Clodoveo Masciarelli e l’armonizzazione delle materie di Ferruccio Battolini Il fare plastico di Clodoveo Masciarelli è anzitutto l’esternazione di una personalità culturalmente e moralmente forte. Fra le coordinate permanenti dell’artista abruzzese, oltre agli insegnamenti paterni, vi è senz’altro la ricerca costante e seria di un rapporto dialogico fra due brani di realtà già sottoposti ad interpretazione ed ampi spazi di fantasia in progress. Primo e fondamentale obiettivo “ideologico” di Maccarelli mi pare sia, da tempo, quello di dare vera “sostanza” alle forme seguendo i concetti di “essenza” e di “ente” che sono l’impalcatura di un pensiero non debole. Rappresentare poi libertariamente, e cono coraggio compositivi, le idee attraverso più volti della materia vuol dire, a mio avviso, che si è situato all’interno di un percorso immaginativo che proviene da lontano, dal di dentro o dal di sotto la pelle della realtà. “Sostanza” - osserva giustamente Andrea Braghi nel “Dizionario di filosofia” delle Edizioni di Comunità (1957) – sarà, è (per me deve essere senz’altro in arte e soprattutto nella scultura), l’unione, il “sinolo”, la sintesi concreta se si preferisce, di materia e forma. Ma la materia qui non è una: sono molte, diverse strutturalmente, in un certo senso in positivo antagonismo fra loro. La questione si fa complessa allora: mi è venuto in soccorso il grande Spinoza là dove si fa patrocinatore della “pluralità di sostanze”, concetto che applicato al nostro scultore significa diversificazione delle unioni e degli incontri (che possono essere occasionali o predeterminati) fra la Materia e la Forma, nel caso di Masciarelli fra le materie e le forme. Ed è necessario che io qui risottolinei la mia meraviglia di fronte alle infinite possibilità che dimostra Masciarelli nell’intrecciare – in nome del connubio sostanza-forma – le materie da lui privilegiate (pietra, acciaio e rame, intelligentemente forgiati) senza manipolarne o ferirne le peculiarità ed i valori primigeni. Guidato sempre da un’altra convergenza fondamentale, quella fra esperienza consolidata e sempre nuovi stimoli espressivi, viene a trovarsi così nella condizione migliore per suggerire inedite manifestazioni di quelle microrealtà materiche che appartengono sia al mondo delle percezioni sia a quello della tangibilità intelligente. Masciarelli sa benissimo che non potrà mai giungere (nessuno di noi, neppure lo scienziato più acuto e spericolato) all’afferrabilità del nucleo delle grandi essenze: e tuttavia è nei dintorni di questa prateria trascendente, in una dimora virtuale ove quel che conta è la volontà di sondare, sperimentare, muoversi al di là degli schemi e delle logiche codificate. L’intreccio materico, così piace ancora chiamarlo, che ci propone l’artista di Atri (ormai pescarese honoris causa), è davvero originale, radicato entro una filosofia visiva ove tutto e mutazione e diversità e nel contempo ove tutto – le componenti dell’esito plastico – mantiene il proprio patrimonio, la propria specificità autentica ed esemplare. L’intreccio è cioè fondato sulla reciprocità donativa delle materie stesse (rispettate – ripeto la sottolineatura – nel loro retaggio genetico) che produce così simboli e messaggi significativi e singolari, grazie alla capacità dell’artista di armonizzare quelle dissomiglianze sostanziali in modo eterodosso e davvero molto intrigante. Ribadisco anche che Masciarelli, partendo dall’amore viscerale e pur intensamente conoscitivo delle singole potenzialità della pietra, dell’acciaio e del rame (e non è facile né già visto) mi pare punti, consapevolmente e con l’entusiasmo di chi insegue la libertà di sognare e di vedere “altrove”, verso traguardi di “Ri-costruzione” che particolarmente oggi, in balia come siamo