II 36 - Prenderò innanzi tutto le mosse dagli antenati: in una

Nel 430 a.C. (dopo il primo anno della guerra del Peloponneso, l’epocale conflitto che
nell’ultimo trentennio del V secolo vide di fronte Atene e Sparta, e si concluse con la vittoria di
quest’ultima), gli Ateniesi, seguendo un rituale consolidato, scelgono un personaggio eminente
perché reciti un discorso funebre in onore dei caduti in guerra: la scelta cade su Pericle, colui
che indiscutibilmente domina la scena politica. Il discorso che Tucidide pone sulla bocca dello
statista tocca i seguenti temi 1) è giusto e bello sacrificare la propria vita per una città come
Atene, la disposizione d’animo e l’atteggiamento mentale dei cittadini [epitèdeysis], i loro
concreti modi di agire [topoi], la costituzione [politeia]).
Epitafio di Pericle (II, 36 – 41) - Tucidide
II 36 - Prenderò innanzi tutto le mosse dagli antenati: in una
circostanza come la nostra è giusto e doveroso tributare loro questo
onore del ricordo, poiché nel susseguirsi delle generazioni essi, che
sono stati sempre gli stessi ad abitare la nostra terra, l’hanno
trasmessa, grazie al loro valore, libera fino ad adesso. Se essi sono
degni di lode, ancor più lo sono i nostri padri che, in aggiunta a quel
che avevano ricevuto, acquisirono l’intero impero che ora possediamo
e non senza pena lo tramandarono alla generazione attuale. Ma la
maggior parte dell’impero l’abbiamo acquisita noi che ancor oggi
siamo nell’età matura, e siamo stati noi ad approntare una città
autosufficiente sotto tutti i punti di vista, sia per la guerra che per la
pace. Ma le imprese in guerra, dei padri e nostre, grazie a cui si sono
avute le singole acquisizioni, o il modo con cui noi o i nostri padri
respingemmo gli attacchi portati da barbari o Greci io tralascerò, non
volendo far lunghi discorsi tra chi sa già queste cose. Per prima cosa
chiarirò partendo da quali principi ispiratori siamo giunti a questa
situazione, sotto quale forma di governo e con quale modo di vivere si
sia formata la nostra potenza; procederò quindi all’elogio dei caduti,
poiché ritengo che nella presente occasione sia doveroso dire queste
cose, e che sia utile che tutta la folla di cittadini e stranieri le intenda.
II 37 - Abbiamo un sistema che non copia le leggi degli altri, e più che
imitare gli altri, noi siamo da modelli per qualcuno. Quanto al nome, si
chiama democrazia perché coinvolge nell’amministrazione non pochi
ma la maggioranza: nelle controversie private, tutti hanno gli stessi
diritti davanti alla legge, ma per quanto riguarda l’autorità questa si
acquista nella misura in cui uno acquista prestigio in un certo àmbito,
e nella vita pubblica non si è stimati tanto per la parte cui si appartiene
quanto per il merito, e se uno può essere di beneficio alla città non ne
è impedito né dalla povertà né dall’oscurità dei natali. In modo libero
viviamo la vita politica ed anche per quanto riguarda le quotidiane
abitudini e reciproche meschinerie, poiché non ci irritiamo se un altro
trae piacere da una sua azione, ed inoltre non adottiamo quegli
atteggiamenti tristi, che in sé non procurano danno, ma che comunque
sono spiacevoli a vedersi. Se dunque i nostri rapporti privati sono privi
di inimicizie, nella vita pubblica il timore ci trattiene per lo più dal
compiere atti illegali, perché ubbidiamo a coloro che di volta in volta
rivestono le magistrature ed alle leggi, e soprattutto a quelle che sono
stabilite in difesa di chi subisce un torto e di quelle non scritte, la cui
trasgressione comporta un’onta agli occhi di tutti. II 38 - Abbiamo
concesso alla mente moltissimi momenti di riposo dalle fatiche: siamo
abituati a gare e feste con sacrifici pubblici per la durata dell’intero
anno e a splendide cose private, il cui godimento quotidiano tiene
lontano la pena. Data l’importanza della nostra città, ci arriva tutto, da
tutta la terra, e ci capita di non considerare i prodotti della nostra terra
più ‘nostri’ di quelli degli altri. II 39 - Anche nella preparazione alla
guerra siamo diversi dai nostri avversari, per questi motivi. Teniamo la
nostra città aperta agli altri, e non succede che con decreti di
espulsione degli stranieri impediamo a qualcuno di apprendere o
vedere qualcosa che se non rimane nascosto potrebbe essere di utilità
a un nemico, perché non facciamo affidamento su preparativi e
sotterfugi più che sul coraggio che nasce nel profondo di noi e si
manifesta nelle nostre imprese; anche nell’educazione dei fanciulli, se
gli altri acquisiscono il coraggio fin da giovani con un addestramento
durissimo, noi, invece, viviamo una vita rilassata e, ciò nonostante,
riusciamo ad affrontare pericoli di uguale gravità. Questa è la prova:
gli Spartani non fanno spedizioni contro di noi da soli, ma con tutti
quanti gli alleati, mentre noi quando invadiamo il paese altrui, anche
se combattiamo in campo avverso, contro nemici che difendono i loro
beni, senza difficoltà abbiamo per lo più la meglio. Mai nessun nostro
nemico si è scontrato con le nostre forze unite perché nello stesso
momento teniamo efficente la flotta e per terra facciamo spedizioni
verso molti obiettivi; ora, se si scontrano con una piccola parte, se
hanno la meglio su solo alcuni di noi si vantano di averci respinti tutti,
e se sono sconfitti dicono di aver perso davanti a tutti quanti noi.
