UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI GENOVA SCUOLA DI SCIENZE MEDICHE E FARMACEUTICHE CORSO DI LAUREA TRIENNALE IN FISIOTERAPIA Coordinatore: Prof. Carlo Gandolfo LA FUNZIONE VISIVA COME INTEGRAZIONE TRA PROCESSI COGNITIVI E MOTORI: PROPOSTE DI ESERCIZIO NELLA RIABILITAZIONE DELLE PARALISI CEREBRALI INFANTILI Candidato Roberto D’Anca Relatore Dott.ssa Valeria Banaudi Anno Accademico 2011/2012 INDICE INTRODUZIONE pag. 5 CAPITOLO I Le teorie dello sviluppo psicomotorio 1.1 Vygotskij, Piaget, Bruner: sviluppo, conoscenza ed azione pag. 8 Vygotskij e il bambino “culturale” pag. 8 La zona di sviluppo potenziale pag. 10 Piaget e il bambino “epistemico e logico” pag. 15 Piaget: la scala dell’ inseguimento visivo e della permanenza dell’oggetto pag. 16 Bruner e il bambino “rappresentazionale e narrativo” pag. 18 Bruner: conoscenza e teorie della mente pag. 20 1.2 Comunanze e differenze sulle concezioni dello sviluppo pag. 22 CAPITOLO II Il sistema visivo: dall’occhio alla corteccia cerebrale 2.1 Lo sviluppo del sistema visivo pag. 24 2.2 I sistemi oculomotori nel bambino pag. 25 2.3 La neurofisiologia della funzione visiva pag. 28 2.4 La connessione tra il sistema vestibolare e il sistema visivo pag. 32 2.5 L’integrazione visuo-vestibolo-somestesica pag. 35 2 CAPITOLO III Le paralisi cerebrali infantili…non solo un problema motorio 3.1 Il concetto di Paralisi Cerebrale Infantile pag. 38 3.2 Le anomalie dello sguardo pag. 42 3.3 I disturbi visivi pag. 45 CAPITOLO IV Il sistema visivo come costruttore di informazioni 4.1 La percezione come mezzo per conoscere pag. 50 La percezione della profondità pag. 51 Le costanze percettive pag. 52 L’approccio della Gestalt alla percezione della forma pag. 53 4.2 L’informazione: la teoria di Bateson pag. 54 4.3 Il problem solving pag. 55 CAPITOLO V La valutazione del sistema visivo 5.1 Dai prerequisiti teorici alla scheda di valutazione del sistema funzionale dell’esplorazione visiva pag. 58 CAPITOLO VI Dalla valutazione alle proposte di esercizio 3 pag. 70 CAPITOLO VII Esperienza clinica 7.1 Materiali e metodi pag. 78 7.2 Caso 1: Federico pag. 80 Storia clinica pag. 80 Osservazione pag. 81 Valutazione del sistema funzionale dell’esplorazione visiva pag. 82 Obiettivi pag. 85 Unità di lavoro ed esercizi pag. 86 Analisi dei risultati pag. 86 7.3 Caso 2: Elio Marcello pag. 90 Storia clinica pag. 90 Osservazione pag. 91 Valutazione del sistema funzionale dell’esplorazione visiva pag. 92 Obiettivi pag. 94 Unità di lavoro ed esercizi pag. 95 Analisi dei risultati pag. 95 CONCLUSIONI pag. 98 RINGRAZIAMENTI pag. 100 BIBLIOGRAFIA pag. 101 4 INTRODUZIONE La vista che serve per afferrare, quella che serve per camminare, oppure per leggere non possono essere considerate della stessa natura. Per ogni funzione il sistema visivo offre uno specifico contributo; infatti la vista che serve per “riconoscere gli oggetti” ha ben poco a che vedere con altre funzioni visive; l’identificazione di oggetti è dunque riconoscimento di forme o di dettagli, ma è da subito capacità di integrare l’osservazione visiva con l’analisi del contesto in cui è immerso l’oggetto. La visione d’oggetti e la visione panoramica vengono considerate anatomicamente e funzionalmente separate. Se per la prima si utilizza il sistema occipito-temporale, per la seconda è invece il sistema occipito-parietale ad essere coinvolto, pur riguardando aspetti essenziali della visione d’oggetto. Tale concetto non è solo importante nell’ambito delle ricerche neurofisiologiche e neuropsicologiche sul sistema visivo, ma può assumere notevole valore ai fini riabilitativi e circa l’interpretazione del recupero spontaneo. Il neonato può riuscire a controllare il capo in epoca precocissima, se utilizza la vista. Ad esempio nella “manovra di trazione” (sollevamento del neonato da supino a seduto traendolo per le mani) essa permette il sollevamento, il controllo del capo e l’allineamento capo-tronco, soprattutto se l’esaminatore mantiene un continuo rapporto occhio ad occhio; lo sguardo, quindi, “dirige” il movimento del capo, facilitandone il controllo e l’allineamento. Reciprocamente, un buon controllo del capo favorisce un buon utilizzo della vista ed il riconoscimento e l’uso degli oggetti. Il fine dell’esplorazione visiva è la percezione: il movimento saccadico serve per raccogliere informazioni visive; d’altra parte, esse influenzano le modalità dell’esplorazione stessa cosicché il “guardare e vedere”, oppure il “guardare per vedere”, o ancora “vedere e guardare” oppure “vedere per guardare”, sono soltanto aspetti e formule apparentemente diversi. Fin da subito il neonato incomincia ad “organizzare” le sue attività, cioè ordina le sequenze dei movimenti rispetto al raggiungimento di uno scopo, producendo così “una strategia di risposte ai fini adattivi”. Per tale motivo da alcuni studiosi il sistema visivo viene considerato un “occhio intelligente”, ossia uno strumento attraverso il quale il cervello può 5 continuamente riadattarsi al cambiamento del contesto in cui si trova. Infatti secondo la teoria di Piaget alla fase neonatale, caratterizzata da un’attività puramente riflessa, fa seguito uno stadio in cui l’attività sensopercettiva e motoria si configura con un tipo di intelligenza particolare (definita appunto “sensomotoria”) che presenta alcune peculiari caratteristiche: è costituita da una serie di apprendimenti riguardanti schemi di natura neurofisiologica e riferibili in gran parte alla sfera visiva e non è compatibile con un’attività mentale separata dalla percezione e dalla motricità. Lo sviluppo visivo non è più stato considerato come un fenomeno relativamente isolato e scandito al proprio interno da cambiamenti quantitativi, ma si è dimostrato un processo molto discontinuo, caratterizzato da importanti variazioni qualitative ed inscindibilmente legato all’intera evoluzione percettiva, motoria e neuropsichica. Una delle acquisizioni più interessanti concerne proprio l’interazione tra occhio e cervello: non più un occhio “che vede” al servizio di un cervello “che pensa”, ma un ben diverso modello concettuale, che attribuisce alla funzione visiva un ruolo strutturante nei confronti dell’organizzazione neurosensoriale e dei processi che la sostengono. Un sistema visivo che non serve solo a “vedere” trova dunque notevole applicazione nella riabilitazione del bambino affetto da paralisi cerebrale infantile. In primo luogo per le difficoltà che il soggetto incontra nell’organizzare le sue esperienze di conoscenza e di adattamento al mondo che lo circonda e, inoltre, perché una corretta stimolazione di tale canale sensoriale permetterà al bambino di acquisire o migliorare capacità fondamentali per la vita quotidiana come il controllo del capo e del tronco e la coordinazione occhi-capo. Oltre al campo visivo si possono ottenere benefici anche in ambito relazionale poiché il bambino tramite lo sguardo comunica i suoi bisogni, il suo stato d’animo e le sue preferenze. Diventerà importante per il riabilitatore analizzare le strategie che possono essere apprese, modificate e analizzate dal bambino grazie a processi cognitivi che integrano le informazioni dei diversi canali sensoriali, in particolare quello visivo e vestibolare per la costruzione di uno “sguardo funzionale”. Lo scopo della tesi è, dunque, valorizzare la funzione visiva e inserirla nel piano di 6 trattamento come strumento riabilitativo attraverso l’osservazione di due casi di bambini con Paralisi Cerebrale Infantile, seguiti presso il Centro pediatrico di Riabilitazione Motoria dell’Ospedale di Imperia per un periodo di sei mesi. Tramite l’utilizzo di una scheda di valutazione del sistema funzionale dell’esplorazione visiva vengono osservate le abilità visuo-motorie dei due bambini. Il percorso riabilitativo della sperimentazione proposta fa riferimento all’Esercizio Terapeutico Conoscitivo, in quanto tale teoria afferma che la qualità di recupero mediante l’utilizzo di processi cognitivi attivati porta alla riorganizzazione post-lesionale, fine ultimo della riabilitazione. L’intervento terapeutico che ho condotto si è basato su una condizione di problem solving, ponendo ai due pazienti una richiesta all’interno di ogni esercizio per far si che la loro esplorazione visiva fosse globale e, di conseguenza, non solo interessata a ciò che prediligono, ma utile per l’apprendimento. 7 CAPITOLO I Le teorie dello sviluppo psicomotorio 1.1 VYGOTSKIJ, PIAGET E BRUNER: SVILUPPO, CONOSCENZA ED AZIONE Il bambino costruisce azioni per poter conoscere il mondo e chi gli sta intorno e, attraverso il sistema visivo, soddisfa in completa autonomia il suo desiderio di esplorare e il suo bisogno di conoscenza. Molti autori in letteratura hanno proposto diverse teorie sulla capacità del bambino di superare quei problemi conoscitivi che gli permetteranno di regolare e di dare senso alla sua azione e, quindi, al suo comportamento, attraverso una presa di coscienza di sé e del mondo che lo circonda; competenza definita dagli stessi autori “teoria della mente”. Le teorie dello sviluppo psicomotorio a cui si fa riferimento sono definite interazioniste (Vygotskij L.S., 1973, Bruner J.S., 1992), costruttiviste (Piaget J., 1967, Bruner J.S., 1992) e sistemiche (Bruner J.S., 1992, Camaioni L. e coll., 1995) e sono l'attuale base teorica dello studio sullo sviluppo del bambino, considerato nella sua globalità come sistema regolato da processi di auto-organizzazione. Vygotskij, Piaget, Bruner spiegano lo sviluppo del comportamento del bambino in termini di costruzioni di conoscenza, che scaturisce dall'emergere dei processi cognitivi e delle strategie d'azione. Vygotskij e il bambino “culturale” Secondo Vygotskij (1973) lo sviluppo del bambino è il risultato dell'intreccio tra i processi di evoluzione biologica e di sviluppo culturale che, nella nostra genesi, costituiscono un processo unitario. 8 In ontogenesi si assiste allo sviluppo di un “comportamento culturale”, cioè mediato da segni. L'oggetto dello sviluppo è la capacità graduale, che l'individuo acquisisce stando all'interno della società: dal semplice “usare” la mente al saperla controllare, grazie ad una serie di segni mediatori dell'integrazione sociale. Le modalità, invece, sono date da un cambiamento comunicativo-culturale e da segni che vengono interiorizzati dal bambino ed utilizzati per regolare il comportamento. In pratica ogni funzione psichica superiore rappresenta una relazione sociale interiorizzata. I segni, nel corso dello sviluppo individuale, sono inizialmente mezzi di integrazione sociale e, solo successivamente, trasferendosi all'interno del sistema mentale del bambino, diventano mezzi di organizzazione individuale. La conoscenza si attua quando i segni assumono valore di “strumenti-stimoli”, i quali servono ad esercitare un controllo volontario sul comportamento in quanto significativi o comunque forme di esperienza socialmente condivise. È proprio il significato, che dà all'uomo la capacità di modificare gli elementi esterni attraverso i segni, i quali in un secondo momento, essendo interiorizzati, permettono all'uomo di dirigere il suo stesso comportamento. Qualsiasi forma primitiva del comportamento del bambino viene ad essere superata attraverso un diverso rapporto che il bambino stesso acquisisce con il mondo esterno e che gli permette di modificarsi in relazione all’ambiente. Il pensiero viene definito come una sorta di meccanismo di trasmissione tra le pulsioni emotive e il comportamento, diventando, perciò, il presupposto per l'atto volontario. Esso viene interpretato sia come un sistema di comportamento che insorge sulla base delle pulsioni istintive ed emotive dell'organismo, dalle quali è determinato, sia, al contrario, come la scelta che, tra le diversi istanze emotive, genera l'azione volontaria che persegue lo scopo che ci siamo prefissi. La natura del pensiero è, quindi, motoria. Vygotskij afferma che qualsiasi stimolo proveniente dall'esterno, successivamente elaborato ed interiorizzato dal sistema nervoso centrale, guadagna in flessibilità, precisione e complessità nell'interazione reciproca con gli elementi del mondo esterno. L'azione che ne deriva assume forme più complesse e precise. Viceversa il pensiero in un certo senso organizza preliminarmente il movimento attraverso la sua rappresentazione interna. 