IN COMUNIONE DI VITA 1. I principali concetti teologici L’amore trinitario, sorgente di vita fraterna L’origine e il fondamento della nostra fraternità è la comunione trinitaria. Dio si rivela come un’unità amante di comunicazione, movimento di dare/ricevere/rendere. Come afferma sant’Agostino, in Dio c’è “l’amato, l’amante e l’amore”. Questo movimento unifica, differenzia e personalizza, conferendo alle persone un’uguale dignità. La vocazione fondamentale a cui siamo chiamati è diventare una cosa sola con il Padre, in Cristo, mediante lo Spirito. La salvezza è portare a compimento questo progetto di amore di Dio 1. La vita fraterna in comunità deve essere segno ed espressione visibile di questa comunione. Leggiamo nell’Esortazione apostolica “Vita consecrata”: “la Chiesa è essenzialmente mistero di comunione, «popolo adunato dall’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo». La vita fraterna intende rispecchiare la profondità e la ricchezza di tale mistero, configurandosi come spazio umano abitato dalla Trinità, che estende così nella storia i doni della comunione propri delle tre Persone divine” (n.41). La Trinità si manifesta in noi come comunione d’amore attraverso la nostra esistenza fraternamente vissuta. Siamo chiamate a formare “un unico corpo”, senza che tale unione diventi uniformità. Ciascuna mantiene la propria singolarità e riconosce la sorella nella sua identità, senza fusione né dominio. La Vita che opera in noi, se accolta, diventa la “Caritas Christi” che ci abilita a costruire comunità fraterne dove il Signore si fa compagno di viaggio e ogni giorno ci spoglia dell’uomo vecchio per aprirci alla sorella con fiducia e disponibilità, lasciando da parte difese e pretese. Il fine della vita è divenire dono per gli altri, perché abbiamo accolto il dono di Dio in noi e portato a compimento la vocazione di creature fatte a immagine del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo2. La vita in comunità, vivificata e resa possibile dallo Spirito, diventa spazio teologale in cui sperimentare la presenza del Risorto che ci plasma donne nuove, profezia di comunione per i nostri contemporanei3. Il segreto della comunione è porre al centro della vita il Signore Gesù, il Figlio che si è incarnato per rivelarci la paternità di Dio e la fraternità universale. Se viviamo l’identità battesimale di figlie nel Figlio diveniamo sorelle fra noi e con tutti. Più andiamo a Cristo e ne assumiamo i sentimenti, più ci ritroviamo unite e concordi perché capaci di mettere in comune la ricchezza delle differenze dentro l’unico amore di Dio. 1 La preghiera sacerdotale di Gesù al Padre (Gv 17) esprime molto bene questi concetti, in particolare il v. 21: “perché tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato”. 2 “Il dono di partecipare alla comunione trinitaria costituisce la grandezza del nostro essere persone e ci fa ritornare pienamente immagine di Dio. Siamo così rese capaci di farci dono, di intessere relazioni nuove e di entrare nel piano della salvezza con Gesù, Maria e Giuseppe” (Documento Programmatico Capitolare, p.24). 3 A proposito del nostro compito profetico in riferimento alla confessio Trinitatis fratel Enzo Biemmi afferma che “siamo chiamati a vedere l’azione di Dio Padre, Figlio e Spirito Santo in tutte le persone, anche in quelle che stanno facendo e si stanno facendo del male, in quelle che non credono o credono differentemente da noi. Siamo chiamati a essere profeti confessando la Trinità in ogni persona e facendo leva su questa porzione che c’è in ogni cuore, vedendola e promuovendola”. ENZO BIEMMI, La vita consacrata, una profezia nel segno della debolezza, riflessione tenuta nella basilica di san Zeno a Verona il 2 febbraio 2015. 1 La Famiglia di Nazareth come riferimento della vita fraterna L’amore trinitario trova nella Famiglia di Nazareth il segno umano più grande, il riflesso più autentico e profondo4. Questa Famiglia, costituita per accogliere e accompagnare il cammino terreno del Figlio di Dio, ci illumina e ci educa alla comunione fraterna5. Il riferimento alla Santa Famiglia è per noi fondamentale: “a Nazareth le persone si realizzano nella gratuità delle relazioni reciproche; esprimono il gaudio e la bellezza dello stare insieme e si aprono alla totale disponibilità al Padre nell’adesione libera al suo progetto” (DPC p.24). La gratuità nelle relazioni presuppone l’accoglienza della grazia di Dio che genera libertà interiore, accoglienza della sorella come un dono da amare e servire. A Nazareth il reciproco rapportarsi di Gesù, Maria e Giuseppe è per la realizzazione vicendevole secondo il piano di salvezza del Padre. Non ci sono altri scopi da raggiungere, se non la partecipazione a un progetto che supera la Santa Famiglia e abbraccia l’umanità. Fare proprio il piano salvifico del Padre genera comunione, rende feconda la libertà personale e la trasforma in responsabile collaborazione alla redenzione. Gesù, Maria