così come riteneva irrinunciabile il rinnovamento immediato della vecchia società politica dei partiti prefascisti, dalle cui
insufficienze storiche e dalla cui degenerazione giudicava esser usci­
to il fascismo.
La sola azione radicale, e non la polemica dei partiti, poteva
galvanizzare le energie della lotta antifascista. Persino i comunisti
non si sarebbero tirati indietro e lasciati superare nell’azione, per
cui l’unità degli spiriti si sarebbe ristabilita. L ’occasione propizia fu
offerta dalla guerra civile in Spagna, in cui Mussolini aveva pro­
fuso mezzi considerevoli e inviato truppe ad aiutare l’aggressione
di Franco alla libera repubblica spagnola. Carlo Rosselli pensò che
in Spagna si decideva il destino di Mussolini e dell’Italia fascista e,
prevedendo profeticamente che in caso di successo la guerra fascista
si sarebbe propagata in Europa, fino a divenire generale, si adoperò
perchè le potenze europee prevenissero il male e soffocassero questi
primi bagliori d’incendio in Europa. « Giustizia e Libertà » testi­
moniò per prima questa convinzione e intervenne in Spagna con
una colonna di suoi militanti in appoggio alle truppe repubblicane
e vincendo le riluttanze dei comunisti, che ancora nell’agosto 1936
facevano sapere di non essere disposti a mandare in Spagna altro
che medicinali e medici. Seguì invece la costituzione del battaglione
« Garibaldi » composto di comunisti, socialisti e repubblicani, al
comando del repubblicano Pacciardi.
Sotto la pressione attivistica del movimento G. L. e il suo
fervore ideologico, espresso in un programma rivoluzionario che
poco teneva conto del denominatore comune ai partiti tradizionali,
che esso tendeva ad ignorare, la Concentrazione si incrinò, con la
crisi del partito repubblicano, sino a sciogliersi nel maggio 1934,
dopo che uno scritto di Lussu aveva presentato G. L. come il par­
tito socialista vero e proprio. In realtà non era questa una posizione
personale del Lussu e, per quanto avversata dai moderati del movi­
mento, essa tradiva nella sua ingenua presunzione le premesse ideo­
logiche di taluno dei fondatori di esso.
Sul territorio nazionale le repressioni fasciste, che si esprime­
vano nei provvedimenti della Commissione di confino (che inviò
migliaia di antifascisti nelle isole di deportazione) e nell’attività
anticostituzionale del Tribunale speciale, che ne condannava altre
migliaia a lunghi anni di carcere duro, ottenevano l’effetto contra­
rio. Pareva incoraggiassero l'attività antifascista, che verso il 1930,
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Giorgio Vaccarmo
appoggiata dalle sue centrali all'estero, aveva raggiunto, special'
mente tra i militanti comunisti e i gruppi di « Giustizia e Libertà »,
un buon livello di organizzazione.
Nelle grandi fabbriche italiane esistevano già allora cellule
comuniste e larga era la diffusione del materiale clandestino di
propaganda. Il Tribunale speciale tornò più violento a calare i suoi
colpi. In molte decine di processi, tenuti a porte chiuse, senza che
gli imputati potessero scegliersi liberamente il difensore, un paio di
migliaia di comunisti fu condannato dal 19 27 al 1939 a pene che
andavano sino a venti anni di carcere.
Andhe nel campo di « G. L. » l’organizzazione spionistica fascista aveva lavorato diligentemente. Il 30 ottobre 19 30 caddero
nelle mani della polizia ventiquattro dirigenti di questo movimento,
contro i quali il Tribunale speciale irrogò condanne fino a venti
anni di reclusione, quali quelle di Riccardo Bauer e Ernesto Rossi.
Uno dei ventiquattro, Umberto Ceva, si tolse la giovane vita in
carcere.
Ancora nel 1930 la polizia fascista mise le mani sui membri
di un altro movimento ad indirizzo politico più moderato e meno
arditamente illegale: l’ « Alleanza Nazionale ». Le condanne, in­
flitte dal Tribunale speciale il 22 dicembre 1930 , inflissero pene
detentive di quindici anni a ciascuno dei due maggiori responsabili.
Il poeta Lauro De Bosis, sfuggito all’arresto, perchè all’estero, de­
cise di sacrificarsi per l’idea comune venendo in volo da Cannes su
Roma, per lanciarvi migliaia di manifestini. Sul piccolo apparec­
chio s’aggirò per mezz’ora sulla capitale, poi riprese la via del Me­
diterraneo ove precipitò, mai più ritrovato.
L ’organizzazione G. L . si spostò da Milano a Torino, ove nel
19 32 una retata della polizia effettuò arresti che consentirono al
Tribunale speciale di infliggere condanne a otto anni di detenzione.
Altri arresti e altre serie di condanne ai superstiti del gruppo G. L.
si registrarono negli anni 1934 e 19 35, l’ultima delle quali, la più
vasta di tutte, mise in crisi duratura il movimento in Italia.