di disegni di “disumanizzazione globalizzata” (e fra angosce e indeterminatezze per chi è fuori dai poteri forti ed occulti), tutti vorremmo raggiungere. E’ Masciarelli un po’ Diogene, alla ricerca dell’uomo (il suo “Diogene” dell’86 è una stupenda sintesi verticale di elementi e forme che stanno fra concretezza materia e immacolata immaginazione), uomo che forse può individuare in una situazione più sondabile, nei grandi spazi, fra Saturno ed Andromeda, fra la Luna e l’Orsa Maggiore. E’ anch’egli, a ben vedere, un vagabondo del cielo oltre che un narratore affascinante di forme inusuali: vagabondando penso voglia trovare momenti inesplorati di qualche “nascita” (di un astro come di un pensiero non satellizzato) e giungere magari – certo, con l’entusiasmo indifeso del sognatore – nei dintorni di un qualche ombelico del mondo. E a proposito dell’oniricità che sovrintende alla ricerca di Masciarelli non credo sia casuale che alcune opere degli anni novanta siano definite “Sogno” o “Sogno catturato” o “Infinito”. Certamente per poter inseguire progetti di profonda riflessione bisogna andare “oltre lo sguardo” (cioè oltre la quotidianità che subiamo, troppo spesso liberticida), anche per riscoprire e custodire con amore le “singolarità solidali” che forse per alcuni sono miraggi e che tuttavia ritengo, per lui e per me di certo, sono eticamente necessarie se vogliamo dare un senso alla vita che si svolge intorno alle cose ed alle astrazioni mentali. Quel che mi accomuna ancor più a Masciarelli è proprio la voglia di immaginare (e lui ne dà una visiva testimonianza, plasticamente e coloristicamente intensa) attimi o brani di una “sinfonia cosmica” che non può non essere eccitante oltre che auspicabile come punto di soddisfacente e consolante “arrivo finale”. Ma c’è ancora un elemento da evidenziare nell’opera dell’abruzzese: il concetto invasivo di “amore” che non è qui né sdolcinato né asettico, avendo l’artista come fini primari non solamente il già citato intreccio materico ma anche l’accordo, inseguito, sofferto e in buona parte raggiunto, con l’armonia interiore (si guardino “Arco in amore”, “Lo spazio di Venere”, “Carezza della notte”, “Dea della sera” e le “Aurore”). E che dire poi delle sculture-gioiello? Un gran bene senz’altro, non solamente per la loro originalità (a fronte di tanta paccottiglia ripetitiva) ma anche, direi proprio soprattutto, per i significati indiretti e pur importanti che ci forniscono, e cioè armonie, luminosità, inediti spazi salvaguardati nel loro rapporto con le forme, insomma spontanee quanto meditate franchigie creative. I titoli dei gioielli parlano chiaro: “Forme in libera uscita”, “Singolarità”, “Luce in argento”, “Diapason”, “Sguardi oltre l’oro”, “Forme attraversate”. L’opera di Masciarelli – lo voglio in conclusione ribadire come già feci in occasione della bella mostra romana intitolata “Alle origini del cosmo” – è una coraggiosa dichiarazione lirico-intellettiva che scaturisce da un patrimonio morale rigoroso ed appassionato nel contempo, da una ricerca (sagacemente perseguita) di uscite di sicurezza verso spazi liberi ove sia possibile un ricongiungimento fra l’Uomo ed una Natura troppo spesso ferita o rifiutata. Non sono molti oggi, a mio avviso, gli scultori che offrono, con ammirevole modestia, incontri di forme così intensi e plurali, in comunanza con rapporti cromatici essenziali quanto narranti: Clodoveo Masciarelli, con il suo importante progetto, diciamo, di riconciliazione etico-plastica, è senz’altro uno di questi, che chiamerei portatori di armonie e conseguentemente meritevoli di occupare un posto prestigioso nell’are delle creatività esemplari e caratterizzanti. [Tratto da “Clodoveo Masciarelli, sculture – gioielli - calcografie”, Ed. Associazione Arteelibertà]