e Giuseppe esprimono la gioia e la bellezza dello stare insieme, dono e opportunità per sperimentare la ricchezza della diversità e la forza di comunione che si sprigiona dalla medesima missione. Una comunione che cresce nel quotidiano, senza eventi straordinari, intessuta di gesti e parole, preghiera e lavoro, silenzio e ascolto. Sono elementi che caratterizzano anche il nostro vissuto ordinario, nel quale lasciarci educare a un nuovo stile di relazione. È il Padre che ci ha convocate e ci chiama a vivere insieme in forza di un carisma condiviso, che cresce nella misura in cui lo comprendiamo e lo esprimiamo in rapporto alle sfide della storia. La spiritualità di Nazareth deve gradualmente compenetrare il quotidiano e trasformare in senso evangelico la sequela. Con Gesù Maria e Giuseppe coltiviamo la disposizione interiore di chi cerca l’incontro, la condivisione e la solidarietà. Custodiamo e meditiamo il mistero dell’umanità di Dio e come Maria, nel silenzio, “mettiamo insieme” i pezzi di un evento altrimenti incomprensibile e che invece, nella fede, rivela il desiderio di Dio che tutti siano uno e si lascino salvare dall’Amore fatto carne. Pensando alla vita fraterna, madre Maria invitava le suore a guardare alla Sacra Famiglia dove non v’erano mai alterchi, malumori, invidie, ma sempre pace, unione, amore. Dai numerosi riferimenti nei suoi scritti, si deduce che la realtà di Nazareth era il riferimento costante della sua esistenza, il mistero con cui confrontarsi e nel quale trovare ispirazione e forza per vivere secondo la chiamata ricevuta. È guardando a Nazareth, dove Gesù è cresciuto nella pienezza della sua umanità rivolta al Padre, che anche noi oggi possiamo trovare motivi per rinvigorire la nostra sete di comunione e divenire segno di speranza. La comune identità di figlie e sorelle Nella vita fraterna al primo posto non ci sono le regole o le strutture, ma le persone. Il nostro stare insieme deriva dal fatto che siamo costituite figlie dell’unico Padre e sorelle tra noi, riunite in forza di un carisma6. 4 “La Famiglia di Nazaret è il primo modello della Chiesa in cui, intorno alla presenza di Gesù e grazie alla sua mediazione, si vive tutti la relazione filiale con Dio Padre, che trasforma anche le relazioni interpersonali, umane” (Benedetto XVI, Udienza generale, 28.12.2011). 5 “La Famiglia di Nazareth [è] luogo al quale le comunità religiose devono spesso spiritualmente recarsi, perché là il Vangelo della comunione e della fraternità è stato vissuto in modo ammirabile” (VFC 18). 2 In quanto esseri umani, creature fatte a immagine e somiglianza di Dio, siamo tutti fratelli, senza distinzione di cultura o religione. Come cristiani, con il Battesimo siamo diventati figli di Dio perché ci è stata donata la grazia della vita divina, che ci innesta nella pasqua di Cristo e ci rende tempio dello Spirito Santo7. Dio dimora in noi e ci dona di condividere la sua santità. Ciò che siamo lo abbiamo da Lui, ciò che è Lui lo siamo anche noi per partecipazione. Il Battesimo ci fa membra del Corpo di Cristo. Dal fonte battesimale nasce l’unico popolo di Dio, il popolo della Nuova Alleanza che non conosce limiti né barriere di lingua, cultura, sesso… Afferma san Paolo: “Noi tutti siamo stati battezzati in un solo Spirito per formare un solo corpo” (1Cor 12,13). Tutti sono nostri fratelli in Cristo e il Padre opera con il suo Spirito anche oltre i confini della Chiesa8. Ciò che Lui ci chiede è l’amore vicendevole, come afferma Gesù nel vangelo di Giovanni: “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri” (Gv 13,34-35). Questo amore è possibile solo rimanendo ancorati a quel Dio che è Padre di tutti e ci ha resi tutti fratelli; più amiamo più l’amore dà forma alla nostra vita. Guidate dall’amore, diventiamo libere nella responsabilità di costruire relazioni fraterne, nella cura della vita comune, nel mettere le persone al primo posto. Farci prossimo all’altro significa riconoscere che la sua vita e il suo bene ci riguardano. L’altro infatti non è un estraneo, un generico “diverso sa me”, ma un “tu”, un fratello e una sorella. È il mio “prossimo”, una persona che mi appartiene e mi interessa, con cui entro in relazione, del quale sono responsabile. Il vangelo mostra che il primato della persona, con la dignità conferitale da Dio, è indissolubilmente legato a quello della fraternità. La Parola e l’Eucaristia alimentano la comunione fraterna, spazio per sperimentare la presenza del Risorto La Scrittura contiene la storia della relazione tra l’uomo e Dio, e rivela il desiderio della Trinità di comunicarsi al di fuori di se stessa. Ciò avviene inizialmente con la creazione, poi tramite l’alleanza stretta con il popolo di Israele, nella quale Dio manifesta in modo inequivocabile la fedeltà del suo amore. La rivelazione ultima e decisiva è Cristo, Parola del Padre, che offre la vita in modo libero e irrevocabile. L’Eucarestia, memoriale della morte e resurrezione del Signore, è il segno dell’amore più grande, del desiderio di comunione portato fino al dono della vita. Nell’Eucarestia noi attingiamo al mistero pasquale di Cristo, partecipiamo della sua offerta e ci è donato di entrare nel medesimo dinamismo di comunione e di dono. 6 “Essere figli di Dio e fratelli tra noi: questo è il cuore dell’esperienza cristiana”, ha scritto papa Francesco in un tweet del 13 agosto 2013. 