Ma il colpo più grave e sordido che il governo fascista potè
arrecare ai « G. L . » fu la decisione di sopprimere il capo del movi­
mento, suscitatore della resistenza spagnola, Carlo Rosselli, che fu
trucidato da sicari, insieme con il fratello Nello, storico insigne del
Risorgimento italiano, in una località della Normandia il 9 giu­
gno 19 37.
La resistenza al fascismo
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Questi episodi, scelti qua e là nella cronaca della repressione,
non sono che cenni esemplificativi. N ell’apparente ordine esteriore
della vita civile italiana, in cui la canaglia operaia più non festeggiava il 1° maggio, in cui i treni arrivavano in orario, in cui Mus­
solini, l’autore della pace religiosa, si faceva fotografare a torso nudo
a mietere il grano o ad accarezzare i bimbi, che imponeva agli ita­
liani di produrre in gran numero; in questo quadro edificante che
si svolgeva sotto gli occhi ammirati dei turisti stranieri, l’organizza­
zione spionistica fascista, O .V .R .A ., e il Tribunale speciale lavora­
vano di concerto senza riposo. La statistica delle condanne politiche
sotto il fascismo sta a testimoniare il frutto di questo duro e incivile
compito. Dal 19 27 al primo semestre del 19 35 il Tribunale speciale
condannò 2947 imputati a complessivamente 14.458 anni di car­
cere. Dopo la guerra d’Etiopia, le condanne non furono più rese
pubbliche, ma alla liberazione si seppe che altri 2000 imputati erano
stati condannati dal 19 35 al 1943.
A seguito dell’avvento al potere di Hitler, del patto franco­
sovietico e del fronte popolare, il partito comunista veniva via via
abbandonando la vecchia politica di isolamento, che lo teneva lon­
tano dall’azione e dai successi comuni, per farsi guida di una coa­
lizione antifascista.
Le alleanze che per primo esso si propose di raggiungere fu­
rono quelle dei gruppi e movimenti politicamente più vicini. Un
primo patto di unità d’azione fu firmato a Parigi nell’agosto 1934
con il partito socialista. Senonchè il patto fra Hitler e Stalin ruppe
i rapporti fra i comunisti e il resto dell’antifascismo italiano fuorusci­
to, che si schierò a difesa delle democrazie occidentali. Le trattative
fra i comunisti e i socialisti furono riprese nel 19 4 1, dopo l’aggres­
sione nazista all’U .R.S.S. e furono estese a Giustizia e Libertà, sino
a che nel settembre di quell’anno a Tolosa, tra i due gruppi sud­
detti furono gettate le basi di un « Comitato d’azione per l’unione
del popolo italiano ».
Scoppiata la seconda guerra mondiale e superata facilmente la
crisi ingenerata dal patto germano-sovietico (giacche nell’Italia fa­
scista, alleata della Germania, non v ’era guerra antitedesca da sa­
botare), il partito comunista italiano fu il primo ad organizzarsi ef­
ficacemente, trasferendo da Parigi la direzione in Italia nel 19 4 1 e
volgendo le sue energie ad organizzare le masse operaie dei grandi
2Ó
Giorgio Vaccarino
centri industriali del Nord, in cui diffondeva sempre più frequenti
i manifesti e i periodici clandestini.
I grandi scioperi del marzo 19 43, di cui non si poteva misco­
noscere la portata politica, nonostante le richieste economiche, e che
tennero per più giorni paralizzata tutta l’industria del Nord, ini­
ziando compatti da Torino, ove più di 100 mila operai incrocia­
rono le braccia, debbono in gran parte il loro successo all’opera
ferma e coraggiosa degli ancora scarsi attivisti comunisti.
A l principio del 1942 gli elementi di « Giustizia e Libertà »
e i seguaci del martire Amendola avevano fondato il partito d’azio­
ne, che era il nome che Mazzini aveva dato al suo movimento nel
Risorgimento.
Nel primo semestre del 19 43, gli insuccessi militari degli eser­
citi fascisti facevano pensare che l’ Italia stava avvicinandosi alla
fine della sua guerra disgraziata. Occorreva quindi uscirne prima
che fosse troppo tardi, scalzando l’indebolito regime fascista, che si
sarebbe invece affrettato a consegnare lo stesso suolo fisico d’ Italia
nelle mani della disperata difesa tedesca.
Era l’ora dell’esplosione nazionale dell’antifascismo, favorito
ancora di recente dalla dimostrazione di forza delle masse operaie
del Nord. Dinanzi ai nuovi compiti, due erano allora le posizioni
politiche che tenevano il campo dell’antifascismo italiano: quella di
coloro che ancora facevano affidamento sul prestigio del re e della
sua iniziativa costituzionale per rovesciare il fascismo, evitando gli
scomodi e imprevidibili sviluppi del moto popolare, e quella di
coloro che fondavano le speranze esclusivamente su quest’ultimo.
