La sentenza “Taricco” e suoi effetti nell`ordinamento nazionale

APPROFONDIMENTI
La sentenza “Taricco”
e suoi effetti nell’ordinamento
nazionale
La sentenza “Taricco” impone al giudice nazionale di disapplicare - con
effetti in malam partem per l’imputato - il regime della prescrizione penale, quando viola gli obblighi di tutela efficace, dissuasiva ed equivalente
degli interessi finanziari dell’Unione europea. La Corte europea ha affermato l’efficacia diretta dell’art. 325, TFUE, e la prescrizione del reato
quale istituto processuale e, quindi, estranea alla tutela data dal principio
di legalità, in contrasto con il consolidato orientamento della Corte costituzionale italiana ora chiamata a risolvere delicate questioni sull’assetto
dei rapporti tra ordinamento UE e ordinamenti nazionali e ai limiti che le
fonti dell’Unione incontrano in materia penale.
A cura di
Stefano Comellini
Avvocato penalista
in Torino
Premessa
L’influenza del diritto dell’Unione sull’ordinamento giuridico nazionale
si manifesta in modo crescente e con riflessi sempre più incisivi anche
nell’ambito del diritto penale.
La nota decisione della Corte EDU nel “caso Grande Stevens”1 - con
il sancire, ai fini del ne bis in idem di cui all’art. 4, prot. 7, CEDU, l’e1
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Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, Sentenza 04/03/2014 - Ricorso n. 18640/10 - Grande Stevens e altri c. Italia. In questo caso, i medesimi soggetti erano stati sottoposti a due procedimenti,
uno amministrativo, da parte della CONSOB, per violazione dell’art. 187-ter D.Lgs. 24/02/1998,
n. 58, e l’altro penale per violazione dell’art. 185, D.Lgs. 24/02/1998, n. 58. La Corte di Strasburgo, aveva ritenuto che anche il procedimento amministrativo concernesse una “accusa in materia
penale” riscontrando, non solo la violazione dei principi dell’equo processo nel procedimento amministrativo, ma, altresì, la violazione dell’art. 4, prot. 7, CEDU, per la duplicazione dei procedimenti (amministrativo - rectius penale per la Corte EDU - e penale) aventi ad oggetto i medesimi
fatti.
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quiparazione, a specifiche condizioni, del giudicato amministrativo al
giudicato penale - sta connotando ampi spazi della giurisprudenza in
tema di reati fiscali e societari, per i quali può manifestarsi il doppio
binario sanzionatorio.
La recente sentenza della Corte di Giustizia nel “caso Taricco”2 costituisce ulteriore ragione di influenza, andando ad incidere su ambiti
delicati della normativa penale nazionale, settore che più di altri tenta
di resistere all’incidenza di fattori esterni, in particolare ad influssi e
condizionamenti provenienti dal sistema sovranazionale3.
La primautè del
diritto dell’Unione
Il principio della preminenza del diritto comunitario, ora diritto dell’Unione europea, si è andato affermando negli anni, di pari passo con il
processo di integrazione tra gli Stati membri, in virtù dell’apporto rilevante della giurisprudenza europea. Già con risalenti pronunce si era,
infatti, affermato che “la Comunità economica europea costituisce un
ordinamento giuridico di nuovo genere nel campo del diritto internazionale a favore del quale gli Stati membri hanno rinunziato, se pure
in settori limitati, ai loro poteri sovrani”4.
Sempre la giurisprudenza della Corte di Giustizia, nell’affermare il
principio di primauté del diritto (allora) comunitario, precisava poi che
la disposizione dell’art. 189 (ora 249) del Trattato CE “non accompagnata da alcuna riserva, sarebbe priva di significato se uno Stato
potesse unilateralmente annullarne gli effetti con un provvedimento
nazionale che prevalesse sui testi comunitari”, precisando altresì che
“il diritto nato dal trattato non potrebbe, in ragione appunto della sua
specifica natura, trovare un limite in qualsiasi provvedimento interno
senza perdere il proprio carattere comunitario e senza che ne risultasse scosso il fondamento giuridico della stessa Comunità” 5.
Qui, come nella giurisprudenza successiva, il fondamento della preminenza delle norme sovranazionali non viene individuato in un rapporto di prevalenza (gerarchica o meno) tra norme, bensì consegue
all’individuazione della Comunità come ente superiore, le cui regole
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Corte giust., Sentenza 08/09/2015 (Grande Sezione), Taricco (causa n. 105/2014).
Così Venegoni, La sentenza Taricco: una ulteriore lettura sotto il profilo dei riflessi sulla potestà
legislativa dell’unione in diritto penale nell’area della lotta alle frodi, in www.penalecontemporaneo.it, p. 1.
Corte giust., Sentenza 05/02/1963, Van Gend & Loos/Amministrazione olandese delle imposte
(causa n. 26/1962), punto 8.
Corte giust., Sentenza 15/07/1964 Costa/ENEL, (causa n. 6/1964).
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si impongono per forza propria e che non incontrano, nella loro applicazione, alcun impedimento nelle norme interne di qualsivoglia rango. Sotto questo profilo si è, quindi, ascritta alla Corte di giustizia una
concezione “monista”6, per la quale le prime operano per effetto della
loro appartenenza all’ordinamento sovranazionale e si integrano con
le seconde, prevalendo su di esse in caso di contrasto: “scaturito da
una fonte autonoma, il diritto nato dal Trattato non potrebbe, in ragione appunto della sua specifica natura, trovare un limite in qualsiasi
provvedimento interno senza perdere il proprio carattere comunitario
e senza che ne risultasse scosso il fondamento giuridico della stessa
Comunità”7.
Ancora, si affermava che il rinvio “ai diritti fondamentali, per come
formulati nella Costituzione di uno Stato membro, oppure ai principi
costituzionali nazionali non può sminuire la validità di un atto comunitario o la sua validità nel territorio dello Stato” 8.
