Laboratorio di ottica I – anno accademico 2009-2010

Laboratorio di ottica I – anno accademico 2009-2010
Caravita Ruggero
Cerchiari Giovanni
Guarnieri Giacomo
Mazza Simone
Motta Mario
Laboratorio di ottica I – anno accademico 2009-2010
Il corso semestrale “Laboratorio di Ottica I” introduce gli elementi dell’ottica di Fourier
accostando alle prove sperimentali la presentazione dei principali teoremi riguardanti la
trasformata di Fourier. Questa relazione presenta l’esperienza di laboratorio che conclude questo
corso.
Riconoscimento ottico
Strumentazione utilizzata


banco ottico con supporti per attrezzature ottiche
lenti le cui caratteristiche misurate durante l’esperienza
tabella
tipo
focale
sferica
16 cm
sferica
123.5 cm
sferica
19.5 cm
cilindrica
19.4 cm






sono riportate nella seguente
diametro
8 cm
2.38 cm
4.8 cm
2 cm
obbiettivo per microscopio x40 / 0.65
laser di lunghezza d’onda 632.8 nm e potenza 5 mW nominali polarizzato linearmente
macchina fotografica digitale
macchina fotografica a pellicola per la realizzazione degli ologrammi
pellicole fotografiche bianco e nero da 50 ISO di formato 24x36 mm
filtro spaziale circolare (pinhole)
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Laboratorio di ottica I – anno accademico 2009-2010
Introduzione
Lo scopo dell’esperienza è la realizzazione di un sistema che sia in grado di evidenziare mediante
un apparato ottico la posizione di una determinata forma, per esempio una lettera, all’interno di
una figura o di un testo. Il sistema utilizzato in questa esperienza è conosciuto sotto il nome di
filtraggio di van der Lugt.
Il substrato teorico dell’esperienza è modelizzabile con una convoluzione della funzione di
trasparenza di un insieme (testo) con un sottoinsieme (lettera). Chiameremo riconoscimento del
sottoinsieme il risultato che deriva dalla convoluzione. La convoluzione è uno strumento
matematico classico per il riconoscimento che, scelta un carattere, permette di evidenziare il
luogo in cui essa è presente nel testo. Ciò costituisce in parte il processo di riconoscimento di una
lettera particolare.
Il procedimento si tradurrà sperimantalmente sotto forma di uno spot luminoso laddove sia
presente la lettera in esame.
Il procedimento sperimentale completo si articola in due fasi distinte:
la prima consiste nella registrazione olografica della trasfomata di un testo;
la seconda consiste nel riconoscimento vero e proprio del carattere.
Per realizzare tale operazione si è utilizzata la proprietà delle lenti che permette di ottenere la
trasformata di Fourier dell'immagine registrata su una diapositiva (spazio delle configurazioni) nel
suo piano focale (spazio delle frequenze spaziali).
La convoluzione nello spazio della trasformata è stata ottenuta come un semplice prodotto
(modulazione) di funzioni. L'operazione inversa (anti-trasformata) è stata realizzata con una
seconda lente che ha riportato la convoluzione nello spazio delle configurazioni.
Per la notevole semplicità dei mezzi ottici a disposizione l'esperienza è stata eseguita con un testo
costituito da due soli caratteri: una "x" ed un "+" . I caratteri scelti hanno mutua correlazione
molto modesta. Le due lettere sono state preparate come caratteri intagliati in un sottile
cartoncino nero. I cartoncini verranno nel seguito chiamati trasparenze o diapositive e sono
serviti per la modulazione della luce nello spazio delle configurazioni.
Un secondo tipo di trasparenze, le registrazioni olografiche, sono state realizzate con una
macchina fotografica a pellicola.
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Lenti e trasformata di Fourier
Esamineremo in questo paragrafo due possibili metodi ottici per ottenere la trasformata di
Fourier di un'immagine sistemandola prima o dopo una lente.
Mentre il primo processo produce una trasformata le cui dimensioni sono dettate dalla sola
focale della lente, il secondo permette di ottenere una trasformata avente dimensioni dipendenti
dalla posizione relativa della diapositiva e del successivo piano focale della lente.
Entrambe le modalità illustrate sono state impiegate nella realizzazione dell'esperimento, con il
duplice scopo di ottenere la formazione delle immagini entro il banco ottico a nostra
disposizione, e regolarne le dimensioni.
Trasformata di Fourier con diapositiva prima della lente
Facendo incidere un'onda piana proveniente da sinistra su una diapositiva con trasparenza T e
raccogliendone la radiazione diffusa con una lente convergente, il campo d’onda che si ottiene
nel piano focale della lente utilizzata coincide con la trasformata di Fourier della trasparenza T.
y
Δd1
Δd2
(-l, y')
(0, y)
θ
(-l, 0)
(-f,0)
diapositiva
x
piano focale
lente convergente
fig.1 - La luce diffusa dalla diapositiva secondo l'angolo θ raggiunge il piano focale della lente nel
punto di ordinata y . L'immagine, la lente ed il piano focale della lente si trovano sull'asse x
rispettivamente in -(f+l), -f, 0 .
Ciò è conseguenza del principio di Huygens. I punti della trasparenza, illuminati dall'onda piana,
emettono onde sferiche in fase, le quali possono essere esaminate sotto il profilo complementare
dei "raggi di luce" emessi da ciascun punto nelle varie direzioni. Nella direzione θ i raggi di luce si
propagano individualmente secondo diversi cammini ottici. La lente convergente è un dispositivo
che raccoglie in un punto del piano focale tutta e sola la radiazione proveniente da una direzione
determinata. In questo modo in quel punto del piano focale tutta la luce proveniente sotto un
certo angolo θ si somma costruttivamente o distruttivamente. Ogni punto della figura di
interferenza visibile sul piano focale è quindi in corrispondenza biunivoca con una direzione
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spaziale.
Parametrizzando il piano di locazione della diapositiva con coordinate primate, la trasformata di
Fourier della trasparenza T  y ' è ottenuta facendovi incidere l'onda piana. Se indichiamo con
E  y '
l'ampiezza dell'onda incidente sulla trasparenza, l’onda emergente risulterà:
T  y ' E  y ' .
Come si è detto i raggi uscenti nella direzione θ convergono in un unico punto del piano focale.
Se le dimensioni della diapositiva e le regioni della trasformata che si intende registrare sono
piccole in relazione alla distanza focale, l'angolo θ è piccolo (condizione parassiale). Le condizioni
parassiali comportano alcune semplificazioni nel trattamento matematico del fenomeno di
propagazione della radiazione. Si potrà considerare l'intensità luminosa diffratta indipendente
dall'angolo θ; inoltre, essendo sin(θ), tg(θ) = θ + o(θ), l’angolo θ provvede un’approssimazione
efficace delle stesse.
I raggi che si propagano secondo una direzione  rispetto all'asse ottico vengono concentrati
nel piano focale nella posizione y  f tg    f  .
Il cammino ottico d lungo il percorso di ognuno dei raggi è la somma del percorso d1 dalla
trasparenza alla lente più il percorso d 2 dalla lente al piano focale
 d  d1  d 2


