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Antrocom 2005 -Vol. 1 - n. 2 - 179-183
Ominizzazione, cultura, umanizzazione*
FIORENZO FACCHINI
Sono passati più di due anni dalla lezione magistrale tenuta dal Prof. Fiorenzo Facchini il 30 ottobre 2002, presso
l’Università degli Studi di Bologna. Un incontro che rappresentò la sintesi delle conoscenze dell’epoca in campo
paleoantropologico, e un tentativo di relazionare l’ominizzazione all’evoluzione della cultura umana, segno distintivo dell’attività dell’illustre antropologo.
Da allora vi sono state nuove scoperte e nuove teorie
sono state proposte. Questa lezione magistrale dimostra
come in poco più di due anni il quadro dell’evoluzione
della nostra specie sia cambiato a seguito delle nuove
acquisizioni, senza che la validità delle parole del Prof.
Facchini, a proposito della relazione tra evoluzione e
cultura, siano state superate.
È la storia delle nostre origini lontane, una storia affascinante che mette in evidenza ciò che caratterizza l’uomo
nella sua emergenza nella storia della vita e lo proietta nel futuro, perché lo studio delle origini dell’uomo e
della sua evoluzione apre una finestra sul mondo, anche
sulla realtà di oggi e su quella futura. È stato questo uno
dei temi a cui mi sono particolarmente interessato nella mia attività universitaria. L’ominizzazione è il processo evolutivo che ha portato alla comparsa dell’uomo
e si prolunga nelle trasformazioni che sono seguite fino
all’uomo modemo. L’ominizzazione può essere vista
come un processo e come un evento, dal punto di vista
paleontologico, un evento che nella linea del darwinismo
puro viene visto come evento fortuito, del tutto casuale.
L’uomo si troverebbe sulla terra per un caso. Tuttavia,
questa ipotesi solleva interrogativi proprio dal punto di
vista paleontologico. Ha osservato Jean Piveteau: “se
non si può affermare che l’evento uomo fosse inevitabile
esso è strettamente legato al movimento evolutivo, non
si può dire che questo movimento sia la causa dell’uomo, ma questo appare proprio come la sua conseguenza
naturale”.
In altri termini tutto si svolge come se l’evento uomo
rappresenti una direzione privilegiata, un punto di arrivo
dell’evoluzione. Teilhard de Chardin parlava di freccia
dell’evoluzione umana, rappresentata dall’evoluzione
umana. Ma allora è un evento del tutto casuale, per cui
ci troviamo di fronte a una finalità apparente, oppure c’è
un disegno superiore, comunque possa essersi realizzato,
anche per cause che a noi appaiono accidentali? È
il problema del finalismo, un problema che sorge
dall’osservazione empirica, ma non può essere affrontato
solo dalla osservazione naturalistica (non riguarda solo
la relazione tra singole strutture biologiche e funzione),
perché investe il finalismo del cosmo e quindi assume
la connotazione di un problema filosofico. Ma non mi
sembra questa la sede per affrontarlo. Sarebbe comunque
riduttivo affrontarlo solamente nella prospettiva
empirica.
Prima e dopo la comparsa dell’uomo
Nell’ominizzazione possiamo riconoscere una fase
preparatoria e una fase che è seguita alla comparsa
dell’uomo con i successivi stadi morfologici. La fase
preparatoria è rappresentata soprattutto dagli Australopiteci
e da Ominoidei più antichi, come Orrorin tugenensis di 6
milioni di anni fa e, forse, Sahelanthropus chadensis del
Chad trovati di recente, sui quali ritornerò in seguito.
I fossili della fase preparatoria sono stati ritrovati in
depositi dell’Africa, particolarmente lungo il Rift
africano, a est ma anche a ovest, e nell’Africa del sud.