Le implicazioni derivanti dalla preminenza delle norme dell’Unione venivano ulteriormente precisate nella successiva sentenza
“Simmenthal”9. Con questa pronuncia, la Corte stabiliva che “in forza
del principio della preminenza del diritto comunitario le disposizioni
del Trattato e gli atti delle istituzioni, qualora siano direttamente applicabili, hanno l’effetto, nei loro rapporti col diritto interno degli Stati
membri, non solo di rendere ipso iure inapplicabile, per il fatto stesso
della loro entrata in vigore, qualsiasi disposizione contrastante della legislazione nazionale preesistente, ma anche - in quanto dette
disposizioni e detti atti fanno parte integrante, con rango superiore
rispetto alle norme interne, dell’ordinamento giuridico vigente nel territorio dei singoli Stati membri - di impedire la valida formazione di
nuovi atti legislativi nazionali, nella misura in cui questi fossero incompatibili con norme comunitarie”. In altre parole, la disposizione
europea, giacché fonte direttamente applicabile, prevale sulla norma
interna, anche se successiva. Di conseguenza, il giudice nazionale
ha “l’obbligo di applicare integralmente il diritto comunitario e di tutelare i diritti che questo attribuisce ai singoli, disapplicando le disposizioni eventualmente contrastanti della legge interna, sia anteriore sia
successiva alla norma comunitaria”.
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Tesauro, Diritto dell’Unione europea, Cedam, Padova, 2010, p. 205.
Sentenza 15/07/1964 Costa/ENEL, cit.
Corte giust., Sentenza 17/12/1970 (in), Internationale Handelsgesellschaft, (causa n. 11/1970).
Cfr. in particolare il punto 3. Il medesimo principio si ritrova anche in Id., Sentenza 17/12/1989,
Dow Chemical Iberica (cause nn. 97-99/1987), punto 38.
Corte giust., 09/03/1978, Simmenthal (causa n. 106/1977).
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La Corte di giustizia ha poi precisato che il diritto dell’Unione è idoneo ad imporsi, in generale, su qualsiasi atto o fatto avente valore
“normativo”10, rispetto alle norme costituzionali degli Stati membri11,
ed anche sugli atti amministrativi a carattere particolare12. In particolare, la Corte di giustizia ha affermato che il diritto dell’Unione prevale
anche sulle norme penali nazionali incompatibili. La preminenza opera, sia con riferimento a norme penali più severe rispetto ai limiti posti
dal diritto dell’Unione, sia con riferimento a disposizioni troppo blande o che non prevedono determinate fattispecie, quando il contesto
normativo non consente di garantire l’effettività del diritto dell’Unione.
Pur a fronte dell’univoco orientamento della giurisprudenza europea,
negli Stati membri a lungo si sono palesati persistenti tentativi di limitare il principio di preminenza. Anche la Corte costituzionale italiana
ebbe ripetutamente ad escludere, in contrasto con la Corte di giustizia, la possibilità di un controllo diffuso di legittimità comunitaria. Solo
alla fine degli anni 70 del secolo scorso, si avviò un lento processo di
modifica della giurisprudenza costituzionale, fino a giungere, con la
nota Sentenza 170/198413, ad un completo revirement14.
Con tale decisione - sviluppando, in contrasto con la teoria “monistica”, il principio della separazione dei due ordinamenti già contenuto
in una precedente pronuncia15 - la Corte affermava, in una concezione “dualistica”, che l’ordinamento comunitario e l’ordinamento nazionale sono autonomi e distinti, pur se coordinati tramite una precisa
articolazione di competenze. Ne consegue che, laddove vi sia competenza comunitaria in base al Trattato CE, i giudici ordinari e la pubblica amministrazione, a fronte di una normativa interna incompatibile
La Corte europea ha considerato (Sentenza 19/06/1990. Factortame, causa n. 213/1989) che
è incompatibile con le esigenze inerenti alla natura stessa del diritto comunitario qualsiasi disposizione facente parte dell’ordinamento giuridico di uno Stato membro o qualsiasi prassi, legislativa, amministrativa o giudiziaria, la quale porti ad una riduzione della concreta efficacia del
diritto comunitario per il fatto che sia negato al giudice, competente ad applicare questo diritto,
il potere di fare, all’atto stesso di tale applicazione, tutto quanto è necessario per disapplicare le
disposizioni legislative nazionali che eventualmente ostino, anche temporaneamente, alla piena
efficacia delle norme comunitarie.
11
Corte giust., Sentenza 11/01/2000, Kreil, (causa n. 285/1995).
12
Corte giust., Sentenza 29/04/1999, Ciola, (causa n. 224/1997).
13
Sentenza 08/06/1984, n. 170: “Nelle materie riservate alla normazione delle Comunità europee
il Giudice ordinario deve applicare direttamente la norma comunitaria (nella specie, regolamento), la quale prevale sulla legge nazionale incompatibile, anteriore o successiva; né può il Giudice stesso denunciare alla Corte Costituzionale, in riferimento all’art. 11 Cost., la detta incompatibilità”.
14
Così Breida Produzione di energia elettrica da biomasse tra primauté del diritto comunitario e
nozione di sottoprodotto, in Giur. It. 2010, p. 462.
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Corte cost., 27/12/1965, n. 98.
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con il diritto comunitario direttamente applicabile o dotato di effetti diretti, dovranno procedere all’applicazione di quest’ultimo e alla disapplicazione della norma interna.
In questa tormentata ripartizione di competenza ed efficacia normativa, si sono individuati alcuni “controlimiti” all’applicazione della regola
del primato del diritto dell’Unione, volti a bilanciare le esigenze di effettività del diritto europeo con il rispetto dei diritti fondamentali degli
individui e con il principio di certezza e stabilità delle situazioni giuridiche. I “controlimiti” sono così andati individuandosi secondo specifici
parametri:
a) limite all’ingresso nell’ordinamento nazionale di disposizioni
comunitarie contrastanti con i diritti e i principi fondamentali
dell’ordinamento costituzionale;
b) limite alla disapplicazione di provvedimenti amministrativi divenuti definitivi;
c) limite alla disapplicazione del giudicato;
d) limite alla disapplicazione contra reum di norme penali contrastanti con il diritto dell’Unione.
Gli interessi
finanziari
dell’Unione
Prima dell’attuale assetto istituzionale dell’Unione, gli interessi finanziari della stessa trovavano protezione in virtù del principio di leale
cooperazione e della normativa adottata sulla base del Primo e Terzo
Pilastro16.