7 “Infatti tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, questi sono figli di Dio. E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: «Abbà! Padre!». Lo Spirito stesso, insieme al nostro spirito, attesta che siamo figli di Dio. E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se davvero prendiamo parte alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria” (Rm 8,14-17). 8 “Un solo corpo e un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, opera per mezzo di tutti ed è presente in tutti” (Ef 4,4-6). 3 La Parola e l’Eucaristia alimentano in noi la comunione e ci consentono di rendere operante la fecondità della Pasqua nel vissuto quotidiano: Cristo genera in noi vita nuova, possibilità di amare e perdonare come vittoria su ogni forma di divisione e di male. Il mistero pasquale rivela fino a che punto Dio ci ama e ha cura di noi. Per questo il regno di Dio, cioè il luogo dell’incontro con il Risorto, è l’amore incondizionato, la dedizione verso ogni persona. Cristo risorto non si lascia trattenere dai suoi discepoli ma li invia in missione, garantendo la sua presenza ogni giorno, fino alla fine del mondo. Vivere il dinamismo pasquale nelle relazioni comunitarie significa allora farsi compagne di cammino che danno fiducia, senza lasciarsi raggiungere da “logiche di morte” che instillano il dubbio, l’invidia, il sospetto, la gelosia. La fraternità è uno dei segni della signoria del Risorto. Come tutti i segni del Regno è precaria e limitata, ma reale anticipo della pienezza di amore che sarà manifestata pienamente con la Parusia. La Pasqua è fondamento di quel futuro di gloria verso cui ci muoviamo, novità di vita già offerta ma non ancora attingibile in modo compiuto. Dio, nella pasqua, mostra di rispettare fino in fondo la libertà umana e al tempo stesso con la risurrezione salva dalla morte quel Gesù che si è reso vulnerabile per amore. Cristo rivela che l’amore di Dio è gratuito e incondizionato, precedente ogni nostra azione. Nulla ci può separare da questo amore, nemmeno il peccato. L’opera di Dio è risanare la vita ferita e condurla al bene. Da questo punto di vista vivere in comunità la logica pasquale significa fare il primo passo verso la sorella, comprendere e accogliere, condividere gioie e sofferenze, sostenere nella prova, incoraggiare a trafficare i talenti, mostrare fiducia e apprezzamento, offrire occasioni di riscatto, perdonare… Ci è chiesto di vivere una benevolenza e una misericordia che non hanno motivazioni nel comportamento della sorella ma nell’accoglienza dell’amore incondizionato di Dio per noi9. La comunione fraterna come evangelizzazione Coinvolte nell’amore trinitario, partecipiamo con la Santa Famiglia al mistero della redenzione, per la salvezza dell’uomo. La fraternità è a servizio della missione: siamo consacrate e riunite in comunione di vita per essere mandate e annunciare il Vangelo ovunque. Leggiamo in Vita consacrata: “La persona consacrata è in missione in virtù della sua stessa consacrazione, testimoniata secondo il progetto del proprio Istituto” (VC 72). La Piccola Suora è chiamata ad essere sacramento della presenza di Cristo nel quotidiano, disponibile ad entrare nella realtà umana per incontrare e accogliere ogni creatura con gli stessi sentimenti di Cristo e con lo stile della Famiglia di Nazareth. Il mistero dell’Incarnazione ci invita a proclamare che Dio abita la storia dell’uomo, si fa compagno di cammino affinché l’esistenza raggiunga pienezza di senso e di gioia. La nostra testimonianza può essere significativa soprattutto nell’ambito della vita fraterna, poiché le relazioni costituiscono per l’uomo la sfida più grande. Oggi forse è ancora più vero, in una società nella quale dominano incertezza e precarietà, soddisfazione immediata dei bisogni e primato delle emozioni, e i rapporti sono sempre più fragili e precari. Vivere relazioni sane, all’insegna del dono reciproco, dell’accoglienza, del perdono, della condivisione e della fiducia diventa perciò un segno 9 “L’amore ha portato Cristo al dono di sé fino al sacrificio supremo della Croce. Anche tra i suoi discepoli non c’è unità vera senza questo amore reciproco incondizionato, che esige disponibilità al servizio senza risparmio di energie, prontezza ad accogliere l’altro così com’è senza «giudicarlo» (cfr Mt 7, 1-2), capacità di perdonare anche «settanta volte sette»” (Mt 18, 22) (VC 42). 