Educazione SEZIONE Devianza… E se fosse «solo» dipendenza? Andrea Ferrari* La Via lattea Per devianza si intende comunemente ogni atto o comportamento (anche di natura solo verbale) di una persona o di un gruppo che viola le norme di una collettività e che di conseguenza va incontro a una qualche forma di sanzione. E sotto tale termine, nell’accezione giovanile, in questi mesi abbiamo posto tutti quei temi legati alle famigerate baby gang (italiane e straniere), al bullismo (nella scuola e fuori), all’uso di sostanze stupefacenti (a priori dalla pesantezza), all’abuso di alcolici, alla guida spericolata (ed a questi si potrebbero aggiungere i fenomeni di anoressia e bulimia)… elaborando progetti volti al recupero di quei giovani che – per dirla con il grande sociologo francese èmile Durkheim1 – con i loro atti avevano urtato la coscienza comune. In poche parole, si è visto l’aspetto della devianza come il punto centrale dell’azione politica e dell’intervento sociale. Questi sono giovani che, durante il loro cammino, hanno preso la via sbagliata (o quella più semplice?), hanno cambiato il percorso, un po’ come i pellegrini alla fine de La via lattea di Luis Buñuel2. Il dubbio: una strada e molte traverse? Il dubbio è che ciò che noi abbiamo ritenuto essere come centrale, in realtà sia il punto finale, la concretizzazione di qualcosa che nasceva dentro i giovani da un loro bisogno, da una loro dipenL’arte della maieutica, denza. Cercando di vedere, a voldel trarre fuori le energie te riuscendoci, le cose dall’interno nuove e positive dei (cosa che mi è stata facilitata dagli giovani, il protagonismo incontri al carcere minorile, con le sano e positivo risolverà baby gang periferiche ed i bulli nelle molto di più che affrontare scuole) ci si accorge che la deviani problemi col metodo del za è l’approdo necessario per molti sorvegliare e punire giovani, debolissimi nel carattere (e nel corpo) e che trovano la loro sopravvivenza nell’appartenere ad un qualcosa. Non si tratta, quindi, esclusivamente di dipendenza, ma questa può rappresentare la via centrale che porta alla devianza. Tutti gli altri fattori sono radunabili nelle numerose traverse (media, modelli sociali, miti…) che sospingono a restare sulla principale. 40 La dipendenza: dimensione storica dell’urto della coscienza comune della contestazione alla post modernità Negli anni della contestazione universitaria, questo qualcosa era rappresentato dall’appartenenza ad una ideologia di massa (marxista o fascista) e la logica dello scontro era il mezzo di realizzazione dell’essere degli individui, quasi corpi collettivi. Stesso discorso, degli individui/corpi collettivi, vale anche per le forti differenze esistenti fra cattolici conservatori e progressisti. Poi venne la crisi delle ideologie con gli anni 80 e le discoteche divennero i luoghi in cui giovani senza idee e fede nel futuro riuscivano ad essere corpo collettivo, avvolto da musica, in un guscio che li rendeva impenetrabili a delle famiglie chiuse e verso il fallimento come istituzioni morali della società. Tale percorso proseguì intatto per gli anni 90 e giunge fino ai giorni nostri, con poche, ma rilevanti, mutazioni. Con gli anni 80 ci si trova nel boom dell’eroina e nel grande abuso delle droghe sintetiche che iniziano a distruggere generazioni di giovani e la devianza viene focalizzata nell’uso di tali sostanze, quando invece quella è solo la dipendenza, mentre la devianza sta nell’atto finale: la distruzione di sé. È nella inconscia distruzione che questi giovani trovavano la loro appartenenza, il loro guscio finale. Pedagogika.it - Anno XI n. 6 Dov’è la famiglia? Decadenza di una istituzione sociale Attorno a tutto ciò un grande vuoto, una voragine nata con l’espansione popolare e le migrazioni degli anni 60. Ma non un vuoto della società, poiché non è compito della società quello di educare a dei valori, ad aiutare nella formazione maieutica di una propria visione; è un vuoto della famiglia. Tale vuoto non si manifesta solo con l’assenza perché i genitori lavorano alacremente ed i figli crescono in cortile o in strada (come avveniva, in particolare, negli anni 60 e 70) ma anche con una presenza indifferente o, ancor peggio, ostile. Casi questi ultimi due tipici dei nostri ultimi venticinque anni. La presenza indifferente consistente nei genitori, in competizione fra di loro, che infarciscono i figli di beni materiali e di libertà incondizionate, creandosi l’alibi dell’affetto prioritario, nell’incertezza che il matrimonio tenga, da parte dei figli. I risultati sono disastrosi poiché i figli crescono in una bambagia economica e credono che tutto gli sia dovuto. Basti pensare ai casi di figli violenti (anche verbalmente) con i genitori; fra questi ricordo il caso di