9 La zona di sviluppo potenziale L'apprendimento e lo sviluppo mentale sono un'unica cosa, per cui devono essere congruenti l'uno rispetto all'altro. Vygotskij, innanzitutto, rivaluta il concetto di imitazione, affermando che la collaborazione è un contesto utile per lo sviluppo delle capacità. Esiste sempre un divario, anche se minimo tra la capacità di lavoro individuale e quella del lavoro in collaborazione; questo significa che non tutto si può imitare, ma soltanto ciò a cui il bambino è potenzialmente già vicino. L'apprendimento, per essere fruttuoso, deve agganciarsi nel suo limite inferiore ai cicli dello sviluppo già conclusi, ma fare leva, poi, sulle funzioni che sono in corso di maturazione. La differenza tra il livello dei compiti eseguibili con l'aiuto degli adulti e quello dell'attività indipendente definisce l'area si sviluppo potenziale del bambino. Ciò che il bambino può fare oggi con l'aiuto degli adulti, lo potrà fare da solo domani. L'area di sviluppo potenziale ci permette di determinare le future acquisizioni del bambino e di prendere in esame non solo ciò che lo sviluppo ha già prodotto, ma anche ciò che produrrà nel processo di maturazione. Vygotskij afferma: “è buono quell'apprendimento che precede lo sviluppo e attiva una serie di funzioni che stanno maturando e che, quindi, si trovano nella zona di sviluppo prossimale”. Lo stato dello sviluppo mentale di un bambino viene determinato da almeno due livelli: quello di sviluppo effettivo e l'area di sviluppo potenziale (Puccini P., Perfetti C., 1992). 10 Questa deve essere intesa come “l'insieme delle sequenze comportamentali all'interno del quale esiste la possibilità di correzione di strategie ritenute insufficienti”; ciò può essere ottenuto dal riabilitatore mediante la proposta di ipotesi percettive adeguate, la quale può rendere significativa la raccolta di determinate informazioni. Per definire l'area di sviluppo potenziale non è importante il dato patologico (cioè l'inadeguatezza del comportamento rispetto alla situazione), ma la capacità del bambino di far fronte alla necessità di acquisire informazioni specifiche per la risoluzione del compito stesso. Secondo Vygotskij, l'area può essere valutata in base alle differenze constatate tra gli indici delle prestazioni autonome e quelli dell'attività svolta con l'aiuto degli adulti e specialmente in questo ambito è possibile fare intervenire l'apprendimento di nuove strategie; l'insegnamento ha la possibilità di intervenire sugli aspetti evolutivi solo nel caso che possa percorrere lo sviluppo. L'esposizione del bambino ad esperienze tali da permettere un superamento delle carenze maturative, così da attivare processi interni dello sviluppo, deve presentare caratteristiche specifiche che possono essere dedotte solo dalla determinazione di un preciso livello di area di sviluppo potenziale. Una volta che il bambino si presenta alla nostra osservazione dovremmo essere in grado di valutare non solo quello che è in grado di fare e come lo fa autonomamente, ma dobbiamo cercare di capire se ci sono dei margini di intervento riabilitativo attraverso cui è possibile aiutarlo a modificare il suo comportamento e guidarlo a raggiungere livelli di sviluppo successivi, più complessi. L'area è costituita dalla distanza tra il livello attuale di sviluppo, così come determinato dal problem solving autonomo rispetto ad un determinato compito, e il livello di sviluppo raggiunto sotto la guida dell'adulto o in collaborazione con i propri pari più capaci. L'apprendimento non è di per sé sviluppo, ma una sua corretta organizzazione attiva una serie di processi che altrimenti rimarrebbero inattivi. Questa concezione, che riconosce il ruolo predominante dell'apprendimento sullo sviluppo, è analoga all'impostazione di Galperin che precisa ulteriormente alcune 11 componenti del processo di apprendimento in riferimento all'azione oggettuale. Anche in riabilitazione occorre individuare le condizioni che possono ridurre gli errori e che tendono a sviluppare con sicurezza gli indici prestabiliti dall'azione. Per ottenere la correzione dell'errore Galperin propone che questo venga scelto come punto di partenza per l'individuazione del compito da effettuare all'interno dell'esercizio; questo consiste così nel trovare il punto di orientamento, cioè la capacità di comprensione degli elementi contemplati nel compito, che sono significativi per il raggiungimento di certi scopi, in modo da permettere al soggetto di non compiere quel determinato errore. La ricerca dei punti di orientamento viene proseguita finché la correzione del loro insieme non garantisce al soggetto la possibilità di eseguire una nuova azione in modo giusto fin dalla prima volta. Dal punto di vista riabilitativo l'area di sviluppo potenziale può essere intesa come quell'insieme di sequenze comportamentali attivate correttamente mediante adeguate ipotesi percettive e opportune facilitazioni. Il compito proposto, da realizzare attraverso una sequenza motoria, deve essere moderatamente discrepante, in termini di complessità, rispetto al livello di sviluppo. Questo, come del resto l'area di sviluppo potenziale, deve tenere conto e quindi far riferimento al livello di conoscenze; le ipotesi percettive devono pertanto essere coerenti con la costruzione delle conoscenze e nello stesso tempo favorire livelli superiori di essa. La discrepanza della complessità delle ipotesi percettive rispetto al livello di sviluppo è indispensabile per favorire il processo di adattabilità delle strutture nervose alla realtà esterna. Con il termine facilitazioni si deve intendere da un lato la creazione, per il sistema nervoso centrale, della necessità di acquisire certe informazioni, dall'altro la guida per la raccolta di queste attraverso l'individuazione di interazioni con il mondo circostante. Non si tratta quindi di una costrizione neuromotoria, ma di una guida nell'individuare i punti di orientamento per elaborare ed eseguire un'azione corretta. Al fine di facilitare il bambino a trasferire l'esperienza terapeutica nell'agire quotidiano può essere utile avvalersi di modalità d'aiuto come le istruzioni verbali e 12 non verbali, la tipologia dell'informazione e il significato attribuito dal paziente stesso all'esperienza condivisa. Il confronto tra le prestazioni svolte autonomamente dal bambino e quelle realizzate con l'aiuto dell'adulto permette di capire: 1) il corso interiore dello sviluppo valorizzare la soggettività: bambini con lo stesso livello di sviluppo hanno differenti aree di sviluppo prossimale; 2) i processi in corso di formazione porre in rilievo le modalità con cui il bambino procede da un livello evolutivo ad un altro; 3) l'immediato futuro del bambino e il suo stato dinamico di sviluppo/recupero osservare quali strategie il bambino è in grado di adottare spontaneamente e se queste possono cambiare sotto la guida dell'adulto. Il riferimento a tale area è utile per individuare una prima traccia di programmazione dell'esercizio, per comprendere la disponibilità del bambino a mettere in discussione il proprio punto di vista e a sperimentare quello altrui, per suscitare l'interesse alla conoscenza e accrescere la consapevolezza nelle proprie capacità di cambiamento. E' possibile definire l'area di sviluppo potenziale sulla base di tentativi di perfezionamento delle strategie, compiuti sia autonomamente dal bambino che con l'aiuto degli adulti. Il tentativo di modificare l'atto comportamentale presuppone, da parte del bambino stesso, la capacità di giudicarlo insufficiente nei confronti del processo di acquisizione delle informazioni necessarie. Il tentativo di attuazione di una strategia corretta sta infatti ad indicare l'avvenuta elaborazione di un processo di anticipazione corretto con il quale confrontare le informazioni risultanti dal movimento. Al bambino, con un livello di sviluppo inadeguato alle variabili del mondo fisico, non è possibile far identificare i limiti della strategia motoria attraverso segnali di comunicazione linguistica. Il bambino si rende conto dell'adeguata programmazione ed esecuzione della sequenza sulla base del risultato dell'azione. Se si considera il risultato dell'azione come fonte di informazione, il riabilitatore deve prevedere quali elementi, di quelli contemplati nel compito, risultino significativi per il raggiungimento di certi scopi affinché avvenga il superamento dei limiti della 13 capacità interattiva. Su tali basi si può ipotizzare che l'esercizio terapeutico possa servire a trasformare l'area di sviluppo potenziale in area di sviluppo effettivo. L'individuazione dell'area di sviluppo potenziale permette la programmazione dell'esercizio terapeutico, mentre la trasformazione di questa area in attuale, corrispondente cioè alla capacità di attivare autonomamente un determinato comportamento, permette dunque di verificare la presenza di capacità di apprendimento. I tentativi di correzione di strategie, che consentono una raccolta adeguata di informazioni, permettono di indirizzare, nel processo di recupero, l'intervento di processi di sviluppo che rimarrebbero inattivi e sarebbero resi tale da meccanismi di compenso. L'intervento riabilitativo deve tendere quindi al recupero delle capacità di attuare sequenze indirizzate a scopi diversi, attraverso un processo di apprendimento basato sull'identificazione dei limiti che questa presenta per la raccolta delle informazioni necessarie. La discrepanza tra le conseguenze sensoriali attese e quelle effettivamente ricevute produce il segnale di errore che il terapista, attraverso la proposta di opportune strategie, ipotesi percettive e la scelta di informazione adeguate, deve mettere il bambino cerebroleso in condizione di valutare. Solo la costruzione di un apparato di correzione può portare una modificazione dei processi cognitivi che lo sottendono. La visione di Vygotskij, concludendo, può essere espressa sinteticamente da questa sua dichiarazione: “la teoria dell'area di sviluppo potenziale dà luogo ad una formula che esattamente contraddice l'indirizzo tradizionale: l'unico buon insegnamento è quello che percorre lo sviluppo”. 14 Piaget e il bambino “epistemico e logico” Secondo Piaget lo sviluppo cognitivo è dato dall’invariabile successione: dagli schemi di azioni senso-motoria alle strutture logiche del pensiero operativo, entrambi costruiti dal soggetto durante la sua interazione con l'ambiente. Essi prospettano una sequenza graduale di sviluppo universale, necessario ed obiettivo. Ogni struttura è caratterizzata da un equilibrio interno e contrae un miglior rapporto con l'ambiente rispetto alla precedente in termini di conoscenza. Il passaggio da una struttura a quella successiva è garantito dal processo di equilibrazione, cioè la tendenza del soggetto a stabilire un equilibrio interno alla struttura sempre migliore, grazie ai meccanismi di regolazione delle perturbazioni. La maturazione avviene tramite l'organizzazione e l'adattamento che sono indissociabili e si realizzano nel corso dell'interazione tra soggetto e ambiente. Lo sviluppo cognitivo è una costruzione che riguarda il problema della conoscenza, ovvero l'adattamento del pensiero alla realtà, processo che ha uno sviluppo continuo. L'adattamento è un elemento dinamico, che media i rapporti tra uomo e ambiente e si modifica in funzione dei bisogni mediante i processi di assimilazione e accomodamento. L'assimilazione è il processo attraverso cui la realtà esterna viene incorporata nelle strutture mentali del soggetto senza modificarne la struttura. Nell'accomodamento i dati incorporati modificano la struttura mentale (in realtà essi non esistono alo stato puro, distinti l’uno dall’altro). L'adattamento più compiuto e produttivo è quello caratterizzato da uno stato di equilibrio tra i due momenti sopraccitati. Le strutture che derivano da questi processi sono sistemi caratterizzati dalla legge di composizione dei loro elementi, che si mantengono o si fanno più complessi sula base stessa