Ne derivava già allora l’obbligo per gli Stati membri, secondo il principio di leale cooperazione sancito nell’art. 5, TCEE (ora art. 4, TUE)
di adottare tutte le misure idonee a garantire la portata e l’efficacia
del diritto comunitario e, quindi, di prevedere nell’ordinamento interno
sanzioni adeguate ed efficaci a prevenire e reprimere le offese contro
gli interessi finanziari della Comunità, nonché analoghe a quelle previste per le violazioni del diritto interno, simili per natura e rilevanza17.
I tre Pilastri dell’Unione Europea, creati con il Trattato di Maastricht del 1992 avevano lo scopo di
dividere le politiche dell’Unione europea in tre aree fondamentali. Sono stati aboliti con l’entrata
in vigore del Trattato di Lisbona del 2009. Il primo Pilastro riguardava le Comunità europee,
quindi un mercato comune europeo, l’unione economica e monetaria, una serie di altre competenze aggiunte nel tempo, oltre alla politica del carbone e dell’acciaio e quella atomica. Il Secondo concerneva la politica estera e di sicurezza comune. Il terzo, concerneva la cooperazione
giudiziaria e di polizia in materia penale.
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Cfr. Corte giust., 21/09/1989, Commissione c. Repubblica ellenica (causa n. 68/1988).
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A seguito dell’entrata in vigore del Trattato di Maastricht, si è provveduto all’armonizzazione delle fattispecie di diritto penale sostanziale
in questo settore, con l’adozione della Convenzione sulla protezione
degli interessi finanziari della Comunità europea del 1995 (cd. Convenzione PIF con i Protocolli addizionali18), strumento di Terzo Pilastro, che impone agli Stati membri l’obbligo di adottare, per i casi di
frode gravi contro gli interessi finanziari dell’Unione, adeguate sanzioni penali.
La Convenzione PIF è rimasta in vigore, pur a fronte del superamento, con il Trattato di Lisbona, della distinzione fra pilastri ed è attualmente in corso il procedimento legislativo per la sua sostituzione19.
D’altro canto, il nuovo art. 325, TFUE20, entrato in vigore dal gennaio
2009 a seguito dell’approvazione del Trattato di Lisbona, obbliga gli
Stati membri a lottare contro le attività illecite lesive degli interessi finanziari dell’Unione con misure dissuasive ed effettive e, in particolare, li obbliga ad adottare, per combattere la frode lesiva degli interessi
finanziari dell’Unione, le stesse misure interne adottate per combattere le frodi lesive dei loro interessi finanziari21.
Atto del Consiglio, del 26/07/1995, “che stabilisce la convenzione relativa alla tutela degli interessi finanziari delle Comunità europee” (95/C 316/03).
19
Cfr. Proposta di Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla lotta contro la
frode che lede gli interessi finanziari dell’Unione mediante il diritto penale - COM/2012/0363 final - 2012/0193 COD.
20
Art. 325 Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, “1. L’Unione e gli Stati membri combattono contro la frode e le altre attività illegali che ledono gli interessi finanziari dell’Unione stessa
mediante misure adottate a norma del presente articolo, che siano dissuasive e tali da permettere una protezione efficace negli Stati membri e nelle istituzioni, organi e organismi dell’Unione.
2. Gli Stati membri adottano, per combattere contro la frode che lede gli interessi finanziari
dell’Unione, le stesse misure che adottano per combattere contro la frode che lede i loro interessi finanziari. 3. Fatte salve altre disposizioni dei trattati, gli Stati membri coordinano l’azione
diretta a tutelare gli interessi finanziari dell’Unione contro la frode. A tale fine essi organizzano,
assieme alla Commissione, una stretta e regolare cooperazione tra le autorità competenti. 4. Il
Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria, previa consultazione della Corte dei conti, adottano le misure necessarie nei settori della prevenzione e lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell’Unione, al fine di pervenire a una
protezione efficace ed equivalente in tutti gli Stati membri e nelle istituzioni, organi e organismi
dell’Unione. 5. La Commissione, in cooperazione con gli Stati membri, presenta ogni anno al
Parlamento europeo e al Consiglio una relazione sulle misure adottate ai fini dell’attuazione del
presente articolo”.
21
Sul punto anche Corte giust., Ord. 07/05/2013, (Causa n. 617/2010), Aklagaren c. Fransson,
punto 26, e la giurisprudenza ivi riportata.
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La sentenza
“Taricco”
La pronuncia della Grande Chambre della Corte di Giustizia Europea, comunemente conosciuta come sentenza “Taricco”22, ha suscitato delicate questioni con riferimento ai controversi rapporti tra diritto
dell’Unione e diritto nazionale23.
La vicenda giudiziaria trae origine da un procedimento penale pendente avanti il Tribunale di Cuneo, relativo a condotte riconducibili al
noto fenomeno criminoso della cd. ‘‘frode carosello’’. Nel caso di specie, si contestava agli imputati di aver costituito e organizzato, un’associazione per delinquere allo scopo di commettere vari delitti in materia di IVA, in particolare con la costituzione di società interposte e
l’emissione di falsi documenti che avrebbero consentito l’acquisto di
beni - bottiglie di champagne - in esenzione IVA.
In ipotesi di accusa, la società P. riceveva fatture emesse per operazioni inesistenti dalle società interposte che omettevano di presentare la dichiarazione annuale IVA o, pur avendola presentata, non
provvedevano ai corrispondenti versamenti d’imposta. Dal canto suo,
la società P. annotava nella propria contabilità le fatture emesse dalle suddette società interposte detraendo indebitamente l’IVA in esse
riportata, con conseguenti dichiarazioni IVA annuali fraudolente. Tali
operazioni consentivano alla società P., sempre in ipotesi di accusa,
di disporre di prodotti a un prezzo inferiore di quello ordinario di mercato.
Come è noto, un’aliquota uniforme del gettito IVA viene versata dagli Stati membri all’Unione e costituisce una delle risorse proprie di
quest’ultima24. Sia pure indirettamente, dunque, una frode IVA si traduce, per via del minor gettito allo Stato interessato, in una lesione
degli interessi finanziari dell’UE.