Del primo gruppo facevano parte i vecchi esponenti liberali
e conservatori, che dal canto del cigno del filosofo Croce al Senato,
col discorso del maggio 1929 contro i patti lateranensi, se n’erano
vissuti piuttosto appartati e non avevano alimentato, se non talora
individualmente, l’emigrazione. Ma ciò che è più singolare è che
a questi eredi del legalitarismo aventiniano si presentassero allora i
comunisti incaricandoli di recare la loro offerta di collaborazione ai
generali dell’esercito e pregandoli di intercedere presso il re, perchè
gradisse da parte comunista, sino alla fine del conflitto la tregua
della lotta istituzionale, aperta di fatto nel paese dall’antifascismo,
garantendo in cambio la partecipazione dei comunisti al prossimo
governo democratico del paese. Poteva scaturire questo atteggia­
mento dei comunisti dalla volontà di non lasciare inutilizzata alcuna
La resistenza al fascismo
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forza disponibile, di non frantumare in due tronconi le forze di
opposizione, proprio all’inizio del movimento di liberazione; ma
ancor più pareva contasse per loro il desiderio, tutto particolare, di
evitare il temuto isolamento, e di inserirsi nel giuoco delle forze
democratiche come il nuovo grande partito nazionale.
In realtà la successiva giornata del 25 luglio 1943, che portò
la caduta del fascismo, non venne per queste vie, tentate dagli antifascisti. Il voto di fiducia richiesto eccezionalmente in un momento
di crisi da Mussolini al suo Gran consiglio, e da questo negatogli,
portò lo stesso Mussolini a rassegnare il mandato al re, che si ritenne
finalmente autorizzato dal meccanismo costituzionale ad accettarlo.
In più provvide ad arrestare Mussolini dopo aver dato l’incarico al
maresciallo Badoglio di costituire un nuovo governo.
Il fascismo cadde dunque per esaurimento interno, in un tri'
pudio incontenibile di gioia popolare, senza che le opposizioni de­
mocratiche direttamente lo determinassero; ma non senza che l’an­
tifascismo militante, specialmente attraverso i moti operai della
primavera, avesse fatto valere la sua incontenibile pressione.
I partiti che già si erano venuti ricostituendo nel paese sin dal
1942 in « Comitato delle opposizioni », uscirono alla luce e richie­
sero la fine della guerra, l’estirpazione del fascismo, l’immediata
liberazione dei prigionieri politici antifascisti.
Le masse operaie del Nord, appoggiarono le richieste con agi­
tazioni, ma furono dalla forza militare tenute indietro con le armi.
Gli avvenimenti sopravanzarono il governo nel suo incerto
procedere. Dopo 45 giorni di attesa gli Alleati, reso pubblico l’armi­
stizio convenuto segretamente con Badoglio, sbarcarono a sud di
Napoli. Roma fu occupata dai tedeschi che nel frattempo avevano
calato in Italia sino a 18 divisioni, mentre il sovrano con il governo
Badoglio ripararono per via mare a Brindisi, nell’estremo lembo
della penisola.
L ’esercito italiano, sorpreso dall’aggressione dei tedeschi si di­
fese come potè. Non mancarono atti di supremo coraggio nel primo,
quanto atti di barbaro cinismo nei secondi. Per citare un esempio
famoso, il presidio di Cefalonia, isola dell’Egeo, che si rifiutò di
cedere le armi, fu sterminato. I superstiti 5000 uomini, fatti pri­
gionieri, vennero fucilati.
La Marina, più agevolmente potè eseguire l’ordine dei nuovi
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Giorgio Vaccarino
alleati, e, nella sua quasi totalità, levò le ancore verso la base di
Malta. Quel poco di vita politica e sindacale che era emersa alla
luce nei 45 giorni di Badoglio, precipitò nuovamente nella olande'
stinità. Il Comitato delle opposizioni si costituì fra i sei partiti anti'
fascisti (liberale, democristiano, socialista, comunista, d’azione e,
solo per il Sud, la democrazia del lavoro) in « Comitato di Libera'
zione Nazionale ». Tale formula compositiva fu quella del C .L.N .
Centrale che ebbe nascita e sede a Roma, quanto quella del « Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia » (C.L.N .A.I.) con sede
a Milano, e si riprodusse identica nei C .L .N . regionali e in quelli
via via più periferici, da quelli provinciali a quelli comunali, a
quelli di categoria professionale o di fabbrica.
Sono questi C .L .N ., costituiti per lo più dai vecchi militanti
antifascisti, che suscitano energie alla Resistenza, raccolgono fondi,
coordinano l’afflusso dei giovani renitenti alle bande partigiane, che
ora vanno sorgendo ovunque nelle zone montuose e nei boschi.
Sono essi che nei grandi centri regionali assumono la direzione non
solo dell’azione politica ma di quella militare, costituendo sotto il
proprio controllo un comando tecnico che coordina e dirige l’azione
militare delle bande.
E ’ un nuovo mondo quello che nasce clandestinamente nei prb
mi mesi dal settembre 1943 e che via via tende ad allargare il suo
cerchio d’influenza, per entrare in contatto con tutti i gruppi sociali,
con tutte le forze vive del paese, dalle masse popolari fino ai circoli
dirigenti dell’economia ed agli intellettuali.