2
 d1  l 1  

2
2
 d 2  f   f   y ' l 
In approssimazione parassiale è possibile sviluppare le radici in serie di Taylor al primo ordine:
 1 
d1  l 1   2   l
 2 
e
 y '   l  f  
d 2  f 1  
 
f


2
  y ' 2   l  f  2  2  2 y '  l  f   
 f 1  
  
2
 

2
f

 
l

 f  y '   1 
f

La prima parte d1 del cammino ottico dipende da  2 e quindi la differenza di fase al primo
ordine è contenuta solo nel termine d 2 . Nell’apparato sperimentale a nostra disposizione, per
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raccogliere la maggior quantità possibile di luce e allo stesso tempo manovrare gli elementi ottici
con facilità, abbiamo utilizzato una configurazione per cui l / f  0.05 in modo che:
d  const  y '
Se l’ampiezza del campo nel punto y' della diapositiva è ET  y '  , allora l’ampiezza del campo
sul piano focale nella direzione θ sarà data da
g    E  T  y '  e
i
2

 y'
dy '
dove abbiamo trascurato i termini di fase costanti additivi, uguali per tutti i punti della
trasparenza.
Poichè y  f  questa espressione diventa:
g  y   E  T  y ' e
 y
 i 2 
f

y'

dy '
y
f
(frequenza spaziale). Nel nostro apparato il limite superiore per la frequenza spaziale dà come
particolari rappresentabili oggetti di circa 0.05 mm .
Inoltre proprio per il fatto che y  f  le dimensioni lineari con cui è visibile la trasformata sul
piano focale sono proporzionali alla lunghezza focale della lente. Cioè la posizione y in cui viene
scritta una precisa frequenza spaziale sarà più distante dall'asse ottico più è grande la focale della
lente utilizzata.
Ovvero la Trasformata di Fourier della trasparenza moltiplicata per E e calcolata in  
Trasformata di Fourier con diapositiva dopo la lente
Se invece poniamo la trasparenza dopo la lente, le dimensioni della trasformata sono
strettamente legate alla posizione della trasparenza rispetto alla lente. La configurazione
geometrica è mostrata in figura 2.
L'ampiezza dell'onda che raggiunge il punto  0, y  sul piano focale si può calcolare sommando i
contributi delle onde luminose diffuse da ciascun punto della diapositiva, la quale è illuminata dal
fascio convergente di centro  0,0  .
Dai punti della trasparenza le onde diffonderanno in tutte le direzioni e ciascun punto darà il suo
contributo in  0, y  a seconda della distanza e della fase.
Chiamiamo d il cammino del generico raggio a partire dal fronte d'onda per raggiungere il
punto  0, y  . d è la somma del percorso necessario per raggiungere la diapositiva percorso in
direzione radiale, più il tratto che separa il punto della trasparenza dal punto sul piano focale.
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y
fronte d'onda
(-l, y')
(0, y)
θ
(-R,0)
(-l,0)
x
piano focale
lente convergente
diapositiva
fig. 2 - La diapositiva è messa in un fascio sferico convergente di centro (0,0) . La diapositiva ed il
piano focale della lente si trovano sull'asse x rispettivamente in -l e 0 . A distanza R dall’origine
è rappresentato un fronte d’onda.
Pertanto