Ricordo gli Australopiteci arcaici, come la famosa Lucy
dell’Afar, in Etiopia, trovata nel 1974. I reperti risalgono
a tre milioni e mezzo di anni fa; altri della stessa epoca
sono stati segnalati nella Tanzania, nell’Africa del Sud
e nel Chad. Tra gli Australopiteci vi sono anche forme
gracili, specialmente nel Sud Africa (Australopiteco
africano), e forme robuste sia nel Sud Africa (i
Parantropi) che nell’Africa orientale (Australopiteco
etiopico e Boisei) vissuti fra 2,5 e 2 milioni di anni
fa. La fase preparatoria comprende anche reperti più
antichi di incerta classificazione, come Ardipithecus
ramidus dell’Etiopia che risale a 4,4 milioni di anni fa,
l‘Australopithecus anamensis (o Praeanthropus) del
Kenya di 3,9 milioni di anni fa, e il Kenyanthropus di
3,2 milioni di anni fa. La fase preparatoria si è rivelata
ramificata e complessa.
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Alle forme australopitecine seguono le note fasi
denominate Homo habilis, Homo erectus (nella sua
forma africana più antica è chiamato ergaster) e poi
Homo sapiens arcaico, a cui possono riferirsi anche i
Neandertaliani, e Homo sapiens sapiens. Quest’ultimo è
presente in tutti i continenti intorno a trentacinque mila
anni, ma le sue radici sono molto più antiche e si trovano
nel continente africano.
Il genere Homo
Come noto, la denominazione di Homo habilis è dovuta
al fatto che presenta una sviluppo cerebrale decisamente
maggiore (circa il 40% in più rispetto agli Australopiteci)
e che associati ai suoi reperti sono stati trovati ciottoli
scheggiati intenzionalmente, le industrie dei chopper e
chopping tools o industria olduvana, dalla località Olduvai,
in Tanzania, dove sono avvenuti i primi ritrovamenti. La
datazione lo colloca a circa 2 milioni di anni fa. Anche
l’organizzazione del territorio è documentata da cerchi
di pietre che costituivano le basi di capanne. La capacità
cranica delle forme di habilis di Olduvai si aggirava sui
650-700 cc, ma quella di Homo habilis trovato a Koobi
Fora e risalente a due milioni di anni fa era maggiore:
circa 800 cc. (Homo rudolfensis). Segue la fase di Homo
erectus, i cui reperti più antichi rinvenuti in Africa a
Koobi Fora e a Nariokotome nel Kenya vengono anche
denominati Homo ergaster. Essi risalgono a 1,6 milioni
di anni fa, hanno una capacità cranica maggiore (intorno
a 1000 cc) e per certi aspetti sono più robusti di Homo
habilis. Dall’Africa l’uomo si è irradiato in Europa e in
Asia in epoca molto antica. Si ritrovano infatti reperti
umani di oltre un milione di anni fa nella Cina, a Giava
e in Georgia, a Dmanisi, intorno a 1,8 milioni di anni fa,
come ricorderò fra breve.
Successivamente, intorno a 100.000 anni fa, in Europa,
incominciano le forme preneandertaliane. Tra 80.000
e 37.000 anni fa i Neandertaliani sono largamente
presenti nelle diverse regioni e si spingono anche nel
Vicino Oriente. Li ritroviamo in Palestina, Irak e anche
nell’Uzbekistan. I Neandertaliani sono sostituiti dalle
forme moderne di Homo sapiens sapiens che, provenienti
dal Vicino Oriente, dove sono presenti 90.000 anni fa in
Israele, si portano nelle regioni europee intorno a 4000035000 anni fa e per qualche tempo, circa tre mila anni,
coesistono in regioni vicine con gli ultimi Neandertaliani.
In quell’epoca l’uomo si spinse anche nel continente
australiano e americano.
