BIBLIOTECA POLITICA RITRATTI, SCENARI, IDEE BIBLIOTECA POLITICA RITRATTI, SCENARI, IDEE L’uomo è per natura un animale politico. A Tendere verso l’idea di polis rivelata dall’etimologia stessa del termine “politica” è un’inclinazione naturale dell’essere umano. La dimensione politica è una risposta necessaria all’esigenza di costituire una comunità e il relativo governo; per questo è stata inevitabilmente oggetto di riflessioni nel corso della storia. La collana intende raccogliere materiali sulla natura politica dell’uomo e sulle sue declinazioni nel tempo, ospitando volumi di taglio saggistico dedicati a personaggi, contesti e linee di pensiero. Umberto Petrongari Operazionismo marxista Un saggio critico su Lukács–Marx e Deleuze–Guattari Copyright © MMXVI Aracne editrice int.le S.r.l. www.aracneeditrice.it [email protected] via Quarto Negroni, Ariccia (RM) () ---- I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi. Non sono assolutamente consentite le fotocopie senza il permesso scritto dell’Editore. I edizione: febbraio Musicalissima incoscienza. E qui sì che l’etica fa scempio della morale, paternità e regalità oltraggiata, irresponsabilità d’amor filiale, maternità ingombrante prostituita, contenuti e valori storici svuotati dalla pura beltà dell’argomento. Onorabilità dimissionaria, social civile dovere pubblico obliterato, mutuo soccorso e concetto di prossimo dissolti, popolo e patria esplosi, umanità e umanistica cultura vilipese, siccome solo in sogno t’è dato di sognare. Carmelo B Quattro momenti su tutti il Nulla Secondo momento: Coscienza e conoscenza Indice Introduzione Capitolo I Karl Marx, pensatore post–moderno? Capitolo II György Lukács, fedele esegeta marxiano? Capitolo III L’anti–Edipo Capitolo IV Critiche Capitolo V Socialismo e Comunismo Bibliografia Introduzione Questo saggio ha due bersagli critici: da un lato l’ortodossia marxista, dall’altro, ciò che è — a mio parere — il più raffinato e persuasivo anarchismo — corrispondente al pensiero politico di Gilles Deleuze. Quest’ultimo si esprime politicamente in modo esplicito, nei due volumi di Capitalismo e schizofrenia: L’anti–Edipo () e Mille piani () — entrambi scritti in collaborazione con Félix Guattari. Per criticare, e con una certa esaustività (questo, perlomeno, è stato il mio intento), l’anarchismo deleuziano, ritengo mi sia stato sufficiente esaminarlo in modo generale (anche se dettagliato); dal momento che (mi pare), Mille piani, specifica, approfondisce, sviluppa, quanto è (sia pure minuziosamente) delineato nell’antecedente volume, non l’ho preso in considerazione: per un analogo motivo, ho ritenuto di poter trascurare il lungo capitolo del volume da me esaminato, intitolato Selvaggi, barbari, civilizzati (mostra come ogni società fino ad ora esistita, sia stata repressiva). Per quel che riguarda, invece, la critica del marxismo ortodosso, non ho potuto prescindere dall’esaminare ciò che è, forse, la più fedele (nonché brillante) esegesi del pensiero di Karl Marx, contenuta in Storia e coscienza di classe di György Lukács (le rimanenti opere lukácsiane, deviano, probabilmente, da tale ortodossia). Attraverso l’analisi di alcune opere marxiane (alcune delle quali scritte assieme a Friedrich Engels — si presume che in esse i due autori si siano espressi di comune accordo), ho tentato di mostrare la (quantomeno) alta fedeltà del pensatore ungherese, al pensiero elaborato dal grande e influente intellettuale tedesco. Da tali letture marxiste, emerge, a mio parere, un Marx nichilista, post–moderno, anarcoide. La mia analisi dello studioso di Treviri, filosofica e politico– filosofica (dunque, generale), è circoscritta a tali tematiche: la Introduzione dialettica (lo sostengo fautore di una pura dialettica), l’alienazione e il comunismo (che ho esaminato con minuzia), la funzione del partito, la dittatura del proletariato. Tra i principali scritti marxiani, dunque, non ho preso in esame le opere economiche: l’Introduzione a Per la critica dell’economia politica (scritta nel ); Per la critica dell’economia politica (pubblicata nel ); i Gründrisse. Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica (scritti nel –, costituiscono l’abbozzo del Capitale); i tre volumi del Capitale (composti tra il e il ). Dal momento che nella Miseria della filosofia (scritta da Marx, e pubblicata nel ), le critiche a Proudhon, vertono su troppo specifiche questioni di economia politica, non ho preso in considerazione tale scritto. Marx ed Engelspubblicano nel La sacra famiglia. Contenendo i temi trattati in altre opere (si parla, fra l’altro, di Proudhon), ho potuto trascurarla. Non ho preso in esame gli Annali franco–tedeschi (scritti da Marx, e pubblicati nel ); costituiti soprattutto da: Sulla questione ebraica,e da: Per la critica della filosofia del diritto di Hegel. Introduzione, trattano essenzialmente di religione (del suo senso). Per un identico motivo, non ho esaminato le brevissime (ma importantissime) Tesi su Feuerbach (scritte da Marx nel ). Ho, dunque, analizzato in parte L’ideologia tedesca (scritta da Marx ed Engels nel –); in essa viene infatti criticato Feuerbach, ma anche Bruno Bauer (hegeliano) e Max Stirner: la natura delle critiche mosse a quest’ultimo, confermano il nichilismo marxiano. Ho inoltre analizzato: la Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico (scritta da Marx nel ); essendo interessato a problemi generali di filosofia, e di filosofia politica, l’addentrarsi, dello scritto in questione, in più specifici temi di natura politica, me lo ha reso interessante parzialmente. Non ho potuto che esaminare gli imprescindibili Manoscritti economico–filosofici (scritti da Marx nel ). Introduzione Il Manifesto del partito comunista (pubblicato nel , scritto da Marx ed Engels), tratta (fra le altre cose), della funzione del partito comunista. La Critica al programma di Gotha (scritto da Marx nel ), parla della dittatura del proletariato. In conclusione, criticando Lukács–Marx e Deleuze–Guattari, ne è scaturito un marxismo eterodosso, che ho denominato “operazionismo marxista”. Capitolo I Karl Marx, pensatore post–moderno? «Per ciò che concerne il marxismo, l’ortodossia si riferisce esclusivamente al metodo. Essa è la convinzione scientifica che nel marxismo dialettico si sia scoperto il corretto metodo» (per così dire — la norma, la legge, la regola, l’ordine, in base al quale agiamo come agiamo, e in base al quale le cose fanno ciò che fanno). L’ortodossia lukácsiana consiste dunque nell’aderire fedelmente al materialismo dialettico (non nel senso del Diamat engelsiano), propugnato (come vedremo) dal solo Karl Marx. Per scientificità si intende la capacità di concepire adeguatamente la totalità degli enti (uso il termine “ente” in senso heideggeriano: in Essere e tempo il loro “essere” non è determinato, stabilito — l’opera in questione vuole rispondere alla domanda circa il loro “essere”). È poi proprio della scientificità che tale concezione sia amorale: tanto più si ritiene che le cose e le idealità non esistano, tanto più si è amorali — e dunque scientifici. “Marx nella sua prima critica a Hegel” afferma che «la teoria si trasforma in potenza materiale non appena ha presa sulle masse» (un materiale movente, è dato da un disagio più la conoscenza di ciò che lo supera — si tratta prima di intuire semplicemente, poi di pensare tale intuizione, pensando concomitantemente tutto ciò che vi si contrappone). È in nome del materialismo dialettico (“la teoria, il metodo dialettico”) — l’adeguata concezione delle cose — che si produce la “rivoluzione” (come vedremo — che si de–realizza gradualmente): l’espressione, “l’essenza pratica della teoria”, sta anche a significare che la suddetta conoscenza teorica consente di modificare effettiva Operazionismo marxista mente la storia. Per via del carattere dialettico dell’effettuale, la modifica necessariamente tramite una violenta (e anche coercitiva) rivoluzione (in tal senso: «La dialettica materialistica è una dialettica rivoluzionaria» ; la citazione sta significare che il suddetto movente materiale dà luogo ad un’azione necessariamente conflittuale, e anche trasformatrice — rivoluzionaria, nel senso di effettivamente mutatrice della storia. Al mondo non si danno rinunce, per cui si tende all’affermazione totale. Solo configgendo — cosa che, fra l’altro, si vuole — si può allora porre fine al sopravvento dell’avversario, cambiando — solo in tal modo — la storia). Tacitamente, ciò comporta che il borghese sia incorreggibile. Lo si potrebbe infatti persuadere, convincere, circa la massima convenienza per lui del comunismo (ciò non contraddirebbe la dialettica). Le cose — evidentemente — non stanno così per Lukács–Marx. Il filosofo ungherese ha dunque anche asserito che la conoscenza teorica è un materiale movente dell’azione (in quanto l’alienazione non la si può affermare); l’espressione, “l’unità tra la teoria e la praxis”, come vedremo, assume diversi significati. In tal caso, significa unità dialettica. La teoria ci avverte della nostra alienazione (sia materiale che morale). Ci dice come superarla: tra la condizione in cui essa è superata, e la condizione in cui essa è presente, vi è un rapporto concettualmente