d  R  l 2  y '2  l 2   l  y ' 
2
2
 1  y ' 2   1  2
y'
 y '  
 R  l 1      l 1     2       
 2 l    2
l
 l   

 

1
 R  y '  l 2  cost  y '
2
Si tratta di un’espressione molto simile a quella ottenuta nella configurazione geometrica
descritta in precedenza, e porta alla relazione:
g    E  T  y ' e
i
2

 y'
dy '
Ora tuttavia y  l per cui
g  y   E  T  y ' e
 y
 i 2   y '
 l 
dy '
Il campo d’onda che si forma nel piano focale della lente è la trasformata di Fourier della
2
trasparenza, moltiplicata per E e dilatata di un fattore
: pertanto, variando l, si può ingrandire
l
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o rimpicciolire la dimensione della regione su cui la trasformata è significativamente diversa da
zero secondo le necessità.
Filtraggio spaziale e generazione di un’onda piana
Sebbene le cavità a risonanza dei laser producano una buona radiazione monocromatica ed
uniforme, essa non è esente da componenti ad elevata frequenza spaziale dovute ad effetti
diffrattivi dell’ottica di uscita dal laser. È pratica comune negli esperimenti di ottica filtrare il
fascio per eliminare il rumore ad alta frequenza e produrre un’onda sferica dal profilo d’intensità
uniforme, povera cioè di componenti in alta frequenza spaziale.
Per realizzare ciò, si allinea il fascio laser all'asse ottico di un obbiettivo da microscopio e si pone
nel suo piano focale una piccola apertura circolare (pinhole). Nel piano focale dell’obbiettivo si
forma la trasformata di Fourier del fascio laser, con le basse frequenze concentrate nel fuoco e le
alte frequenze a distanze crescenti. Il pinhole, per definizione, lascia passare solo la radiazione
diffusa entro un piccolo angolo dall’asse ottico; questo equivale a finestrare la trasformata di
Fourier con un gradino centrato sull’origine e di raggio pari al pinhole.
Questa forma di filtraggio comporta la formazione di onde sferiche monocromatiche e
spazialmente coerenti entro certi limiti dettati principalmente dal raggio del pinhole impiegato;
minore è il raggio del pinhole (filtraggio più aggressivo), più grande sarà l’area di coerenza del
fascio a discapito della luminosità. Disporre di un fascio coerente e gaussiano (cioè avente un
profilo di frequenze spaziali modellato come una gaussiana) è la migliore condizione di lavoro per
svolgere esperimenti di ottica.
fig. 3 - Dispositivo di filtraggio spaziale. Il fascio piano proveniente dal laser viene focalizzato
dall’obbiettivo da microscopio in corrispondenza del pinhole. All’uscita si osserva un fascio sferico
spazialmente coerente.
Dopo il pinhole è stata montata una lente con diametro 8 cm al fine di raccogliere la radiazione
divergente. A seconda della posizione della lente si può generare un fronte d’onda sferico
convergente, divergente o un’onda piana, nel limite in cui la distanza tra lente e pinhole sia
uguale alla distanza focale della suddetta lente.
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Tutti i procedimenti descritti successivamente sono stati svolti utilizzando il fascio filtrato
spazialmente e per questo motivo da qui in poi verrà considerato implicito.
Olografia
Un ologramma è la registrazione totale delle informazioni trasportate dal campo
elettromagnetico incidente su un oggetto. Ciò implica una registrazione sia dell’intensità della
radiazione scatterata da un oggetto, sia delle modulazioni di fase introdotte dalla sua geometria
caratteristica. Poiché le pellicole fotografiche che si utilizzano sono sensibili all’intensità del
campo incidente, è necessario ricorrere al fenomeno dell’interferenza per tenere conto delle
modulazioni di fase.
Si considerino quindi due fasci luminosi: un’onda emessa dalla sorgente, che chiamiamo object
beam, e un’onda piana di riferimento che chiameremo reference beam.
Essi interferiscono come mostrato in figura 4.
fig.4 – Schema dell’apparato sperimentale per la realizzazione di un ologramma. Il fascio E0 porta le
informazioni morfologiche, mentre Ep è il fascio di riferimento. L’intensità della figura di interferenza
dei due fasci è registrata nel piano x=0 su una diapositiva. La funzione di trasparenza T(y) della
diapositiva è l’ologramma.
Al fine di registrare tale fenomeno è necessario che la pellicola abbia una risoluzione sufficiente