un bambino che al supermercato offese pesantemente la madre poiché non gli aveva comprato il videogioco voluto e la madre si scusava. Alla fine lasciò i generi alimentari di cui aveva bisogno e prese il videogioco. Crescendo si passa dal videogioco ai soldi, e dalla parola alla violenza, con i delitti famigliari che vengono addossati all’alibi della nostra epoca: la società. Torneremo successivamente sulla società. La presenza ostile, invece, è quando i figli mostrano una scala di valori differente o la loro natura umana è vista come deviante da parte dei genitori. In questo caso la famiglia non solo è presente, ma censura la libertà di espressione dei figli, credendoli sempre immaturi e mai pronti ad un ingresso autonomo nella società, intesa come rapporti umani, sviluppo della propria identità nel confronto con il corpus sociale. Casi emblematici sono stati (e sono tuttora) quelli dei figli omosessuali o delle figlie lesbiche, relegati da codeste famiglie a delle sorti di malati da curare, ma non in ragione di un benessere della figlia o del figlio, ma proprio, delle proprie certezze ed innanzi alla società. La fine è spesso la stessa: fuga da casa, sbando e morte suicida3. Lo stesso discorso vale parimenti per le ragazzine minorenni che restano incinta, dove i genitori le fanno abortire per lavare l’onta (parola spesso usata da questi genitori) innanzi alla società o, ancor peggio, prima che la società sappia4. Il problema, per questi genitori, non è la salute (fisica e mentale) dei figli, ma quello che pensano gli altri. Pedagogika.it - Anno XI n. 6 Infine, spesso, questi genitori usano i loro figli come valvola di scarico delle proprie manchevolezze o delle proprie incapacità (o fallimenti) fornendo così ai figli modelli sbagliati di riferimento. Questi genitori che picchiano ed urlano, ci sono da sempre, si sa, come testimoniava anche James Joyce nel racconto Rivalsa, in cui un padre, dopo una giornata di frustrazioni sul lavoro e per la strada, torna a casa e non trovando la moglie e poco da mangiare, si sfoga brutalmente picchiando la figlia5. Educazione SEZIONE La società: il “grande male” La società, quindi, diviene un luogo in cui si scaricano i liquami, senza dare nell’occhio, delle inefficienze famigliari, come se fosse la fogna a cielo aperto dei nostri sbagli; riversando il tutto nella società, molte famiglie trovano la soluzione dei loro problemi, rendendosi conto che non vengono risolti, e girando lo sguardo dall’altra parte all’impeto: è tutta colpa della società malata in cui viviamo (e non a cui apparteniamo!). E quante volte abbiamo udito queste tremende e qualunquiste affermazioni. Basta sfogliare qualsiasi quotidiano o vedere qualsiasi telegiornale, quando vige l’enfatica settimana del problema sociale; così i giovani divengono settimanalmente, assassini (di tutti i generi), suicidi, bulli, lanciatori di pietre dal cavalcavia, baby gangster… mai un modello positivo. Come possiamo pretendere che dopo i nostri giovani perseguano modelli positivi se la famiglia, la scuola, i luoghi di ritrovo non li forniscono? Nuove forme della dipendenza Arrivando, con quanto scritto, ai giorni nostri, le problematiche – nel contesto famigliare degradato – aumentano, mutano, si innovano. Una dipendenza dalle problematiche per giungere ad essere deviati, all’approdo in qualcosa in cui inconsciamente si riconoscono. La dipendenza però non è solo nell’abuso di alcolici o nell’uso delle droghe, dove il processo è chiaro; ma si ritrova nella pornografia dove si manifesta nella visione dei corpi (minori ed adulti); si manifesta nelle baby gang dove la dipendenza dal gruppo porta a compiere atti dalla violenza civile e penale; si manifesta nel bullismo, dove l’aggressione ad un compagno serve a far sentire superiore l’aggressore che non esisterebbe altrimenti; esiste nella guida veloce ed esagerata, dove si fa la gara anche a chi sfonda maggiormente l’acceleratore (e l’autovelox) prima e l’etilometro poi; c’è nei giovani che commettono reati per finire nei carceri minorili, poiché essendo deviati la società si occuperà di loro; esiste, seppur per esten41 Educazione SEZIONE sione, persino nell’anoressia dove è nella dipendenza dal non cibo e all’opposto nella bulimia. È tutto un mix di ricerca di ascolto da parte dei giovani, di rifiuto dei ruoli e dei livelli sociali e famigliari, di confronto chiaro, aperto e diretto nelle case; queste ultime oramai luoghi di eterotopia6 negativa, caratterizzate dall’assenza strutturale forme e linguaggi della coesione famigliare, della crescita comune e continua dei suoi componenti. Ed in un luogo in cui tutti parlando ed esprimono le loro rabbie, i loro desideri, le loro frustrazioni e mai le speranze (se non tragicamente negative) e che non si