Esso tende a far riconoscere la sua legittimità rivoluzionaria
affinchè il paese possa facilmente accettare i sacrifici che gli si
vanno richiedendo. Il mezzo più facile e più diretto per il C .L.N .
sarebbe quello di ottenere una « delega di poteri » dal governo del
re che rappresenta il legame con il passato, delega che pure gli ab
leati riconoscerebbero. Ma proprio in ragione degli avvenimenti
vecchi e nuovi, una profonda divergenza si manifesta tra Governo
e Comitato di Liberazione. Se i partiti d’azione e socialista, che già
si erano rifiutati nei mesi precedenti di collaborare con il re per un
colpo di stato, vorrebbero ora che fosse senz’ altro indugio dichiarata
decaduta la monarchia in Italia, i partiti della coalizione, compresi
i comunisti, convengono collegialmente sulla necessità dell’abdica'
zione ma insieme sul rinvio della questione istituzionale alla deci'
sione di un referendum popolare da indirsi alla fine del conflitto.
La resistenza al fascismo
ig
E su questo punto gli Alleati stessi, indotti dalla sollecitazione pòlitica e morale dell’antifascismo ventennale, promettono formalmente a varie riprese, per voce di Roosevelt, di Berle, suo sottose­
gretario, di Cordell Hull — promesse cui lo stesso Churchill dovet­
te aderire, nonostante le sue personali simpatie monarchiche, —
che a guerra finita il popolo italiano avrebbe avuto la facoltà di
scegliere liberamente le sue istituzioni, tra monarchia e repubblica.
Di più si rimprovera al governo Badoglio di non aver prepa­
rato opportunamente la proclamazione dell’armistizio, di avere ab­
bandonato Roma impreparata dinnanzi alla minaccia tedesca e spe­
cialmente di non rappresentare, composto com’è di soli funzionari
ministeriali, l’effettiva volontà politica del paese. Il Comitato di
Liberazione Nazionale Centrale, in un ordine del giorno del 16 ot­
tobre 1943 richiese dunque la costituzione di un governo straordi­
nario, capace di realizzare l’unità spirituale di tutto il paese e di
continuare la guerra di liberazione a fianco delle Nazioni Unite,
decisione convalidata poi dal Congresso dei partiti antifascisti, te­
nutosi a Bari nel gennaio ’44.
Dichiarando di non voler partecipare al governo Badoglio il
C .L .N . segna così l’isolamento in cui era nato, a differenza della
maggior parte degli altri movimenti di resistenza in Europa, che
avevano continuato a mantenere i rapporti con i loro governi legit­
timi in esilio. Questo isolamento contribuì certo a rendere più diffi­
cili i rapporti del C .L .N . con gli stessi Alleati, che avevano conchiuso l’armistizio col governo Badoglio. Se il C .L .N . prendeva
origine nell’illegalità, ciò non accadeva dunque soltanto perchè esso
sorgeva in un territorio controllato dal nemico, ma più precisamente
perchè si costituiva al di fuori della legalità esistente, prendendo
posizione per un rinnovamento democratico, contro ogni equivoco
tendente alla restaurazione del vecchio regime prefascista, dalle cui
deficienze era potuto nascere il fascismo.
Questa, sia pur temporanea frattura « repubblicana », che pa­
reva al principio aver persuaso la maggioranza dei partiti del C .L .N .,
rappresentava, nelle speranze dei più intransigenti, l’abbandono del­
l’equivoco principio legalitario che aveva avvelenato l’Aventino, in
parte la « Concentrazione » ed ancora aveva illuso coloro che, pri­
ma del 25 luglio, avevano atteso dal re un atto di resipiscenza e di
salvezza.
30
Giorgio Vaccarino
Senonchè la solidarietà del Comitato di Liberazione, di fronte
al problema istituzionale del governo, ebbe breve durata. Mentre
già gli Alleati si apprestavano a togliere il loro appoggio al re per
sbloccare la situazione e consentire all’ Italia la formazione di un
governo rappresentativo ed effìcente, la Russia Sovietica venne a
rinforzare la posizione del re con il riconoscimento diplomatico,
avvenuto il 13 marzo 1944, del governo italiano quale esso era e
con l’invio di un suo rappresentante presso il medesimo.
Di più, in linea con questo comportamento, il leader comu­
nista Paimiro Togliatti, che tornava allora da Mosca, recò l’ade­
sione del suo partito al governo Badoglio, e così facendo indusse
anche gli altri partiti, che non potevano ovviamente apparire più a
sinistra del partito comunista, a fare altrettanto.
Si costituì in tal modo inaspettatamente il terzo ministero Ba­
doglio, fra lo stupore generale di coloro che ricordavano l’atteggia­
mento rigidamente antimonarchico tenuto dai comunisti sino al
giorno prima. Il solo partito d’azione si rifiutò per qualche tempo
di partecipare al governo, sino a che poi non cedette alle ragioni
della lotta comune. Nella intransigenza repubblicana, che più di
ogni altro aveva adottato, esso intendeva fosse riconosciuta non tanto
una questione di preferenza istituzionale, quanto il segno stesso
della frattura col vecchio mondo politico.