4 incisivo. Dice che è ancora possibile creare rapporti duraturi e fecondi, e l’unità è più forte della divisione perché Dio è comunione. Esprimere la gioia di vivere insieme tra persone che non si sono scelte e che spesso non hanno affinità né di carattere, né di formazione, né di età, significa testimoniare in un linguaggio comprensibile a tutti che l’unica vera fonte di unità è il Padre. “Siamo chiamati […] a essere segno di fraternità stando insieme non a partire da ciò che ci unisce e ci rende uguali, ma mostrando che il Vangelo ci permette di stare insieme, di sopportarci e persino di apprezzarci a partire dalle nostre distanze. […] È profezia poter dire che ci è concesso di vivere insieme da diversi”10. Diventiamo luogo di evangelizzazione se sappiamo vivere insieme, mostrando quello che sarà il mondo nel sogno di Dio, un mondo di figli e fratelli. In questo senso la vita di fraternità è custodia di una promessa e diviene speranza per tutti. Siamo chiamati a testimoniare la convivenza dentro i limiti, le differenze, le fragilità, le povertà individuali e collettive. Le nostre comunità, in qualche caso multietniche, sono un formidabile laboratorio di questa fraternità della differenza. Non siamo chiamati a mostrare comunità ideali, ma comunità umane, luoghi di accoglienza e rielaborazione dei limiti11. Consapevoli delle difficoltà oggettive che vivere insieme comporta, ma altrettanto disponibili a lasciare operare lo Spirito di Dio in noi, desideriamo accogliere la sfida della fraternità come spazio di evangelizzazione. È una sfida che la Chiesa ha assunto e verso la quale ci esorta a non avere paura: “La Chiesa […] conta molto sulla testimonianza di comunità ricche «di gioia e di Spirito Santo» (At 13, 52). Essa desidera additare al mondo l’esempio di comunità nelle quali l’attenzione reciproca aiuta a superare la solitudine, la comunicazione spinge tutti a sentirsi corresponsabili, il perdono rimargina le ferite, rafforzando in ciascuno il proposito della comunione. In comunità di questo tipo, la natura del carisma dirige le energie, sostiene la fedeltà ed orienta il lavoro apostolico di tutti verso l’unica missione. Per presentare all’umanità di oggi il suo vero volto, la Chiesa ha urgente bisogno di simili comunità fraterne, le quali con la loro stessa esistenza costituiscono un contributo alla nuova evangelizzazione, poiché mostrano in modo concreto i frutti del «comandamento nuovo»” (VC 45). Se rimaniamo in Dio siamo unite tra noi e diventiamo il segno più credibile del vangelo. Con la nostra vita fraterna, seppure talvolta faticosa e ferita, possiamo “confessare la potenza dell’azione riconciliatrice della grazia, che abbatte i dinamismi disgregatori presenti nel cuore dell’uomo e nei rapporti sociali” (VC 41). Se la società mostra una forte impronta individualista, generando relazioni ferite, interrotte, immature, con la nostra vita diciamo che la comunione è possibile e la diversità non è ostacolo ma espressione dell’unicità personale e ricchezza da condividere. 10 BIEMMI, La vita consacrata, una profezia nel segno della debolezza, cit. Cf ENZO BIEMMI, Dalla conversione alla testimonianza. La vita religiosa come “luogo” di evangelizzazione nuova, in “Consacrazione e servizio” n. 4, luglio/agosto 2013. 11 5 2. Commento agli articoli delle Costituzioni rinnovate Gli artt. 34,35,36 trovano la loro spiegazione nell’esposizione dei principali concetti teologici. Si tratta infatti di articoli che pongono l’accento sul fondamento teologico e carismatico. Meritano invece qualche nota di commento gli altri articoli, che toccano questioni dai risvolti concreti. Nello stile di Nazareth 37. Lo spirito di Nazareth compenetra il nostro quotidiano. Ci porta a operare scelte evangeliche, maturate nella preghiera, nello scambio e nell’ascolto fraterno; a uscire da noi stesse nel dono reciproco, nell’obbedienza vicendevole, nella collaborazione, nella condivisione di esperienze spirituali e apostoliche. Per liberare mente e cuore dall’egoismo valorizziamo i mezzi a nostra disposizione: la vicinanza sincera, la costante esperienza del perdono e della riconciliazione, la correzione evangelica. Questo articolo pone in evidenza lo stile di vita che scaturisce da Nazareth. Vivere il carisma e assimilare la spiritualità nazaretana ci porta innanzitutto a essere spazi di Vangelo. Prima di essere luogo in cui se ne parla, le nostre fraternità devono essere luogo in cui si vive la grazia del Vangelo. Questo diventa possibile se rimaniamo unite al Padre come la Famiglia di Nazareth e se questa comunione genera ascolto vicendevole e confronto fraterno. Condividere la preghiera, il cammino spirituale, i momenti ricreativi e l’impegno dell’evangelizzazione arricchisce la nostra conoscenza reciproca e rende feconda sia la comunione sia la missione. Lo spirito di Nazareth che informa il nostro quotidiano significa custodia della relazione con Dio, ascolto assiduo della Parola per compiere il progetto d’amore del Padre. Madre Maria, esortando all’amore fraterno, sottolinea