Le recenti scoperte
Ho così soltanto ricordato le fasi della ominizzazione. Ma
in questo momento vorrei accennare ad alcuni problemi
che si affacciano nella paleoantropologia a seguito delle
scoperte degli ultimi anni. Può sembrare un paradosso,
ma più si conosce e più aumentano i problemi e le
interpretazioni.
a) Orrorin tugenensis
Nel febbraio del 2001 nel Kenya sono stati segnalati
reperti postcraniali riferiti a Orrorin tugenensis, il
“fossile del millennio”, che risale a 6 milioni di anni fa.
fig. 1: Ipotesi di separazione delle linee di ominidi del
terziario in relazione alla locomozione, secondo B. Senut
(da Aux Origines de l’Humanité) sous la direction de Y.
Coppens e P. Pick, Fayard, Paris, 2001.
Praeanthropus corrisponde all’Australopiteco panamense.
Del cranio c’è poco, ma sono molto interessanti i resti
postcraniali presenti che denotano una chiara tendenza
al bipedismo, per cui potrebbe essere messo sulla linea
che ha portato agli Ominidi, ammesso che già non lo
fosse. In particolare, secondo alcuni Autori francesi
(Senut, Pickford), esso potrebbe essere visto nella linea
evolutiva che ha portato al Preantropo (o Australopiteco
anamense) del Kenya, di 3,9 milioni di anni fa, al
quale si potrebbe collegare, in seguito, Homo habilis.
Questa linea, caratterizzata dal bipedismo, sarebbe da
distinguersi da un’altra, caratterizzata sia dal bipedismo
che dall’arrampicamento, rappresentata dall’Ardipiteco,
dall’Afarense e dalle altre australopitecine.
Questa seconda interpretazione, secondo la quale gli
Australopiteci e anche Homo habilis vengono fatti
derivare da un unico ceppo (Ardipiteco) con diverse
ramificazioni, era ed è ancora la più comune.
b) Il giacimento di Dmanisi
In questi anni ha fatto parlare di sé un deposito segnalato
in Georgia, Dmanisi, dove nel 1991, nel 1999 e anche
quest’anno con grande sorpresa dei paleoantropologi
sono stati segnalati reperti di estremo interesse. Non si
tratterebbe di forme preumane, ma umane, anche se non
molto cerebralizzate (la capacità cranica va dai seicento ai
settecento cc). Il loro grande interesse è dovuto all’antichità,
perché risalgono circa a un milione e settecentocinquanta
mila anni fa. Sono quindi più recenti di Homo habilis e
più antichi di Homo ergaster che visse un milione seicento
mila anni fa. Dunque l’uomo, se di uomo si tratta, si
è portato molto presto dall’Africa fino alle regioni del
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Ominizzazione, cultura, umanizzazione
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Caucaso nella Georgia. I reperti sono costituiti da alcuni
crani di varie dimensioni e da una mandibola tipicamente
umana. Sono stati anche trovate industrie litiche. La loro
interpretazione è ancora aperta. Questi fossili sembrano
intermedi sia morfologicamente sia cronologicamente fra
l’Homo habilis e Homo ergaster dell’Africa.
Il giacimento di Dmanisi si presenta come un punto
di arrivo di una ondata migratoria dall’Africa e poi di
irradiazione in Europa e in Asia.
c) I fossili di Atapuerca e di Ceprano
Tra le scoperte importanti degli ultimi anni vanno
ricordati i fossili di Atapuerca e di Ceprano. Quelli di
Atapuerca risalgono a ottocento mila anni fa. Essi hanno
caratteristiche di Homo erectus, ma per certi aspetti
sembrano annunciare l’uomo modemo e sono stati
riferiti a Homo antecessor, (un discendente o un ramo
dell’Homo ergaster (o erectus) africano) a cui vengono
ricollegati gli erectus europei e anche le forme più
moderne, sviluppatesi dal ceppo africano e migrate poi
negli altri continenti. Voglio ricordare anche l’uomo di
Ceprano, nel Lazio, che risale a ottocento mila anni fa ed
è riferito a Homo erectus.
