La musica filosofica nei Pezzi sacri

Relazioni di:
Claudio Stucchi: Docente, Maestro di cappella della Chiesa di S. Pietro di Cassano
d’Adda, Vice Presidente dell’Associazione Italiana Santa Cecilia.
Valentino Donella: Compositore, Maestro di cappella della Basilica di S. Maria Maggiore di Bergamo, Saggista, Direttore del Bollettino Ceciliano di Roma.
Marco Capra: Docente dell’Università degli studi di Parma per gli insegnamenti di
Storia della musica moderna e contemporanea, Storia del teatro musicale, Storia e sistemi della comunicazione musicale. Direttore del Centro Internazionale di Ricerca
sui Periodici Musicali. Responsabile scientifico dell’Istituzione Casa della Musica del
Comune di Parma.
Alessandra Toscani, “...and Arts”, progettazione e produzione di eventi d’arte.
Associazione Italiana
Santa Cecilia
COMUNE DI BUSSETO
Dino Rizzo, Docente, dal 1977 Organista della Collegiata di San Bartolomeo apostolo di Busseto. Premio Internazionale di musicologia “G. Verdi” 1993, Rotary Club
di Parma - Istituto nazionale di Studi verdiani. Autore del volume Verdi filarmonico e
Maestro dei filarmonici bussetani. Autore di numerose edizioni critiche, fra cui i due volumi delle musiche giovanili di Verdi Sacred Music e Secular Music per The Works of
Giuseppe Verdi editi da The University of Chicago Press e Casa Ricordi. Membro del
gruppo di lavoro della The Cambridge Verdi Encyclopedia edita dalla Cambridge University Press.
Comitato promotore per
le Celebrazioni verdiane
Legge n. 206 del
12 novembre 2012
Euro 10,00
Atti del Convegno “Verdi, la Musica e il Sacro”
ATTI DEL CONVEGNO
“VERDI, LA MUSICA E IL SACRO”
RONCOLE VERDI - BUSSETO
27-29 SETTEMBRE 2013
A cura di Dino Rizzo
Mattioli 1885
LA «MUSICA FILOSOFICA» NEI TRE PEZZI SACRI
Dino Rizzo
Per alcuni lettori il titolo potrebbe essere astruso e contenere un errore. La sua
corretta comprensione, quindi, è necessaria per avvicinarsi alle ultime composizioni di Verdi in modo inconsueto.
Per individuare quando il termine «Musica filosofica», oppure «gusto Filosofico», entrò nella vita di Giuseppe Verdi dobbiamo tornare nel luglio 1834. In
occasione della nomina del successore di Ferdinando Provesi al posto di maestro
di cappella e organista della Collegiata di San Bartolomeo di Busseto, Alessandro Tebaldi, direttore musicale del Comune di Guastalla, inviò al parroco bussetano un certificato a favore del suo concittadino e organista Giovanni Ferrari.
Conoscendo quanto la Chiesa attendesse dai musicisti che prestavano servizio
nelle liturgie, al fine di estromettere dai riti la musica d’ispirazione teatrale1,
Tebaldi attestò che nelle composizioni vocali e strumentali Ferrari «ha sempre
mostrato un gusto animato e Filosofico»2, ossia la capacità di servirsi della musica per ampliare e trasportare ai fedeli il significato dei testi liturgici. Espressione
Anche la Collegiata di San Bartolomeo di Busseto fu investita dal dibattito sulla musica sacra.
Una testimonianza sono le parole che il vescovo Luigi Sanvitale scrisse al parroco della Collegiata
della vicina Monticelli d’Ongina il 9 settembre 1830. Dopo aver conferito la cresima, tornato a
Fidenza, vietò l’esecuzione della musica che fu eseguita con l’organo perché «teatrale, lasciva, guerresca ed indecente», in AMOS AIMI, ANGELA LEANDRI, Giuseppe Verdi, il nipote dell’oste, Parma,
PPS editrice, 1998, pp. 184-187. Anche il successivo vescovo, Giovanni Neuschel, è fra i sostenitori del rinnovamento musicale. Il 14 febbraio 1839 scrisse al Presidente dell’Interno di Parma: «se
le musiche di Chiesa al dì d’oggi si sono trasformate in musiche teatrali col cambiar le parole profane in sacre, noi possiam riparare agli scandali col ristabilire nelle nostre Chiese il canto veramente
ecclesiastico, voglio dire, grave, modesto, religioso, e specialmente nelle Chiese cattedrali, e Collegiate, come quella di Busseto, viene prescritto il canto gregoriano», in GUSTAVO MARCHESI, Verdi,
merli e cucù. Cronache bussetane fra il 1819 e il 1839 ampliate su documenti ritrovati da Gaspare Nello
Vetro, Busseto, Biblioteca della Cassa di Risparmio di Parma e Monte di credito su pegno di Busseto, 1979 (Quaderno n. 1 di «Biblioteca 70»), p. 399, doc. 275. Un episodio che indica la volontà
del parroco Don Ballarini di escludere le musiche teatrali dalla principale chiesa di Busseto è raccontato dal filarmonico Giuseppe Demaldè al suo amico Martini di Fidenza, nella lettera del 13
marzo 1835. In occasione della festa di San Giuseppe il parroco ordinò «un infernale contrapponto» utilizzando i «danari provenienti da divote spontanee offerte per solennizarla con Musica
solenne», ivi, p. 198, doc. 133.
2
GUSTAVO MARCHESI, Verdi, merli e cucù, cit., p. 86, doc. 48.
1
94
1813-2013 Bicentenario della nascita
impiegata anche dai critici per indicare i compositori che con la musica avevano
un rapporto intellettuale e che nei loro lavori si sono avvalsi delle tradizioni antiche.