delle loro trasformazioni, autoregolandosi. L'uomo entra in interazione con l'ambiente attraverso l'azione e tramite essa realizza una trasformazione della realtà. Questa trasformazione ha due risultati: il primo è modificare la realtà esterna, il secondo è conoscere le proprietà dell'azione, cioè le peculiarità interne dello stesso organismo. Ciò si realizza in quanto l'azione si 15 traduce in una trasformazione interna, attraverso la modificazione delle strutture cognitive. Piaget (1968) afferma che solo attraverso l'acquisizione della nozione di oggetto, di spazio, di tempo, di causalità come realtà oggettive, il bambino giunge alla conoscenza di un sé “corpo” inserito insieme ad altri corpi in uno spazio comune e di essere costantemente collegato con loro da relazioni causali e temporali. L'azione diventa uno strumento di formazione della conoscenza sul mondo e su se stesso, che si interiorizza totalmente all'età di cinque anni diventando pensiero operativo. Le azioni diventano, invece, intenzionali solo alla fine del periodo senso-motorio, quando il bambino è in grado di differenziare mezzi e scopi, ovvero a partire dai 1824 mesi. Secondo Piaget i bambini sembrano consapevoli dei meccanismi delle proprie azioni, cioè dei mezzi mediante cui realizzare i propri obiettivi, solo nella misura in cui sono capaci di concettualizzarli: la consapevolezza delle propria azione è l'assimilazione dell'azione ad uno schema concettuale. Questi processi discendono da ricostruzioni che richiedono delle coordinate inferenziali. Risulta, quindi, che sono consapevoli solo di ciò che riescono a rappresentarsi cognitivamente con un processo attivo, che si costruisce proprio tramite la concettualizzazione. Piaget: la scala dell'inseguimento visivo e della permanenza dell'oggetto Parallelamente allo sviluppo dell'intelligenza sensomotoria, la scoperta e la conoscenza delle proprietà del reale da parte del bambino si realizza, secondo Piaget, in sei stadi; vi sono inoltre quattro categorie intorno alle quali si struttura la comprensione del mondo fisico: l'oggetto, lo spazio, la causalità e il tempo. La linea di riferimento adottata da Piaget nello studio della costruzione del reale si può riassumere cosi: durante i primi mesi di vita l'universo non contiene né oggetti permanenti, né spazio oggettivo, né tempo che unisca tra di loro gli avvenimenti come tali, né causalità esterna alle proprie azioni; nella fase in cui l'intelligenza 16 sensomotoria ha compiuto un'elaborazione sufficiente della conoscenza, per cui si rendono possibili il linguaggio e l'intelligenza riflessiva, l'universo è costituito, al contrario, da una struttura allo stesso tempo sostanziale e spaziale, causale e temporale. Le relazioni che si creano tra assimilazione e accomodamento spiegano la costruzione della differenziazione soggetto-oggetto o il passaggio da uno stato iniziale di adualismo a uno stato di decentramento. I sei stadi che caratterizzano lo sviluppo della permanenza dell'oggetto descrivono allo stesso tempo la costruzione della differenziazione soggetto-oggetto; essi sono: Stadio 1: il bambino alla nascita non possiede il concetto di oggetto, non sa che esistono degli oggetti dotati di esistenza autonoma e situati in uno spazio esterno. Il bambino può dare prova di riconoscere delle cose (postura, rumore, evento percettivo) grazie all'assimilazione ricognitiva, cioè in funzione della propria attività assimilatrice. L'inseguimento visivo di oggetti, possibile fin dalla nascita, non presuppone che, dal punto di vista del soggetto, l'oggetto inseguito abbia un'esistenza autonoma. Stadio 2: il bambino comincia a ricercare un oggetto che aveva in mano subito prima di perderlo, finché l'oggetto perduto rimane visibile. La ricerca cessa dal momento in cui l'oggetto scompare dal campo visivo del bambino. Ugualmente sul piano visivo, un ricerca dell'oggetto sembra aver luogo, ma solo in quanto prolungamento dell'attività di inseguimento già iniziata (cioè intorno al punto di scomparsa). Stadio 3: la prensione degli oggetti diviene intenzionale essendo in questa fase coordinati gli schemi visivi e manuali. Il bambino è capace di prendere un oggetto parzialmente nascosto, ma non viene intrapresa alcuna ricerca quando l'oggetto scompare completamente sotto uno schermo. Stadio 4: viene messa in evidenza la prima forma di permanenza dell'oggetto, ovvero esso è concepito come autonomo (il bambino crede nella sua esistenza anche se non lo percepisce più direttamente), ma questa autonomia ha dei limiti. 17 Grazie alla coordinazione dei mezzi e dei fini, il bambino ritrova un oggetto completamente nascosto, ma non controlla l'insieme degli spostamenti successivi, visibili o invisibili, dell'oggetto. Stadio 5: il controllo degli spostamenti successivi dell'oggetto riguarda prima li spostamenti visibili. Il bambino saprà ritrovare un oggetto purché ne abbia seguita percettivamente tutta la traiettoria. Stadio 6: l'oggetto diventa permanente, è dotato cioè di esistenza autonoma e stabile nel tempo e nello spazio dal punto di vista del soggetto. Gli spostamenti invisibili sono controllati grazie alla possibilità di ricostruirli mentalmente. Il bambino è in grado di rappresentare se stesso come oggetto fra altri. Bruner e il bambino “rappresentazionale e narrativo” Secondo Bruner lo sviluppo cognitivo avviene tramite “transizioni”, cioè forme di rapporto interpersonale, che portano alla condivisione dei significati, all'accordo tra le menti. La costruzione dei significati, infatti, si basa non solo sul rapporto tra individui e mondo, ma anche su come quest'ultimo viene rappresentato a livello mentale. Questa ricerca del significato viene sempre costruita in rapporto al contesto culturale in cui ha luogo. Inoltre, l'interazione tra bambino e adulto è determinante per l'elaborazione di significati e segnali convenzionali (anche Bruner valorizza il concetto di zona di sviluppo potenziale). In quest'ottica sembra possibile parlare di sviluppo cognitivo come sviluppo del bambino “rappresentazionale”, cioè del modo in cui egli costruisce rappresentazioni della realtà e, unitamente, come sviluppo del bambino “narrativo”. La maturazione si realizza tramite la comparsa di diverse modalità per costruire significati: intersoggettiva, di azione, normativa, che trovano una loro coerenza nei modi di significare narrativo e permettono al bambino di costruirsi una propria rappresentazione della realtà, abilità che il bambino conquista a tre anni, quando è 18 in grado di costruire autonomamente storie. Le azioni vanno considerate per le possibilità di produrre strutture mentali, che Bruner chiama rappresentazioni. La prima rappresentazione che il bambino si fa del reale viene definita esecutiva e si basa, appunto sull'azione; essa si modifica durante lo sviluppo diventando una rappresentazione iconica, cioè per immagini, per trasformarsi poi in simbolica. Le azioni sono sempre guidate da programmi in cui viene contenuta l'anticipazione dell'obbiettivo da raggiungere, in cui viene anticipato uno scopo, in cui viene organizzata una sequenza di azioni per poterlo raggiungere. Nel pensiero, come attività mentale concreta, possiamo individuare e distinguere quelle componenti che si manifestano allo steso modo sia nel pensiero narrativo, che in quello concreto-attivo che logico-verbale, che nella programmazione dei comportamenti. a) Scoperta del compito: il soggetto si confronta con una situazione per la quale non ha situazioni preformate (innate o abituali); b) Indagine preliminare delle condizioni del problema: freno delle risposte impulsive, analisi delle componenti del problema, riconoscimento degli aspetti essenziali e loro reciproca correlazione; c) Scelta di un'alternativa tra le possibili e creazione di un piano di azione: costruzione della strategia generale di pensiero; d) Scelta dei metodi appropriati ed esame delle operazioni: queste sono algoritmi preformati, adeguati, linguistici, logici, numerici che costituiscono la tattica (stadio operativo del pensiero); e) Reale soluzione del problema: scoperta della risposta alla domanda insita nel compito; f) Comparazione dei risultati ottenuti con le condizioni originali del compito: stadio dell'accettore d'azione (Anochin). Se i risultati sono in accordo con le condizioni originali, l'atto intellettuale è completo; altrimenti la ricerca della strategia necessaria deve iniziare nuovamente e il processo continuare fino a giungere ad una soluzione adeguata. 19 Secondo Bruner, inizialmente, il bambino mette in atto delle azioni che sono goffe e non gli permettono di raggiungere l'obiettivo, ad esempio muove gli arti inferiori e superiori in maniera incoordinata per raggiungere un oggetto. Successivamente, attraverso l'esercizio di questa attività, i moduli, cioè i sottoprogrammi che compongono il programma si differenziano. Affinché sia possibile realizzare un comportamento corretto bisogna che questi sottoprogrammi siano automatizzati e non richiedano più risorse attentive per essere eseguiti. Bruner: conoscenze e teorie della mente La sua idea riguardo alla conoscenza si rifà, inizialmente, al concetto di ipotesi percettiva. Secondo questa teoria, la percezione della realtà è governata da ipotesi prodotte dagli stimoli dell'ambiente e da processi e strutture cognitive del soggetto. La conoscenza inizialmente evolve tramite un’interiorizzazione degli stimoli e solo nelle fasi più avanzate si sviluppa attraverso una loro esteriorizzazione. In questa seconda fase un ruolo centrale è quello dei processi di inferenza, che organizzano la realtà imponendogli una logica. Nel suo lavoro “la mente a più dimensioni” (1986), Bruner sostiene la tesi dell'esistenza di due modalità di pensiero, ciascuna delle quali organizza e costruisce la realtà secondo specifici principi, entrambi modi per costruire significati complementari ma irriducibili l'uno all'altro: a) Il pensiero paradigmatico (il modello conoscitivo di Piaget): presiede alla creazione/costruzione scientifica della realtà; b) Il pensiero narrato (il modello epistemico di Vygotskij): coglie il significato dell'evento tenendo conto contemporaneamente dell'azione e della conoscenza. Un topos entro cui i due modelli epistemici potrebbero confluire, integrandosi, è quello della teoria della mente (Liverta Sempio O., 1998). 20 Bruner si riferisce al settore di ricerca che si occupa della comprensione infantile e dell'esistenza degli stati mentali propri e altrui, cioè del formarsi nel bambino di una teoria della mente, intesa come regolatrice del comportamento (Camaioni L., 1995, Livera Sempio O., 1998). Si tratta, dunque, di una ricerca che si propone, innanzitutto, di studiare come il bambino sviluppa le capacità di cogliere la vita interna che sta dietro all'azione e al comportamento e, quindi, di indagare in modo unitario, come si sviluppa nel bambino la conoscenza di stadi mentali di natura epistemica (come le conoscenze e le inferenze) e di natura non-epistemica (quali le intenzioni, i desideri, le emozioni). In quest'ottica si tratta di uno studio che si dedica sia allo sviluppo dello “spiegare” che del “comprendere”. Questa teoria spiega, secondo un modello cognitivista, la teoria della mente dei bambini. Nel bambino si ipotizza uno sviluppo graduale della comprensione della mente, che trova il suo pieno emergere nella comparsa, verso i quattro anni di età, di una capacità metarappresentazionale o abilità di sapersi “rappresentare le rappresentazioni” (Astington I.W., Olson D.R., 1995). Rappresentazioni di cui il bambino può valutare la rispondenza o meno dello stato della realtà esterna, ma che, vere o false che siano regolano il suo e l'altrui comportamento. Attraverso questa strada il bambino apprende la distinzione tra sfera soggettiva e sfera oggettiva, tra mondo interno e realtà esterna (Camaioni L., 1995). Anche Bruner (1986) ritiene che lo sviluppo della teoria della mente avvenga gradualmente nel bambino, affermando che essa abbia origine da questi processi transazionali e culturali che costituiscono le interazioni sociali infantili nell'età precedente all'acquisizione del linguaggio. I “formati” dell'azione, successivamente, acquisiscono una struttura narrativa; si tratta di una struttura che intreccia un duplice mondo: quello della soggettività e quello dei fatti. Il bambino sperimenta molto presto l'intreccio tra azione e coscienza, e ciò gli consente di iniziare a comprendere la mente propria e altrui (Livera Sempio O., 1998). 