ad apprezzare la frequenza spaziale caratteristica delle frange di interferenza. Nell’olografia in
linea (caso particolare della figura in cui Φ=0) la risoluzione deve poter apprezzare la sensibilità
imposta dalla frequenza spaziale della sovrapposizione dei due fasci; a tal fine è opportuno
l’utilizzo di speciali pellicole fotografiche con trama molto fitta nell’ordine di 102 ISO.
La tecnica dell’olografia in linea presenta tuttavia un limite che ci costringe a scartarla. Per
effettuare il riconoscimento dei caratteri occorre che gli ologrammi siano separati spazialmente
rispetto al campo trasmesso, in modo da poter rivelare i picchi corrispondenti a lettere distinte.
L’olografia in linea produce immagine reale e virtuale dell’ologramma allineate sull’asse ottico,
rendendo impossibile l’identificazione dei caratteri. Il metodo di van der Lugt descritto in Fig.4.
utilizza un offset-reference beam che devia la direzione di propagazione di un angolo Φ diverso
da zero. Tale espediente introduce una separazione angolare ben precisa fra il campo trasmesso
in centro e gli ologrammi che si formano a distanza dall’asse ottico.
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fig.5 – Schema dell’apparato sperimentale utilizzato per la generazione degli ologrammi
Poiché per massimizzare l’effetto di interferenza sul CCD posto nel piano focale della lente
occorre che le intensità dei due fasci siano quanto più simili possibile (è la condizione di massima
dinamica fra frangia di interferenza buia e luminosa), è stato necessario smorzare l’intensità della
trasformata (che a differenza del fascio proveniente dalla lente cilindrica, è concentrata dalla
lente in pochi punti molto luminosi) con opportuni filtri posti a monte della trasparenza. La scelta
del filtro si è rivelata una delle operazioni più delicate di questa fase di scrittura: disporre di
un’elevata dinamica di colore sull’ologramma si è rivelato di importanza cruciale.
Nella parte superiore del disegno è rappresentata la lente cilindrica (che ricopre la funzione di
prisma) utilizzata per generare il fascio di riferimento. Nella parte inferiore sono rappresentate
invece la trasparenza e la lente che ne ha prodotto la trasformata di Fourier sul piano focale.
Sebbene il fronte d’onda uscente da una lente cilindrica non sia piano, esso approssima
efficacemente un’onda piana a grande distanza dal piano focale della lente, e su una regione
spaziale circoscritta come quella occupata dal ccd – nella configurazione sperimentale da noi
scelta la distanza tra la lente cilindrica e la pellicola era di circa 124 cm e il formato della pellicola
era 24x36 mm.
Per questo motivo ci riferiremo alla lente cilindrica con il nome di prisma. Evidentemente
manovrando la lente cilindrica si sarebbe potuto modificare l'angolo  in figura 4. Nelle condizioni
di impiego l'angolo  del fascio pE è stato determinato in circa un centesimo di radiante.
La figura di interferenza che si forma sulla pellicola è la sovrapposizione delle due onde E0 ed Ep. I
campi elettrici E0 ed Ep sono polarizzati linearmente nella stessa direzione: pertanto, su tutta la
regione dove avviene la registrazione dell’intensità della figura di interferenza prodotta dai due
fasci, i campi E0 ed Ep si potranno rappresentare a meno di un inessenziale fattore di fase
mediante
E p ( x )  ei  k , x 
f ( x, y )  Eo ( x, y, zo )
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in cui E0 è una funzione a valori reali.
Come noto scattando una foto si registra l'intensità luminosa del campo d’onda E0 + Ep, che è
proporzionale al quadrato dell'ampiezza dell'onda, generando sulla pellicola una trasparenza
olografica data da:
T  x, y   EP  x, y, z0   E0  x, y, z0  
2
 1  E0  x, y, z0   E0  x, y, z0  EP  x, y, z0   EP  x, y , z0  E0  x, y , z0  
2
 1  f 2  x, y   f  x , y  

  k x x  k y y  k z z0

 f *  x, y  
  k x x  k y y  k z z0 
Illuminando una diapositiva avente come trasparenza proprio T(y), si osserva a grande distanza
(approssimazione di “far field” o di Fraunhofer)– o nel piano focale di una lente posta
immediatamente dopo la diapositiva stessa – la trasformata di Fourier della trasparenza T(y), data
da
1
  k x k y k z 
f ( x, y ) x y z 0     x ' x  y ' y  dxdy 