Corte giust. (Grande Sezione), Sentenza 08/09/2015, Taricco, causa n. 105/2014.
Sulla sentenza, tra i tanti, cfr. Amalfitano, Da una impunità di fatto a una imprescrittibilità di fatto
della frode in materia di imposta sul valore aggiunto ?, in SIDIBlog, 15/09/2015; Bassini, Prescrizione e principio di legalità nell’ordine costituzionale europeo. Note critiche alla sentenza
Taricco in Consulta on line, 12/02/2016; Manacorda, La prescrizione delle frodi gravi in materia di IVA: note minime sulla sentenza Taricco, in Arch. pen. 2015, fasc.3; Marcolini, La prescrizione del reato tra diritto e processo: dal principio di legalità sostanziale a quello di legalità
processuale, in Cass. pen. 2016, p. 362; Rossi, La sentenza Taricco della Corte di giustizia e il
problema degli obblighi di disapplicazione in malam partem della normativa penale interna per
contrasto con il diritto UE, in Diritto penale e processo, 2015, p. 1564; Venegoni, La sentenza
Taricco: una ulteriore lettura sotto il profilo dei riflessi sulla potestà legislativa dell’Unione in diritto penale nell’area della lotta alle frodi, in www.penalecontemporameo.it, 29/10/2015; Viganò,
Disapplicare le norme vigenti sulle prescrizione nelle frodi in materia di Iva?, in www.penalecontemporameo.it, 14/09/2015.
24
Le altre, percepite direttamente dall’UE, sono i dazi doganali e un prelievo sul reddito nazionale
lordo degli Stati membri secondo un’aliquota uniforme stabilita ogni anno nel quadro della procedura di bilancio.
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In tale contesto, il giudice nazionale competente per il detto procedimento rilevava che i termini prescrizionali complessivi, previsti dal
codice penale per i reati contestati - associazione a delinquere e reati
fiscali - non avrebbero consentito di pervenire, prima del loro completo decorso, ad una sentenza definitiva, con conseguente impunità
di fatto per gli imputati, qualora ritenuti colpevoli, e impossibilità per
l’amministrazione tributaria nazionale di recuperare l’importo di imposte oggetto dei reati contestati. Con la conseguenza, per via del minor gettito allo Stato interessato, di una lesione degli interessi finanziari dell’Unione.
Pertanto, con quattro distinti quesiti, pur con riferimenti a norme europee non propriamente pertinenti, il Giudice dell’udienza preliminare
del Tribunale di Cuneo chiedeva alla Corte di Giustizia se il regime
interno di prescrizione penale (artt. 157 e ss., c.p.), come modificato
dalla L. 251/2005, fosse compatibile con il diritto UE. Con particolare
riferimento al combinato disposto degli artt. 160, u.co., e 161, co. 2,
c.p., che fa conseguire alle cause di interruzione, un prolungamento
del termine di prescrizione di un quarto della sua durata iniziale, così
che la durata del procedimento, cumulati tutti i gradi di giudizio, sarebbe tale, ad avviso del remittente, che, in procedimenti complessi
come quello in esame, l’impunità di fatto costituirebbe in Italia un’evenienza consueta.
La motivazione
della sentenza
“Taricco”
Preliminarmente, la sentenza descrive il contesto normativo rilevante
nel caso di specie.
Per il Giudice europeo, il combinato disposto della Direttiva 2006/11225
e dell’art. 4, § 3, TUE26, determina a carico degli Stati membri non
solo l’obbligo di adottare tutte le misure legislative e amministrative
idonee a garantire che l’IVA dovuta nei loro rispettivi territori sia interamente riscossa, ma anche quello di combattere la frode27.
Direttiva 2006/112/CE del Consiglio del 28/11/2006 “relativa al sistema comune d’imposta sul
valore aggiunto”.
26
Art. 4, § 3, Trattato sull’Unione europea: “In virtù del principio di leale cooperazione, l’Unione e
gli Stati membri si rispettano e si assistono reciprocamente nell’adempimento dei compiti derivanti dai trattati. Gli Stati membri adottano ogni misura di carattere generale o particolare atta ad
assicurare l’esecuzione degli obblighi derivanti dai trattati o conseguenti agli atti delle istituzioni
dell’Unione. Gli Stati membri facilitano all’Unione l’adempimento dei suoi compiti e si astengono
da qualsiasi misura che rischi di mettere in pericolo la realizzazione degli obiettivi dell’Unione.
27
In questo senso, la sentenza in esame richiama la precedente Corte giust., ord. 07/05/2013, Aklagaren c. Fransson, cit., punto 25, e la giurisprudenza ivi riportata.
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Inoltre, l’art. 325 TFUE, di cui già si è detto28, obbliga gli Stati membri
a combattere le attività illecite lesive degli interessi finanziari dell’Unione con misure dissuasive ed effettive e, in particolare, li costringe
ad adottare, per combattere la frode lesiva degli interessi finanziari
dell’Unione, le stesse misure che adottano per combattere la frode
lesiva dei loro propri interessi finanziari29.
D’altronde, ribadisce la Corte europea, le risorse dell’Unione comprendono le entrate provenienti dall’applicazione di un’aliquota uniforme agli imponibili IVA armonizzati, determinati secondo le regole
comunitarie30, e quindi sussiste un nesso diretto tra la riscossione del
gettito dell’IVA, secondo il diritto dell’Unione, e la confluenza delle
corrispondenti risorse IVA nel bilancio dell’Unione, posto che le carenze nella riscossione del primo determinano potenzialmente una
riduzione delle seconde31.
Ne consegue che - pur ferma la discrezionalità degli Stati membri di
fissare sanzioni amministrative, o sanzioni penali, o una combinazione di entrambe, al fine di assicurare la riscossione di tutte le entrate
provenienti dall’IVA e tutelare in tal modo, a prescindere di chi provveda alla riscossione, gli interessi finanziari dell’Unione32 - può, tuttavia,
darsi l’indispensabilità delle sanzioni penali al fine di contrastare, per
via concreta e dissuasiva, le più gravi frodi in materia di IVA.