21 1.2 COMUNANZE E DIFFERENZE SULLE CONCEZIONI DELLO SVILUPPO Tra le diverse teorie vi sono, comunque, dei punti in comune: l’attribuzione all’uomo di una natura attiva, un approccio costruttivistico alla conoscenza, l’importanza assegnata all’interazione tra soggetto ed oggetto come fonte di conoscenza e l’interesse per i cambiamenti della mente di tipo qualitativo piuttosto che quantitativo. Tali concetti non sono però, totalmente condivisi poiché ciascuno dei temi citati viene articolato diversamente dai tre autori. L'attività umana è vista da Piaget nel suo aspetto di espressione naturale dell'organismo vivente esplicata in un ambiente atemporale, mentre per Vygotskij è un'attività mediata da segni e Bruner mette in evidenzia il carattere intenzionale e motivato. La costruzione della conoscenza è, secondo Piaget, l'esisto dell'interazione tra soggetto e oggetto (mondo fisico) di ordine universale, acontestuale, logicoformale. Per Vygotskij, invece, essa è data dall'interazione soggetto-oggetto, dove l'oggetto è rappresentato dall'altro, inteso sia come persona, che come prodotto del pensiero umano (segni). La conoscenza è, quindi, un fatto sociale. Anche Bruner mette in rilievo questa interazione dove l'oggetto è un prodotto sociale, richiamando l'importanza delle transizioni, cioè dei processi di negoziazione tra soggetto ed oggetto che inducono all'intersoggettività, all'incontro tra le loro menti. Infine i tre autori intendono lo sviluppo cognitivo come un percorso caratterizzato da trasformazioni qualitative, piuttosto che da incrementi delle abilità relative alle conoscenze; secondo Piaget sono le strutture a trasformarsi, secondo Vygotskij le funzioni e secondo Bruner i modi di rappresentare e di interpretare la realtà. Un elemento sulla cui base si stabilisce una radicale differenza è il diverso presupposto sulla natura della conoscenza. La teoria piagetiana indica che la conoscenza è il risultato del processo di ordine dei dati percettivi, che inizia con l'interazione del soggetto con la realtà. La teoria vygotskijana, invece, adotta la visione sociostorica. Per Bruner essa origina dai processi transazionali e culturali che costituiscono interazioni sociali infantili prima dell'acquisizione del linguaggio. Tutto 22 ciò si riflette sulla concezione di apprendimento in cui Piaget sostiene che esso scaturisca da un'attività “guidata”, mentre Vygotskij dall'interazione del bambino con la cultura e la società (area di sviluppo potenziale), concetto a cui si rifà anche Bruner. L'ultimo nodo concettuale è la duplice natura della conoscenza, contemporaneamente interna ed esterna all'individuo. Secondo Piaget questo processo avviene per esteriorizzazione, cioè le costruzioni cognitive vengono elaborate internamente all'individuo e solo successivamente hanno effetti sul piano della sue relazioni con il mondo. Secondo Vygotskij si tratta, invece, di un processo di interiorizzazione, poiché il soggetto in un primo tempo stabilisce relazioni sociali e sono queste, una volta interiorizzate, a fare da base all'attività psichica. Secondo Martì W.R. (1996) sono interpretazioni riduzioniste che non tengono conto che entrambi gli autori vedono il rapporto tra realtà interna ed esterna in termini bidirezionali, e che pongono alla base della costruzione della conoscenza la tensione, che continuamente esiste, tra le due realtà. Infine Bruner integra entrambe queste concezioni con il concetto dell'evolvere di una “teoria della mente” durante lo sviluppo psichico del bambino. 23 CAPITOLO II Il sistema visivo: dall’occhio alla corteccia cerebrale 2.1 LO SVILUPPO DEL SISTEMA VISIVO Il sistema visivo costituisce un’entità anatomo-funzionale il cui fine è di consentire quell’attività che viene chiamata nel suo complesso “la visione”, risultante da un insieme di più funzioni elementari. Inoltre gli occhi possiedono un sistema neuro-muscolare assai raffinato che consente loro di muoversi in maniera sincrona durante l’esplorazione visiva o in risposta ai movimenti della testa e del corpo. La possibilità per un adulto di possedere normali capacità visive dipende in modo preponderante da come tali capacità si sono evolute nel periodo prenatale ed infantile. Tale sviluppo è largamente condizionato dall’interazione di almeno tre tipi di fattori, che possono essere schematicamente definiti come genetici, maturativi ed ambientali. La normale funzione visiva è quindi il risultato finale di una lunga catena di eventi e di armonica interazione fra lo sviluppo delle strutture anatomiche e le sollecitazioni provenienti dall’ambiente esterno. Una qualsiasi perturbazione che interferisca con le normali caratteristiche del quadro geneticamente predeterminato dallo sviluppo intrauterino, dalla maturazione anatomica post-natale, dai fattori ambientali che condizionano l’acquisizione corretta delle caratteristiche funzionali, influisce in maniera negativa sull’efficienza finale del sistema visivo. Inoltre è indispensabile che si creino e si mantengano durante lo sviluppo quelle condizioni che consentono non solo il normale evolversi delle capacità funzionali monoculari, ma anche il perfetto 24 instaurarsi del massimo grado della cooperazione binoculare normale. Il processo evolutivo attraverso il quale le strutture anatomiche raggiungono la conformazione definitiva avviene in due tappe successive: lo sviluppo intrauterino e la maturazione post-natale. La prima fase è condizionata in maniera assolutamente predominante da fattori genetici ai quali, nella seconda, si aggiunge l’influenza di fattori ambientali. I fattori genetici determinano essenzialmente la morfologia macroscopica delle strutture costituenti il sistema visivo, mentre la citoarchitettonica più fine e l’organizzazione funzionale delle componenti neurosensoriali dipendono prevalentemente dagli apporti ambientali. Utilizzando termini mutuati dal linguaggio degli elaboratori si potrebbe dire che è geneticamente predeterminato l’hardware, mentre l’esperienza visiva fornisce prevalentemente il software. Alla nascita sono presenti tutte le componenti maggiori del sistema visivo e molte di esse seguiranno il proprio iter maturativo in modo quasi del tutto indipendente dagli stimoli ambientali, ma per puro determinismo genetico. È ad esempio il caso dei mezzi diottrici (cornea, cristallino, umore vitreo), delle tonache vascolari (retina e coroide), della sclera e degli annessi (palpebre, apparato lacrimale). La componente neuro-sensoriale e il sistema oculomotore, accanto all’impronta genetica, necessitano invece per il loro normale sviluppo anatomo-funzionale dell’apporto di stimoli visivi adeguati. La patologia sperimentale e alcune evidenze cliniche dimostrano che l’efficienza dei fotorecettori e delle interconnessioni a livello retinico, la struttura del ganglio genicolato laterale e della corteccia calcarina, le risposte elettrofisiologiche di queste strutture, la cooperazione binoculare, sono largamente influenzate da alterazione dell’input visivo. 2.2 I SISTEMI OCULOMOTORI NEL BAMBINO Il sistema della fissazione, destinato a mantenere sulla fovea l’immagine di un oggetto, si sviluppa molto presto nel bambino. Se si usa come stimolo il volto 25 umano, si vede spesso che il bambino è in grado di mantenervi la fissazione fin dalle primissime settimane, ed in genere a partire dalla sesta. Molti genitori, però, possono facilmente osservare questa capacità fin dai primi giorni di vita. Il sistema di inseguimento lento, invece, ha uno sviluppo lievemente più ritardato. Il neonato, infatti, fino a circa la sesta settimana, non riesce a seguire con un movimento continuo un oggetto che si muove e sul quale aveva mantenuto la fissazione, ma lo sostituisce invece con una serie di saccadi (movimenti rapidi successivi). A partire dalla sesta settimana, il bambino tende a combinare movimenti rapidi e lenti con prevalenza sempre maggiore di quest’ultimi. Dal terzoquarto mese l’inseguimento lento appare ormai completamente sviluppato. Le saccadi sono movimenti molto rapidi. Durante la loro esecuzione la visione viene in pratica annullata per evitare il disturbo causato dal movimento delle immagini sulla retina. Esse servono per passare velocemente da un oggetto all’altro e sono uno dei meccanismi fondamentali con cui si osserva lo spazio circostante. Il neonato riesce spesso a compiere movimenti saccadici, ma essi sono solitamente imprecisi e compiuti mediante una serie di aggiustamenti multipli. A partire dal secondo mese l’accuratezza delle saccadi migliora considerevolmente. Il riflesso vestibolo-oculare (VOR), generato dal sistema vestibolare consente di mantenere gli occhi diretti verso un determinato oggetto durante i movimenti del capo. Questo compito è svolto in sinergia con il sistema d’inseguimento lento e viene elicitato da riflessi provenienti dai canali semicircolari del labirinto. Come risposta alla stimolazione labirintica, gli occhi compiono un movimento in direzione opposta a quello della testa. Questo movimento è presente anche in assenza della visione. Il VOR orizzontale è presente alla nascita, quello verticale si sviluppa molto presto. Il sistema optocinetico stabilizza la fissazione durante movimenti prolungati del capo e, ugualmente, consente di osservare oggetti in movimento continuo. Anche in questo caso, la fase rapida sposta l’asse visivo verso l’oggetto che si presenta successivamente, la fase lenta lo mantiene sul nuovo oggetto fissato. Questa successione di fasi rapide e lente si ripete durante tutto il tempo in cui lo stimolo è presentato e costituisce il nistagmo optocinetico (NOC). Possiamo elicitare una 26 risposta optocinetica anche in bambini molto piccoli impiegando tecniche assai semplici. Queste permettono di osservare che il NOC è presente anche nel neonato di pochi giorni. Il NOC presenta fino al terzo mese di vita una tipica asimmetria, se lo stimolo viene presentato in visione monoculare. La risposta optocinetica è infatti pronta e adeguata se il bersaglio visivo si sposta dalla tempia verso il naso, mentre è molto povera, o del tutto assente, se il bersaglio si muove in senso opposto, cioè dal naso in direzione della tempia. Questa asimmetria si riduce, fino a scomparire, dopo il terzo o quarto mese. Il sistema delle vergenze è finalizzato a mantenere simultaneamente sulle due fovee le immagini dello stesso oggetto. Ciò comporta un movimento dei due occhi in direzioni opposte per indirizzare gli assi visivi sull’oggetto fissato. La convergenza viene particolarmente stimolata nell’osservazione a distanza ravvicinata. Quando un oggetto si trova vicino, infatti, è necessario che i due assi visivi, di norma paralleli fra loro quando guardano lontano, compiano un movimento disgiunto in modo che le due immagini vadano a formarsi sulle due fovee. In caso contrario esse si formerebbero sulla fovea di un occhio e su un’area extrafoveale dell’altro con conseguente diplopia. La diplopia è quindi uno stimolo alla convergenza tramite il meccanismo della fusione motoria. La convergenza può essere stimolata anche dalla sfocatura delle immagini causata da un oggetto posto a distanza ravvicinata. La sfocatura induce l’occhio ad accomodare per vedere nitido da vicino. Ne consegue, a causa della sincinesia con l’accomodazione, una convergenza. La fusione motoria sollecita inoltre i movimenti oculari in divergenza, quando lo sguardo passa dal vicino al lontano. Tramite lo stesso meccanismo si generano la ciclovergenza e le vergenze verticali, necessarie per compensare eventuali moderate discrepanze di posizione dei due occhi attorno agli assi di rotazione y e z. La convergenza è già presente nel neonato a termine, ma appare frequentemente incoordinata. Alla fine del terzo mese essa è invece già ben sviluppata. La conoscenza delle caratteristiche funzionali del principali sistemi oculomotori costituisce la miglior guida all’esame fisico delle alterazioni dell’oculomotricità. 