2
1
1 ˆ
  k x k y k z 

f ( x, y ) x y z 0    x ' x  y ' y  dxdy 
f ( x ', y ') * fˆ ( x ', y ') 

2
2
1   kz z0  ˆ
1  kz z0  ˆ
1 ˆ
 2  x  , y   

f ( x ' k x , y ' k y ) 

f ( x ' k x , y '  k y ) 
f ( x ', y ') * fˆ ( x ', y ')
2
2
2
T  x1 y    2  x  , y   
^
Essa consiste di quattro addendi:
   x  , y   è una delta nell'origine, ossia un punto molto luminoso in corrispondenza dell'asse
ottico.

fˆ ( x ', y ') * fˆ ( x ', y ') è l'autocorrelazione della trasformata di f, che da luogo ad una luminosità
diffusa intorno all'origine

  k z  fˆ ( x ' k x , y ' k y ) e   k z  fˆ ( x ' k x , y ' k y ) rappresentano due campi d'onda con la
z 0
z 0
stessa struttura (entrambi coincidono, a meno di un fattore di fase e di un fattore di
normalizzazione) e direzioni di propagazione differenti. Essi, una volta investiti nuovamente dal
reference beam, ricostruiscono il fronte d'onda uscente dall'oggetto che ha scritto l'ologramma (i
due termini vengono denominati Immagine Reale ed Immagine Virtuale, dove la differenza ricalca
la distinzione presente anche nell’ottica geometrica e dipende dalla direzione di propagazione del
reference beam). Quest'ultimo termine rigenera il fronte d'onda uscente dall'oggetto che ha
creato l'ologramma. Posizionando perciò un osservatore nel piano di formazione dell’ologramma
nella direzione  esso risulta in grado di “vedere” l'oggetto (ad es. nel caso dell’occhio umano,
l’ologramma viene proiettato sulla retina).
Si comprende così perché si attribuisca agli ologrammi la proprietà di riprodurre il campo
incidente in ampiezza e fase. Di fatto con questo procedimento si ottengono anche "prodotti
collaterali" che tuttavia non disturbano la ricostruzione del fronte d'onda originale, contenente le
informazioni morfologiche, perchè diretti secondo angoli differenti.
La registrazione dell'ologramma è evidentemente ottimale quando il contrasto degli annerimenti
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dovuti all'interferenza è massimo. Si è proceduto pertanto con numerosi tentativi per
determinare quale fosse effettivamente la miglior combinazione di posizioni, intensità e tempi di
esposizione per ottenere immagini ricostruite migliori.
Una volta completato l’apparato si è proceduto alla registrazione delle figure olografiche.
Per prima cosa si è utilizzato un ccd di una macchina digitale per poter stabilire se i dati erano
soddisfacenti e, nel caso non lo fossero, adattare opportunamente l’apparato. Questa analisi
iniziale è stata eseguita tramite Matlab una FFT sulle immagini acquisite. Dopo numerosi tentativi
si è arrivati ad un risultato soddisfacente e si è passati alla seconda fase, ovvero quella di
registrazione su pellicola. Per la registrazione degli ologrammi sono state utilizzate pellicole
fotografiche in bianco e nero da 50 ISO di formato 24x36 mm.
Dopo aver montato la macchina priva di obbiettivo nel punto di acquisizione olografica, si è
proceduto alla registrazione facendo variare i tempi di esposizione, al fine di variare la
saturazione e quindi il contrasto tra l’onda portante e l’ologramma vero e proprio. Tale
procedimento è avvenuto secondo lo stile “trial and error” e ha portato a concludere che per
ottenere un contrasto e una nitidezza ottimali degli ologrammi sia necessaria una leggera
sovraesposizione dell’immagine. La motivazione dietro a questo fenomeno sta nel fatto che la
pellicola per basse intensità è lineare e per alte intesità tende a saturarsi (asinstoto orizzontale di
cut-off) e che la saturazione si comporti come un passa-alto: sovrassaturando si aumenta la
dinamica di fondo a cui corrisponde però una debole variazione della regione di spazio già
saturata. Nello specifico sono state effettuate 5 diverse esposizioni (1000, 500, 250, 125, 50) per
ogni dimensione del simbolo trasformato.
Si sono utilizzate diverse dimensioni della trasformata del simbolo perchè in fase di ricostruzione
olografica e riconoscimento caratteri, siamo stati costretti a utilizzare il sistema in lente
convergente e trasparenza posta a valle (vedi paragrafo “trasformata di Fourier con diapositiva
dopo la lente”).
Riconoscimento ottico
Scopo del nostro studio sperimentale è stato impiegare il noto teorema, per cui la trasformata di
Fourier del prodotto di due funzioni è la convoluzione delle loro trasformate
1  