d) Il reperto del Chad
Infine soltanto un cenno al ritrovamento segnalato
all’inizio dell’estate 2002 nel Chad e risalente a 6-7
milioni di anni fa: il cranio trovato a Toumai (“speranza
di vita” significa il nome nella lingua locale), denominato
Sahelanthropus chadensis, la cui interpretazione è molto
discussa a motivo di qualche carattere antropoideo della
dentatura (canini sviluppati) accanto ad altri che lo
avvicinerebbero agli Ominidi (faccia alquanto appiattita,
forma dei premolari). Dipende molto dalla diagnosi
sessuale: se fosse femminile dovrebbe avvicinarsi di più
alle Antropomorfe, se fosse maschile potrebbe avvicinarsi
agli Ominidi. Mancando però elementi postcraniali per
avere qualche indicazione sulla locomozione, diventa
difficile la diagnosi di Ominide. Potrebbe essere collocato
vicino alla divergenza fra Ominidi e Panidi.
e) Ipotesi di ricostruzione filogenetica degli Ominidi
In una ipotesi di ricostruzione filogenetica degli ominidi
partendo dalla impostazione di quegli studiosi francesi
(Senut e altri) che riconoscono due grandi linee nella
fase preparatoria della comparsa delle fasi del genere
Homo l’uomo moderno può essere ricollegato all’Homo
antecessor, a sua volta formatosi sul ceppo di Homo
erectus africano.
La cultura: progetto e simbolo
I brevi riferimenti che ho fatto evidenziano la complessità
dei problemi che si pongono anche con le nuove scoperte.
Rimane la domanda fondamentale: quando c’è l’uomo e
in base a che cosa possiamo riconoscerlo. In ordine a ciò
si può fare riferimento a un criterio anatomico, come lo
sviluppo cerebrale. La forma umana richiede uno sviluppo
cerebrale adeguato. In termini quantitativi si è cercato di
identificarlo: alcuni autori parlano di Rubicone cerebrale:
800 cc secondo Vallois, 750 cc secondo Keith.
fig. 02: Ipotesi di ricostruzione della filogenesi degli
Ominidi.
Piveteau fa notare che il criterio anatomico è un po’
impreciso, si potrebbe fare riferimento soprattutto ai
segni di un comportamento che sia proprio dell’uomo,
cioè alla cultura. Ma che cosa è da intendersi con cultura?
Ci sono più di duecento definizioni di cultura. Secondo
alcuni cultura è tutto quello che non è geneticamente
determinato, è tutto quello che è appreso o per imitazione
o per addestramento o per associazione casuale di azioni
che si rivelano favorevoli. In questa accezione di cultura
non si coglie quello che è specifico dell’uomo, cioè la
capacità di creare cultura.
Dal punto di vista fenomenologico potremmo fare
riferimento a due aspetti che secondo me sono essenziali
della cultura: la progettualità che si manifesta nella
tecnologia, nell’impiego di una tecnica pensata e attuata
per determinati obiettivi, e la simbolizzazione.
Possiamo riconoscere la progettualità nella fabbricazione
degli strumenti. Quando uno strumento viene fabbricato
e non è soltanto utilizzato, come una pietra per qualche
attività, è ottenuto cioè con gesti o operazioni elementari
volte a un fine, quando viene conservato (non c’è un usa
e getta), quando viene migliorato nel tempo possiamo
parlare di attitudine progettuale. Nella fabbricazione dello
strumento si può riconoscere l’idea del tempo, perché il
suo impiego è ritardato rispetto a quello all’operazione
tecnica della scheggiatura. La progettualità si esprime
inoltre nella fabbricazione di strumenti per farne altri.
La tecnologia progettuale si può riconoscere, oltre che nella
fabbricazione di utensili, nella organizzazione del territorio
(per esempio nella costruzione di ripari, di capanne, fino
alle case del neolitico o ai grattacieli), come pure nella
preparazione e nella manipolazione del cibo.