ascoltano. In questo mixer di desolanze il surreale diviene reale e, ad un certo punto, non ce ne accorgiamo più della differenza. L’approdo è essere deviati, come già avevamo accennato, è essere riconosciuti come qualcuno o appartenenti a qualcosa: la devianza finisce per dare una identità a questi giovani. E questo percorso che va dalla normalità, passa al disagio e giunge alla devianza, avviene sotto i nostri occhi in una continuità dove non basta lo sguardo attento, poiché si doveva intervenire molto prima che commettessero qualche atto a rilevanza civile o penale, molto prima della adolescenza. Così in questi decenni abbiamo perso generazioni, vedendole solo quando erano già approdate alla devianza, alla loro terra promessa. Come intervenire? Dobbiamo quindi lavorare sulle intelligenze emotive7 di questi giovani, con percorsi che inizino nell’età scolare e, in contemporanea, con progetti sui genitori. Come avviene d’altronde anche in Inghilterra, dove, sin dalla gravidanza, le madri vengono accompagnate in un percorso di educazione sentimentale per lei ed il nascituro. L’arte della maieutica, del trarre fuori le energie nuove e positive dei giovani, il protagonismo sano e positivo risolverà molto di più che affrontare i problemi col metodo del sorvegliare e punire, con la costruzione dei carceri interiori che portano i nostri giovani a fuggire dai propri corpi. * Collaboratore del Ministero delle Politiche Giovanili 42 Verso una nuova dipendenza: i valori innati Ci troviamo, indi, innanzi a dei giovani che, nell’individualismo estremo, divengono luoghi, città bombardate; qui convivono una personalità debole (e, per questo, spesse volte, aggressiva) devota alla devianza ed una timida (sommessa dalla debole) che vorrebbe perseguire la normalità, essere integrata nel contesto sociale. L’aiuto, probabilmente, non verrà dall’istituzione della famiglia, non da questa famiglia; alla pari non può venire neppure – per norma – dallo Stato, che diverrebbe etico; il problema non sarebbe in sé, ma perché si rischierebbe che venga teorizzato come nel primo Novecento italiano, con tutto quello che comportò. Per far emergere questa seconda personalità solo l’impegno congiunto e coordinato di Istituzioni, operatori sociali e psicologi può portare dei risultati. Risultati che si ottengono solo se questi attori si calano nei contesti di ritrovo giovanile, nei cortili delle periferie metropolitane, nei luoghi del disagio ed in quelli delle errate speranze (fare i soldi facilmente…). Ed i risultati saranno concretizzabili nella liberazione dei valori innati di solidarietà, giustizia e carità. Liberazione poiché esistono e sono vivi nei giovani, spesso dipinti alla stregua di una massa di infami Franti e di rabbiosi Rosso Malpelo. Questi ragazzi sono solo prigionieri della paura della normalità, poiché questa è la via più difficile per essere accettati nella coscienza comune giovanile. Dovrà essere una sorta di nuovo svezzamento, un reingresso in sé stessi, a riprendere quel percorso interrottosi all’inizio dell’adolescenza, nella preadolescenza, nel limbo del non più (bambini) e del non ancora (giovani sviluppati). Note 1 Durkheim introdusse il termine “coscienza collettiva” (o comune) per indicare l’insieme delle credenze e dei sentimenti comuni alla media dei membri di una società. Cfr. Émile Durkheim, L´educazione morale (L’éducation morale), 1903 2 Buñuel, Luis, La via lattea (1968) 3 Cfr. Rigoldi, Gino, Il male minore, pp. 31-32, Mondadori, Milano 2007. 4 Questi casi, seppur in modo generico (e senza mai entrare nel caso specifico e nei dati sensibili), mi sono stati testimoniati da un cappellano ospedaliero sito in provincia di Milano. 5 Joyce, James, Dubliners [Gente di Dublino], 1914. 6 L’’eterotopia è un termine, coniato dal filosofo francese Michel Foucault per indicare «quegli spazi che hanno la particolare caratteristica di essere connessi a tutti gli altri spazi, ma in modo tale da sospendere, neutralizzare o invertire l’insieme dei rapporti che essi stessi designano, riflettono o rispecchiano». Eterotopico è, per esempio. lo specchio, in cui ci vediamo dove non siamo, in uno spazio irreale che si apre virtualmente dietro la superficie ma che, al contempo, è un posto assolutamente reale, connesso a tutto lo spazio che lo circonda. Un altro esempio di eterotopo è il cimitero, unione/separazione simbolica della città dei vivi e dei morti, «l’ altra città in cui ogni famiglia possiede la sua nera dimora». Come sono eterotopie teatri, cinema, treni, giardini, collegi, camere d’albergo, manicomi, prigioni… (da wikipedia) cfr. Foucault, Michel, Eterotopie, in Archivio Foucault, Milano, Feltrinelli. 7 Cfr. Goleman, Daniel, Intelligenza emotiva, Rizzoli, Milano, 1997. Pedagogika.it - Anno XI n. 6