Con la liberazione di Roma la posizione del partito d’azione
prevalse in buona parte. Badoglio fu estromesso dal ministero, la
cui presidenza fu affidata al presidente del C .L .N ., Bonomi. Il re
dovette cedere i suoi poteri ad un luogotenente, che si impegnava
ad accettare la convocazione di una costituente a guerra finita e ad
inchinarsi dinanzi al risultato della futura scelta popolare fra mo­
narchia e repubblica (1).
(1) In quelle circostanze si manifestò appieno il pensiero del maresciallo Stalin, nei
riguardi del governo Badoglio e dei suoi oppositori del C .L .N . (pensiero, con cui la
posizione di Togliatti dell’ aprile si era trovata in linea), nel testo di un messaggio,
personale e segreto, inviato a Churchill l T l giugno 1944, due giorni dopo le dimis­
sioni del maresciallo Badoglio: « Ho ricevuto — diceva Stalin — il vostro messaggio
sulle dimissioni di Badoglio. Anche per me le dimissioni di Badoglio sono giunte
inattese. Pensavo che, senza il consenso degli alleati inglesi e americani, non si po­
tesse sostituire Badoglio e nominare Bonomi. Tuttavia dal Vostro messaggio risulta
che ciò è accaduto contro la volontà degli alleati. E ’ da ritenere che alcuni circoli
italiani intendano compiere il tentativo di modificare a loro favore le condizioni del­
l’armistizio. Comunque, se le circostanze suggeriranno a Voi e agli americani che in
La resistenza al fascismo
31
Mentre la lotta del Sud si svolgeva in termini, per cosi dire,
prevalentemente diplomatici, nel Nord si andava sviluppando la
guerra partigiana sotto la guida dei C .L .N . regionali. Anche a
Napoli, gli ultimi giorni di settembre, la popolazione era insorta
generosamente contro i tedeschi e per tre giorni aveva tenuto le loro
forze in ritirata sotto il fuoco delle sue armi raccogliticcie, in un
vero miracolo d’improvvisazione insurrezionale, ma si trattava di
uno sforzo non organizzato e non fatto per essere politicamente
consapevole e duraturo.
N el Nord sono i partiti di sinistra che costituiscono il maggior
numero di bande, che essi fanno dirigere da un binomio inscindi­
bile, il comandante ed il commissario, responsabile della condotta
politica della guerra partigiana, ma in realtà, tranne che presso i
comunisti, compartecipe con il comandante di competenze e fun­
zioni di comando.
Le formazioni di ispirazione comunista (e in realtà le più nu­
merose) erano le brigate « Garibaldi »; seguivano le « Giustizia e
Libertà » organizzate dal partito d’azione, le « Matteotti » del par­
tito socialista. Anche democristiani e liberali ebbero le loro forma­
zioni. Questi ultimi in particolare sostenevano organizzativamente
le formazioni « autonome », o militari pure, guidate da ufficiali del
vecchio esercito e dichiaratamente apolitiche, nel senso di lealtà a
un partito. Alcuni comandanti « autonomi » facevano aperta pro­
fessione monarchica.
Nonostante la differenza e le divergenze politiche i rapporti
tra le bande furono quasi ovunque soddisfacenti, e spesso anche
ottimi, fino al reciproco scambio di aiuti militari nel momento
drammatico dei rastrellamenti nazi-fascisti. La concordia che re­
gnava quasi universalmente nei Comitati di Liberazione scendeva
benefica fino alle formazioni periferiche e contribuiva a dirimere le
vertenze nelle sedi più opportune.
Si dovette a questa relativa concordia se, in una società clande­
stina improvvisata e dalle immense esigenze, si potè realizzare lo
sviluppo delle formazioni secondo delimitazioni territoriali e giuri-
Italia sia necessario avere un altro governo, e non il governo Bonomi, potete contare
che da parte sovietica non vi saranno ostacoli » (cfr. La seconda guerra mondiale nel
carteggio di Stalin con Churchill, Roosevelt, Attlee e Truman, vol. I, p. 259, Editori
Riuniti, Roma, 1957).
3i
Giorgio Vaccarino
sdizionali previamente stabilite, senza pericolosi conflitti. N ell’estate
del ’44, dopo aver superato cruenti rastrellamenti, le formazioni crea'
rono vere e proprie repubbliche partigiane, o vaste zone sottratte
temporaneamente al controllo nemico. V i si costituivano ammini'
strazioni popolari, anche popolarmente elette, si calmieravano i viveri, si ripartivano gli oneri fiscali e si predisponevano apprestamenti
militari rigidi per difendere la zona liberata dal ritorno offensivo
del nemico.
Non sempre questi successi e questi programmi, favoriti dal'
l’entusiasmo patriottico, rimasero nei limiti delle possibilità della
guerra partigiana, fatta per essere assai più elastica e meno legata a
difese territoriali, per cui talora seguirono gravi delusioni.
Così sugli Appennini modenesi, ove operava la divisione garb
baldina Modena, fu occupata nel giugno ’44 la regione di Monte'
fiorino, di circa 100 Km. quadrati, e tenuta nonostante gli attacchi
tedeschi, sino alla grande battaglia della fine di luglio, nel corso
della quale il nemico impiegò gli effettivi di tre divisioni con artiglieria campale, mortai, elementi corazzati e lanciafiamme.