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fig. 03: Ipotesi di rappresentazione grafica dell’evoluzione
della cultura. Gli anni sono indicati in scala logaritmica,
la pendenza dei segmenti di retta è considerata costante.
La quantificazione delle innovazioni culturali è fatta assegnando un punteggio diverso sulla base della loro importanza.
Il simbolismo è l’altra espressione della cultura, inteso
come l’attitudine di attribuire un significato ad un gesto,
a un suono o a un comportamento.
Faccio notare che il simbolo è diverso dal segnale. Il
segnale è qualche cosa che si lega o al DNA oppure
all’imprinting. Nel simbolo il significato è creato da
chi lo realizza. Certamente possiamo riconoscere la
simbolizzazione nelle manifestazioni dell’arte (una
pittura, una scultura) e della religione (ad esempio nella
sepoltura).
Ovviamente il linguaggio umano è simbolico, ma si può
riconoscere un’attitudine simbolica anche nei prodotti
della tecnologia, anche in uno strumento o in riparo.
Questi artefatti hanno un significato nel contesto di vita,
nell’immaginario dell’uomo che li crea.
Tenendo presente questo, anche le più antiche industrie
rappresentate dai choppers e dai chopping tools e poi
dai bifacciali assumono un significato e quindi un valore
simbolico. Alcuni bifacciali assumono un ulteriore
valore simbolico, come quelli che hanno al centro
un fossile (lamellibranco, riccio di mare), che è stato
preservato dal suo artefice forse per un senso estetico.
Inoltre molti bifacciali mostrano un’evidente simmetria.
La lavorazione bifacciale e il ritocco non rispondono alla
funzionalità, ma piuttosto a canoni di bellezza.
Altri manufatti su scheggia dimostrano una particolare
tecnica di lavorazione (chiamata Levallois), in cui la
scheggia ricavata da un nucleo è stata preparata nella sua
forma prima che venga distaccata dal nucleo.
Il simbolismo espresso dai prodotti della tecnologia,
potrebbe chiamarsi funzionale, perché legato a
determinate funzioni.
Altra forma di simbolismo è il linguaggio, ma il linguaggio non fossilizza. È ancora argomento di ricerca stabili-
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re quando l’uomo preistorico ha incominciato a parlare.
Si è cercato di ricavare dalla conformazione della base
cranica qualche informazione sulla discesa della laringe,
e quindi sull’ampliamento della cavità faringea, necessaria per la formazione dei suoni. Ciò sarebbe già riconoscibile con Homo erectus di 1,6 milioni di anni fa. Si
deve ricordare anche che nell’endocranio di Homo habilis sono stati identificate le impronte relative alle aree
di Broca e di Wernicke deputate al linguaggio articolato
che potrebbe ritenersi antico quando l’uomo. A sostegno
di questa opinione può esserci anche lo stesso sviluppo
tecnologico (reso possibile dalla comunicazione linguistica), come pure il destrismo che si può riconoscere nei
prodotti delle industrie litiche di 1,5 milioni di anni fa di
Melka Kunturè. L’uomo sarebbe stato simbolico e loquens
fin dalle origini. Ma non tutti sono d’accordo su questo. Il
linguaggio è espressione di un simbolismo sociale.
Espressioni di simbolismo spirituale possono riconoscersi
nelle sepolture (la più antica è stata ritrovata a Qafzeh in
Palestina e risale a 90.000 anni fa) e nell’arte parietale
e mobiliare del Paleolitico superiore. Queste espressioni
simboliche possono riferirsi a un simbolismo che
chiamerei spirituale, perché totalmente svincolato da
bisogni di ordine materiale.
Il simbolismo nasce con l’uomo che è symbolicus anche
quando è tecnologicus, anche quando è faber, non soltanto
quando seppellisce o quando dipinge le pareti.