l’importanza di una comunione costante con Dio, coltivata fedelmente nella preghiera: Viviamo tutte concordi e unite in santa carità. Sia di noi un cuor solo, un sol pensiero, una sola volontà, e tutte insieme stiamo sempre in intima spirituale unione con Dio mediante la continua preghiera, come faceva il venerato Padre (Circolare del 31.01.1922). La comunione con Dio permette di assumere il suo stesso sguardo verso le sorelle e di amarle come Lui. Nei loro volti è possibile scorgere il volto di Dio, amando loro si ama Lui. Questi concetti sono molto chiari già alle origini dell’Istituto, come leggiamo nella Regola manoscritta del 1893: Una delle più belle manifestazioni che può fare la Suora a Gesù del suo amore per Lui, si è quella di una tenera e tutta santa dilezione verso le sue Consorelle. […] guardi le sue consorelle nel Cuore amoroso di Gesù, e nelle viscere materne di Maria, ed allora le amerà come piace allo Sposo divino. Le ami tutte indistintamente, senza eccezione alcuna, e le ami veramente di cuore. Nel trattare con esse pensi che sono le immagini viventi di Gesù e Maria, e tutto ciò che fa a loro, lo faccia come lo facesse a queste sante Persone (R Ms pp. 134-135). Santa Chiara, qualche secolo prima, ricordava alle sorelle che è Cristo ad amare in noi e la carità che ne scaturisce ha bisogno di essere manifestata con i fatti: E amandovi a vicenda nell’amore di Cristo, quell’amore che avete nel cuore, dimostratelo al di fuori con le opere, affinché le sorelle, provocate da questo esempio, crescano sempre nell’amore di Dio e nella mutua carità (FF 2847). L’amore reciproco genera l’obbedienza vicendevole, segno di libertà interiore e frutto di maturità umana. L’obbedienza vicendevole si radica nella spiritualità francescana. Leggiamo nelle Fonti: Nessun frate faccia del male o dica del male a un altro anzi per carità di spirito volentieri si servano e si obbediscano vicendevolmente (Cfr. Gal 5,13). E questa è la vera e santa obbedienza del Signore nostro Gesù Cristo (Rnb V, 13-15 – FF 20). 6 Per comprendere l’obbedienza vicendevole di cui parla san Francesco, è necessario tenere presente la sua visione di “obbedienza caritativa”, vale a dire di una obbedienza che deve nascere dall’amore, dalla sintonia con l’altro e dalla ricerca del suo vero bene per la costruzione del Regno, nella responsabilità reciproca che ci è data di aiutare il nostro fratello a crescere nella misura di Cristo, e nell’imitazione di Cristo, che “non è venuto per essere servito, ma per servire” (Mc 10, 45). Per questo nelle fraternità Francesco voleva che anche chi aveva la responsabilità non fosse altro che un servitore del fratello, un “ministro”. L’obbedienza francescana non nasce dalla costrizione o dalla sottomissione, ma nasce dal cuore, da quell’inabitazione dell’Amore che è possibile negli umili, nei minori, in chi riconosce la propria creaturalità e si abbandona in tutto alla volontà del Creatore, e dunque lascia che la sua libertà sia guidata dai moti dello Spirito. Francesco assume l’obbedienza vicendevole dalla visione paolina, che la vede nell’orizzonte della libertà dei figli di Dio, la quale non è altro che l’autonomia personale portata a maturità in Cristo per mezzo dello Spirito Santo: Voi infatti, fratelli, siete stati chiamati a libertà. Che questa libertà non divenga però un pretesto per la carne; mediante l’amore siate invece a servizio gli uni degli altri (Gal 5, 13). La vera carità è comunione delle menti e dei cuori e presuppone lo scioglimento dei legami del proprio “io”, la rinuncia a se stessi per amore di Cristo (cfr. Mt 10, 37). Quando si è formata la vera fraternità, si cerca nell’obbedienza il modo migliore per esprimere la propria disponibilità caritativa, in una gara di servizio e di obbedienza vicendevole tra chi comanda e chi obbedisce. Persino quando l’obbedienza non sarà possibile in quanto contro coscienza, la carità vicendevole nella comunione andrà sempre salvata (Amm 3, 7-9 – FF 150). Ciò che maggiormente può insidiare la carità fraterna è l’egoismo, che va contrastato con tre mezzi principali: la vicinanza affettuosa e sincera, che non lega a sé ma orienta a Dio; la misericordia espressa con gesti e parole di perdono, che talvolta richiedono tempo e profonda rielaborazione interiore. Solo se riusciamo ad assumere nella verità le conseguenze delle ferite ricevute senza anestetizzare la sofferenza, possiamo, per grazia di Dio, attraversarle con amore offrendo la riconciliazione; la correzione fraterna, che permette di fare verità nella carità. Richiede delicatezza, maturità umana, senso di responsabilità. In questo modo la comunità diviene formativa, mediante uno stile di vita che rende leggera e gioiosa la sequela. La carità fraterna è tanto più necessaria quanto più una sorella attraversa un momento di difficoltà; in questi casi vanno evitati giudizi e forme di esclusione, mentre va manifestata una vicinanza delicata, che può esprimersi attraverso la preghiera e il consiglio (cf Cost. art. 85). Vivere con misericordia la vita comunitaria significa contribuire a edificare la comunione fraterna attraverso atteggiamenti che comunicano stima, fiducia, accoglienza. 