Per vedere il proprio nome abbinato al termine «Filosofico», Verdi dovette
attendere il debutto del Rigoletto. Sin dalla prima esecuzione (Venezia, 11 marzo
1851) la critica indicò Rigoletto come il melodramma con il quale Verdi si discostò «dal suo stile fino allora usato». Immediatamente il critico della «Gazzetta
Ufficiale di Venezia» identificò il nuovo linguaggio nell’uso accurato dell’orchestra dove «mirabile è il lavoro della istrumentazione; quell’orchestra ti parla, ti
piange, ti trasfonde la passione, il concetto nel cuore». Del medesimo parere è il
recensore della «Gazzetta Piemontese» (Torino, 18 febbraio 1852):
Questa recente opera del Verdi contrassegna una grande modificazione nell’indole estetica delle
composizioni del giovane e celebre artista. L’effetto de’ suoni, le masse armoniche che plasticamente allettavano l’udito, le formole diremmo di convenzione, lo strepitare degli strumenti
metallici, i transiti arditi dal sommesso al tempestoso, le frequenti sincopi, le corone, l’abuso de’
segni musicali, tutta insomma la suppellettile delle qualità distintive, non che dei difetti della
scuola di Verdi, ha in quest’opera del Rigoletto lasciato il posto alla composizione semplice,
schietta, allo studio della frase, al maggior riguardo per la parte vocale. Nell’opera Rigoletto, il
Verdi è certamente più filosofico compositore se si badi alla mirabile diligenza ed accuratezza
estetica nella interpretazione del dramma.
L’alto giudizio manifestato per Verdi, a distanza di un anno e in occasione
della messa in scena a Milano, provocò l’indispettito commento del giornalista de
«L’Italia Musicale» (Milano, 19 gennaio 1853), che precisò: «Nel Rigoletto il
maestro Verdi, adottò realmente come s’è detto e replicato con tanto scalpore, una
nuova maniera; ma, badiamo, una maniera nuova per lui, e non già nuova per
l’arte». Gli fece eco, in parte, il collega de «La Fama del 1853» (Milano, 20 gennaio 1853): «E’ una musica che tien tal fiata dello antico senza perdere la vigoria
del presente».
Dal Rigoletto in poi Verdi applicò costantemente la «Musica filosofica» ai suoi
melodrammi e alla Messa da Requiem. A distanza di quasi un anno dalla prima
esecuzione della Messa da Requiem, avvenuta il 22 maggio 1874 nella chiesa di
San Marco in Milano, Verdi stesso si raccomandò al mezzosoprano Waldmann
per il quale scrisse un nuovo brano sulle parole «Liber scriptus»: «voi sapete che
ho scritto un solo per voi. E’ facile facilissimo come nota e come musica, ma sapete che vi sono sempre delle intenzioni su cui bisogna pensare»3. Desiderio di queFra i brani formanti la Messa da Requiem, in questa sede desidero illustrare solo il significato che
ho attribuito all’Agnus Dei e alla ripetizione del Requiem iniziale nella parte conclusiva del Libera
me. Per approfondimenti cfr. DINO RIZZO, La Messa da Requiem e le «intenzioni su cui bisogna pensare», in «Messa da Requiem di Giuseppe Verdi», Piacenza, Teatro Municipale, Stagione Lirica e
Concertistica 2003/04, programma di sala. Pubblicato anche in «Giuseppe Verdi, Messa da
3
Atti del Convegno “Verdi, la Musica e il Sacro”
95
sta relazione è la comunicazione delle «intenzioni» di Verdi che credo aver colto
nei tre Pezzi sacri tramite l’individuazione della «Musica filosofica» utilizzata per
la loro composizione.
Ma i Pezzi sacri sono quattro o tre? Per la preparazione della prima esecuzione, avvenuta a Parigi il 7 aprile 1898, nel gennaio dello stesso anno Verdi scrisse
a Boito4:
Aspettavo risposta da Taffanel [il direttore d’orchestra] a una mia [...]. Bisognerebbe anche dirgli che i pezzi da eseguire non sarebbero più quattro, ma tre: Uno Stabat Mater coro a 4 voci e
grand’orchestra [...]. Una preghiera in Italiano sulle prime strofe dell’ultimo Canto del Paradiso di Dante a quattro voci bianche [...]. Un Te Deum a due cori e grande Orchestra [...].
Anche le prime esecuzioni italiane5 rispettarono l’indicazione del Maestro.
Quale significato dare a questa prescrizione e successione dei brani? Con
l’esclusione dell’Ave Maria su scala enigmatica, che Ricordi inserì nell’edizione a
stampa dei Pezzi Sacri6, Verdi evitò la formulazione di un concerto antologico dei
Requiem», Parma, Stagione Concertistica 2003/04 del Teatro Regio di Parma, programma di sala.
Nell’Agnus Dei il perfetto movimento parallelo in ottava dei solisti richiama alla mente il concetto
teologico della doppia natura di Cristo: quella divina affidata al registro acuto del soprano e quella umana affidata al registro mediano del contralto. La melodia, l’Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo, si sviluppa sullo sfondo del mistero della Santissima Trinità e si esprime nelle tre
sezioni del brano. Nella prima invocazione l’Agnello di Dio è messo in relazione all’eterno Padre,
la cui maestosa austerità è rappresentata dal coro e dall’orchestra che eseguono all’unisono la melodia dei solisti. Nella seconda, in Do minore - caratterizzata dalla figura “suspirans“ affidata al flauto e al clarinetto - seguita dalla serena risposta corale in Do maggiore, si avverte la sofferenza provata dal Figlio nella sua vita terrena e il suo ritorno al Padre. Nella terza invocazione il leggero etereo movimento dei tre flauti sovrapposti ai solisti ricorda lo Spirito Santo. La struttura del brano
richiama alla mente la disposizione delle immagini nelle tele raffiguranti la crocifissione di Gesù,
l’Agnello di Dio. Durante l’ascolto, il mio pensiero corre al dipinto del 1579 di Vincenzo Campi
collocato nell’abside dell’Oratorio della Santissima Trinità di Busseto dove Verdi e Margherita
Barezzi si unirono in matrimonio nel maggio 1836. La rielaborazione del Requiem iniziale nel Libera me, invece, mi rimanda al Libro dell’Apocalisse. La delicatezza della nuova versione a cappella e
in una tonalità più alta di un semitono rispetto alla precedente, richiama alla mente la frase del
Supremo Giudice, pronunciata dal suo trono nell’ora del giudizio universale, dopo la condanna dei
peccatori al fuoco eterno e la discesa dal cielo della nuova Gerusalemme: «Ecco, io faccio nuove
tutte le cose». L’angoscia iniziale è trasfigurata in un’estatica serenità perché nella nuova città «non
vi sarà più morte, né lutto, né grido, né pena esisterà più, perché il primo mondo è sparito».