fg 
f *g
2
per elaborare un sistema ottico di riconoscimento caratteri. La scelta di basare il sistema di
riconoscimento caratteri sull'operazione di convoluzione è dettata dal fatto che i caratteri da noi
analizzati + e x presentano una mutua correlazione molto piccola e un'autocorrelazione
apprezzabile.
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fig. - Apparato sperimentale per realizzare la convoluzione di testo e lettera. La lettera sistemata nel
fascio convergente della lente 1 genera la sua trasformata di Fourier sull'ologramma del testo. La
lente 2 raccoglie le onde luminose e mostra la convoluzione di lettera e testo sul sensore della
macchina fotografica.
Abbiamo quindi prodotto la trasparenza olografica della trasformata di Fourier di un testo
(descritto dalla funzione TXT) come descritto nel paragrafo precedente.
E p ( x)  eik , x
con z0 = 0 per semplicità,
2
  x, y  
T  x, y   EP  x, y   TXT
2
  x, y   TXT
 *  x, y  E  x, y   E   x, y  TXT
  x, y 
 1  TXT
P
P
in cui il modulo quadro della trasformata di TXT può essere trattato come un termine trascurabile
poichè come visto interessa una direzione di propagazione differente.
La trasparenza olografica è stata collocata nel piano focale di un fascio convergente. Abbiamo
quindi prodotto otticamente la trasformata di Fourier di un carattere (descritto dalla funzione C)
illuminando la sua diapositiva con l'onda convergente. La distanza fra trasparenza della lettera e il
piano focale è stata scelta in modo da produrre una trasformata di dimensioni confrontabili con
quelle della trasformata di TXT.
Nel piano focale il campo d'onda descritto dalla trasformata di Fourier del carattere C è stato
modulato con l’ologramma del testo.
 ( x, y)  C
 ( x, y)T ( x, y)
C
Una lente montata oltre la trasparenza olografica raccoglie la radiazione emergente
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dal'ologramma e permette di registrare nel suo piano focale un campo d'onda descritto dalla
convoluzione di C con la trasformata di Fourier della trasparenza olografica:

  x ', y '  C
 ( x, y )  1 TXT
 ( x, y )C
 ( x, y)    kx x  k y y    x ' x  y ' y  dxdy 
CT

2
1 
 * ( x, y )   kx x  k y y    x ' x  y ' y  dxdy 

C
(
x
,
y
)
TXT
2 
 Cr ( x, y )  C r *TXTr ( x ' k x , y ' k y )  Cr * TXT ( x ' k x , y ' k y ) 
 C ( x, y )  C * TXT ( x ' k x , y  k y )  C * TXT ( x ' k x , y  k y )
in cui è stata utilizzata la nota proprietà della trasformata di Fourier
f ( x, y)  f ( x,  y)  f ( x, y)
r
e si ha
TXTr ( x, y)  TXTr ( x,  y)
Cr ( x, y )  C ( x,  y )  C ( x, y )
C è funzione pari, per la particolare forma dei caratteri che abbiamo analizzato. Qui ci preme
sottolineare che come prima i termini contenenti le componenti di k permettono di separare in
direzioni diverse dall'asse ottico principale le immagini di interesse olografico. In direzione
dell'asse ottico finiscono tutti gli altri termini non dipendenti da k . In particolare si potrà vedere
anche la lettera C in direzione dell'asse ottico sovrapposta ad una luminosità di fondo (data dalla
trasformata del prodotto fra C e |TXT|2. La zona di maggior interesse è quella dove si forma la
convoluzione del testo con la lettera.
Considerazioni sperimentali sul filtraggio van der Lugt
Nei paragrafi precedenti abbiamo descritto ed esaminato i principali aspetti della sintesi degli
ologrammi, dei dispositivi presenti sul banco ottico ed il procedimento sperimentale con cui
realizziamo il filtraggio van der Lugt.
In questo paragrafo discutiamo il risultato delle misure centrali dell’esperimento: la capacità degli
ologrammi prodotti di evidenziare nel campo trasmesso le lettere con cui sono stati
impressionati.
Posizionamento dell’ologramma
Posizionare l’ologramma è un operazione estremamente delicata da eseguire, a cui deve essere
dedicato tempo e molta cura perché l’esperimento possa avere buon esito. Discutiamo il motivo
di tale importanza.
Si tratta di un posizionamento nello spazio delle frequenze spaziali, quindi uno spostamento di
questa diapositiva comporterebbe un cambiamento delle frequenze costituenti la lettera da
riconoscere e fallirebbe il riconoscimento del testo.
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Frequenze spaziali contenute in un carattere
Consideriamo un carattere, per semplicità la lettera “i”, di cui conosciamo la dimensione D della
stampa sulla pellicola (ad esempio, D = 2 mm). Si può ragionevolmente stimare che una i il
rapporto lo spessore e l'altezza del carattere sia di un sedicesimo. La distanza più piccola quindi
che vogliamo scrivere sull'ologramma della trasformata di Fourier è quindi
1
d
D  62.5 μm
32
Questa lunghezza "minima" è quella che apparirà più distante dall'asse ottico al momento della
registrazione della trasformata su pellicola. Operando semplici calcoli con questo vincolo di
risoluzione, la lunghezza d'onda λ del laser si può ricostruire a quale lunghezza fisica questa
frequenza spaziale corrisponda sul piano focale della lente:
2 64
q