7 Luoghi della comunità 38. Nella comunità, dono e luogo di fraternità, viviamo il nostro quotidiano pregare lavorare patire per crescere nella comunione tra noi, secondo lo spirito del Fondatore e di madre Maria. Nelle nostre case riserviamo alcuni luoghi alla comunità, per favorire la vita di famiglia che ritempra e dispone all’azione apostolica. In fedeltà dinamica al carisma, coltiviamo il senso di appartenenza alla comunità e all’Istituto dentro le diverse realtà e culture. Rendiamo visibile tale appartenenza portando la medaglia della Santa Famiglia e l’abito religioso segno di consacrazione, di penitenza e di comunione fraterna. Il “pregare lavorare patire”, sintesi della vita di Nazareth, è un trittico che esprime bene anche la vita della Piccola Suora in comunità. Preghiera, lavoro e passione-sofferenza sono tre elementi che, vissuti in modo umano alla luce del vangelo, fanno crescere la comunione secondo lo stile carismatico. Pregare in comunità non significa soltanto riunirsi per celebrare l’Eucarestia, pregare la liturgia delle ore, fare meditazione. Vuol dire essere concordi nell’elevare, con le labbra e con il cuore, la nostra lode e la nostra supplica al Dio vivente. Pur nelle nostre differenze personali, la preghiera che sale a Dio deve essere unanime, espressione di una fraternità viva, in cammino, che ricerca incessantemente l’unità e presenta a Dio le necessità proprie e quelle del mondo, con fiducia e umiltà. Scriveva madre Maria: Il desiderio più ardente del nostro Padre è questo: che noi siamo impastate di preghiera come la spugna viene imbevuta dall’acqua quando è immersa nella medesima. La preghiera sia il nostro pane quotidiano. Non bastano le preghiere prescritte dalla nostra Regola. È necessario avere lo spirito di preghiera: vivere, cioè, sempre alla presenza di Dio. Ecco cos’è la preghiera: qualunque cosa facciamo, rimanere in comunione con Dio, fare tutto con amore e per amore. E questo non solo singolarmente ma insieme, come comunità. Lavorare significa assumere uno stile di operosità che ci porta a curare ogni aspetto dell’esistenza quotidiana, a rendere più belle, accoglienti e vivibili le nostre case. Il lavoro ben fatto, e fatto insieme, crea armonia e dà sapore alla vita comune. Diceva il Fondatore: La suora della Sacra Famiglia non deve mai essere trovata senza far niente… Suore da far gran bene a voi, da far gran bene agli altri. Una comunità che lavora con gusto e passione, in modo concorde e solidale, valorizzando le doti di ciascuna, genera un gran bene e contribuisce alla costruzione del Regno. Il lavoro, vissuto come incarnazione e ascesi, imparata nella concretezza del donarsi quotidiano, non lascia spazio a illusioni o entusiasmi passeggeri; insegna a vivere da donne responsabili e da sorelle che hanno uno scopo comune. Il patire fa parte della vita, che richiede amore, passione e al tempo stesso ferisce e fa soffrire. Ci vuole amore per vivere con serietà e profondità la vita fraterna, e più ci si incarna nel contesto di vita e più si sperimenta la sofferenza di una distanza mai colmata rispetto a un valore che ci supera. Stando insieme ci si scontra con limiti, paure, egoismi… Di fronte ai patimenti il Fondatore invitava a “specchiarsi nel Crocifisso”, non per imparare il sacrificio, ma la profondità della carità di Cristo che non toglie la sofferenza ma la trasforma in dono di vita. Entrare nelle piaghe del Crocifisso ci consente di provare in noi la “sete di anime”, l’urgenza di consegnarci senza riserve al mondo, bisognoso di toccare con mano che c’è chi vive amando. La sofferenza portata insieme è più dolce e leggera; è segno di misericordia e arricchisce tutta la comunità. Ci fa sentire fragili ma più umane, tutte bisognose di forza e consolazione. 8 Vivere da sorelle la preghiera, il lavoro e il patire accresce il senso di appartenenza alla comunità e all’Istituto. L’adesione alla nostra Famiglia religiosa, resa visibile dalla medaglia e dall’abito, si esprime in modo significativo attraverso la partecipazione attiva e responsabile al comune cammino di crescita (cf Direttorio artt. 24, 27). Partecipazione e corresponsabilità sono temi presenti in modo trasversale nelle Costituzioni. Manifestano la consapevolezza, da parte della Piccola Suora, di essere prima protagonista del cammino di maturazione; dicono il suo desiderio di mettersi in gioco e donare idee, energie, risorse per il bene di tutte. Esprimono un modo adulto, proteso al dono, di stare dentro la comunità e l’Istituto: non solo attesa e accoglienza di quanto viene dall’esterno, ma atteggiamento attivo e capacità propositiva. La corresponsabilità fraterna si esprime in diverse forme: confronto, condivisione, discernimento, gestione