dialettico; il comunismo è la pura antitesi dell’alienazione (i due concetti si implicano vicendevolmente; l’uno dei due, non è concepibile senza l’altro). Sempre in tal caso, teoria e prassi risultano due momenti ben distinti, nel senso che, nella prima non c’è azione. Un movente, prima di spronare ad agire, deve venire avvertito (nel disagio che ci provoca); in tale momento, non vi può essere azione. Ma l’azione è anche condizionata dalla conoscenza di ciò che ci consente di superare l’anzidetto disagio (altrimenti permarremmo in una dolorosa impasse). Prendiamo la noia. Per essere superata, dobbiamo innanzitutto avvertirla (dobbiamo cioè — statici — annoiarci). Tale staticità, . G. L, Storia e coscienza di classe, Mondadori, Milano , p. . . Karl Marx, pensatore post–moderno? comporta che, nel momento in cui ci si annoia, non si sappia cosa fare per superarla; ci si guarda intorno (il nostro sguardo si rivolge a degli oggetti), ma nessuno di essi lo si può utilizzare per superarla (risultando insoddisfacenti). In un momento successivo ci viene in mente cosa dover fare per non più annoiarci (ancora non si agisce — ancora si è nella noia). In un ulteriore momento — finalmente agendo — scacciamo la noia. All’immobilità del momento teorico (in cui si conosce il problema e cosa lo supera), si contrappone dialetticamente il momento della prassi (la rivoluzione), la quale, in quanto movimento, è negazione, per gradi, dell’anzidetto problema. La rivoluzione (il mutamento storico tramite conflitto), costituisce «il passo decisivo che il processo storico deve fare verso il suo proprio fine — un fine che è fatto di volontà umana, ma che [. . . ] non è inventato dallo spirito umano»: non è dunque — hegelianamente — il fine necessario dello spirito, matrice del suo movimento logico, ma è ciò che l’uomo vuole; «la funzione [. . . ] della teoria consiste nel rendere [. . . ] possibile questo passo», l’azione rivoluzionaria. «Una tale situazione è sorta con la comparsa del proletariato nella storia», il quale conosce la più piena alienazione e cosa vi si contrappone — il suo volere (l’attuazione del comunismo non può prescindere dall’anzidetta conoscenza vissuta sulla propria pelle, nonché dalla scienza e dalla tecnica legate alla modernità): [P]er questa classe la conoscenza che essa ha di sé significa al tempo stesso una corretta conoscenza della società nella sua interezza; se di conseguenza, per una simile conoscenza, questa classe è nello stesso tempo soggetto ed oggetto della conoscenza ed in questo modo la teoria interviene immediatamente ed adeguatamente nel processo di rivolgimento della società: solo allora diventa possibile l’unità di teoria e praxis, presupposto della funzione rivoluzionaria della teoria. . Ivi, p. . Operazionismo marxista Il proletariato conosce la società comunistica, in essa non vi sarà più tutto ciò che ha carattere di oggetto (idoli soggettivi e feticci presuntamente reali) — dunque non vi saranno più valori e verità (di ambito non morale) assolute (o, quantomeno, universali), ma solo rappresentazioni e contrasti dialettici di ogni sorta. La teoria — la società futura da realizzare — ci orienta su cosa dover fare per attuarla. Teoria e prassi, in tal caso, coincidono, poiché attraverso la prassi conosciamo del tutto (non vi è più oggetto) il mondo. Soggetto sta per potere (conoscere è potere), oggetto sta per impotenza. Laddove non vi sono più oggetti (valori — e anche le soggettive idealità, aventi anche carattere oggettuale), ma solo rappresentazioni, è realizzata la piena potenza umana (e tutto — cioè il nulla — viene conosciuto). Il realismo vuole che ogni cosa che compone il mondo sia reale; il nostro corpo è reale, gli oggetti che sperimentiamo sono reali, per cui la loro azione può essere lesiva della nostra corporeità. Ad essere più rigorosi, ogni percezione (di oggetti) è (in senso lato) dolorosa, è una lesione del nostro corpo materiale, oppure del nostro corpo morale. La pura (antisintetica) dialettica marxiana è nichilismo: nel comunismo non si ha più un corpo, e ogni altro oggetto (l’Altro, nonché la restante Natura), è ugualmente rappresentazione: il non valore (ad esempio) del prossimo, si lega alla dialettica tendenza conflittuale caratterizzante ogni uomo. In una terza accezione, la prassi ha carattere teorico. Una concezione realistica del mondo sensibile e diveniente, richiede la realtà dei suoi aspetti, come — in primo luogo — la sussistenza degli enti, o il loro movimento (quantomeno, la loro reale localizzazione). Ora, non so se, in un cosmo infinito (in alto, in basso, in lungo e in largo), possano