4
Carteggio Verdi-Boito, a cura di MARIO MEDICI e MARCELLO CONATI, con la collaborazione di
MARISA CASATI, Parma, Istituto nazionale di Studi verdiani, 1978, vol. I, pp. 253-254.
5
Torino (1898), Milano (1899), Pesaro (1899) e Roma (1900).
6
L’Ave Maria su scala enigmatica venne scritta nel marzo 1889 in risposta ad una divertente scommessa sopra una scala ‘rebus’ pubblicata sulla «Gazzetta musicale» di Milano il 5 agosto 1888, come
sfida ai lettori. La prima versione venne eseguita in forma privata al Conservatorio di Parma nel
giugno 1895. All’insistenza di Ricordi, che voleva pubblicare il brano definito da Verdi «scherzo»
e «puro esercizio scolastico» (a Ricordi, 19 luglio 1895), il 1° giugno 1897 il Maestro rispose «La
96
1813-2013 Bicentenario della nascita
suoi ultimi brani religiosi. Sicuramente la successione non rispecchia l’ordine cronologico di stesura: lo Stabat Mater fu composto nel 1897, le Laudi alla Vergine
Maria vennero composte nel 1889 e il Te Deum nel 1895. Negli anni passati, alla
scelta operata da Verdi e alla disposizione dei tre brani, sono stati attribuiti due
significati. Il primo individua un significato “politico”, sul modello di quanto già
fatto da Verdi nel 1879-80 quando scrisse il Padre nostro per coro a cappella a cinque voci e l’Ave Maria per voce femminile e gruppo d’archi, nelle parafrasi in italiano che egli riteneva essere di Dante. Anche con i Pezzi Sacri, quindi, Verdi
volle ricordare agli italiani le radici della nostra identità culturale attraverso la
citazione d’importanti figure della storia italiana7. Mentre questa motivazione
calza perfettamente per Dante Alighieri - di cui mise in musica i primi versi del
Canto XXXIII del Paradiso nelle Laudi alla Vergine Maria - e per lo stile musicale utilizzato che si può definire “palestriniano”, la motivazione appare un poco
forzata per Jacopone da Todi cui è attribuita la scrittura dello Stabat Mater. Del
tutto estranea, invece, è per l’ignoto autore del Te Deum, che la leggenda attribuiva a sant’Ambrogio e che gli studiosi attuali assegnano a un vescovo serbo. Il
secondo significato è incentrato sulla ricerca dei contrasti sonori, linguistici e stilistici. Allo Stabat Mater, in latino, per coro e grande orchestra, segue un brano in
italiano, per sole quattro voci «bianche», o soliste femminili8, a cappella. Chiude
il Te Deum, ancora in latino, per due cori e grande orchestra. Due brani per corpose masse corali e orchestrali, con testi liturgici in latino, fanno da cornice a un
brano cameristico, vocale a cappella, in lingua italiana.
Pur accettando entrambe le motivazioni, le ritengo riduttive. Credo che le
motivazioni siano da individuare anche nella meditazione e adesione di Verdi ai
misteri sacri. Convinzione fondata, appunto, sulla ricerca e sull’analisi della
«Musica filosofica» che egli utilizzò per condividere con gli ascoltatori le sue
riflessioni. Attività che ha condotto a risultati diversi dalle opinioni maggiormente diffuse9. Ritengo che i tre brani costituiscano un’unica meditazione
sciarada? Non ci ho più pensato [...]. Ci guarderò; ma ohimé sempre con poca voglia di stamparla... sia pure senza nome». Ricordi fu talmente pressante che la «sciarada» venne perfezionata nell’estate 1897 e acclusa ai Pezzi sacri.
7
Cfr. PIERLUIGI PETROBELLI, Tre pezzi sacri, in «La civiltà musicale di Parma, spettacoli e concerti di introduzione al Festival Verdi», Parma, Fondazione Verdi Festival, 1989, pp. 139-142.
8
Mentre all’inizio della citata lettera del gennaio 1898, per le Laudi Verdi indicò «quattro voci
bianche», più avanti nella stessa scrisse «Per la preghiera bisognerebbero quattro Artiste soliste,
quantunque sia un piccolo pezzo senza soli», in Carteggio Verdi-Boito, cit., vol. I, p. 254.
9
Dei Pezzi sacri hanno scritto che sono «preghiere rigorosamente private, dialogo o supplica senza
intermediari, costruite su pre-testi dei quali vale soltanto la possibilità di fornire immagini verbali
da trasfigurare in immagini musicali» in cui «la sensazione complessiva è quella di un disperato e
disperante tentativo di comunicazione con una trascendenza alla quale profondamente si aspira, ma
della quale non è possibile alcuna certezza», in PIERLUIGI PETROBELLI, Tre pezzi sacri, cit., p. 142.
Atti del Convegno “Verdi, la Musica e il Sacro”
97
inframmezzata da due suppliche. Lo Stabat Mater è la contemplazione delle sofferenze che Maria patì durante la Passione e la crocefissione di suo figlio Gesù
Cristo, affinché Egli possa dimostrare all’umanità che la morte, inserita nell’uomo dal diavolo, è momentanea10. Segue la supplica collettiva di condivisione dei
loro dolori purché tornare ad essere immagine di Dio. Il testo dantesco delle
Laudi alla Vergine Maria è utilizzato da Verdi per aggiungere una supplica personale affinché si realizzi quanto cantato nello Stabat Mater. Nel Te Deum si compie la contemplazione della Trinità, si ringrazia Dio per essere sceso sulla terra e
dimostrare che è possibile salvarsi dalla morte. Chiude l’ampia meditazione la
manifestazione di fede, collettiva e personale.
Lo Stabat Mater
Quattro bicordi ribattuti, formati dalla tonica e dalla dominante, aprono la
composizione (es. 1, lett. A). Con l’assenza del terzo grado Verdi ci conduce all’alba lontanissima della storia musicale, oppure nell’angolo più buio dell’animo
umano dove dimora ancora l’istinto primitivo che induce alla violenza e all’omicidio. Sonorità che porta il pensiero anche sulla piccola altura del Golgota o Calvario, a nord di Gerusalemme, dove fu ucciso Gesù.