Sul punto, si rilevi che, ai sensi dell’art. 2, § 1, della Convenzione
PIF, gli Stati membri devono prendere le misure necessarie affinché
le condotte che integrano una frode lesiva degli interessi finanziari
dell’Unione siano passibili di “sanzioni penali effettive, proporzionate
e dissuasive che comprendano, almeno, nei casi di frode grave, pene
privative della libertà”.
La nozione di “frode in materia di entrate” è portata dall’art. 1 della
Convenzione PIF come “qualsiasi azione od omissione intenzionale
Cfr. nota 20.
Sul punto anche Ord. 07/05/2013, (C-617/10), cit., punto 26, e la giurisprudenza ivi riportata.
30
Decisione del Consiglio del 7 giugno 2007 “relativa al sistema delle risorse proprie delle Comunità europee (2007/436/CE, Euratom), art. 2, § 1, lett. b): “Costituiscono risorse proprie iscritte
nel bilancio generale dell’Unione europea le entrate provenienti: (…) lett. b) …, dall’applicazione
di un’aliquota uniforme, valida per tutti gli Stati membri, agli imponibili IVA armonizzati, determinati secondo regole comunitarie. L’imponibile da prendere in considerazione a tal fine è limitato
al 50 % dell’RNL di ciascuno Stato membro, come stabilito al paragrafo 7”.
31
Ord. 07/05/2013, (causa n. 617/2010), cit., punto 26.
32
Ord. 07/05/2013, (causa n. 617/2010), cit., punto 34, e la giurisprudenza ivi riportata.
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relativa (...) all’utilizzo o alla presentazione di dichiarazioni o documenti falsi, inesatti o incompleti cui consegua la diminuzione illegittima di risorse del bilancio generale delle Comunità europee o dei bilanci gestiti dalle Comunità europee o per conto di esse”, ove oggi, in
luogo di Comunità europee, deve leggersi Unione europea.
In tale contesto normativo, la Corte prescrive l’onere per il giudice
nazionale di verificare se dall’applicazione della disciplina interna in
materia di interruzione della prescrizione consegua, con rilevante frequenza, l’impunità penale a fronte di fatti costitutivi di una grave frode, per essere gli stessi, in generale, prescritti prima della decisione
giudiziaria definitiva; così che, in caso affermativo si deve concludere
che le misure previste dal diritto nazionale per combattere frodi e altre
attività illegali lesive degli interessi finanziari dell’Unione non possono
essere considerate “effettive e dissuasive”, in violazione dell’art. 325,
§ 1, TFUE, dell’art. 2, § 1, Convenzione PIF, nonché della Direttiva
2006/112, in combinato disposto con l’art. 4, § 3, TUE.
Si tratta di disposizioni del diritto primario dell’Unione che pongono
a carico degli Stati membri un obbligo di risultato, specifico e incondizionato. In particolare, le disposizioni del citato art. 325, § 1 e 2,
TFUE rendono ipso iure inapplicabile qualsiasi norma con esse contrastante della legislazione nazionale vigente33.
Di conseguenza, il giudice nazionale, a fronte di tali rilievi, è tenuto
a garantire la piena efficacia del diritto dell’Unione disapplicando34,
all’occorrenza, le disposizioni interne e neutralizzando, quindi, la carenza della specifica disciplina della prescrizione, “senza che debba
chiedere o attendere la previa rimozione di dette disposizioni in via
legislativa o mediante qualsiasi altro procedimento costituzionale”35.
Altro profilo che la sentenza in esame porta a evidenza è la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo relativa all’art. 7
CEDU, che sancisce diritti corrispondenti a quelli garantiti dall’art. 49
In tal senso, anche Corte Giust., 14/06/2012, ANAFE, (causa n. 606/2010), punto 73 e giurisprudenza ivi citata.
34
La disapplicazione è la conseguenza di un accertamento di inefficacia di una normativa, ponendosi in alternativa all’annullamento. La differenza tra le de nozioni consiste negli effetti prodotti,
essenzialmente riferibili al fatto che la disapplicazione non comporta l’eliminazione della norma
dall’ordinamento, poiché questa non e` invalida, ma semplicemente inefficace, e nella mancanza di un vincolo alla stessa procedura per giudici diversi da quello che ha proceduto alla disapplicazione.
35
Cfr., in tal senso, anche le decisioni della Corte di Giustizia (grande sezione) del 03/05/2005, Berlusconi e altri (causa n. 387/2002), punto 72 e giurisprudenza ivi citata, nonché del 19/01/2010,
Kucukdeveci (causa n. 555/2007), punto 51 e giurisprudenza ivi citata.
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della Carta, per la quale la proroga del termine di prescrizione e la
sua immediata applicazione non comportano una lesione dei diritti
garantiti dallo stesso art. 7, posto che tale disposizione non può essere interpretata nel senso di impedire un allungamento dei termini
di prescrizione quando i fatti addebitati non si siano ancora prescritti.
Per la Corte di giustizia, la tutela offerta dal principio di legalità copre
unicamente gli elementi costitutivi del reato e la sanzione prevista,
non la prescrizione che, riferendosi in particolar modo alle condizioni di procedibilità e perseguibilità di un fatto già previsto dalla legge
come reato, avrebbe natura meramente processuale36. Conseguentemente, l’immediata applicazione di un termine prescrizionale più
lungo a un fatto commesso in precedenza non violerebbe il divieto
di irretroattività in malam partem, ma, al contrario, si adeguerebbe al
principio del tempus regit actum previsto per le disposizioni processuali.
In ogni caso, il contrasto tra il diritto europeo e la normativa italiana
sulla prescrizione è soltanto ipotizzato dalla Corte europea, posto che
il suo accertamento è rimesso alla verifica del giudice nazionale da
realizzarsi sotto due profili. Da un lato, essa comporta l’indagine di
fatto sul numero di prescrizioni di frodi “gravi” verificatesi a livello nazionale, poiché il contrasto con il diritto dell’Unione sussiste solo se è
di entità “considerevole”. Dall’altro, la verifica si effettua sulle disposizioni normative, consistendo in un confronto tra i termini di prescrizione previsti, da un lato, per le frodi IVA, che ledono sempre gli interessi
finanziari dell’Unione e, dall’altro, per i reati che danneggiano esclusivamente gli interessi finanziari dello Stato membro.