Nella provincia di Cuneo le valli alpine Maira e Varaita furono occupate integralmente e tenute dai partigiani G. L . e così
vaste zone collinari delle Langhe e del Monferrato furono a lungo
controllate dalle formazioni « Autonome ». Perfino la città di Alba,
occupata il 9 ottobre 1944, fu tenuta sino al 2 dicembre. Più sa'
lienti le vicende della città di Domodossola e di una vasta zona
della V al d’Ossola, che dietro un sistema difensivo improvvisato
respinse gli attacchi nazi-fascisti dall’8 settembre al 22 ottobre ’44.
Mentre nelle campagne e sui monti, per diciotto mesi vissero
segregati e militarmente inquadrati i partigiani, nelle città i C .L.N .
mobilitavano mediante le organizzazioni politiche e la stampa clan'
destina, l’opinione pubblica, gruppi di « ardimento patriottico »
(G.A.P.) eseguivano audaci colpi di mano, e le masse operaie davano
la misura della loro forza e della loro solidarietà con la guerra parti'
giana, scioperando compatte agli ordini dei Comitati sindacali di
agitazione ma sopratutto grazie all’attiva opera degli organizzatori
comunisti. Dopo gli scioperi del marzo ’43, ricordiamo quelli del
novembre dello stesso anno, lo sciopero generale del marzo ’44, che
durò otto giorni, nonostante la repressione nazista e al quale pre'
sero parte varie centinaia di migliaia di lavoratori italiani, quelli
La resistenza al fascismo
Ìì
dell’autunno che tennero paralizzata per alcuni giorni la vita economica dei grandi centri industriali del Nord; e specialmente l’ultimo, dell'aprile ’45, che in un crescendo minaccioso sboccò nell’insurrezione liberatrice, in appoggio ai movimenti delle formazioni
partigiane, in marcia sulle grandi città.
La controguerriglia dei nazifascisti e le loro repressioni fu ­
rono spietate. In epoche diverse interi villaggi furono messi a fuoco
e i loro abitanti trucidati. Ricorderemo solo qualche esempio: il
doppio incendio di Boves e il massacro dei suoi 58 civili, il massacro
dei 60 ostaggi di Cumiana, operato da un solo tedesco a colpi di
pistola, i 43 fucilati di Fondo Toce, i 335 massacrati a Roma nelle
fosse ardeatine, il centinaio di giovani inermi passati per le armi
alla cascina Benedicta presso Voltaggio, il villaggio di Sant’Anna
di Versilia (Toscana) messo a fuoco e la popolazione di donne, vec­
chi e bambini, in tutto 532 persone, riuniti sulla piazza e sterminati
con la mitraglia e le bombe a mano. La stessa terribile fine toccò
alle 2000 persone, quasi tutte donne e bambini, di Marzabotto,
uno dei villaggi distrutti della provincia di Bologna.
Il contributo di sangue della Resistenza italiana fu dunque
altissimo. I dati raccolti dalla Presidenza del Consiglio parlano di
72.500 caduti nella guerra di liberazione, compresi i civili massa­
crati, e 39 .16 7 tra mutilati e invalidi. I deportati nei lager tedeschi,
tra militari e civili furono circa 700.000, di cui la quasi totalità
rifiutò di prestar giuramento di fedeltà al nuovo governo fascista,
costituito da Mussolini, giuramento che consentiva loro il rientro
in Italia. Soltanto IT ,0 3 % tra gli internati, aderì infatti alla repub­
blica fascista, e il 5 % al lavoro volontario.
L ’espansione imprevista della lotta partigiana stupì gli Alleati,
che avevano previsto e programmato un diverso aiuto da parte dei
resistenti italiani. Essi avevano sempre scoraggiato lo sviluppo da
loro incontrollato delle formazioni, e tutto avrebbero voluto fuorché
un esercito di popolo, sempre pronto a caricarsi di un pericoloso
potenziale politico. La sollevazione dei partigiani estremisti greci
contro il governo monarchico di Papandreu nell’estate 1944, aveva
reagito negativamente sulla loro disposizione di spirito verso il fe­
nomeno partigiano italiano.
Essi avevano mostrato sin dal principio di preferire l’apporto
dei singoli o di esigui gruppi ai loro ordini dietro le linee nemiche,
34
Giorgio Vaccarino
alla presenza operante di formazioni irregolari organizzate autonomamente, tanto più quando gli organizzatori si sapevano essere dei
politici militanti nei partiti di sinistra.
Nel già lontano mese del settembre ’43, quando un Fronte
Nazionale di Liberazione, di cui faceva parte lo stesso filosofo libe­
rale Benedetto Croce, aveva promosso a Napoli la costituzione di
gruppi volontari all’infuori delle formazioni regolari dell’esercito
del re, gli Alleati avevano rifiutato praticamente i loro favori e di
quei gruppi si erano valsi come di un centro di reclutamento di
uomini singoli per i servizi di cui essi abbisognavano, il che proprio
non concordava con gli intenti dei volontari, che finirono per
sciogliersi.