27 2.3 LA NEUROFISIOLOGIA DELLA FUNZIONE VISIVA La vista è unica nelle sue capacità di fornire quasi istantaneamente informazioni sulle caratteristiche statiche e dinamiche dell’ambiente vicino e lontano. Uno degli scopi fondamentali del sistema visivo inteso come l’insieme dei componenti che si estende dall’occhio alla corteccia cerebrale, è quella di contribuire nell’organizzazione del movimento al bilanciamento posturale e all’equilibrio del cammino (Lee D.N., Aronson E., 1973). Il sistema visivo è importante inoltre per programmare il percorso a destinazioni non visibili; noi ci spostiamo usando riferimenti non sempre in prevedibile relazione con la destinazione finale. In alcune situazioni locomotorie come camminare e correre, la visione offre più informazioni cinestesiche dei meccanocettori. In altre si è assolutamente indipendenti dalla sinestesia visiva, anche se in alcuni casi possono entrare in conflitto. La localizzazione visiva non è fatta da un sistema di riferimento centrato sulla retina, ma sulla coordinazione tra movimenti rispettivi di capo e occhi. Gnadt J.K. (1991) dimostrò che la posizione del capo rispetto al tronco esercita un’influenza sull’accuratezza dei movimenti saccadici verso lo spazio e l’oggetto. Le strutture visive del neonato sono diverse da quelle dell’adulto; vengono comunque distinti due sistemi anatomicamente differenziati dalla cui integrazione deriva la possibilità di dare risposte articolate e flessibili agli input ambientali. La superficie recettoriale del sistema visivo è costituita dalla retina, porzione esteroflessa del diencefalo, al quale è unita tramite il nervo ottico. Circa al centro della parte ottica della retina si trova una piccola depressione chiamata fovea centrale, che è la sede fisiologica della visione distinta. Nei primi giorni l’acuità visiva (data dalla maturazione delle strutture dell’occhio) è 28 minore. Nel bambino i coni (strutture che organizzano la vista foveale) maturano dopo i bastoncelli (deputati alla vista periferica). Il bambino piccolo infatti non può focalizzare un punto selettivo, ma è attratto dai movimenti in periferia, poiché le strutture deputate a questo maturano prima. Inoltre, per incapacità del cristallino di adattarsi (accomodazione alla distanza), il bambino piccolo non può prendere informazioni visive oltre i 50 cm. Tuttavia gli stimoli presentati in questo range sono percepiti dal bambino in maniera attiva. L'esplorazione visiva dell'ambiente circostante comporta da parte del bambino la necessità di elaborare strategie a livello interattivo sempre più complesse che sono il risultato della coordinazione di componenti indirizzate a scopi specifici, ma il cui insieme concorre alla realizzazione di un'unica funzione, ossia l'acquisizione di informazioni circa il mondo circostante. Le prime fasi costitutive del sistema visivo sono la fissazione (la prima da indagare), l'inseguimento oculare e i movimenti del capo; le altre fasi si inseriscono nella sequenza motoria in tempi successivi (movimenti del tronco, degli arti inferiori). Fin dalla prima settimana di vita è possibile l'orientamento visivo verso la sorgente luminosa, il bambino di pochi giorni è in grado di fissare stimoli animati se non si trovano a distanza superiore ai 20-30 cm, inoltre le informazioni devono essere nel campo visivo preferenziale del bambino ovvero quando si trova in posizioni asimmetriche perché tali faciliterebbero la capacità percettiva in quanto un orientamento posturale significativo permette di lasciare una parte di difficoltà riscontrate nell'interpretazione di un'esplorazione oculomotoria garantendo che l'attenzione è ben orientata sull'oggetto presente. Nei primi due mesi di vita la possibilità di esplorazione si arricchisce grazie alla comparsa della capacità di inseguimento oculare: nel primo mese di vita ha un aspetto discontinuo, incompleto e a scatti. L'inseguimento viene prima secondo il piano orizzontale poi secondo quello verticale; fissazione e inseguimento servono per acquisire e mantenere un primo rapporto con l'oggetto. Al secondo mese l'inseguimento avviene fino ad un livello di tensione massimale a cui fa seguito lo spostamento della testa; la componente della rotazione del capo si inserisce nella sequenza, prima che i movimenti oculari di inseguimento arrivino a 29 livello di tensione massimale. La terza modalità comportamentale è caratterizzata da una coordinazione plastica tra movimenti oculari e movimenti del capo. Se dopo un certo numero di stimoli luminosi regolari, l'esaminatore ne omette uno, il bambino volge ugualmente lo sguardo con un movimento della stessa ampiezza e nella stessa direzione, cioè idoneo, per raggiungere l'obiettivo, anche se questa volta lo stimolo non c'è; si tratta di una funzione con un maggior grado di adattabilità. L'acquisizione dei processi di anticipazione rende possibile ipotizzare meccanismi di controllo dei movimenti oculari più dinamici, nel senso che l'inizio e la fine del movimento sono determinati secondo un programma adattabile a diversi scopi. La capacità del bambino di ricercare un oggetto scomparso dal campo visivo dimostra la possibilità di formulare scopi più specifici; ciò è indice di un'iniziale capacità di anticipazione derivante da una precisazione degli scopi: il bambino si pone il problema di ristabilire il contatto visivo con l'oggetto. Il sistema visivo è rappresentato quindi dalla capacità del bambino di orientare lo sguardo verso gli oggetti significativi dell'ambiente circostante in modo che si possano formare degli scopi, per la realizzazione dei quali il bambino deve organizzare sequenze motorie sempre più dinamiche, al cui interno viene anche coordinata l'attività più elementare, necessaria in quella determinata situazione. Nel valutare lo sviluppo delle capacità visive del bambino interferisce lo sviluppo di molte altre proprietà del sistema nervoso come la capacità di attenzione, concentrazione su un determinato oggetto; solo la richiesta di attenzione può favorire l'integrazione delle informazioni visive con l'esperienza motoria. Fino a due mesi non fissa a lungo un oggetto, a due mesi fissa e concentra l'attenzione, può sollevare la mano e osservarla, a quattro mesi può osservare stando seduto con l'aiuto di altre persone fino a quando l'esplorazione dell'ambiente è resa ancora più facile dalla possibilità di stare seduto da solo, a sei mesi, e guardarsi intorno. La capacità del bambino di elaborare una sequenza costituita da fissazione, inseguimento e movimenti del capo, determina la possibilità di una più ampia esplorazione dell'ambiente circostante. Le informazioni visive della retina sono principalmente elaborate a livello corticale. La corteccia visiva primaria riceve informazioni retiniche attraverso il nucleo 30 genicolato laterale e le distribuisce ad aree corticali vicine responsabili dell’elaborazione degli input visivi. Queste aree sono deputate all’analisi di specifici attributi dell’immagine visiva, come movimento e forma. Le vie neuronali transcorticali, particolarmente significative per le operazioni visuomotorie, sono state da tempo individuate da Milner A.D. e Goodale M.A. (1996), i quali sostengono che questi due circuiti stanno alla base di due funzioni principali per la visione: percezione ed azione: - Via occipito-parietale, in relazione alla conoscenza del “dove”, più direttamente collegata all’azione. Il controllo dell’azione richiede input visivi da una prospettiva egocentrica; - Via occipito-temporale, in relazione alla conoscenza del “cosa”, quindi alla percezione. La costanza percettiva richiede di conoscere eventi ed oggetti in contesti diversi e da differenti punti di vista (Puccini P., 2003). La locomozione investe contemporaneamente la visione dell’oggetto (via ventrale) e la visione spaziale (via dorsale). Le due visioni vivono solo teoricamente una vita separata, poiché una è valorizzata dall’altra e perde significato se viene separata. Secondo J.F. Stein (1989), la struttura in grado di eseguire queste complesse operazioni di trasformazione sensomotoria è la corteccIa parietale posteriore (PPC). Quest’area consiste in un lobo parietale superiore (aree 5, 7) ed il lobo inferiore (aree 39 e 49 di Brodmann per le abilità prassiche); queste strutture renderebbero gestibili le informazioni per le aree motorie F4 e F5. Le afferenze retiniche sono elaborate anche a livello sottocorticale dal collicolo superiore, che gioca un ruolo importante nell’orientare l’attenzione verso nuovi stimoli all’interno del campo visivo. In riferimento alle capacità attentive, Cohen L.B. (1972) ha ipotizzato che possano esistere due modalità: a. Attention getting o processo di riferimento; b. Attention holding o processo di fissazione. Il primo processo è in relazione alle capacità del bambino di orientarsi verso uno stimolo proiettato nella periferia del campo visivo. Il secondo invece tiene conto 31 della persistenza dell’attenzione sullo stimolo, una volta che è stato fissato (Puccini P., 1993). 2.4 LA CONNESSIONE TRA IL SISTEMA VESTIBOLARE E IL SISTEMA VISIVO Studi neurofisiologici hanno permesso di approfondire il ruolo del sistema vestibolare nell’organizzazione dello spazio e nelle trasformazioni viso-motorie, dimostrando che i meccanismi di controllo di questo sistema vanno ben oltre le aree mesencefaliche, con numerose proiezioni a livello corticale, dal lobo parietale, al lobo frontale, all’ippocampo. La maggior parte dei movimenti oculari si realizza inconsciamente; il cervello non è interessato a conoscere i movimenti oculari, ma alla posizione degli occhi (rappresentate in corteccia dal campo oculare frontale), che serve per conoscere altri movimenti guidati visivamente (Puccini P., 2003). Le informazioni vestibolari svolgono un ruolo importante nell’orientamento spaziale del capo, necessario nel cammino e utile per la funzione di visuo-localizzazione dello spazio. In questo senso i segni vestibolari intervengono sia nella percezione della localizzazione dell’oggetto, sia nella percezione e controllo degli spostamenti del corpo. Tali messaggi sarebbero mediati da differenti parti della corteccia parietale posteriore (Andersen R.A. e coll., 1999, Puccini P., 2003). Le due maggiori funzioni del sistema vestibolari sono la percezione della verticalità e del movimento del sé, controllate a livello centrale dalla corteccia multisensoriale parieto-insulare (Brandt T., Dieterich M., 1999). Anche i neuroni presenti nelle aree vestibolari sono multisensoriali come quelli dell’area 7 della corteccia parietale inferiore. Quest’area è il maggior centro di integrazione multisensoriale per l’orientamento spaziale e la funzione visuomotoria. La stimolazione del sistema vestibolare è sempre multisensoriale. La corteccia 32 parietale (parieto-insulare) codifica le informazioni metriche dello spazio allocentrico ed è coinvolta nella percezione della verticalità e del movimento di sé. La corteccia vestibolare interagisce strettamente con la corteccia visiva per confrontare le due mappe tridimensionali e media la percezione del movimento di sé attraverso interazioni inibitorie reciproche visuo-vestibolari. Questo meccanismo permette un avvicendamento tra le due modalità, visiva o vestibolare durante la percezione del movimento di sé. L’importanza attribuita ad una o all’altra modalità sensoriale dipende dalla qualità della stimolazione prevalente: l’accelerazione corporea, segnalata dall’informazione vestibolare, o il movimento a velocità costante, rilevato prevalentemente dal segnale visivo (Brandt T., Dieterich M., 1999). La percezione del proprio movimento è data, invece, dall’interazione reciproca visuo-vestibolare. Il sistema vestibolare, sensore delle accelerazioni del capo, non può registrare il movimento a velocità costante, perciò richiede informazioni visive supplementari. Secondo Brandt e Dieterich questo meccanismo sensomotorio è la base di un’adeguata percezione del proprio movimento, permettendo l’alternanza da una modalità sensoriale all’altra. La percezione del proprio movimento è dominata o da segnali vestibolari, durante