Sotto il primo profilo il compito del giudice nazionale pare arduo, sia
per la difficoltà di stabilire in proprio una definizione condivisa di frode
“grave” sia per la necessità di munirsi delle statistiche nazionali sul
numero di prescrizioni applicate ai detti reati di frode37.
Sul secondo profilo il compito del giudice nazionale pare più agevole.
Gli artt. 160, u.co., e 161, co. 2, cp., nel disciplinare gli effetti dell’interruzione della prescrizione, prevedono che l’aumento del termine
Cfr. Corte EDU, Sentenza 22/06/2000, ricc. n. 32492/96, 3254796, 32548/96, 33209/96,
33210/96, Coëme e a. c. Belgio, punti 149-150.
37
Così Lupo, La primauté del diritto dell’UE e l’ordinamento penale nazionale Riflessioni sulla sentenza Taricco, www.dirittopenalecontemporaneo.it, p. 7.
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prescrizionale, per effetto degli specifici atti interruttivi, ha un limite
massimo, che è, di regola, “un quarto del tempo necessario a prescrivere” (maggiore in caso di recidiva dell’imputato). Non rientrano
in questa regola generale i reati di cui all’art. 51, co. 3-bis e 3-quater,
c.p.p., per i quali l’aumento della prescrizione per effetto dell’atto interruttivo non ha un limite diverso dalla scadenza dell’ordinario termine di prescrizione, che quindi riprende a decorrere per intero dopo
ogni atto di interruzione. Tra i reati indicati nell’art. 51, co. 3-bis, c.p.p.
compare il delitto previsto dall’art. 291-quater, D.P.R. 23/01/1973,
n. 43, con il quale si punisce l’associazione per delinquere finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri, così che il suo termine
prescrizionale non è soggetto all’aumento massimo del quarto previsto in linea generale dall’art. 161, c.p., per l’atto interruttivo. Tale aumento è, invece, applicabile a tutti i reati in tema di IVA (previsti dal
D.Lgs. 74/2000, nonché all’associazione per delinquere per delitti in
tema di IVA (reato considerato nella sentenza “Taricco”), così che, almeno per quest’ultimo reato, il termine interrotto di prescrizione è più
breve di quello previsto per il delitto ex art.291-quater citato, che tutela soltanto gli interessi finanziari nazionali.
Il principio dell’identità di misure sanzionatorie, prescritta dall’art. 325,
§ 2, TFUE, appare così violato, ad avviso della Corte europea, da
parte dello Stato italiano.
Di conseguenza, la sentenza “Taricco” prescrive che alla associazione per delinquere diretta a commettere gravi frodi dell’IVA, consumati
dopo la data della Sentenza (08/09/2015), debba applicarsi il regime
di interruzione della prescrizione previsto per l’associazione diretta
a commettere i reati di contrabbando doganale; con effetti, per via
retroattiva, anche per i reati commessi prima della sua emanazione.
La disapplicazione delle citate norme del codice penale aggrava,
quindi, la situazione processuale dell’imputato, che si vede imposto
il ben più lungo regime prescrittivo stabilito per i gravi reati indicati
dall’art. 51, co. 3-bis e 3-quater, c.p.p.. Tale disciplina non prevede
alcun limite massimo all’aumento del termine di prescrizione qualora siano presenti atti interruttivi, con il serio pericolo di passare «da
un’impunità di fatto a un’imprescrittibilità di fatto38. Si tratta di un aggravamento della punibilità in concreto, derivante da una fonte non
legislativa e, soprattutto, collocata successivamente al momento di
commissione dell’illecito.
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Così Amalfitano, Da una impunità di fatto a una imprescrittibilità di fatto della frode in materia di
imposta sul valore aggiunto ?, cit.
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Appare così evidente il conflitto con il fondamentale principio dell’irretroattività in malam partem delle norme penali, contenuto nell’art. 25,
co. 2, Cost. (“nullum crimen, nulla poena sine lege”).
Gli effetti della
sentenza “Taricco”
nel diritto nazionale
e la ricerca dei
“controlimiti”
La pronuncia della Corte nel caso “Taricco” ha immediatamente suscitato grande rilievo perché va a incidere nel delicato settore del diritto penale dell’economia, ponendo i presupposti di un vero diritto
penale europeo, inteso quale complesso di norme, anche di parte generale, direttamente applicabili negli Stati membri, così da creare un
sistema quanto più uniforme in un’area giuridica comune.
Le reazioni della dottrina e della giurisprudenza si sono, in larga parte, riferite alla compatibilità del dictum della decisione con il principio
di legalità di cui all’art. 25, co. 2, Cost., posto che alla stessa conseguono effetti giuridici sfavorevoli rispetto a quelli riferibili al momento
della commissione del fatto-reato. In altre parole, ci si interroga se
la disciplina della prescrizione penale debba rientrare nell’alveo del
detto principio di legalità e, quindi, se la stessa sia materia di diritto
penale sostanziale, o se la stessa non riguardi piuttosto un elemento
esterno al reato, non attinente alla fattispecie39.
In altre parole, un’ampia fascia di interpreti valuta negativamente l’applicazione del regime più gravoso di prescrizione ai fatti commessi
prima della pubblicazione della pronuncia in esame, sul presupposto
che l’istituto della prescrizione atterrebbe al diritto sostanziale e, quindi, la disapplicazione della norma nazionale sulla proroga (più favorevole) si tradurrebbe in una lesione del principio di irretroattività della
disciplina sopravvenuta più sfavorevole. Inoltre, si rileva la violazione
del principio per cui qualunque intervento in peius in diritto penale
può derivare solo da una legge nazionale e non per interventi da parte dell’Unione, che siano normativi o derivanti da una pronuncia della
Corte europea.
Le ricadute del decisum non hanno, quindi, tardato a manifestarsi
nella giurisprudenza nazionale, da subito con due decisioni tra loro
divergenti.