delle attività, promozione di iniziative… Dentro questo ricco ventaglio di possibilità è chiamata a sprigionarsi la creatività e unicità di cui ciascuna è portatrice e che, condivisa, diventa ricchezza per tutte. Proprio per dare espressione compiuta alla nostra umanità è necessario coltivare in comunità uno stile di vita sano, rispettoso del nostro essere creature segnate dal limite. Il modo di organizzare la giornata, con ritmi equilibrati e adeguato spazio non solo per la preghiera e il lavoro, ma anche la conoscenza e la cura di sé, il riposo, la distensione, la festa, l’espressione delle proprie attitudini deve essere in funzione dell’equilibrio psico-fisico, affettivo e spirituale della persona (cf Direttorio art. 12), per un dono di sé più maturo e radicale. Comunione fraterna 39. La vita nuova donata da Cristo alimenta in noi la gioia e la comunione, frutto dello Spirito, in un cammino che rende visibile il dinamismo pasquale nelle diverse realtà dell’esistenza. Sappiamo vivere le differenze di età, lingua e cultura come segno di un dialogo sempre possibile e di una comunione capace di armonizzare le diversità, espressione della ricchezza dei doni di Dio, in ogni passaggio della vita. Il dinamismo di amore che abita in noi per il battesimo ha il potere di trasformare la nostra vita. Abbiamo bisogno di sperimentare che il cambiamento è possibile, perché lo Spirito agisce in noi e ci fa crescere nella capacità di metterci in relazione serena, libera e costruttiva con le sorelle. Questo ci dona gioia e rinvigorisce il desiderio di camminare insieme. Vivere in comunità non è solo possibile ma anche bello: il piacere della fraternità rende più leggeri gli inevitabili conflitti, accolti come passaggio verso una comunione più salda e matura. Proprio quando sperimentiamo la fatica di vivere insieme e armonizzare età e culture diverse, deve rendersi visibile il dinamismo pasquale del seme che muore per portare frutto. Dentro situazioni che sembrano portatrici di morte possiamo innestare parole e gesti di vita perché il Risorto, tramite lo Spirito, abita in noi e ci dona di vedere la realtà con gli occhi del Padre. Il male, la sofferenza, la fatica non vengono negati ma perdono il potere di renderci schiave. Dobbiamo però riconoscere che non è affatto facile vivere insieme: il comune dono della consacrazione ci riunisce in comunità e la grazia di Dio ci abilita a costruire relazioni mature, ma ciò non toglie limiti, fatiche, sofferenza. Non si cresce spontaneamente: c’è bisogno di curare la propria umanità perché ciascuna di noi sia resa capace di “vedere bene, volere bene e dire bene”. Ciò significa allenarsi a riconoscere il bene che Dio rende disponibile per noi, concorrere a promuoverlo e renderlo esplicito. La fraternità si costruisce giorno per giorno a partire da noi stesse, 9 attraverso una cura costante e attenta di ogni dimensione: razionale, affettiva, spirituale, fisica, relazionale… È necessario lasciare che la bontà di Dio edifichi la nostra vita e la conformi progressivamente alla sua, attraverso l’esercizio di purificazione che le situazioni quotidiane sollecitano in noi. Più ci conosciamo alla luce della Parola di Dio, più ci scopriamo esseri fragili e feriti, ma infinitamente e gratuitamente amati. Questa certezza, confermata dall’esperienza, rende meno necessario alzare difese e mostrare aggressività. Ci ritroviamo più libere da noi stesse, dalle aspettative degli altri e dal desiderio di riconoscimento e stima. Avendo accolto la nostra povertà, comprendiamo e perdoniamo più volentieri quella delle sorelle; così le tensioni si sciolgono e i pregiudizi si indeboliscono. Riusciamo a vedere nell’altra quel positivo che prima ci sembrava inesistente e riconosciamo le meraviglie che la bontà di Dio opera nella nostra povertà. In questo modo l’identità di “sorella” diventa primaria rispetto a quella data dal ruolo, e ognuna può esprimere la propria originalità con le doti e le caratteristiche che le appartengono, nella sinfonia delle diversità creata dallo Spirito (cf DPC p. 26). Questo permette di edificare comunità in cui la differenza è vissuta come ricchezza e per le quali è possibile offrire alla società “la testimonianza di un nuovo stile di vita fraterna connotato da libertà di cuore, servizio, sobrietà e condivisione, come profezia per il Regno” (DPC p. 27). Cura delle sorelle ammalate e anziane 40. Sperimentiamo la partecipazione diretta al mistero pasquale di Cristo, nell’offerta e nell’affidamento totale al Padre, quando viviamo la sofferenza e la diminuzione delle forze. La Congregazione, fedele alla propria tradizione, cura con sollecitudine e amore le sorelle ammalate e anziane e le accompagna, nella consapevolezza che esse sono poste, in forma nuova ed efficace, nel cuore della missione della Chiesa e dell’Istituto. Siamo chiamate ad amarle e servirle come vorremmo essere amate e servite noi stesse. La sofferenza