l’accelerazione del capo, o da segnali visivi, a velocità costante. La corteccia parieto-insulare e quella visiva interagiscono al fine di formare le due mappe di orientamento tridimensionale e per mediare la percezione di movimento del proprio corpo, attraverso l’interazione inibitoria reciproca, visuo-vestibolare (Puccini P., 2003). L’attivazione coordinata della corteccia visiva e vestibolare è fondamentale in situazioni riguardanti cambiamenti inaspettati e multidirezionali tra accelerazioni corporee e movimento a velocità costante. Dal momento che non è possibile concepire contemporaneamente due differenti stati di movimento del corpo, i due emisferi sono tra loro correlati e, attraverso un interno spostamento dell’attenzione, determinano un’attuale ed unica percezione di movimento o di assenza di movimento (Puccini P., 2003). Il sistema visivo, vestibolare e somatosensoriale procurano, attraverso la loro integrazione, la conoscenza sia della posizione, che del movimento del corpo 33 relativo allo spazio esterno. Le coordinate retiniche (dipendenti dallo sguardo e dalla posizione del capo) e le coordinate labirintiche (riferite alla testa) necessitano di continui aggiornamenti sulle particolari posizioni degli occhi e della testa al fine di trasmettere segnali attendibili per l’adeguata esplorazione oculomotoria e motoria nello spazio. Il complicato controllo sensomotorio di un tale sistema avviene attraverso la codifica multisensoriale dello spazio in coordinate comuni, sia egocentriche che allocentriche, piuttosto che retinotopiche o centrate sulla testa. Le informazioni spaziali in coordinate “non retiniche” permettono di determinare la posizione del corpo relativa allo spazio visivo, necessario prerequisito per una risposta motoria accurata. Per ottenere un tale punto di riferimento le informazioni codificate dagli organi sensoriali periferici (retina, otoliti, canali semicircolari, propriocettori come i fusi neuro muscolari, recettori cutanei) devono essere trasformate ed integrate. Questa funzione avviene nella corteccia parietale posteriore, la cui lesione produce emineglect visuo-spaziali. Gli studi di Kornhubern H.H. sul sistema vestibolare (1974) avevano già dimostrato che è un apparato sensoriale con accesso alla corteccia cerebrale, alla percezione cosciente e alla memoria, che interviene nel controllo della posizione del corpo e degli occhi. La localizzazione del labirinto nel capo è importante per la regolazione della posizione degli occhi, mentre il contributo della propriocezione nucale alla stabilità degli occhi è piccolo. La maggior parte dei neuroni del nucleo vestibolare risponde ad afferenze vestibolari e somestesiche profonde, principalmente dalla nuca e dalle articolazioni prossimali degli arti: dal nucleo vestibolare i messaggi raggiungono, attraverso il talamo, le aree sensoriali vestibolari e le aree corticali motorie. A differenza della scarsa rappresentazione di movimento oculare, la sensazione vestibolare dei movimenti del capo e del corpo è fortemente rappresentata nell’esperienza cosciente ed ha accesso in memoria a lungo termine (Kornhubern H.H., 1974). Nell’area 5 si realizzerebbe una convergenza tra i segnali sull’intenzione del movimento e gli input propriocettivi forniti dalla periferia; questa convergenza 34 contribuirebbe a generare una rappresentazione della posizione del corpo e del movimento, determinando la percezione somestesica. Inoltre la corteccia frontale è coinvolta nella trasformazione delle informazioni allocentriche in appropriati movimenti locomotori diretti spazialmente nella struttura egocentrica (Pouchet B., 1993). Inoltre, nell’area 8 viene pianificato e rappresentato il contesto dell’azione, in quale attiva le mappe localizzate nell’area parietale posteriore. L’ippocampo, invece, codifica le informazioni topologiche e mantiene in memoria la localizzazione dell’oggetto, importante requisito del cammino. Robertson G. e coll. (1998) hanno ipotizzato che l’ippocampo si attivi in relazione ai movimenti di capo e occhi e che, quindi, anche la memoria sia attivata da segnali vestibolari e dalla posizione oculare. Si pensa che, un punto di interconnessione tra la via visuoparietale e visuo-temporale sia proprio la formazione ippocampale. È utile inoltre tener conto dei contributi neurofisiologici sul cervelletto che dimostrano il ruolo di questa struttura nello spostamento rapido dell’attenzione tra stimoli visivi e modalità sensoriali diverse (Akshoomoff, Courchesne, Townsend, 1999) ed anche durante i compiti di attenzione focalizzata (Allen G. e coll., 1997). Non bisogna, infine, dimenticare che affinché si possano realizzare delle trasformazioni coerenti, è necessario avere dei sistemi di riferimento su cui organizzarle. Un’importante punto di riferimento per la pianificazione è la linea mediana, utile a definire la nostra percezione di spazio egocentrico. 2.5 L’INTEGRAZIONE VISUO-VESTIBOLO-SOMESTESICA Il sistema di controllo “posturale” ha due funzioni principali: la prima è creare una postura antigravitaria ed assicurare che l’equilibrio sia mantenuto; la seconda è fissare l’orientamento e la posizione dei segmenti che servono come struttura di riferimento per la percezione e l’azione in relazione al mondo esterno. Entrambi i sistemi, visivo e somatosensoriale, sono fondamentali per la stabilizzazione del capo e del tronco. Ma da che informazioni dipende la 35 stabilizzazione del capo nello spazio? Anche se la visione periferica e le informazioni visuo-spaziali giocano un ruolo importante nel mantenimento dell’equilibrio, in particolare nei bambini, la stabilizzazione del capo nello spazio non dipende unicamente dalle informazioni visive ,ma sono altresì importanti quelle vestibolari. Le informazioni vestibolari, infatti giocano un ruolo importante anche nell’orientamento spaziale del capo, necessario per il cammino e utile per la visuolocalizzazione dello sguardo. I tre sistemi sensoriali visivo, vestibolare e somestesico consentono, con informazioni ridondanti, la conoscenza della posizione e del movimento del corpo relativi allo spazio esterno. Il bambino, fin dalla nascita, è un “ricercatore dinamico di informazioni” e nel corso del primo anno di vita, può svolgere discriminazioni visive complesse, mostra apprendimento rapido, memoria a lungo termine, ha possibilità di formare categorie e di fare operazioni di trasferimento transmodale (Rose e coll., 1991). La capacità di compiere trasformazioni intermodali si basa sulla conoscenza del sé, conoscenza che il bambino, appunto, possiede già alla nascita anche se in forma elementare (Rochat P., 1992). Studi recenti (Puccini P., 2003) hanno dimostrato che, il processo di trasformazione tra le conoscenze visive, vestibolari e somestesiche richiede molti anni per la sua 36 completa realizzazione, nonostante l’interazione tra il sistema vestibolare e quello visivo inizi precocemente durante lo sviluppo. L’autrice afferma che i dati rilevati facevano presumere che l’orientamento spaziale, raggiunto attraverso la coordinazione delle diverse informazioni (visive, vestibolari e somestesiche), sia costruito nel bambino sano gradualmente nei primi cinque anni di vita. L’integrazione multisensoriale più completa, ottenuta tramite la capacità di un più ricco frazionamento dei diversi segmenti dell’asse corporeo, richiede tempi decisamente più lunghi, fino a sei anni. Laszlo e Bairshow (1985) ritengono, inoltre, che le informazioni cinestesiche siano significative a tutti i livelli di organizzazione motoria: inizialmente segnalano la posizione degli arti, poi sono una traccia di esperienze precedenti per la progettazione e provvedono all’informazione di feedback. Infine si può supporre che, la stabilità e l’orientamento adeguato dello sguardo, del capo e del corpo durante il cammino, siano raggiunti in virtù del frazionamento del corpo, attraverso molteplici correlazioni tra sistema visivo, vestibolare e somestesico (Puccini P., 2003). 37 CAPITOLO III Le paralisi cerebrali infantili…non solo un problema motorio 3.1 IL CONCETTO DI PARALISI CEREBRALE INFANTILE La Paralisi Cerebrale Infantile (PCI) è un turba persistente, ma non immutabile, della postura e del movimento dovuta ad alterazioni della funzione cerebrale per cause pre, peri- o post-natali, prima che se ne completi la crescita e lo sviluppo. La sua specificità risiede nel momento temporale dell’incidenza dell’evento patogeno; poiché lo sviluppo del sistema nervoso prosegue dopo la nascita, ogni alterazione patologica che lo interessi incide anche sulla sua maturazione, rallentandola. La condizione che ne consegue è detta dismaturativa e accompagna sempre le PCI. Quindi nelle PCI più che di “decorso” è opportuno parlare di “percorso”. Quasi tutte le PCI, se osservate in età precoce, manifestano un quadro di tipo aposturale, definito come “floppy baby”, destinato ad evolvere, in tempi e con modalità specifiche, verso le singole forme mature. Le eziologie sono molteplici e sovente agiscono in modo associato nel determinare la singola condizione clinica. In relazione al fenomeno della vulnerabilità del cervello nello sviluppo, esse conducono a differenti conseguenze a seconda dell'epoca in cui intervengono: prima della 20esima settimana di età concezionale si realizzano malformazioni cerebrali, tra le 26esima e la 30esima settimana si ha soprattutto una peculiare sofferenza della sostanza bianca periventricolare, sia nel feto che nel neonato pretermine; alla fine del terzo trimestre e nel periodo perinatale nel neonato a termine si osserva un danno prevalente a livello corticale e dei nuclei della base. A seconda dell'età in cui si realizzano, si distinguono: - fattori prenatali: di ordine genetico, includendo le cromosomopatie e le malformazioni cerebrali, e di ordine acquisito, quali le infezioni, i disturbi vascolari e l'insufficienza placentare; 38 - fattori perinatali: soprattutto le condizioni che determinano traumi e asfissia da parto, infezioni, ipoglicemia severa, ittero da parto; - fattori postnatali: encefaliti e meningoencefaliti, traumi cranici maggiori, stato di male convulsivo, incidenti cerebro-vascolari. In generale, nel determinare la PCI concorrono più condizioni che un singolo evento. Nell'ambito di questa cofattorietà patogenetica, vanno considerati due fattori predisponenti: la prematurità e il ritardo di crescita intrauterina. La prematurità è oggi la causa più frequente di PCI spastiche. Tra i disturbi neuromotori che si manifestano clinicamente nei primi anni di vita, la PCI rappresenta il quadro clinico più importante, per la sua gravità ed anche per la sua frequenza. L’incidenza di tale patologia è del 2-2,5 ogni mille nati, ma negli ultimi anni, grazie al miglioramento delle tecniche di assistenza intensiva neonatale, è in calo. Accanto al mutamento del panorama di incidenza si è verificata anche un’importante evoluzione del concetto di PCI, attualmente non più considerata come una pura alterazione del tono muscolare e dei riflessi osteotendinei, ma come un’entità clinica complessa che si esprime con diverse modalità caratteristiche. Per il sistema nervoso del bambino la paralisi non è infatti solo un difetto di organi, apparati o strutture, ma è un diverso funzionamento, una diversa modalità di azione e di organizzazione di un sistema, che continua a cercare soluzioni all’esigenza esterna di modificare l’ambiente in cui vive e a quella di adattarsi ad esso. Il problema principale della paralisi è rappresentato, dunque, dalla necessità di riorganizzare le funzioni, cui consegue un riassetto generale del sistema che coinvolge tutti gli aspetti dello sviluppo e rende originale ciascun soggetto rispetto agli altri. Perciò, il concetto di paralisi si riferisce non a un qualcosa che manca, ma piuttosto a un qualcosa che si sviluppa in maniera diversa, nel tentativo di relazionarsi con l’ambiente esterno. Il pensare alla paralisi come un problema di interazione tra l’individuo e l’ambiente, piuttosto che di muscoli e movimenti, rappresenta un rovesciamento dell’interpretazione. Anche se la PCI viene ancora definita come “una turba persistente della postura e 39 del movimento”, risulta