***
Ora vorrei proporre una ipotesi di rappresentazione
grafica dello sviluppo delle culture. Anziché con una
curva proporrei che le espressioni culturali possano
essere rappresentate da segmenti di retta con distanza
via via crescente dall’asse delle ascisse, scalati nel
tempo. La pendenza è la stessa nelle varie epoche in
cui sono individuate le innovazioni più importanti. La
medesima pendenza nei diversi periodi della preistoria
corrisponde all’attitudine alla cultura, espressa dalla
progettualità e dalla simbolizzazione, antica quanto
l’uomo, quale che sia il grado di sviluppo delle sue
manifestazioni per le quali comunque si registrano delle
discontinuità o innovazioni, rappresentate dalla distanza
dei vari segmenti dall’asse delle ascisse.
Adattamento e trascendimento nella cultura
La cultura rappresenta una grande novità nella storia
evolutiva. Essa esprime una nuova capacità di adattamento
all’ambiente e un trascendimento.
La cultura rappresenta un nuovo sistema di adattamento.
Come osserva Dobzhansky, mentre gli animali si
adattano, per così dire, cambiando i geni, cioè traendo
dal loro patrimonio genetico quelli che sono idonei per
rispondere alle sfide dell’ambiente, l’uomo modifica
l’ambiente o se stesso per adattarsi, sfruttando le sue
capacità culturali mediante la tecnologia e i sistemi di
comunicazione simbolica che pure possono rientrare
nella strategia adattativa.
Questo adattamento è chiamato culturale o bioculturale,
perché si innesta sull’adattamento biologico, anche se non
tutte le manife-stazioni della cultura hanno un significato
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Ominizzazione, cultura, umanizzazione
adattativo. Questa modalità adattativa rappresenta
qualcosa di assolutamente nuovo. L’evoluzio-ne,
attraverso la selezione naturale, ha prodotto un essere
che è in grado di contrastare la selezione naturale. Dal
punto di vista naturali-stico è un paradosso. L’uomo,
mediante la cultura, è capace di frenare, entro certi
limiti naturalmente, la selezione naturale. In questa
prospet-tiva ritengo che proprio l’adattamento culturale
abbia rappresentato un meccanismo che si è opposto
alla speciazione, in quanto ha favorito la comunicazione
e l’adattamento ai diversi ambienti, opponendosi così
all’isolamento necessario nei processi di speciazione.
Di conseguenza c’è da chiedersi se nella storia
evolutiva dell’uomo si debbano riconoscere specie
diverse susseguitesi nel tempo o si possa pensare che
nel processo della ominizzazione si sia mantenuta una
medesima specie, almeno a partire da Homo erectus e
si debba quindi parlare più di stadi morfologici che di
specie, sia pure in senso paleontologico, nelle diverse
fasi della evoluzione umana. È il pensiero suggerito da
alcuni Autori (Ferembach, Jelinek, Coppens ecc.) che
personalmente condivido.
La cultura, nicchia ecologica dell’uomo
Il rapporto dell’uomo con l’ambiente, mediato dalla
cultura, ètalmente stretto che la cultura stessa rappresenta
l’ambiente dell’uomo, anzi la sua nicchia ecologica.
Come noto, la nicchia ecologica comprende sia l ‘habitat
sia l’adattamento strutturale e funzionale della specie
all’habitat. Ma se la cultura interviene in modo, se non
decisivo, certamente forte e signi-ficativo nel rapporto
con l’ambiente e finisce per caratterizzarne l’adattamento
anche funzionale, la cultura stessa potrebbe essere vista
emblematicamente come la nicchia ecologica dell’uomo.
Ma la novità della cultura non può essere vista solo nel
nuovo rapporto con l’ambiente.
fig. 04: Rappresentazione schematica della nicchia
ecologica (FACCHINI, 1988).
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La cultura, come trascendimento evolutivo
Con l’uomo si attua un trascendimento evolutivo, nel
senso che la cultura rappresenta una dimensione che non
è più di ordine biologico, ma piuttosto extrabiologico.