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Venegoni, La sentenza Taricco, cit., p. 4. Cfr., sul punto, Bassini, Prescrizione e principio di legalità nell’ordine costituzionale europeo. Note critiche sulla sentenza Taricco, in Consulta on
line, 12/02/2016, p. 100, che porta l’esempio della Francia, del Belgio e della Germania, ove la
prescrizione ha natura processuale.
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Non è stato ravvisato dalla Cassazione alcun contrasto con i principi
costituzionali nella sentenza n. 2210/201640, la quale, aprendo alla
condanna per reati già prescritti, ha fatto richiamo alla motivazione
della sentenza Taricco, affermando che la disapplicazione delle dette norme sulla prescrizione non viola il principio di legalità previsto
dall’art. 49 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE e dall’art.7 della
Cedu, come interpretato dalla Corte di Strasburgo41.
La decisione della Suprema Corte può ricondursi in sintesi alle seguenti argomentazioni:
a) la ratifica da parte dell’Italia del “Quarto Protocollo” alla Convenzione del Consiglio d’Europa sull’estradizione, con conseguente accettazione del principio per il quale l’estradizione verso lo Stato richiedente non è impedita dalla circostanza che,
nel frattempo, il reato per cui tale Stato procede si sia prescritto nell’ordinamento italiano, così da ricondurre la prescrizione
fuori dalla fattispecie penale;
b) la natura meramente “dichiarativa” e non “costitutiva” della
sentenza “Taricco” che si sarebbe limitata a interpretare una
norma (l’attuale art. 325, TFUE), già da tempo presente nel
sistema del diritto primario UE, che, pur in altra collocazione,
imponendo sin dal 1993 agli Stati membri un obbligo di tutela effettiva agli interessi finanziari dell’Unione e, in ogni caso,
di una tutela equivalente a quella apprestata ai corrispondenti
interessi finanziari nazionali, era già pienamente applicabile al
momento in cui erano stati commessi i fatti da parte degli imputati nel caso sottoposto all’attenzione della Cassazione;
Sez. III, 17.09.2015 (dep. 20/01/2016) n. 2210. La sentenza è annotata criticamente da Viganò,
La prima sentenza della Cassazione post Taricco: depositate le motivazioni della sentenza della
Terza Sezione che disapplica una prescrizione già maturata in materia di frodi Iva, in www.penalecontemporameo.it, 22/01/2016. Cfr. anche Rossi, La Cassazione disapplica gli artt. 160 e
161 c.p. dopo la sentenza Taricco, in Giur. It., 2016, p. 966.
41
Nel caso specifico, l’imputato - che era stato condannato in appello per una frode IVA che copriva più annualità, dal 2004 al 2007 - aveva impugnato la sentenza per la mancata concessione
delle attenuanti generiche, ma, al momento del giudizio di cassazione, per i reati commessi nel
2005, era stato nel frattempo superato il limite massimo di prescrizione conseguente alla proroga da atti interruttivi. La Corte, riconoscendo fondato il ricorso sulla mancata concessione delle
attenuanti, ha annullato con rinvio anche in relazione ai reati commessi nel 2005, spiegando in
motivazione che gli stessi non venivano dichiarati prescritti proprio in applicazione del principio
affermato dalla sentenza della Corte di Giustizia, secondo cui la norma dell’ordinamento italiano
sul termine massimo di prescrizione conseguente alle proroghe deve essere disapplicata perché, per la brevità del termine, non consente una efficace protezione degli interessi dell’Unione.
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c) un argomentare della Sentenza 236/2011 della Corte costituzionale - in tema di legittimità costituzionale della deroga al
principio della retroattività della legge penale più favorevole in
materia di prescrizione - in cui si rilevava come la Corte EDU
non considerasse la prescrizione come coperta dal principio di
legalità.
Il giorno successivo alla sentenza della Suprema Corte, resa nota
con informazione provvisoria, la Corte di appello di Milano, chiamata a giudicare fatti analoghi a quelli della sentenza “Taricco” (imputati
condannati in primo grado per associazione per delinquere finalizzata
a reati di frode IVA), ha invece rimesso gli atti alla Corte costituzionale, invitandola espressamente ad opporre - per la prima volta nella
storia della nostra giurisprudenza costituzionale42 - lo strumento dei
“controlimiti” alle compressioni della sovranità nazionale.
Nel caso di specie, la Corte ha rilevato che, successivamente alla
condanna di primo grado, i reati si erano prescritti o stavano per prescriversi, nonostante l’intervento di atti interruttivi. Applicando la disciplina prescrizionale imposta dalla sentenza Taricco, il termine estintivo non sarebbe, invece, maturato per alcun reato.
Il giudice di appello ha ritenuto, tuttavia, che la disapplicazione degli
artt. 160, ult. co., e 161, c.p., si ponesse in contrasto con il già richiamato principio costituzionale di legalità (nullum crimen sine lege) ed
ha perciò rimesso alla Corte costituzionale “la valutazione della opponibilità di un controlimite alle limitazioni di sovranità derivanti dalla adesione dell’Italia all’ordinamento dell’Unione europea ai sensi
dell’art. 11 Cost, in funzione del rispetto del principio fondamentale
dell’assetto costituzionale interno, poziore rispetto agli stessi obblighi
di matrice europea”43.
Per i “contro limiti” in Europa, cfr. la sentenza della Corte costituzionale ceca sul caso delle c.d.
“pensioni slovacche”, decisione del 31/01/2012, Pl. ÚS 5/12, Slovak Pensions XVII, n. Komàrek,
Czech Constitutional Court Playing with Matches: the Czech Constitutional Court Declares a
Judgment of the Court of Justice of the EU Ultra Vires; Judgment of 31 January 2012, Pl. ÚS
5/12, Slovak Pensions XVII, in European Constitutional Law Review, 2012, 2, pp. 323-337.