molto difficile pensare che il fenomeno possa essere analizzato in maniera esauriente solo sul piano dell’alterazione del movimento, anche quando questo sembra essere il sintomo principale. Per comprendere al meglio la PCI dobbiamo necessariamente imparare ad utilizzare altri parametri di osservazione oltre a quello motorio, quali il punto di vista percettivo e quello dell’intenzionalità, perché solo dall’integrazione di essi nasce la complessità della patologia. Giudicare la paralisi dal punto di vista motorio consiste nell’analizzare il repertorio di movimenti posseduti dal paziente e dall’utilizzo che sa farne. L’idea comune che la PCI sia un problema esclusivamente motorio non tiene conto di un processo fondamentale: per compiere movimenti specializzati dobbiamo saper raccogliere informazioni specifiche e per raccogliere informazioni specifiche abbiamo bisogno di movimenti specializzati. Solo l’integrità del sistema percettivo, dunque, garantisce la miglior prestazione a livello motorio e, laddove sia presente un disturbo percettivo, la motricità sarà espressa attraverso strategie di movimento o molto semplificate o vincolate ad un unico percorso. Ma il problema non risiede solo nella raccolta delle informazioni; spesso, infatti, i piccoli pazienti hanno le potenzialità per percepire i dati necessari e l’incapacità risiede nel prestare attenzione alle informazioni raccolte o, in molti casi, nel tollerarle. Solo pensando ad una paralisi anche percettiva si riesce a comprendere la scelta di non muoversi di alcuni bambini, che preferiscono stare fermi piuttosto che sopportare il disagio provocato dal movimento. La PCI è anche un problema di volontà, intenzione, interesse, partecipazione, curiosità e creatività. Il piacere dell’agire e l’agire come piacere rappresentano un elemento importante nel condizionare l’intenzionalità e la propositività del paziente. Il concetto di intenzionalità raccoglie in sé anche l’emozione che il paziente prova nel compiere una determinata azione: soltanto chi prova piacere nell’agire continua a modificare in senso adattivo le proprie funzioni per raggiungere un risultato che sia sempre più adeguato ai compiti che lo sviluppo richiede. Secondo A. Ferrari (1990), le PCI vengono classificate a seconda delle parti del corpo 40 coinvolte, del reclutamento tonico prevalente e delle caratteristiche del movimento. Tale classificazione prevede: - Coinvolgimento dei quattro arti, capo e tronco tetraparesi; quest’ultima in base alle caratteristiche del movimento, si suddivide in: spasticità, atetosi e atassia; - Coinvolgimento di un lato emiparesi; - Coinvolgimento degli AAII diplegia. A. Milani Comparetti (1978) differenzia il movimento in: povertà di movimento e disordine. Analizziamo meglio il quadro della tetraparesi che è la patologia sulla quale sono fondati gli studi di questa tesi; le caratteristiche principali che possiamo incontrare sono la difficoltà nelle competenze antigravitarie con conseguente povertà di movimento o la scarsa modulazione del movimento da cui deriva la stereotipia dello stesso. L’alterazione della stiffness muscolare può essere grave con ipertonia costante presente in tutti i distretti corporei, moderata con ipertonia modificabile in base al compito e all’ambiente presente soprattutto nei segmenti distali o mista con presenza di distonie. A seconda dello schema patologico instaurato (estensorio o flessorio) possiamo trovare: facies angosciata, capo esteso e bocca aperta, cingolo scapolare in estensione, mani ad artiglio, tronco esteso, inspirazione forzata, arti inferiori estesi, piedi supino-vari o valgo-pronati; oppure, spalle anteposte, gomiti flessi e mani semiaperte, capo reclinato e bocca aperta se supino, capo e tronco flessi in avanti se seduto, arti inferiori flessi spesso a colpo di vento. In caso di sinergia estensoria le problematiche motorie saranno una risposta antigravitaria dalla flessione all’estensione, la retropulsione del capo e del tronco, la mancanza di patterns ritmici, la permanenza di comportamenti motori dominati dai riflessi e gli arti superiori incompetenti per la manipolazione; se la sinergia è flessoria ci sarà assenza di locomozione, di reazione positiva di sostegno, di controllo ambientale e di manipolazione. In entrambi i casi, infine, si potrà andare incontro a deformità future come la 41 scoliosi, la lussazione dell’anca, le deformità articolari e dei piedi, le retrazioni tendinee e gli arti a colpo di vento. Le problematiche respiratorie riguarderanno la respirazione frequente e superficiale, il ristagno delle secrezioni, la tosse debole e le infezioni respiratorie; quelle alimentari, la masticazione assente, la deglutizione non competente, la scialorrea, il reflusso gastro esofageo e la stipsi ostinata. 3.2 LE ANOMALIE DELLO SGUARDO Le anomalie dei movimenti oculari e dello sguardo, inteso come la risultante dei movimenti degli occhi e della testa indirizzati all’esplorazione dell’ambiente, rappresentano un’evenienza frequente nei soggetti con lesioni del SNC in età evolutiva. In particolare, tali anomalie rivestono un grande interesse pratico nelle paralisi cerebrali infantili. Si può trattare sia di alterazioni che sono presenti anche in soggetti neurologicamente non compromessi, come i vari tipi di strabismo e di nistagmo congenito, sia di anomalie peculiari, per lo più coniugate, bizzarre, spesso imprevedibili nel loro susseguirsi con esacerbazioni critiche in corrispondenza di stress fisici, di variazioni dello stato di vigilanza e dello stato emotivo. Ai disturbi della motricità scheletrica si associano anomalie di sguardo, molto frequenti e molto diversificate. Il comportamento dello sguardo mostra caratteri tipici nei suoi tre momenti essenziali di rest (riposo), di reaching (atto di dirigere lo sguardo verso un oggetto) e di fixing (fase della fissazione di un oggetto). Fase di riposo (rest) Le alterazioni più caratteristiche della fase di riposo sono costituite da movimenti di tipo rowing, movimenti di tipo scanning e alterazioni della stabilizzazione. Nei movimenti tipo rowing si ha un vagare continuo degli occhi senza nessuna apparente organizzazione direzionale. I movimenti di tipo scanning sono ampie oscillazioni degli occhi sul piano orizzontale. L’elemento più tipico notato in questi bambini è l’instabilità di posizione, cioè l’assenza, in certi casi assoluta, di una 42 posizione di riposo. Gli occhi oscillano costantemente in maniera irregolare intorno ad essa. Fase di indirizzamento dello sguardo (reaching) Le alterazioni del reaching sono numerose e tipiche. Quando nel campo di visione compare un oggetto di interesse, indirizzare lo sguardo verso di esso è un compito estremamente difficile da eseguire in modo adeguato. Il bambino tenta di raggiungere con lo sguardo il bersaglio, ma molto spesso non vi riesce. Durante questo tentativo si possono verificare diversi fenomeni, che sono: l’avoiding, una traiettoria degli occhi parabolica o ad arco, una traiettoria tipo curva a “chicane”, il blink prolungato. L’avoiding, che si osserva anche per la motilità scheletrica, a carico dello sguardo si manifesta come una fuga degli occhi dal bersaglio, evocata dall’intenzione del bambino di guardarlo. Spesso il passaggio degli occhi da un lato all’altro non avviene con un movimento puramente orizzontale, ma seguendo una traiettoria arcuata, passando dal basso verso l’alto, a volte preceduta da piccole oscillazioni orizzontali simili al nistagmo. Lo stesso passaggio degli occhi da un lato all’altro non avviene sempre con un movimento orizzontale continuo, ma in questo viene inserita una “chicane”: gli occhi partono da una posizione laterale, si mantengono sul piano orizzontale fino quasi a metà orbita, poi compiono una deflessione verticale in alto o in basso, una successiva in direzione opposta per poi continuare il movimento sul piano orizzontale. Talora, infine, il passaggio dello sguardo da un oggetto all’altro, è accompagnato da una prolungata chiusura delle palpebre che dura dall’inizio del tentativo di reaching fino alla fine della traiettoria. Fase di fissazione (fixing) Anche la fissazione e il suo mantenimento presentano gravi alterazioni che possiamo identificare come: esotropia, exotropia, nistagmo manifesto latente e nistagmo pendolare, spasmo in convergenza, blocco in lateroversione, overreacihng dello sguardo, instabilità di fissazione. 43 Nelle PCI frequentissimo è il riscontro di deviazioni concomitanti, simili a quelle che si trovano anche in bambini non affetti. Molto spesso la deviazione è in convergenza. Si tratta di una esotropia che si presenta sovente con caratteri che la fanno assomigliare all’esotropia infantile. In molti casi, invece, e con una frequenza nettamente superiore a quella riscontrabile nella popolazione di controllo, la deviazione dei bulbi oculari è in divergenza, cioè in exotropia. Come nelle deviazioni oculari ad insorgenza precoce, è possibile osservare un nistagmo di tipo manifestolatente, con scossa rapida diretta verso il lato temporale dell’occhio fissante e che aumenta con l’occlusione. La presenza di un nistagmo pendolare si accompagna spesso con una compromissione delle vie ottiche, ma può anche essere isolata. Si notano a volte improvvisi aumenti della esodeviazione, definibili come spasmo di convergenza, scarsamente legati allo stimolo accomodativo e in genere ripetuti e di breve durata. Talora gli occhi appaiono come bloccati in lateroversione estrema, condizione anche questa solitamente fugace che non appare finalizzata alla riduzione di un nistagmo, tanto che la testa è in genere ruotata dallo stesso lato della deviazione oculare. Nell’overreaching dello sguardo gli occhi cercano di arrestarsi sull’oggetto di interesse, in realtà lo superano, per poi ritornare su di esso. La fissazione è comunque di brevissima durata. Non è quasi mai possibile, per le complesse alterazioni che abbiamo visto, il mantenimento di una fissazione prolungata. Molto presto gli occhi si allontanano dal punto di fissazione, ricompare la motricità caotica della posizione di riposo, seguita poi da un nuovo, complesso, tentativo di reaching per reindirizzare lo sguardo sull’oggetto e quindi ancora una qualche modalità di fissazione e così via di seguito. Evoluzione delle anomalie di sguardo Un altro elemento di grande rilievo nelle PCI è la presenza di almeno tre fasi evolutive nello sviluppo della loro complessa oculomotricità. Nella prima fase il bambino tiene preferenzialmente gli occhi in condizione di riposo con scarsi tentativi di reaching e fissazione brevissima limitata pochi attimi. Le alterazioni tipiche della fase di riposo sono pertanto molto evidenti. Spesso è 44 presente un vero e proprio caos dello sguardo. Nella seconda fase il bambino acquisisce un miglior controllo della motricità oculare in fase di riposo, il reaching è più frequente e la fissazione più prolungata. È ancora evidente l’avoiding dello sguardo. Questa fase coincide con un tentativo, anche se parziale, di strutturazione dell’atteggiamento motorio globale e, in genere, con un aumento dell’interesse per gli oggetti, le persone e l’ambiente da parte del bambino. È possibile che anche la motricità oculare, pur restando patologica, risenta di questa maggiore strutturazione. Compaiono, infine, modalità di reaching e di fissazione tipiche del soggetto che si “specializza” in alcune strategie di sguardo, che pur restando patologiche, sono però più funzionali di altre. Si tratta della terza fase in cui la sintomatologia oculare si attenua potendo residuare, apparentemente, anche solo un eso- o exodeviazione ad angolo variabile. Permangono anomalie dello sguardo caratterizzate da una certa viscosità nel pursuit, latenza del reaching, tendenza allo sguardo laterale. Al di là dell'aspetto strettamente motorio, l'handicap del paziente si connota per un complesso di disturbi variamente associati e di differente intensità quali la compromissione cognitiva, l'epilessia e i disturbi comportamentali. 