N el Nord, la condotta degli Alleati di fronte ai partigiani fu
la stessa. Anziché una resistenza organizzata, centralizzata e uni'
taria, anche qui essi mostravano di preferire l’azione di mobili
gruppi di sabotatori.
Tale frantumazione della Resistenza essi evidentemente favo'
rivano con la molteplicità delle « missioni » inviate presso i parti'
giani, apparentemente indipendenti le une dalle altre, ma sovente
tra loro in concorrenza; alle quali si aggiungevano, non certo a dar
chiarezza all’organizzazione, quelle inviate dopo la metà del 1944
dal Comando Supremo italiano dall’Italia liberata.
Tale molteplicità di contatti, che minava l’organizzazione uni'
taria della Resistenza ed anche facilitava la pericolosa infiltrazione
di informatori nemici, era sovente favorita dalle stesse formazioni
partigiane periferiche che, già inclini per italico individualismo a
far parte per se stesse, mostravano talora di prediligere le comuni'
cazioni dirette con gli Alleati, per ottenerne favori e aiuti particolari.
Accadeva pertanto che una formazione, visitata dalla missione al­
leata, tenesse questa segretamente presso di sè, e non ne informasse
il Comando regionale o generale.
Il già faticoso controllo dal centro si rendeva vieppiù difficile,
e ciò non perchè le formazioni periferiche rigettassero i criteri orga­
nizzativi o i fini politici della Resistenza, ma perchè le dure esi­
genze di vita le portavano ad arrangiarsi, del che evidentemente
approfittavano gli Alleati per dare applicazione ai loro metodi di
condotta militare e politica.
Il problema, così come è stato posto, appariva generale in
La resistenza al fascismo
35
Europa e si ripresentava altrove in termini analoghi. Un recente
studio di Henry Michel e di Marie Granet su Combat, uno dei mo­
vimenti fondamentali della Resistenza interna francese, ripercorre
le medesime esperienze. Di fronte agli Alleati e a De Gaulle stesso
che erano d’accordo nel ritenere che la Resistenza dovesse essere
costituita da piccoli gruppi selezionati, destinati al sabotaggio e
all’informazione, Combat la concepiva sotto specie di una insurre­
zione militare nazionale, e l’altro movimento metropolitano Libération la immaginava come un moto operaio a largo raggio sinda­
cale, esprimentesi a colpi di scioperi.
Ma già nella tarda primavera del ’44, con il grande sviluppo
delle formazioni partigiane del Nord d’Italia, giunte a più di
100 mila armati e all’occupazione di intere zone liberate, l’accetta­
zione dell’esercito del Corpo dei Volontari della Libertà (C.V.L.)
da parte degli Alleati, era un fatto praticamente compiuto, o meglio,
subito.
Ciononostante molte incomprensioni erano da chiarire, molte
riserve da far cadere da entrambe le parti. Specialmente era neces­
sario conchiudere con gli Alleati un accordo di aiuti sistematici, che
consentisse alla Resistenza italiana, divenuta un vero esercito clan­
destino, di sostenere l’ultimo e più grave sforzo. Era necessario un
incontro, come si direbbe oggi « al vertice », tra 1 dirigenti della
Resistenza italiana e il Comando alleato nel Mediterraneo. Dopo
molti parziali e minori contatti tale incontro avvenne a Roma, sulla
fine di novembre tra il comandante alleato del settore del Mediter­
raneo, generale Maitland Wilson, e i rappresentanti della Resistenza
del Nord (giunti nell’ Italia liberata attraverso la Svizzera e la Fran­
cia), nelle persone del Presidente del C .L .N .A .I. Pizzoni, del rap­
presentante comunista Pajetta e del vice comandante generale Fer­
ruccio Parri, delle formazioni G. L., e del liberale monarchico
Sogno, elemento di collegamento gradito agli Alleati.
Il C .L .N .A .I. venne riconosciuto come il solo organo coordi­
natore del movimento di Resistenza e come il tutore dell’ordine, per
il periodo che sarebbe seguito alla liberazione sino al giungere degli
Alleati, a cui avrebbe rassegnato i poteri.
Non era certo questa limitazione di poteri al momento della
vittoria, ciò in cui avevano sperato i capi della Resistenza italiana.
Il disarmo delle stesse formazioni, che qualcuno sognava avrebbero
36
Giorgio Vaccarinó
costituito il nucleo del nuovo esercito italiano, si capiva essere ormai
un evento non più evitabile. Del resto non vi era altra scelta e l’accordo, che comportava anche l’aiuto economico ragionevole di
160 milioni di lire mensili per la Resistenza a Nord dell’Appennino
(di cui 60 milioni destinati al solo Piemonte), fu sottoscritto. Di lì a
pochi giorni giunse pure il riconoscimento del C .L .N .A .I. da parte
del Governo italiano che, liberata Roma nel giugno ’44, si era rico'
stituito su designazione del C .L .N . centrale.
Gli scopi di guerra della Resistenza, collocati nel riscatto del
popolo italiano dalla servitù del fascismo e nella consapevole con'
quista delle libertà politiche, tanto più durature quanto meno graUntamente concesse, non erano evidentemente gli stessi degli
Alleati.