43
Corte app. Milano, Sez. II, ord. 18/09/2015. Cfr. Viganò, Prescrizione e reati lesivi degli interessi finanziari dell’UE: la Corte d’appello di Milano sollecita la Corte costituzionale ad azionare i
“controlimiti”, in www.penalecontemporameo.it, 21.09.2015. Si rilevi che la Corte Costituzionale,
già con la sentenza n. 183/1973, affermava come il “potere di violare i principi fondamentali del
nostro ordinamento costituzionale, o i diritti inalienabili della persona umana” fosse “inammissibile”, e che qualora dovesse darsi una tale “aberrante interpretazione” del diritto comunitario,
“sarebbe sempre assicurata la garanzia del sindacato giurisdizionale di questa Corte sulla perdurante compatibilità del Trattato con i predetti principi fondamentali”.
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In particolare, la Corte ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, L. 02/08/2008, n. 130, di esecuzione nell’ordinamento
italiano del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea (TFUE),
come modificato dall’art. 2 del Trattato di Lisbona, “nella parte che
impone di applicare la disposizione di cui all’art. 325 §§ 1 e 2 TFUE,
dalla quale - nell’interpretazione fornitane dalla Corte di giustizia nella
sentenza in data 8.9.2015, causa C-105/14, Taricco - discende l’obbligo per il giudice nazionale di disapplicare gli artt. 160 ultimo comma e 161 secondo comma c.p. in presenza delle circostanze indicate nella sentenza, anche se dalla disapplicazione discendano effetti
sfavorevoli per l’imputato, per il prolungamento del termine di prescrizione, in ragione del contrasto di tale norma con l’art. 25, secondo
comma, Cost.”.
A fronte del generale obbligo, per il giudice italiano, di dare applicazione alla norma di diritto primario dell’Unione (l’art. 325, TFUE), così
come interpretata dalla Corte di giustizia, la Corte individua quale
“controlimite” proprio il principio di legalità in materia penale, applicabile anche alla disciplina della prescrizione, considerato dal giudice
a quo quale irrinunciabile e inderogabile nell’ordinamento giuridico
italiano, come tale prevalente rispetto ai vincoli assunti dall’Italia nei
confronti dell’ordinamento dell’Unione europea all’atto della sua adesione.
Successivamente, la Cassazione è tornata sul tema con la Sentenza
n. 7914/201644, la quale, tuttavia, pur analizzando le argomentazioni
della sentenza della Corte di Giustizia, ha ricondotto i fatti al suo esame fuori dal perimetro della sfera applicativa di quest’ultima, per essere la frode oggetto del caso concreto carente dei requisiti di gravità
cui fa, invece, riferimento la sentenza di Lussemburgo.
Aderisce, invece, alla pronuncia “Taricco” la Sentenza n. 15107/201645,
pur se resa, tale affermazione, in una materia (reato di strage) estraneo alla tutela degli interessi finanziari dell’UE.
È palese, quindi, l’incertezza interpretativa e il contrasto di vedute tra
la Corte di Giustizia e le prime pronunce della Corte di legittimità, da
un lato, e la Corte di appello di Milano accompagnata da buona parte
della dottrina, dall’altro, in merito alla riconducibilità delle norme sulla
Cass. pen., Sez. IV, 25/01/2016 n. 7914. Per un esame della sentenza, unitamente alla n.
2210/2016, cfr. Giovannini, Prescrizione del reato di frode nell’IVA, in Giur. Trib., 2016, p. 491
45
Cass. pen., Sez. II, 11/02/2016 (dep. 12/04/2016), n. 15107.
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prescrizione al principio di legalità di cui all’art. 25, co. 2, Cost., che
implica il principio di irretroattività della legge sopravvenuta più sfavorevole per l’imputato.
Tuttavia, da ultimo, la III Sezione della Cassazione46 ha mostrato,
dopo la citata Sentenza n. 2210/2016, un evidente ripensamento, sollevando, a sua volta, “questione di legittimità costituzionale dell’art. 2
della legge 2 agosto 2008, n 130, che ordina l’esecuzione del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, come modificato dall’art. 2
del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 (TFUE), nella parte che
impone di applicare l’art. 325, § 1 e 2, TFUE, dalla quale - nell’interpretazione fornita dalla Corte di Giustizia, 08/09/2015, causa C-105/14,
Taricco - discende l’obbligo per il giudice nazionale di disapplicare gli
artt. 160, comma 3, e 161, comma 2, cod. pen., in presenza delle circostanze indicate nella sentenza, allorquando ne derivi la sistematica
impunità delle gravi frodi in materia di IVA, anche se dalla disapplicazione, e dal conseguente prolungamento dei termini di prescrizione,
discendano effetti sfavorevoli per l’imputato, per contrasto con gli artt.
3, 11, 25, comma 2, 27, comma 3, 101, comma 2, Cost.”.
Pertanto, sia la Corte di appello di Milano sia la Cassazione, con la
sua più recente pronuncia, hanno proposto ricorso incidentale di legittimità, evocando, sulla delicata questione, la Corte costituzionale,
e proponendo il complesso tema dei “controlimiti”, con atti di promovimento simili ma non coincidenti circa l’individuazione del parametro di costituzionalità invocato: l’art. 25, co. 2, 2 Cost., per l’ordinanza
della Corte di appello; gli artt. 3, 11, 25, co. 2, 27, co. 3, 101, co. 2,
Cost., nell’impostazione più articolata della Corte di legittimità.
Conclusioni
La questione, di estremo interesse per le ricadute concrete nell’ordinamento nazionale, è così ora all’attenzione della Corte delle Leggi
che dovrà decidere, per ardua alternativa, se condividere il decisum
dei giudici europei, i cui effetti sembrano, tuttavia, in conflitto con la
propria consolidata giurisprudenza; ovvero, se discostarsi da tale interpretazione del diritto dell’Unione, in aperto contrasto con il principio di primautè del diritto europeo.
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Cass. pen., Sez. III, ord. 30/03/2016 (dep. 08/07/2016), n. 28346.
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Decisione che andrà a collocarsi in un contesto sempre più connotato
dalla crisi profonda delle sovranità nazionali in materia penale e dalla
crescente influenza del diritto dell’Unione, pur a fronte di strenue resistenze, su istituti di parte generale, funzionali a garantire un’efficace
e uniforme attuazione di tale normativa nell’ambito degli ordinamenti
nazionali, al fine di tutelare, in modo sufficientemente dissuasivo ed
equivalente, gli interessi finanziari dell’Unione.
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