Verdi ha già utilizzato questo effetto. Nel Rigoletto, atto terzo, all’inizio della
scena che precede il terzetto e la tempesta, i bicordi vuoti, sormontati da una nota
dell’oboe (es. 2) sono il più arcano preludio allo scatenarsi successivo degli eventi naturali ed umani: «Una tempesta in cielo! … In terra un omicidio»: l’assassinio
dell’innocente Gilda.
Anche nell’Otello, all’inizio del quarto atto, i bicordi vuoti eseguiti dai clarinetti annunciano l’omicidio dell’innocente Desdemona (es. 3).
L’entrata del coro, in ottava - sempre un bicordo vuoto -, in sincope, con la
quarta aumentata che risolve salendo alla dominante eseguendo un sensibile
diminuendo, bene rappresenta la spada che preme ed entra, senza incontrare resi-
Inoltre «l’espressione drammatica [di Verdi] trova gli ultimi sussulti nei due brani con l’orchestra,
veri e propri colloqui con la morte, specie nel Te Deum», mentre le Luadi alla Vergine sono «abitualmente [...] eseguite fra lo Stabat Mater e il Te deum, come una pausa di distensione e di raccoglimento fra i due pezzi forti della serie»; nel Te Deum «la chiusa è sommessa, divaricata sulle due
estremità del suono: il sospiro di un mi acuto dei violini, l’eco cupo del mi dei bassi. Come un’anima
che esala... come un corpo che sprofonda... È l’ultima voce di Verdi [...], “voce di sgomento e di
supplicazione”», in MARCELLO CONATI, ...L’ultima voce di Verdi, in «Parma Lirica», Parma, rivista
annuale dell’Associazione Parma Lirica, 1998, p.7.
10
«Sì, Dio ha creato l’uomo per l’immortalità; lo fece a immagine della propria natura. Ma la morte
è entrata nel mondo per invidia del diavolo; e ne fanno esperienza coloro che gli appartengono»,
Sapienza 2: 23-24.
98
1813-2013 Bicentenario della nascita
stenza, nell’animo di Maria (es. 1, lett. B)11. Orchestra e coro si urtano tramite un
tritono, intervallo che nel medioevo era chiamato “diabolus in musica”. La successiva frase ascendente (es. 1, lett, C) incoraggia il nostro sguardo a salire verso
Famoso è il passo della lettera che Boito scrisse a Verdi il 9 novembre 1896. Rientrato a Milano
dopo una visita al Maestro presso la Villa di Sant’Agata, Boito si mise a cercare fra i suoi libri la
partitura della Messa in Si minore di Bach, argomento di analisi con Verdi: «[...] Ora finalmente la
trovo e trovo anche il chiodo tal quale come nella trascrizione per pianoforte». La lettera prosegue
con la descrizione di un passo del Crucifixus, in Carteggio Verdi-Boito, cit., vol. I, pp. 247-248.
11
Atti del Convegno “Verdi, la Musica e il Sacro”
99
il volto di Gesù, il cui corpo pende dalla croce. Per simboleggiare la croce, Verdi
utilizza una figura melodica assai diffusa in passato: quattro note discendenti in
cui la prima e l’ultima, se unite con una linea immaginaria, s’incrociano con
un’altra linea che unisce la seconda con la terza (es. 1, lett. D). Figura melodica
che Verdi utilizzò anche in Traviata all’interno della scena e aria di Violetta È
strano, alla fine del primo atto, alle parole «croce delizia, delizia al cor» (es. 4).
Le successive cinque terzine sono musicate sviluppando la figura musicale del
lamento (es. 5) derivante dall’incipit iniziale del coro. Cellula musicale che si tra-
100
1813-2013 Bicentenario della nascita
sforma in pianto singhiozzante tramite accordi, anche dissonanti, ripetuti in sincope (es. 6). Alla settima terzina Verdi descrive le frustate che straziarono Gesù
(es. 7).
Atti del Convegno “Verdi, la Musica e il Sacro”
101
Fondamentale è la comprensione della figura musicale utilizzata al servizio del
testo dell’ottava terzina che narra di Maria che vede morire il suo dolce figlio.
Artificio musicale presente anche al termine dello Stabat Mater (ma con significato opposto) e alla fine del Te Deum (con il medesimo significato ma mitigato):
il mutare delle armonie sopra il pedale di Mi rappresenta il passaggio di Gesù
dalla vita alla morte (es. 8, lett. A). Le pause e gli accordi dissonanti (es. 8, lett. B
e C) in un cromatismo discendente (es. 8, lett. D) ricordano che esso è avvenuto
nel dolore. Termina la frase musicale l’accordo di Mi maggiore (es. 8, lett. E),
medesimo accordo che conclude il Te Deum: qui indicante la morte di Gesù, nel
Te Deum la morte dell’uomo. Entrambi i passi recano all’ascoltatore un senso di
serenità, la fiducia nella resurrezione. Lo Stabat Mater prosegue con la descrizione del dolore di Maria, rappresentato dall’orchestra che riprende la frase musicale abbinata alle parole «O quam tristis» della terza terzina.
Nella seconda sezione dello Stabat Mater, in cui i fedeli supplicano Maria
affinché conceda loro la condivisione del dolore subito, predomina la serenità
emanata dall’uso pressoché costante della tonalità maggiore. Pur richiamando le
figure musicali della fustigazione (es. 9), Verdi sembra affermare che i dolori di
Maria devono essere ben accolti e sopportati perché cosciente che essi ci salveranno dalle fiamme eterne (es. 10), realizzate con una figura musicale ampiamente utilizzata nella Messa da Requiem (per esempio nel «Dies irae, dies illa» e
«Oro supplex»).