Certamente, se vogliamo affrontare i pericoli vivendo distesamente e
non con un faticoso esercizio e fidandoci di un valore che è insito nei
nostri costumi e non è dovuto alle leggi, abbiamo il vantaggio di non
soffrire in anticipo per i patimenti futuri e di affrontarli poi senza che il
nostro ardimento appaia inferiore a quello di chi sta sempre nelle
sofferenze. Per queste ragioni la nostra città è degna di essere
ammirata, e per altre ancora. II 40 - Amiamo il bello nella semplicità,
amiamo la riflessione senza debolezze, per noi la ricchezza è più
motivo di opportunità pratiche che di vanti verbali, e non è vergona per
nessuno ammettere di essere povero, ma è vergogna non tentare con
le azioni di sfuggire alla povertà. E’ possibile che le stesse persone si
occupino dei loro affari privati e di quelli pubblici, è possibile che chi è
dedito all’una o all’altra attività abbia comunque una buona
conoscenza delle questioni politiche: siamo infatti i soli a considerare
chi non se ne interessa persona non tranquilla, ma inutile. Noi siamo
gli stessi a giudicare e a ragionare correttamente sulle questioni,
perché non pensiamo che i ragionamenti nuociano all’azione, ma che
sia invece nocivo non sviscerare le questioni nel dibattito, prima di
intraprendere le necessarie azioni. Anche in questo mostriamo la
nostra differenza: agiamo con audacia e sappiamo ragionare
freddamente su ciò che stiamo per affrontare, mentre per gli altri
l’ardimento nasce dall’ignoranza, e la riflessione procura titubanza. A
buon diritto dovrebbero essere considerati coloro che hanno la
maggiore forza d’animo quelle persone che conoscono con estrema
chiarezza ciò che è terribile e ciò che è piacevole, e che ciò
nonostante non si sottraggono ai pericoli. Anche per la generosità
siamo all’opposto rispetto alla maggior parte, perché ci procuriamo gli
amici non traendo ma procurando vantaggi. E’ amico più sicuro colui
che fa il bene, perché vuole mantenere la gratitudine che gli è dovuta
attraverso il suo atteggiamento di benevolenza nei confronti di colui a
cui ha fatto il bene; chi deve ricambiare è invece un amico più fiacco,
perché sa che quando restituirà il favore non si procurerà un impegno
ma si sdebiterà, E siamo i soli che aiutiamo un altro senza timore, non
per un calcolo interessato, ma per la fiducia che deriva dalla libertà. II
41 - Riassumendo, dico che la nostra città, nel suo insieme,
costituisce un vivente ammaestramento per la Grecia e mi sembra che
ogni uomo possa, presso di noi, sviluppare una personalità autonoma
sotto molti aspetti, spigliatamente e con modi raffinati. E che non si
tratti di vuote parole esagerate nella presente circostanza, ma della
verità dei fatti lo dimostra la potenza stessa della città che siamo
riusciti ad acquistare grazie a questi costumi. Sola tra le città attuali al
momento della prova si dimostra superiore alla propria fama, la sola
che non provoca risentimento nel nemico che l’aggredisce, al pensiero
di chi gli faccia subire mali, né il malcontento dei sudditi che pensano
di essere dominati da padroni indegni. Con grandi prove presentiamo
una potenza che non è certo priva di attestazioni, degna di essere
ammirata sia dai contemporanei sia dai posteri, e non abbiamo
bisogno delle lodi né di un Omero né di uno che procuri un piacere
momentaneo con le proprie parole, ma la cui interpretazione dei fatti
venga poi demolita dalla verità: noi abbiamo costretto l’intero mare e
l’intera terra a rendersi accessibile alla nostra audacia, ed abbiamo
fondato dovunque monumenti sempiterni delle nostre imprese,
negative e positive. Combattendo per una tale città questi uomini
morirono nobilmente ritenendo che non fosse giusto che essa si
perdesse, ed è naturale che tutti coloro che rimangono siano disposti a
soffrire per essa.