è un passaggio difficile e doloroso per tutti. Per noi, che siamo cristiane e consacrate, non è solo un male da allontanare ma una realtà da vivere in comunione con il Risorto. Come Cristo in croce possiamo affidarci totalmente nelle braccia del Padre e consegnare fiduciosamente a lui la nostra esistenza affinché sia trasformata in offerta d’amore. Leggiamo dal Fondatore: L’ho sempre detto di studiare il Crocifisso: da Lui si impara ogni cosa. La lezione dell’amore senza misura del Crocifisso è una fonte inesauribile alla quale attingere luce e forza nella lotta contro la tentazione di lasciarci vincere dal male. Ecco perché il Fondatore affermava: La Croce è il tesoro prezioso che dobbiamo amare e abbracciare. Non è un elogio della sofferenza ma la serena consapevolezza che in Cristo è possibile amare anche dentro le realtà più dolorose. Le sorelle che oggi sono anziane e ammalate hanno speso tutta la vita a servizio di Dio, nella Chiesa e dentro l’Istituto, senza risparmiare energie e capacità. Nel venir meno delle forze, per la grazia di Dio e la cura delle sorelle, sono accompagnate a trasformare la ferita della sofferenza e dell’inattività in feritoia da cui accogliere il balsamo della misericordia di Dio e portare a sereno compimento l’esistenza. La loro testimonianza è preziosa e la missione loro affidata non è meno importante di quella compiuta dalle sorelle in attività. Nel nascondimento di un quotidiano ripetitivo ma sostanziato dalla presenza del Risorto, la loro offerta è feconda di bene per l’umanità intera, specialmente per i più poveri ed emarginati, quelli che nessuno conosce e dei quali nessuno si prende cura. 10 Come Piccole Suore, sull’esempio e l’esortazione dei Fondatori, siamo chiamate a servire e promuovere la vita della persona, in ogni sua dimensione, fino all’ultimo respiro, continuando il ministero di misericordia di Cristo, buon Samaritano. Facendoci vicine alle sorelle per lenirne il dolore, lasciamo aperto uno spazio al Vangelo che illumina di fiducia e bontà anche il morire umano. Affetto per la famiglia 41. La radicale appartenenza a Cristo orienta e arricchisce il nostro amore per la famiglia naturale. Siamo per essa segni di speranza cristiana e di fiducia nella Provvidenza, in ogni situazione. Manifestiamo il nostro affetto con la sollecitudine che condivide le gioie e partecipa alle difficoltà, in libertà evangelica, secondo la nostra realtà di consacrate. La chiamata alla consacrazione religiosa non annulla né mortifica il legame con la famiglia naturale, anzi, lo inscrive in una realtà più grande e lo arricchisce di sfumature nuove. Vi guardiamo da un diverso punto di vista e lasciamo che la fede lo illumini e purifichi. Scopriamo più forte e autentica la gratitudine a chi, in collaborazione con il Creatore, ci ha donato la vita e trasmesso la fede. Ciò che siamo diventate è anche il frutto di quanto abbiamo ricevuto in famiglia in termini di affetto, fiducia, valori e talenti. Nulla va rinnegato, nemmeno limiti e fatiche che ci hanno ferito o condizionato in modo non positivo. Tutto è da accogliere e assumere con magnanimità perché nell’amore tutto concorre al bene. Ciò che noi possiamo offrire alla famiglia naturale è una ricchezza umana e spirituale che è andata accrescendosi nel tempo, per l’esperienza della consacrazione religiosa vissuta in comunità. Le due realtà sono diverse e tali devono rimanere: la fraternità generata dal carisma non è una famiglia come quella di origine, ha altre caratteristiche e finalità, ma proprio per questo completa e potenzia l’esperienza vissuta in famiglia. L’accoglienza della diversità, l’impegno per un progetto comune, la condivisione di tempi-luoghi-esperienze di vita tra persone adulte che non si sono scelte ma si fidano dello Spirito, sono elementi che diventano risorse nel rapporto con la famiglia naturale. Sulla base della nostra esperienza, possiamo infatti dare speranza e fiducia nei momenti di difficoltà, testimoniando che è possibile ricucire i rapporti, superare i conflitti, apprezzare le differenze, aspettare con pazienza e fiducia la crescita dell’altro. Allo stesso tempo siamo chiamate a partecipare alla gioia di eventi lieti, testimoniando che la sorgente della letizia è il Signore; la gioia va condivisa e il suo godimento non può che generare riconoscenza. La partecipazione alla vita della famiglia naturale assume forme diverse: la presenza fisica, la vicinanza tramite i mezzi di comunicazione, la preghiera… Ogni situazione va valutata con carità e libertà di cuore, tenendo conto sia delle reali necessità sia degli impegni della consacrazione. Tuttavia, anche quando la presenza materiale non è possibile oppure non pare opportuna, la nostra vicinanza non è per questo meno efficace. Dio opera attraverso di noi e oltre noi, in maniera misteriosa ma reale ed efficace. A noi è chiesta la fiducia di chi si abbandona senza riserve nelle mani dell’unico e Sommo Bene. 11