darsi cose reali. Certamente, un cosmo infinito non consente la localizzazione degli enti in esso contenuti. Si può poi immaginare un cosmo con dei limiti (in alto, in basso, in lungo e in largo)? Se li avesse, e le cose che lo riempiono fossero composte di infinite parti, non vi sarebbe comunque alcuna precisa localizzazione. Se il mondo è rappresentazione, nessuno dei suoi aspetti può avere realtà. Se . Karl Marx, pensatore post–moderno? il mondo è rappresentazione, vi sono solo conoscenze, che non conoscono alcun oggetto reale. In un modo sensibile realista, anche il conoscere ha carattere pratico — è azione concreta (di un sistema nervoso). Viceversa, se il mondo è rappresentazione, tutto è conoscenza — non c’è azione, prassi. Il fine della prassi diviene realizzazione mentale, ritorno in senno, dopo aver — per così dire — allucinato la realtà. In Schopenhauer, la messa in pratica della scienza moderna e l’esercizio ascetico, sono puri stati di coscienza, attraverso i quali (avendo i quali), raggiungiamo la finalità del non più allucinare la realtà. Tra la concezione di Schopenhauer, e quella di Lukács–Marx, vi sono alcune corrispondenze (e — di conseguenza — delle differenze). Lukács respinge «le considerazioni contenute nell’Antidühring di Engels», nella misura in cui contrastano con un puro nichilismo (dialettico). Presso Friedrich Engels è «risolta [. . . ] la causalità rigida ed unilaterale nel rapporto di interazione. Ma l’interazione più essenziale, il rapporto dialettico tra soggetto ed oggetto nel processo storico non viene neppure menzionato» . Soggetto (potere), e oggetto (impotenza), sono pure antitesi dialettiche; non c’è comunismo — il massimo mutamento storico — nella misura in cui il soggetto non travolge del tutto l’oggetto. Se tale aspetto non viene attuato, «il metodo dialettico [. . . ] cessa di essere un metodo rivoluzionario» (permettente di realizzare un effettivo mutamento — del più alto grado — storico). Allora la differenza rispetto alla “metafisica” non viene più ricercata nel fatto che, in ogni considerazione “metafisica”, l’oggetto della considerazione resta necessariamente intatto ed immutato, e perciò nel fatto che la considerazione stessa resta meramente intuitiva e non diventa pratica, mentre per il metodo dialettico il problema centrale è la modificazione della realtà. . Ivi, p. . . Ivi, pp. –. . Ivi, p. . Operazionismo marxista Il provare dolore (in generale), presuppone un oggetto reale, proprio in quanto tale ferente un corpo — che sentiamo — (necessariamente — altrettanto reale). Ad essere più rigorosi di quanto è asserito nell’ultima citazione, prima della moderna metafisica l’oggetto non solo è — per via della sua concreta materialità — indistruttibile (non può venire annichilito, non può svanire), ma è anche del tutto immutabile (quanto alla sua dolorosa azione) — resta intatto. La tecnica moderna mitiga l’oggetto in generale: conoscendo le cause, ne evitiamo gli effetti; si può poi conoscere ciò che annienta una causa (annientandola, non potrà più produrre il correlato doloroso effetto). La classe dominante, per via della dialettica, sarà la sola a beneficiare della scienza; l’oggetto in generale non è però distrutto, ma temperato: ha assunto l’aspetto dell’egoistico bisogno conformistico al consumismo (che non è appropriazione). Nella misura in cui permane un elemento di oggettualità, vi è dolorosa e immobile intuizione (pur agendo, si fa — nel senso anzidetto — teoria), e non azione, vi è immobilità storica, per via di un atteggiamento critico e acritico ad un tempo (perlomeno nel caso del consumismo del borghese). L’interazione, dunque — nella pura dialettica — sostituisce la rigida (meccanica) causalità (propria dei morti, esanimi, oggetti — ciò che si contrappone a questi ultimi, non può, logicamente, che essere il nulla). Se da un certo fuoco, segue necessariamente un certo fumo, non è necessario (secondo la dialettica — ma questa è a mio avviso una convinzione non effettiva), che esista una causalità (la quale richiede — a sua volta — l’esistenza della categoria della sostanza — senza sostanza non c’è causalità). Il certo fumo, non sarebbe altro che l’assoluta negazione di ogni ente esistito prima del darsi di esso. Se dunque la totalità degli enti determina necessariamente quel certo fumo, quest’ultimo, a sua volta, condiziona l’apparire di detta totalità. È dunque (secondo la dialettica), per via della totalità che il mondo presenta l’ordine che presenta, e non per via delle categorie della sostanza e della causalità, le quali — sempre secondo la dialettica — non esisterebbero.