Eppure, nonostante le diffidenze e la riluttanza degli Alleati
verso l’espansione dell’esercito partigiano, questo fu da essi chia'
mato a collaborare intensamente sul piano militare, specialmente
nell’ultima fase della guerra in Italia.
Possediamo documenti alleati che lo riconoscono e lo provano.
T ra questi è il rapporto segreto al Quartier Generale alleato del CO'
mandante della Britannica Special Force N . x, colonnello Hewitt,
sull’attività svolta nel mese di aprile 1945; documento che per fortunata combinazione è conservato in copia nei nostri archivi. C i'
tiamo qua e là dal testo del rapporto i passi più significativi: nel
mese di aprile — scrive il rapporto — « vennero catturati dai partigiani complessivamente più di 40 mila prigionieri tedeschi o fa '
scisti. Vennero distrutti o catturati grandi quantitativi di armi e di
equipaggiamento. Sacche nemiche, rimaste nel solco delle truppe
avanzanti, vennero eliminate permettendo alle armate di avanzare
senza ostacoli. Furono salvati dalla distruzione obiettivi quali ponti,
strade e comunicazioni telegrafiche e telefoniche, di vitale impor'
tanza per una rapida avanzata. Complessivamente più di 100 centri
urbani vennero liberati, prima che noi giungessimo, dai partigiani.
Il contributo partigiano, alla vittoria alleata in Italia fu assai note'
vole e sorpassò di gran lunga le più ottimistiche previsioni. Colla
forza delle armi essi aiutarono a spezzare la potenza e il morale di
un nemico di gran lunga superiore ad essi per numero. Senza
queste vittorie partigiane non vi sarebbe stata in Italia una vittoria
alleata così rapida, così schiacciante e così poco dispendiosa ».
La resistenza al fascismo
37
Se la Resistenza propriamente detta finisce sul piano militare
con la liberazione, il ruolo politico dell’antifascismo non può dirsi
storicamente concluso a quella data. Qualche osservazione mi pare
dunque di poter legittimamente aggiungere.
Sul terreno politico la liberazione del paese aveva lasciato sospese molte speranze e generato non pochi scontenti. Le forze politi­
che di destra guardavano con sospetto all’influenza acquistata dai
partiti di sinistra con il contributo vittorioso della Resistenza e inten­
devano affrettare il disarmo delle formazioni partigiane e l’esautoramento del C .L .N ., che gli Alleati per parte loro avevano già ridotto
ad una funzione meramente consultiva e di pura rappresentanza; i
comunisti parevano adattarsi con realistica saggezza al fallimento
inevitabile dei loro massimi obbiettivi, mentre non pareva a taluni
che essi curassero con sufficiente slancio la riuscita di quelli medi di
una rivoluzione soltanto democratica, che desse però strutture mo­
derne ad un paese invecchiato sotto la dittatura. Assumendo la ma­
schera della superiore magnanimità essi svolgevano la politica della
conciliazione nazionale, che consisteva nella rapida conclusione del­
l’epurazione, nel perdono ai fascisti, nell’amnistia, nell’abbraccio al
mondo clericale con l’inserimento nella nuova costituzione italiana
dei patti lateranensi, stretti tra Mussolini e Pio XI nel 1929. Il
partito d’azione, seguito con qualche riserva dai socialisti, procla­
mava invece la necessità che il nuovo Governo, nella carenza tem­
poranea degli organi legislativi, fondasse il suo prestigio su un’as­
semblea permanente dei Comitati di liberazione, quasi « conven­
zione » democratica, sola capace di sostenere sino in fondo l’epura­
zione e la ricostruzione democratica del paese nel clima della Resi­
stenza vittoriosa. Era ancora questa la traduzione in termini attuali
del repubblicanesimo intransigente, professato contro il vecchio
spirito aventiniano, la lontana Concentrazione antifascista, nonché
contro il metodo di accomodamento verso le forze politiche prefa­
sciste, inaugurato dal realismo comunista nella Resistenza. Ma que­
sto atteggiamento appariva, nel suo ingenuo moralismo, superato
oramai dalle circostanze e giovanilmente pericoloso nel risuscitar
rancori e discordie in mezzo ad un mondo che chiedeva solo più di
acquietarsi e di dimenticare.
Il primo governo democratico italiano, presieduto dall’azionista
Ferruccio Parri, non resse più di alcuni mesi, dal giugno al novem-
38
Giorgio Vaccarino
bre ’45. Aprirono la crisi i liberali, sul problema dell’ordine pub'
blico ancora carente, li seguirono i democristiani; non sostennero il
governo i comunisti, desiderosi di rientrare rinforzati nel successivo
ministero: e forse lo avrebbero potuto, nel clima post'insurrezio'
naie del paese.
Il referendum popolare del 2 giugno ’46 portò, per un lieve
scarto di voti, alla vittoria della repubblica; ma la Costituzione re'
pubblicana, nata per darle il suo contenuto politico, e che nella
fretta di esser conclusa, vide rimandare la definizione dei suoi stessi
organi tutori al futuro Parlamento, è ancora oggi, dopo 13 anni,
in via di lentissima attuazione.
G iorgio V accarino