Musicalmente stupenda è la conclusione del brano. Verdi, alle fine della frase
«Quando corpus morietur», con l’intervallo ascendente di terza minore introdotto da un breve corteo funebre (es. 11) ripropone all’ascoltatore la domanda
che Jago pose alla conclusione del monologo Credo in un Dio crudel in Otello:
«Vien dopo tanta irrision la Morte. E poi?» (es. 12, lett A). In Otello la risposta
è senza alcuna speranza perché sprofonda nella fossa scavata nel terreno: «la
Morte è il Nulla» (es. 12, lett. B). Nello Stabat Mater, invece, alla domanda
musicale di Verdi, segue la concessione della gloria del Paradiso. Anche in questa situazione le armonie sono cangianti ma consonanti e Verdi le apre a ventaglio verso l’acuto (il Paradiso) e verso il grave (la Terra) ad indicare il ritorno
all’unità dell’universo. Alcune voci del coro sono sdoppiate per conferire la sensazione di pienezza.
102
1813-2013 Bicentenario della nascita
Atti del Convegno “Verdi, la Musica e il Sacro”
103
104
1813-2013 Bicentenario della nascita
Alla dolcezza orchestrale del Paradiso seguono due “croci musicali”. La prima
è tonale e serena e rappresenta la nostra futura salvezza (es. 13, lett. A). La seconda, introdotta dalla “spada musicale” (es. 13, lett. B) cantata dal coro all’inizio del
brano, è modale e cupa (es. 13, lett. C) e riconduce al passato, sul Golgota, per
ricordarci che la nostra salvezza futura proviene dalle sofferenze umane patite da
Dio nelle vesti di Gesù. Verdi era cosciente della differenza musicale dei due passaggi, lo si deduce dalla lettera che il 1° aprile 1898 scrisse a Boito che si trovava
a Parigi per sovrintendere la prima esecuzione: «In ogni modo sarà un’altra licenza, come nella penultima battuta dello Stabat ove il fa dell’Orchestra dovrebbe
essere diesis e l’ho scritto fa naturale»12.
Dopo la prima “croce musicale” il coro chiude il brano cantando «Amen» che
nella liturgia cristiana è posto alla fine delle preghiere e che la quasi totalità dei
fedeli considera espressione di fiducia nell’accoglimento della supplica, ossia la
speranza di condividere le sofferenze di Maria e ottenere la gloria del Paradiso.
12
Carteggio Verdi-Boito, cit., vol. I, p. 256.
Atti del Convegno “Verdi, la Musica e il Sacro”
105
106
1813-2013 Bicentenario della nascita
Le Laudi alla Vergine Maria
Come Dante, tramite San Bernardo, che dopo aver visto nell’Inferno la condizione delle anime post mortem, implora Maria Vergine affinché interceda presso Dio per consentirgli di vedere e ricordare la visione della Sua essenza, anche
l’anziano Verdi, al termine del lungo cammino terreno in cui ha conosciuto la sofferenza della vita umana, si rivolge alla Madre di Gesù per ottenere, un giorno, la
salvezza e l’eterna visione di Dio. I primi ventun versi dell’ultimo Canto del Paradiso di Dante, musicati da Verdi perdono le caratteristiche che i critici hanno
voluto individuare in essi nel corso del tempo. Con le sue note i versi non sembrano appartenere a un trattato di teologia o essere un esercizio di pura oratoria,
nemmeno appaiono il tentativo di Dante di tramandare ai posteri uno stile di preghiera a lui contemporaneo: ora sono la preghiera di Verdi a Maria. Il «gusto
Filosofico» non è da ricercare nelle figure melodiche o ritmiche che costituiscono il brano ma nell’organico vocale a cappella, nello stile musicale utilizzato e
nella parola «Ave», il saluto finale rivolto a Maria.
Significativa è la richiesta di far eseguire il brano da sole «quattro voci bianche»13, mutate poi in «quattro Artiste soliste», comunque un piccolo gruppo vocale e non un coro femminile come ormai viene eseguito. La delicata sonorità vocale a cappella delle voci bianche e il testo in italiano non sono solo la ricerca di un
contrasto sonoro e linguistico con i brani che lo racchiudono: rappresentano una
13
Cfr. nota al testo n. 4.
Atti del Convegno “Verdi, la Musica e il Sacro”
107
preghiera privata, senza il sostegno sonoro esterno di altre persone con i loro strumenti, sommessa perché intima, incastonata fra due preghiere liturgiche collettive nella lingua della Chiesa cattolica. Preghiera che Verdi desidera compiere con
l’animo di un bambino, intenzione identificabile non solo nella scelta vocale ma
anche nell’abbandono dello stile musicale drammatico, teatrale, della maturità
adulta per ritornare simbolicamente indietro negli anni adottando uno stile vocale del passato, ogni definito “palestriniano”. Un bambino che si abbandona con
semplicità e totale fiducia nelle braccia della mamma, credendo ciecamente a
quanto le Sacre scritture e la Chiesa cattolica narrano di Lei. Immagine suggerita dalla musica composta senza tensioni e asprezze armoniche. L’utilizzo dello
stile drammatico, teatrale, ossia del musicista anziano, probabilmente avrebbe
creato l’immagine di un adulto che dialoga con Maria Vergine, forse alla pari, trasformando i primi versi di Dante nella captatio benevolentiae di colui che tutto utilizza pur di ottenere quanto desidera.
Verdi interrompe il brano quando comprende e condivide il significato del
testo di Dante: la bontà di Maria, non solo soccorre chi la prega, ma spesso e
spontaneamente previene la richiesta di aiuto. Certezza che a Dante e a Verdi non
deriva da una parola, da un gesto di Maria, ma solo dal suo sguardo fisso sull’oratore, come quello di una madre che si posa sul volto di un figlio: fra loro è inutile qualsiasi altra parola. Ecco, quindi, che Verdi termina la composizione congedandosi dalla Vergine non con la parola «Amen», l’augurio di accoglimento, ma
con il saluto «Ave», certo dell’imminente salvezza e incontro con Dio.
Il Te Deum
L’ultima affermazione dell’analisi delle Laudi è azzardata ma sostenuta anche
dalla collocazione del Te Deum dopo di esse. Come Dante, che dopo la preghiera a Maria rappresentò in versi la visione dei misteri sacri dell’unità dell’Universo, della Trinità e dell’Incarnazione, Verdi trasmette agli ascoltatori la fiducia del
credente nel ritorno a Dio unendo musicalmente il cielo con la terra, glorificando la Trinità e ricordando all’ascoltatore che il ritorno dell’uomo ad essere immagine perfetta di Dio è dovuto alla sua Incarnazione terrena, morte e resurrezione.