d
D

2
q  2k sin  k 

2

tan  

L

64 2 

D
 L
L

d
La distanza L è la distanza caratteristica che, come spiegato nei paragrafi precedenti, determina
le dimensioni dell'immagine visibile sul piano focale.
Risolvendo l’equazione trovata con i parametri dei nostri dispositivi (L = 120 cm, λ = 632.8 nm), si
ottiene
max  1.2 cm
Ciò significa che sinusoidi con frequenza pari alla frequenza di Nyquist vengono scritte a circa 1,2
cm dal centro della trasformata. La più bassa frequenza contenuta nella lettera si distanza 32
volte inferiore quella della massima frequenza:

min 
max
 0.37 mm
32
In questo breve calcolo abbiamo riassunto i vincoli sperimentali della risoluzione del nostro
apparato ottico. Queste considerazioni hanno portato ad un corretto dimensionamento dei
caratteri per ottimizzare le dimensioni degli ologrammi e delle acquisizioni dei dati sperimentali.
Posizionamento dell'ologramma nel piano focale
Dai calcoli appena conclusi si evince che è necessario allineare l’ologramma al centro della
trasformata con una precisione nell’ordine del decimo di millimetro nel piano focale. Anche la
posizione sull’asse otico gioca un ruolo importante: l’errato posizionamento dell’ologramma nel
fuoco della lente distorce completamente il processo di filtraggio (ci si potrebbe dilungare nella
discussione di come un errato posizionamento nel fuoco introduca una nuova funzione di
trasferimento nel sistema, ma tralasciamo questa analisi per brevità).
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Nonostante disponessimo di un movimento a tre assi con viti di spostamento tarate al decimo di
millimetro l’operazione di centratura dell’ologramma è risultata piuttosto delicata. Un buon
metodo consiste nell’installare come immagine lo stesso pattern con cui si è impressionato
l’ologramma; variando le posizioni nei tre assi si giungerà ad un massimo nell’intensità degli
ologrammi in corrispondenza di corretto allineamento.
Risposta all’impulso
La prova più semplice degli ologrammi, prima di procedere al filtraggio van der Lugt, consiste
nell’illuminarli con un’onda piana e visualizzarli con il sensore della macchina fotografica. Dal
confronto con l’immagine ricostruita digitalmente (mediante FFT) si valuta l’efficacia del processo
di scrittura.
Figura 1: L'immagine sulla sinistra è la risposta all'impulso ottenuta con l'apparato sperimentale, mentre quella sulla destra è la
ricostruzione digitalmente mediante FFT dell'ologramma acquisito in digitale
Come è evidente da (Figura) il processo di scrittura dell’ologramma è avvenuto correttamente,
con risultato estremamente simile a quanto simulato digitalmente, a testimonianza dell’efficacia
del processo di scrittura e sviluppo.
Ologrammi come operatori di convoluzione
Come descritto nei paragrafi precedenti, gli ologrammi agiscono sul campo trasmesso come
operatori di convoluzione nelle condizioni di filtraggio Van der Lugt .
Per verificare questa asserzione; sostituiamo nell'apparato di riconoscimento caratteri
l’ologramma del testo con quello della lettera i (in figura è riportata la sua risposta all’impulso) e
la diapositiva in fascio convergente con il testo di caratteri x e + .
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Figura 2: Nell’ordine: ricostruzione dell’ologramma posto sul banco; convoluzione fra il campo trasmesso e l’ologramma; profilo
estratto dalla lettera i con cui l’ologramma è scritto; profilo estratto della linea verticale dell’ologramma del simbolo croce che
evidenzia l’effetto convolutivo.
In figura si osserva l’effetto convolutivo descritto; ciascun ologramma ha una piccola replica
spostata lateralmente dovuta al puntino della lettera i ridotta notevolmente in ampiezza rispetto
al picco principale. Nei grafici sottostanti sono riportati i profili della funzione convolvente (la
funzione di intensità modellata come una i ) e del risultato della convoluzione con il campo
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incidente, sezionata in un punto rettilineo dove non siano presenti altre porzioni del campo
incidente. Sono ben visibili i due picchi dovuti alla convoluzione con il corpo della lettera e con il
punto, separato.
Identificazione caratteri
