La teoria del piacere e l’infinito 1.La felicità La felicità, secondo Leopardi, coincide con il piacere che è essenzialmente un’esperienza materiale più che spirituale («e più material che spirituale», r. 3), un pensiero che risulta in linea con la filosofia sensista del Sei-Settecento (e dell’Illuminismo), secondo la quale all’origine di tutto ci sono i sensi e le sensazioni, per cui anche la felicità non sarebbe altro che una sensazione seppure «trasformata». Pertanto, a differenza della filosofia romantica, tendenzialmente idealista, per Leopardi la felicità non è ideale o spirituale, ma è identificata con il piacere, sensazione connessa alla ricchezza e alla vitalità delle passioni. L’anima umana aspira per sua natura alla felicità che coincide con il piacere; tuttavia tale desiderio non ha limiti perché è intrinseco nella natura stessa dell’essere vivente, ed è destinato a non essere soddisfatto nel possesso materiale di questo o quell’oggetto o nella conquista di questo o quell’affetto; è una tendenza senza limiti il cui unico limite è la fine della vita. 2.Piacere reale e piacere astratto La felicità coincide con il piacere astratto, cioè assoluto e illimitato. La realtà offre però all’uomo solo la possibilità di un piacere reale, dunque limitato e circoscritto. Perché? Perché Il desiderio materiale di un oggetto non è il desiderio dell’oggetto in sé o di un oggetto particolare, bensì il desiderio di provare un piacere astratto e illimitato, non quel tal piacere legato a quel tal oggetto. La dimostrazione è data dal fatto che, una volta ottenuto l’oggetto desiderato – in questo caso il cavallo -, il piacere legato al possesso dell’oggetto in sé è limitato, perché non appaga in maniera totale il desiderio vero, che è quello di un piacere illimitato. Anche se il piacere di possedere il cavallo fosse immenso (pago per estensione), non sarebbe comunque durevole nel tempo, perché avrebbe fine con il termine dell’esistenza: in natura, infatti, niente è eterno. E anche se l’oggetto che ha generato quel tal piacere una volta, cioè quel piacere limitato, reale, resti sempre con noi, in nostro possesso, tuttavia l’abitudine genera noia e la noia non solo spegne il piacere, ma è la principale fonte di dolore degli uomini. l piacere reale è dunque per forza di cose limitato (es. del cavallo) e non è pertanto un piacere vero, perché l’uomo, non appena lo possiede, ne avverte subito i limiti e l’insufficienza rispetto al desiderio del piacere. Ne consegue che il piacere non esiste, o meglio esiste solo in quanto desiderio del piacere, speranza di piacere, attesa di piacere. 3.L’immaginazione come unica possibilità di sperimentare la felicità, cioè il piacere assoluto e illimitato. Solo grazie alla facoltà immaginativa, che consente alla mente umana di creare immagini di cose che non sono reali, è possibile provare quel piacere infinito che la realtà gli nega; l’uomo può così immaginare tale piacere e dunque percepirlo nelle sue caratteristiche distintive, cioè infinito per numero, durata e misura (estensione). L’immaginazione è la prima fonte della felicità perché è l’unica facoltà che ci consente di provare quel piacere, infinito in numero, durata ed estensione, che la realtà ci nega. Cosa vuol dire immaginare per Leopardi e in che senso l’immaginazione è l’unica possibilità che abbiamo di essere veramente felici? L’immaginazione è l’unica risposta alla nostra ansia di infinito, alla nostra tensione verso l’infinito (la felicità è il desiderio di un piacere infinito e assoluto). Il desiderio o istinto che spinge ogni uomo a cercare il piacere è infinito, nel senso che non si esaurisce nel momento in cui trova una soddisfazione concreta, ma cerca sempre nuovi oggetti. È questo il motivo per cui non ci piacciono i limiti e desideriamo maggiormente ciò che ci appare lontano e indefinito. La particolare natura del desiderio del piacere spiega perché preferiamo quando leggiamo una poesia, il «bello aereo», cioè la bellezza vaga e indefinita, e le idee infinite. Il limite, però, può essere a sua volta la «sponda» dell’immaginazione e dunque paradossalmente fonte di piacere: la presenza di un ostacolo fisico, di un albero, di una siepe, di una torre, lascia libero spazio all’immaginazione e alla capacità di fantasticare. Allo spazio reale si sostituisce così uno spazio immaginario nel quale l’anima può vagare liberamente e il desiderio del piacere può crearsi sempre nuovi oggetti fittizi.