Per una maggiore comprensione del Te Deum di Verdi, credo sia necessario non
solo conoscere l’autentica collocazione liturgica14 e analizzare l’ampliamento
musicale dei significati dei testi sacri, ma anche ricordare le prescrizioni musicali
emerse nel corso del dibattito sulla musica sacra per il rinnovamento delle comIl Te Deum è cantato nell’Ufficio mattutino delle feste e delle domeniche, eccetto la Quaresima,
in cui i cristiani ricordano la Pasqua. Con il canto ringraziano Dio per aver sconfitto la morte e
donato la salvezza all’umanità.
14
108
1813-2013 Bicentenario della nascita
posizioni liturgiche15. Nel corso degli anni, definite dai vari editti, regolamenti,
circolari e dissertazioni sulla musica sacra, le autorità ecclesiastiche stabilirono le
seguenti regole: limitare la lunghezza dei brani; evitare l’eccessiva ripetizione dei
testi al fine di favorire la loro comprensione; evitare lo stile melodrammatico,
tanto nel comporre quanto nell’eseguire; tenere in considerazione il Canto gregoriano; ricercare la “gravità ecclesiastica”; privilegiare il contrappunto; utilizzare
titoli desunti dalle parole della Chiesa o dalle Sante Scritture. Prescrizioni che
Verdi tenne in considerazione nella composizione del Te Deum al fine di ottenere un brano religioso nel solco delle indicazioni elaborate dalla Chiesa cattolica,
se pur non destinato alla liturgia. Fra esse spicca l’utilizzo e rielaborazione del
Canto gregoriano, il canto storico della Chiesa utilizzato come elemento musicale unificatore del mondo celeste con il mondo terrestre. Come nel Sanctus della
Messa da Requiem, i due cori rappresentano gli abitanti del cielo e della terra e
l’esecuzione di alcuni frammenti della melodia gregoriana del Te Deum, all’inizio
alternati fra i due cori e nel corso del brano fra l’orchestra e i due cori uniti, simboleggia il dialogo fra i due mondi e la loro successiva fusione nel canto di lode e
ringraziamento, oltre al rispetto della tradizione del canto liturgico a cori alterni.
Ed è proprio il canto gregoriano, non nel tonus simplex ma nel tonus solemnis, che apre la composizione. Il primo verso «Te Deum laudamus», è inserito con
le medesime note della melodia gregoriana. Il secondo verso «Te Dominum confitemur», invece, è intonato una quarta sopra iniziando dalla nota finale del primo
coro (es. 14). Accorgimento che conferisce slancio e partecipazione alla risposta
del secondo coro in cui è possibile identificare gli uomini che continuano il canto
iniziato dagli abitanti del cielo e che pubblicamente confessano, riconoscono, la
grandezza di Dio16.
Questo non vuol dire che i Pezzi sacri furono scritti per fornire un esempio pubblico di come fosse
possibile migliorare la situazione della musica nelle chiese e nemmeno che Verdi sia stato un celato sostenitore del movimento ceciliano, ma solamente che egli conosceva il dibattito scaturito e che
nei Pezzi Sacri sviluppò alcune delle prescrizioni indicate dal clero. Un collegamento di Verdi con
gli ideali ceciliani per la riforma della musica sacra, invece, è identificabile nelle vicende legate alla
nomina di Gallignani prima, e di Tebaldini poi, a direttori del Conservatorio di Parma, nomine caldamente patrocinate da Verdi. Nominato nel 1891, Giuseppe Gallignani era maestro di cappella
del Duomo di Milano dal 1884 e fecondo compositore di musica sacra. Nello svolgimento del suo
incarico organizzò a Parma le Feste Palestriniane durante le quali la mattina del 21 novembre 1894
fu eseguita la Messa di Papa Marcello in San Giovanni Evangelista, e alla sera, nella sala del Conservatorio, ebbe luogo la presentazione di due madrigali e due canzonette. A Parma egli ideò e
organizzò anche il «II° Congresso Internazionale di Musica Sacra». Con il trasferimento alla direzione del Conservatorio di Milano nel 1897, il posto fu assegnato a Giovanni Tebaldini. La sua
adesione agli ideali riformatori era manifesta da tempo e concretizzata nel corso della sua attività
di maestro di cappella in S. Marco a Venezia e nella Basilica di S. Antonio a Padova.
16
Nell’ascoltare l’inizio del Te Deum di Verdi preferisco pensare il secondo verso nella traduzione
“confessiamo [che sei] Tu il Signore” al posto della traduzione “ti proclamiamo Signore”, attualmente cantata nelle chiese italiane.
15
Atti del Convegno “Verdi, la Musica e il Sacro”
109
Deriva dal canto gregoriano, là dove si cantano le parole «Sanctus, Sanctus,
Sanctus» (es. 15), anche la melodia che Verdi assegnò all’orchestra con il compito di unire le varie sezioni del Te Deum.
Come esempio consideriamo la sezione che segue il canto dei versi «Sanctus,
Sanctus, Sanctus, Dominus Deus Sabaoth» con cori uniti, in cui il cromatismo
orchestrale - come nel Sanctus della Messa da Requiem - facendo risuonare la
grande maggioranza dei suoni disponibili, simboleggia la partecipazione nell’esultanza di tutti gli elementi del cielo e della terra. Verdi ha realizzato il seguente schema dove si può notare il mantenimento dell’altra prassi liturgica di alternare il canto con gli strumenti, dove al coro che avanza nel testo l’orchestra
risponde ‘cantando’ «Sanctus».
- (es. 15, lett. A), cori uniti a cappella: «Sanctus»;
- (es. 15, lett. B), l’orchestra riprende l’accordo e risponde al coro con la citazione del canto gregoriano: «Sanctus»;
- (es. 15, lett. C), soprani I e II: «Te gloriosus Apostolorum chorus»;
- (es. 15, lett. D), l’orchestra ripete la citazione: «Sanctus»;
- (es. 15, lett. E), contralti I e II: «Te prophetarum laudabilis numerus»;
- (es. 15, lett. F), tenori I e II: «Te Martyrum candidatus laudat exercitus»;
- (es. 15, lett. G) contemporaneamente l’orchestra esegue la citazione: «Sanctus»;
- (es. 15, lett. H), cori uniti: «Te per orbem terrarum sancta confitetur Ecclesia»;
- (es. 15, lett. I) contemporaneamente i Bassi I, II e l’orchestra esegue la citazione: «Sanctus»;
- cori uniti: «Patrem immensæ maiestatis»;
110
1813-2013 Bicentenario della nascita
- l’orchestra ripete la citazione: «Sanctus»;
- cori uniti: «Venerandum tuum verum et unicum Filium»;
- cori e orchestra: «Sanctum quoque Paraclitum Spiritum» utilizzando la citazione del canto gregoriano.