Infatti essa non segue le proprietà e le leggi della
biologia. Questo concetto lo prendo da Dobzhansky,
il quale, sulla linea di Teilhard de Chardin, riconosce
due trascendimenti nella storia della vita. Un primo
trascendimento si è avuto nel passag-gio dalla non vita
alla vita. Non sono state cancellate le proprietà della
chimica e della fisica, ma gli esseri viventi seguono
anche altre leggi. L’evoluzione cosmica trascese se
stessa dando origine alle prime forme di vita. Un
secondo trascendimento si è avuto con la comparsa
dell’uomo. Non vengono cancellate le leggi biologiche,
ma le società umane non seguono queste leggi.
L’alba dell’uomo
L’emergenza dell’uomo rimane il nodo direi fondamentale
nella paleoantropologia. Quando e come c’è stato il
punto critico in cui si è accesa nell’Ominide la scintilla
dell’intelligenza, resta difficile da conoscere. Forse non
lo sapremo mai. Possiamo vederlo già nella fase di Homo
habilis, ma non tutti sono d’accordo. Qualche Autore
colloca Homo habilis fra le forme australopitecine.
Ma, a prescindere dal livello in cui viene riconosciuto
l’uomo, si dovrà dire, in generale, che il suo emergere è
caratterizzato da una certa continuità biologica e da una
discontinuità che si può riconoscere nella cultura.
La continuità biologica si può riconoscere anche
nella novità evolutiva, rappresentata soprattutto dallo
sviluppo cerebrale. Una certa discontinuità è implicita
in ogni nuova specie che si forma. C’è chi sostiene una
discontinuità biologica nella comparsa dell’uomo per
qualche mutazione genetica di una certa entità. Ma chi
può escludere che quello che appare come discontinuità
possa essere colmato da nuove scoperte? In ogni caso si
può osservare che nella ipotesi di una evoluzione per salti
la discontinuità acquista maggiore forza.
La cultura mi sembra invece l’elemento assolutamente
nuovo, perché non rientra nella sfera biologica, quindi
esprime una reale discontinuità. Il comportamento
progettuale e simbolico rivelatore dello psichismo riflesso
segna un’assoluta novità. Agli inizi non è facilmente
individuabile, ma col tempo si fa evidente e riconoscibile.
È una discontinuità che sul piano filosofico può essere
vista come ontologica. La cultura rappresenta come un
prolungamento dell’evoluzione biologica, ma su un altro
piano, e diventa, per così dire, un nuovo fattore nella
evoluzione umana, nel senso che la favorisce e l’accelera
nell’adattamento all’ambiente. Nello stesso rende sempre
più adatto all’uomo l’ambiente stesso.
Umanizzazione
La cultura realizza un processo di umanizzazione, diventa segno e fattore di umanizzazione, in quanto espressione della coscienza dell’uomo. Un elemento nuovo si
introduce con l’uomo nella storia della vita: la coscienza.
È la vita che si fa cosciente. E nella coscienza dell’uomo
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è un po’ tutta la realtà che acquista coscienza. L’uomo ha
un significato in se stesso e dà significato alle cose, alla
natura che lo circonda.
L’umanizzazione si aggiunge all’ominizzazione e
interagisce con essa. Questa distinzione tra ominizzazione
e umanizzazione, suggerita dal Martelet, mi trova molto
d’accordo. Egli vede nella ominizzazione ciò che sta a monte
della comparsa dell’uomo, e nella umanizzazione ciò che sta
a valle ed esercita un influsso anche sullo sviluppo biologico
dell’uomo nelle fasi che seguono alla sua comparsa sulla
terra, fino alla forma sapiens sapiens. Ma l’umanizzazione
continua ancora. Essa è caratterizzata da una crescita della
cultura intesa nelle espressioni della tecnica progettuale e
della simbolizzazione. L’uomo, attraverso la tecnologia e lo
sviluppo dei sistemi simbolici di comunicazione, realizza
un ambiente di vita sempre più segnato dalla sua presenza,
perché mediante la cultura riesce a padroneggiare in certa
misura l’ambiente1.