L’ultima fase dell’esperimento è la più cruciale, e come già descritto consiste nel determinare in
quale misura gli ologrammi siano in grado di identificare la forma del campo trasmesso e
produrre picchi a posizioni diverse in corrispondenza a lettere diverse.
Riconoscimento di una croce e di una x
Discutiamo il riconoscimento caratteri con l’ologramma del testo di simboli x e + illuminato con
un campo proveniente da un diapositiva a forma di x o a forma di +. Se il riconoscimento si
comportasse come atteso, il filtro Van der Lugt dovrebbe produrre un picco di intensità in
corrispondenza del carattere identico, una zona di luminosità più evidente rispetto a quella
dell'altro carattere. I risultati ottenuti sono in figura.
Figura 3: Figure di intensità registrate riconoscendo una croce e una ics
L’effetto di riconoscimento è visibile.
Autocorrelazione
La correlazione incrociata è un operatore matematico molto simile alla convoluzione, l’unica
differenza tra le due operazioni è l’inversione di segno della funzione spostata; la convoluzione
comporta l'inversione di una funzione e poi lo spostamento ed il prodotto per un’altra funzione,
la correlazione comporta solamente lo spostamento ed il prodotto. Questa operazione dà una
misura quantitativa della coincidenza di due funzioni a seconda della loro posizione sull’asse.
Per la pulizia dei dati sperimentali si è deciso di utilizzare la tecnica dell’autocorrelazione. Questa
tecnica corrisponde alla correlazione incrociata dell’immagine con se stessa, quindi permette il
riconoscimento di elementi ripetuti e di simmetrie/asimmetrie nell’immagine nonostante sia
presente un elevato rumore statistico. Una proprietà di questo operatore è di avere sempre un
picco nell’origine (che corrisponde al prodotto del segnale con se stesso).
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L’utilizzo dell’autocorrelazione permette un migliore studio statistico di dati con elevata presenza
di rumore; che nel nostro caso è generato dalla diffrazione dalle trasparenze che il fascio
incontrava nel suo cammino.
Abbiamo già analizzato che l’effetto del processo di filtraggio van der Lugt sul campo trasmesso è
convolutivo. I picchi di intensità risultanti dopo il filtraggio hanno la forma sia del carattere
registrato sull’ologramma, sia del carattere trasmesso nel centro: è un massimo, infatti, solo se le
forme sono sufficientemente simili.
Sfruttando questa considerazione, ed il fatto che l’unica zona dell’immagine apprezzabilmente
diversa da zero in termini di intensità è la zona centrale di fascio trasmesso, si può usare
l’immagine stessa per mettere in risalto i massimi di intensità correlando l’immagine con se
stessa. In questo modo, quando la zona centrale chiara si sovrappone ad un ologramma con la
stessa forma, il picco viene amplificato in intensità; sovrapponendo una forma già più debole e in
più anche più diversa, essa non viene amplificata altrettanto.
Con questa tecnica, ci aspettiamo di mettere in risalto i massimi dovuti al riconoscimento, e
deprimere il rumore convolutivo nelle zone in cui non è avvenuto il riconoscimento. I risultati
sono i seguenti.
Figura 4: Autocorrelazione delle figure di intensità – lo spostamento del picco è piuttosto evidente
Figura 5: Rappresentazione pittorica tridimensionale delle autocorrelazioni nei due casi
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L’effetto di spostamento del picco è evidente: la croce produce un massimo ad un angolo
decisamente diverso a quello della x.
Variazione continua da una figura all’altra
Per concludere abbiamo variato con continuità la forma del campo trasmesso partendo dalla +
per giungere alla x. Per realizzare praticamente tale variazione, è sufficiente ruotare con
continuità la trasparenza che genera il campo. Ci aspettiamo che i picchi di intensità
progressivamente varino di altezza fino a scambiarsi, al transire da una condizione sperimentale
all’altra.
Figura 6: Transizione continua da una croce a una ics
Sebbene l’esperimento sia stato condotto con oltre 30 immagini, sono riportate soltanto tre di
esse corrispondenti alla condizione originaria (+), intermedia, e finale (x). Si vede chiaramente
l’inversione del picco di intensità.
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