- l’orchestra termina la sezione con la citazione: «Sanctus».
Il Te Deum presegue con la rielaborazione di un altro frammento del canto
gregoriano, indicato da Verdi in partitura con le parole «dal canto liturgico», là
dove canta «cum Sanctis tuis in gloria numerari». Un frammento musicale che nel
canto gregoriano si trova molto più avanti del testo latino che Verdi gli ha abbinato in questa sezione del suo brano. Il Maestro, in questo modo, ha creato una
sovrapposizione di testi. Mentre i cori cantano «Tu, Rex gloriæ, Christe, Tu Patris
sempiternus es Filius …», la melodia che tutti gli artisti eseguono, nella mente di
un ascoltatore che conosce la melodia gregoriana, ‘canta’ le parole «cum Sanctis
tuis in gloria numerari» (es. 16).
Come Dante, che dopo aver descritto la beatitudine delle anime salve che già
fissavano lo sguardo di Dio per l’eternità, anche Verdi, al termine della sua contemplazione musicale è dispiaciuto per il ritorno ai pensieri della vita quotidiana
terrena17. È con il dolore per il distacco momentaneo e non con l’angoscia del supplicante inascoltato che Verdi mette in musica la terza sezione del Te Deum,
l’invocazione collettiva che inizia con le parole «Te ergo quaesumus». Stato
d’animo suggerito all’ascoltatore dall’orchestra che, al testo cantato dai cori, torna
a ripete più volte la serena melodia orchestrale tratta dal canto gregoriano che si
sovrappone ai cori ‘cantando’ «Sanctus» (es. 17). Melodia che ritorna alle parole
«Per singulos dies, benedicimus te. Et laudamus nomen tuum in saeculum» (es.
18).
Anche quando la musica assume il tono della disperazione alle parole «Dignare Domine die isto sine peccato nos custodire», per indicare la difficoltà dell’uomo di rifuggire il peccato, essa è immediatamente annullata dalla consapevolezza
che non si deve attendere la misericordia di Dio perché essa è già stata concessa
agli uomini tramite l’Incarnazione di Dio in Gesù. Incarnazione ricordata dalle
serene armonie sul pedale di Mi alle parole «Fiat misericordia tua Domine super
nos». Pedale che congiunge il Te Deum al sacrificio di Gesù sulla croce nell’angosciante conclusione della prima parte dello Stabat Mater alle parole «Vidit suum
dulcem Natum moriendo desolatum, dum emisit spiritum» realizata anch’essa sul
pedale di Mi.
Verdi aveva già affrontato musicalmente questo distacco nella rielaborazione del Requiem iniziale
nel Libera me della Messa da Requiem (cfr. nota la testo n. 3). All’estasiata serenità originata dalla
visione della nuova Gerusalemme segue un’accorata supplica cantata utilizzando la forma musicale
della fuga. Come già realizzato da altri compositori, anche la fuga finale del Libera me ha un significato simbolico: la sua complessità compositiva ed esecutiva indica che è possibile ottenere quanto
si desidera ardentemente ma che sarà faticoso, che richiederà un notevole e costante impegno.
17
Atti del Convegno “Verdi, la Musica e il Sacro”
111
Pedale che rimane il fulcro musicale sino alla conclusione del Te Deum, su cui
s’innesta la voce di un soprano. Quale significato dare al testo «In Te Domine, in
Te speravi, in Te speravi, in Te, in Te» affidato a una singola voce che il 2 aprile
1898 Verdi descrisse a Boito18 con queste parole:
[...] fate attenzione alla Voce sola che vien dopo. Si vorrebbe una voce netta che sortisse dalla
massa dei Cori Soprani ma che non si vedesse la persona. Una voce solista, non dei Cori [...].
Si metta dumque nascosta fra i Soprani e la più lontana dal pubblico.
Una persona che emerge dalla collettività, in cui è spontaneo intravedere il Maestro stesso, per affermare pubblicamente la sua fiducia nella salvezza. La frase «In
te Domine speravi: non confundar in aeternum» (In Te Signore ho sperato, non sarò
confuso in eterno), infatti, non esprime una richiesta, una speranza, ma esprime una
certezza manifestata musicalmente dalla salita al cielo tramite la nota Si4, il limite
per i soprani del coro, e la successiva salita orchestrale al Mi acuto. Ed è con il coronamento superiore del pedale di tonica che Verdi affida all’orchestra l’ultima trasfigurazione musicale simboleggiante il passaggio dalla vita alla morte, collegandosi
ancora una volta con la fine della prima parte dello Stabat Mater. Mentre là il pensiero dell’ascoltatore è condotto davanti alla morte di Gesù, qui è guidato alla morte
dell’uomo. Termina il brano la delicata deposizione del corpo con i Mi gravi.
Ma con quale stato d’animo ed effetto musicale Verdi ha realizzato questa
sepoltura? All’ascolto l’evento risulta meno angosciante della rappresentazione
delle morte di Gesù realizzata nello Stabat Mater. Essendo le ultime battute
orchestrali un pedale di tonica nella tonalità di Mi maggiore, anche l’esecuzione
del solo Mi grave finale riconduce l’ascoltatore alla tonalità maggiore iniziale.
Tonalità che sdrammatizza la sepoltura, che dona all‘ascoltatore un senso di tranquillità in coerenza con i significati dei testi messi in musica nei tre Pezzi sacri. Il
lettore si accomodi al pianoforte ed esegua le battute orchestrali conclusive e,
dopo aver suonato con la mano sinistra l’ultimo Mi grave, suoni con la mano
destra l’accordo di Mi minore e immediatamente avvertirà che esso è estraneo al
brano. Il lettore esegua, invece, l’accordo di Mi maggiore e noterà che quello è il
sereno e momentaneo finale che la Chiesa indica all’umanità come certezza e che
Verdi ha trasportato con «gusto Filosofico» all’ascoltatore. Anche questa affermazione è azzardata ma confermata, come nelle Laudi, dall’assenza della parola
«Amen», l’augurio di accoglimento, che si pronuncia solo al termine di una supplica e non di una certezza.