È così che dall’epoca dei cacciatori e raccoglitori si passa a quella degli agricoltori e degli allevatori per giungere all’epoca moderna e ai giorni nostri. Pur con tante
contraddizioni questa storia dell’uomo è segnata da un
progresso della cultura nel suo insieme, da una crescita di
umanizzazione, cioè della capacità di influire sulla natura
per renderla più idonea allo sviluppo dell’umanità.
Certamente non si possono ignorare i tanti problemi
riguardanti il rapporto dell’uomo con l’ambiente,
le potenzialità di distruggere la natura attraverso
una utilizzazione irrazionale della tecnica, oltre che
le contraddizioni e i conflitti che segnano la storia
dell’umanità e nell’attuale momento possono assumere
una dimensione mondiale. Non può essere taciuto il
rischio della disumanizzazione, rappresentato dalla guerra
mondiale, dal terrorismo da certe applicazioni delle
biotecnologie. Ha osservato Edgar Morin: “l’uomo troppo
sapiens diventa ipso facto demens”.
Scenari per il futuro
Nuovi scenari sembrano aprirsi con lo sviluppo della
biomeccanica e dell’ingegneria genetica. Mi riferisco non
tanto alle applicazioni di sensori o sostituzioni di organi
per la locomozione, ma alla eventualità di sostituzioni
di parti strettamente connesse con la personalità, come
le aree cerebrali. C’è chi parla di androidi, realizzati in
una sorta di ibridazione tra cervello umano e calcolatori
ottenuta mediante la sostituzione di parti. C’è chi parla
di ibridi uomo-macchina realizzati attraverso tecniche
di ingegneria genetica e di cibemetica. Alcuni parlano di
meta-antropi. Non credo che questo sia possibile. Non ci
troveremmo di fronte a un essere umano. In ogni caso il
meta-antropo avrebbe un cuore capace di amare?
In una prospettiva, che ci sembra più probabile, il futuro
dell’uomo può essere visto, secondo Morin, come
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fig. 05: Schema dell’ominizzazione e dell’umanizzazione.
una metamorfosi. L’ampiezza e l’accelerazione delle
trasformazioni presagiscono, secondo l’Autore, a una
mutazione molto maggiore di quella che si è avuta nel
passaggio dalle società arcaiche di cacciatori e raccoglitori
alle società storiche.
La globalizzazione può essere vista come una grande
sfida non solo per l’economia ma per la mentalità, per
la cultura. Siamo alla vigilia di una grande svolta della
storia dell’umanità, alle soglie di un’era planetaria. La
società globale sembra annunciare già la società del
futuro che non riusciamo a immaginare in tutte le sue
espressioni. Questa prospettiva richiama il pensiero di
Teilhard de Chardin sul futuro dell’uomo, quando parla
di planetizzazione, di socializzazione crescente, di un
superorganismo a cui tenderebbe l’umanità.
È una prospettiva carica di fascino e anche di incognite,
ma che non deve fare paura se sostenuta da una crescita
di coscienza e responsabilità verso la persona umana e
verso tutte le persone, una crescita di coscienza che potremmo definire di tipo planetario, capace di riconoscere
e rispettare ogni uomo della terra.
Note
*. Lezione magistrale tenuta dal Prof. Fiorenzo Facchini il 30 ottobre
2002 presso l’Università degli studi di Bologna
Nella sua visita al Parlamento italiano compiuta il 14 novembre 2002
Giovanni Paolo II ha affermato: “È mediante la cultura che l’uomo
diventa più uomo e accede più intensamente all’essere che gli è
proprio”.
1
Per approfondimenti si rimanda al volume “Origini dell’uomo ed evoluzione culturale. Profili scientifici, filosofici, religiosi”, Ed. Jaca Book,
Milano, 2002.
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