Concerto 21 gennaio_testo

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Goethe, Mendelssohn e Beethoven: un vecchio poeta e due giovani musicisti, tre grandi artisti,
tedeschi, che si ergono titani sul territorio della Poesia e della Musica.
Johann Wolfgang Goethe conobbe Ludwig van Beethoven ai bagni termali di Teplitz nel 1812.
Dopo averlo ascoltato al pianoforte annotava: «Suona in modo delizioso» e alla moglie scrisse:
«Non ho mai visto un artista più energico, più profondo». Goethe si stupì quindi del talento del
giovane, ma lo farà anche, qualche anno più tardi, nel 1821, per il dodicenne Mendelssohn, al quale
chiese di suonargli l’ouverture del Don Giovanni. Il giovane Mendelssohn, cosa che nessuno
avrebbe lontanamente potuto immaginare, gli oppose un netto rifiuto, precisando che quel
capolavoro, suonato al pianoforte, sarebbe stato troppo penalizzato. Mendelssohn eseguì invece
l’ouverture delle Nozze di Figaro, lasciando tutti sbalorditi per “la facilità di mano, la sicurezza, la
rotondità e chiarezza di passaggi”.
Attestazioni di reciproca stima, tra Goethe e Beethoven, di certo non mancarono, ma ben presto si
instaurò tra i due una sottile lotta psicologica scaturita dal sentirsi, da parte di entrambi, importanti
ed indispensabili per il mondo della cultura tedesca. L’ammirazione di Goethe per Beethoven si
tramutò in diffidenza, in quanto nella sua musica il poeta vi trovava troppa enfasi e troppo
disordine. Il giudizio finale di Goethe sul compositore di Bonn suona come una condanna:
«Beethoven è una natura totalmente sfrenata!». Goethe non capì e mai appoggiò il talento
rivoluzionario Beethoven che, invece, pur non perdendo la devozione per
il poeta, fece presto cadere ogni sua ammirazione per l’uomo. Al contrario, una lunga amicizia e
una costante ammirazione caratterizzarono il rapporto di Goethe con Mendelssohn, in una perfetta
assonanza di pensiero musicale e di pensiero letterario: il vecchio poeta, sempre entusiasta e
raggiante di gioia per le esecuzioni di Mendelssohn, profetizzò un grande futuro al giovane
musicista.
Mendelssohn è stato definito il più classico dei musicisti romantici, mentre Beethoven fu
considerato l’ultimo esponente del classicismo o il primo dei romantici.
L’arte musicale di Mendelssohn, profondo conoscitore de passato e della storia, assorbì dallo stile
definito classico, l'amore per le forme chiare, precise ed equilibrate del linguaggio musicale; nello
stesso tempo fu sensibile alla poetica del fantastico e dell'irreale che fermentava con vivacità di
accenti nel Romanticismo tedesco. Mendelssohn fu un compositore capace di effondere il suo genio
con intensità lirica, con poetico slancio immaginativo, talvolta con religiosa e sincera austerità, ma
nessuno spazio è lasciato alle profonde lacerazioni e ai contrasti esistenziali. La sua arte conosce
luci e ombre, ma non è esperta del buio, conosce la malinconia, l'infelicità, ma non la disperazione.
Proprio il celebre Concerto in mi minore op. 64 per violino e orchestra ben esprime la doppia
personalità del compositore: classico nella ricerca di perfezione formale e nella sicurezza
costruttiva, romantico nel dilatare le tensioni espressive del solista anche nell’istrionico rapporto
con l’orchestra.
E Beethoven? Beethoven può essere considerato un classico se si considera che portò la musica di
Haydn e Mozart al suo più naturale sviluppo. Ma nelle partiture del compositore di Bonn, l’energia,
le laceranti dissonanze e la ricchezza armonica avevano anche messo pericolosamente in bilico
l’equilibrio dell’edifico classico, pur senza arrivare a distruggerlo. Si dice spesso che proprio con
Beethoven, con le sue numerose libertà di linguaggio, con il suo particolare “autobiografismo”
musicale ha inizio il movimento romantico. Beethoven è quindi un romantico? Certamente sì,
perché la sua musica descriveva pienamente le più travagliate passioni dell’animo umano. E.T.A.
Hoffmann, recensendo la Quinta Sinfonia op. 67 di Beethoven sottolinea la capacità della musica di
trarre l'ascoltatore «fuori dal quotidiano nel regno dell'infinito», di «rivelare all'uomo una realtà
sconosciuta ... un mondo nel quale egli lascia dietro di sé tutto ciò che è circoscritto dall'intelletto
per abbracciare l'inesprimibile…ogni passione - amore, odio, rabbia, disperazione». Hector Berlioz
ebbe a dire, poco dopo: «La Sinfonia in do minore sgorga dalla più profonda vena del genio
beethoveniano. In essa egli ci scopre alcuni dei suoi più segreti pensieri. A soggetto di quest'opera
d’arte egli scelse il suo intimo dolore, il finale scoppio d'ira lungamente celato nel suo petto, il suo
più profondo orgoglio, le più solitarie e sconsolate meditazioni, le notti insonni, il fuoco
dell’eccitazione». Beethoven e Mendelssohn, classicismo e romanticismo: antiche dicotomie che
forse un Apprenti sorcier potrebbe tentare di indagare negli aspetti più occulti, ma che solo la
bellezza della musica riuscirà a svelare.
Tamara Pertusini
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