Chiudono questa analisi due testimonianze dell’epoca che possono aiutarci a
individuare il luogo ideale in cui eseguire e ascoltare i tre Pezzi sacri di Verdi. La
prima è costituita dalla lettera che Boito scrisse a Verdi19 il 19 aprile 1899:
18
19
Carteggio Verdi-Boito, cit., vol. I, p. 258.
Ibid., pp. 273-274.
112
1813-2013 Bicentenario della nascita
[...] faccio un confronto fra il successo dei pezzi sacri ottenuto a Parigi, a Torino, a Milano. Il
più clamoroso fu, senza dubbio, quello di Torino; attribuisco questa differenza all’ambiente
d’una sala da concerto, assai più opportuno per le musiche affidate alle masse, d’argomento
sacro [...]. Gli abbonati ai Concerti del Conservatorio di Parigi sono tutti di questo parere e
deplorano lo sforzato trasloco di quei concerti all’Opéra. L’immenso successo ottenuto dai suoi
pezzi sacri in Germania dalle società corali nelle grandi sale da concerto è una prova luminosa
che riconferma questa verità. Conclusione: abbiamo avuto torto d’includerli nel programma
d’una stagione teatrale e lei aveva ragione quando propose di non eseguirli. [...] La stampa diede
prova d’aver intuita tutta la immensa grandezza e idealità di quei tre pezzi che per me sono tre
cupole del Correggio e tali resteranno nella storia. Ma il pubblico della Scala ebbe o non ebbe
la comprensione di quest’altissima idealità? per le laudi sì, per gli altri due pezzi, malgrado gli
applausi, no.
La seconda testimonianza è il racconto pubblicato nel 1901 da Italo Pizzi20:
[A Torino i tre Pezzi sacri] furono eseguiti nel gran salone dei concerti dell’Esposizione; ma
forse non là doveva essa aver luogo. È noto che l’Esposizione nazionale di quell’anno era divisa
in due sezioni, in una che diremo laica e profana, e in un’altra che s’intitolò dall’arte sacra. Della
prima era presidente Tommaso Villa, dell’altra il barone Antonio Manno, il quale avendo curato con buon esito che alcuni concerti di musica sacra fossero tenuti in una chiesa nuova di Torino (la chiesa del Sacro Cuore di Maria, che fu poi consacrata e aperta al pubblico nel 1900),
concepì il lodevole desiderio che la musica sacra del Verdi fosse eseguita piuttosto nella nuova
chiesa, come luogo più adatto, che non nel salone dell’Esposizione generale. Sapendo che io da
tempo ero in relazione con il Maestro, mandò da me l’egregio suo amico teologo Don Carlo
Oliviero, che fu poi il parroco della nuova chiesa, pregandomi che io scrivessi ad esso Maestro
in via privata per ottenerne il desiderato assenso. Egli poi, mi fece dire, avrebbe scritto ufficialmente come Presidente della Esposizione d’arte sacra. Scrissi io, scrisse il Manno; ma la risposta non venne a nessuno di noi, e la musica ebbe l’esecuzione sua nel gran salone dei concerti.
Quando poi andai a Sant’Agata nel tempo delle mie vacanze (era il 20 di settembre [1898]), io
mi credei in obbligo di fargli, come feci di gran cuore, le mie congratulazioni per i nuovi pezzi.
Egli allora domandò conto dell’esecuzione, e ciò, mi parve, fece in modo che m’accorsi ch’essa
gli premeva molto. Io resi il debito e meritato tributo di lodi al valente direttore Toscanini, del
quale mi onoro di essere concittadino, e aggiunsi, quanto al pubblico, quali erano i punti che
maggiormente erano piaciuti […]. Gli rammentai allora, colto il momento opportuno, e la lettera del Manno e la mia, ed egli mi disse, con asseveranza e insistenza, che l’intenzione sua era
stata quella di far eseguire la sua musica sacra appunto nella nuova chiesa di Torino, come luogo
più adatto che non il salone dei concerti, soggiungendo subito: “vi hanno eseguito, come ho
letto, la Creazione dell’Haydn che ha carattere meno sacro della mia musica. La chiesa perciò era
il luogo più adatto”. “Come va allora - io domandai – ch’ella, Maestro, non ha risposto alle
nostre lettere?” “Io ho scritto al Presidente”, rispose. Gli feci allora osservare che due erano i Presidenti e che bisognava scrivere a quello dell’Esposizione dell’arte sacra per far eseguire la musica in chiesa. Avendo scritto in genere, poiché il Maestro (egli stesso mi disse cotesto) non sapeva che la presidenza era appunto così divisa, la lettera deve essere capitata in mano d’altri.
Pur non essendo brani per la liturgia, Verdi desiderava la chiesa come luogo
ideale per la loro esecuzione pubblica. Effettivamente, in essa l’ascoltatore cre20
ITALO PIZZI, Ricordi verdiani inediti, Torino, Roux e Viarengo, 1901, pp. 73-76.
Atti del Convegno “Verdi, la Musica e il Sacro”
113
dente può condividere con gli altri fedeli i tre Pezzi Sacri, e la loro «immensa grandezza e idealità» - come scrisse Boito - può contribuire a farli divenire
Chiesa.
114
1813-2013 Bicentenario della nascita
Atti del Convegno “Verdi, la Musica e il Sacro”
115
116
1813-2013 Bicentenario della nascita
Atti del Convegno “Verdi, la Musica e il Sacro”
117
118
1813-2013 Bicentenario della nascita
Atti del Convegno “Verdi, la Musica e il Sacro”
119
120
1813-2013 Bicentenario della nascita
Atti del Convegno “Verdi, la Musica e il Sacro”
121
122
1813-2013 Bicentenario della nascita
Atti del Convegno “Verdi, la Musica e il Sacro”
123