3.3 I DISTURBI VISIVI Nelle paralisi cerebrali infantili (PCI) oltre ai più classici segni neuromotori si associano altri segni sia di natura periferica che centrale, che aggravano il quadro generale del bambino. DISTURBI VISIVI PERIFERICI: Strabismo: anomala posizione degli assi visivi evidente in condizioni statiche o dinamiche (nei vari campi di sguardo) per cui si determina un’ alterazione dei normali rapporti tra i due occhi (movimenti coniugati di convergenza e divergenza) 45 e della visione binoculare (diplopia, disturbi dell’ampiezza fusiva e del senso stereoscopico, soppressione, anomala corrispondenza retinica, ambliopia) (Esente, 1962). Si classifica in strabismo convergente se un occhio devia verso l’interno; divergente se devia verso l’esterno; verticale se l’occhio devia verso l’alto o verso il basso. Lo strabismo concomitante (dovuto a difettosa inserzione dei muscoli oculari), presente nel 2-3% della popolazione infantile normale, è stato rilevato nel 45-47% dei casi di PCI (Douglas, 1961). Lo strabismo è assai più frequente nelle PCI rispetto ad altre cerebropatie in genere. Il rapporto strabismo convergente/divergente è di circa 3/1 (Toselli e Miglior, 1979). Nistagmo: oscillazione ritmica bulbare in senso orizzontale, verticale, rotatoria o mista, evidente in condizioni statiche o dinamiche, solitamente bilaterale (Esente, 1962). E’ generalmente dovuto a lesione dei meccanismi riflessi che controllano, tramite connessioni cerebellari, i movimenti oculari coniugati. In linea generale il nistagmo può essere: - Pendolare: movimenti ondulatori di uguale ampiezza e velocità; - Fasico o a scosse: con una fase lenta in una certa direzione e una rapida nella direzione opposta; - Irregolare. Quando si parla di nistagmo nelle PCI, nel 90% dei casi si tratta di nistagmo paretico con valore di paresi centrale di sguardo (Sabbadini e Bonini, 1993). E’ un falso nistagmo che compare quando vi è un deficit della muscolatura oculare estrinseca; si manifesta in un solo occhio quando lo sguardo viene diretto verso il lato del muscolo paretico. DEFICIT DELL’ACUITA’ VISIVA DA OSTACOLI PERIFERICI: Cataratta: consiste nell’opacizzazione del cristallino e nell’ostruzione del foro pupillare. Coloboma: perdita di sostanza per lo più a carico delle membrane oculari ed annessi, congenita o acquisita. 46 Fibroplasia Retrolenticolare: affezione quasi esclusiva dei prematuri, causata dalla somministrazione ad alte dosi di ossigeno che agisce sui vasi immaturi della retina provocando inizialmente edema ed infiltrazione ematica; nella fase cicatriziale si ha atrofia e fibrosi. Atrofia Ottica: ridotto trofismo del nervo ottico e della sua papilla. E’ in genere associata a segni clinici gravi di PCI, con diminuzione del visus e grave deficit mentale. VIZI DI RIFRAZIONE comprendono: - Miopia: i raggi luminosi provenienti da oggetti lontani convergono in un fuoco situato anteriormente al piano della retina. Ciò dipende più spesso da un’eccessiva lunghezza dell’asse antero-posteriore del bulbo; raramente da un eccessivo potere di rifrazione del cristallino (Guyton, 1978); - Ipermetropia: i raggi luminosi convergono posteriormente al piano della retina. Dipende sia dalla brevità dell’asse antero-posteriore del bulbo, sia da un debole potere di rifrazione; - Astigmatismo: dipende dal fatto che la cornea, o più raramente il cristallino, hanno forma oblunga. Si hanno due linee focali principali separate fra loro da un intervallo focale, la cui lunghezza è la misura del grado di astigmatismo; - Paralisi periferiche o strabismi paralitici: riguardano circa il 4% dei casi di PCI (contro il 2% della popolazione normale) (Sabbadini e Bonini, 1986). Sono dovute a lesioni dei nervi cranici oculomotori (III, IV e VI). DISTURBI VISIVI CENTRALI: Emianopsia: perdita della visione di una metà del campo visivo di uno o di entrambi gli occhi. Indica più spesso l’esito di una lesione di un singolo punto delle vie ottiche; se la lesione è a livello del chiasma ottico, si avrà emianopsia bitemporale. Paralisi Centrali Di Sguardo: si riferiscono ad una lesione sopranucleare delle vie fronto-mesencefaliche ed occipito-mesencefaliche (dalla corteccia fino ai nuclei del III, IV e VI paio di nervi cranici nel mesencefalo e nel ponte) e delle connessioni 47 occipito-frontali. Dalla letteratura neurologica e neuro-oftalmologica (Walsh, 1957; Hoyt e Derolf, 1971; Miller, 1985) si ricava la seguente suddivisione: - Paralisi pontina: paralisi verso destra o verso sinistra; - Paralisi mesencefalica: paralisi verticali; - Paralisi internucleare del fascicolo longitudinale mediale: paralisi dell’adduzione o dell’abduzione di un solo occhio; - Aprassia di sguardo corticale frontale. DISTURBI DELL’ORIENTAMENTO SPAZIALE: Disagnosia Spaziale: i sintomi comprendono l’incapacità di localizzare bersagli e oggetti, di riconoscere luoghi e percorsi, di dare un giudizio sulla direzione, sulla misura dello spazio, del tempo e della velocità. Si associa talora “atassia ottica” e disturbi della discriminazione delle forme. DISTURBI DELLA PERCEZIONE SOCIALE: Dispercezione Sociale: incapacità di riconoscere il valore emozionale delle espressioni facciali e dei gesti, valutati visivamente dal vero o sulle figure (Sabbadini, 1992). Simultanagnosia: visione parcellare con incapacità di interpretare il significato globale di una scena. DISTURBI CONGENITI DEL RICONOSCIMENTO VISIVO: possono essere secondari a disturbi della percezione visiva, oppure a disturbi dell’esplorazione visiva. DISTURBI DELLA PERCEZIONE VISIVA: sono riassumibili nel concetto di “Cecità Corticale Congenita” che rappresenta però un termine ambiguo perché, nei casi citati dalla letteratura, non vi è perdita totale della vista e i bambini riescono quasi sempre a localizzare oggetti anche piccoli. 48 Per questo motivo alcuni autori (Pierro, 1984; Cannao, 1984; Weiskrantz, 1989) considerano molto incerti i confini tra cecità corticale ed “Agnosia Visiva Congenita”, nell’adulto, ma soprattutto nel bambino. Si riconoscono in genere una “agnosia appercettiva” ed una “agnosia associativa” che comportano rispettivamente deficit della categorizzazione percettiva e di quella semantica. DISTURBI DELL’ESPLORAZIONE VISIVA: Si identificano con l’Aprassia Congenita di Sguardo di Cogan (Cogan , 1952), le cui caratteristiche sono: - paralisi dello sguardo volontaria orizzontale (conservata la funzionalità verticale); - conservati i random eye movements; - occhi fissi, iperfissazione; - spasmi in fissazione; - scatti compensatori orizzontali, tics simili del capo, ammiccamenti; - altri segni neurologici assenti o di lieve entità o non menzionati Le patologie della funzione visiva qui citate, comportano problemi sia di ordine motorio che cognitivo e devono pertanto essere valutate ed identificate con sicurezza. 49 CAPITOLO IV Il sistema visivo come costruttore di informazioni 4.1 LA PERCEZIONE COME MEZZO PER CONOSCERE La percezione può essere definita come l'insieme dei processi per mezzo dei quali riconosciamo, organizziamo e diamo un senso alle sensazioni relative alla molteplicità degli stimoli ambientali. Talvolta non possiamo percepire quello che esiste realmente; è anche vero che altre volte percepiamo cose che in realtà non esistono. Così a volte non percepiamo quello che in realtà c'è, e altre volte percepiamo quello che non c'è. L'esistenza delle illusioni percettive suggerisce che ciò che vediamo (a livello dei nostri organi di senso per la visione) non corrisponde necessariamente al risultato che otteniamo (nella nostra mente). La nostra mente deve manipolare questa informazione tale da creare delle rappresentazioni mentali degli oggetti e poter definire le proprietà e le relazioni spaziali tra i diversi ambienti. Quali sono i principi che guidano le nostre percezioni? Dobbiamo esaminare alcuni indizi che ci portano a poter identificare uno spazio tridimensionale partendo da un' informazione sensoriale bidimensionale. 50 La percezione della profondità Muovendoci nello spazio che ci circonda, guardiamo intorno di continuo e ci orientiamo visivamente in uno spazio tridimensionale. Quando guardiamo avanti percependo le distanze, stiamo proiettando lo sguardo nel senso della terza dimensione, quella della profondità. Ogni volta che ci spostiamo, afferriamo o manipoliamo oggetti siamo necessariamente impegnati in giudizi relativi alla profondità. Come riusciamo a percepire uno spazio tridimensionale quando i recettori sensoriali delle nostre retine mappano soltanto una rappresentazione bidimensionale di quello che vediamo? Uno degli aspetti che ci confondono è la percezione di indizi di profondità contraddittori relativi a sezioni differenti per esempio della figura. Gli indizi di profondità sono sia monoculari che binoculari: i monoculari possono essere rappresentati in solo due dimensioni, come in un quadro; i binoculari sono basati sulla recezione di informazione sensoriale da parte di entrambi gli occhi. L'idea chiave alla base degli indizi di profondità binoculari è che i nostri due occhi sono posizionati a una distanza reciproca sufficiente per trasmettere due tipi di informazione al cervello: la disparità binoculare e la convergenza binoculare. Noi facciamo affidamento sugli indizi di profondità basati sulla disparità binoculare, in base alla quale i due occhi inviano al cervello immagini di differenza crescente quanto più gli oggetti si avvicinano a noi; il nostro cervello interpreta il grado di disparità come un'indicazione della distanza degli oggetti. Nel caso di oggetti che vediamo in punti dello spazio relativamente vicini, facciamo uso di indizi di profondità basati sulla convergenza binoculare. Nella convergenza binoculare i due occhi ruotano sempre di più verso l'interno all'avvicinarsi degli oggetti, e il cervello interpreta questi movimenti muscolari come indicazioni di distanza. 51 Le costanze percettive Quando gli oggetti si avvicinano a noi, percepiamo cambiamenti nella profondità: come mai gli oggetti diventano sempre più grandi, ma rimaniamo convinti che sono rimasti della stessa grandezza? La costanza apparente della grandezza rappresenta un esempio di costanza percettiva. Quest’ultima opera quando la nostra percezione di un oggetto rimane la stessa anche quando le nostre sensazioni immediate relative a quell'oggetto cambiano. La sensazione immediata dell'oggetto corrisponde allo stimolo prossimale interno, così come esso è registrato dai recettori sensoriali retinici. Lo stimolo distale esterno corrisponde all'oggetto, inteso come un'entità del mondo esterno. Sappiamo dall'esperienza che le caratteristiche fisiche degli oggetti distali esterni non cambiano, e questa consapevolezza influenza la nostra interpretazione dello stimolo prossimale. La percezione rimane quindi costante anche quando la sensazione cambia. La costanza di grandezza consiste nella percezione stabile della grandezza di un oggetto nonostante cambiamenti nella grandezza dello stimolo prossimale. La grandezza di un'immagine sulla retina dipende direttamente dalla distanza dall'occhio di un dato oggetto; lo stesso oggetto a due distanze differenti proietta sulla retina immagini di dimensioni differenti. Come la costanza di grandezza, anche la costanza di forma è legata alla percezione delle distanze, ma in modo differente. La costanza di grandezza coinvolge la distanza di un oggetto percepita da un osservatore, mentre la costanza di forma coinvolge la distanza di parti differenti dell'oggetto percepita dall'osservatore. 52 L’approccio della Gestalt alla percezione della forma Si basa sull'idea che il tutto è diverso dalle sue parti individualmente considerate. L'approccio della Gestalt è utile per comprendere come percepiamo gruppi di oggetti o anche parti di oggetti per formare totalità intere. In accordo con la legge della pregnanza, tendiamo a concepire ogni dato come un insieme di diversi elementi visivi che se assemblati definiscono una forma stabile e coerente, piuttosto che come un miscuglio di sensazioni indefinite e disorganizzate. Tendiamo, ad esempio, a percepire una data figura come focale e altre sensazioni come componenti uno sfondo della figura su cui la nostra percezione si è focalizzata. Per figura si intende qualunque oggetto percepito come in rilievo, quasi sempre in contrasto a qualche tipo di sfondo. I principi della Gestalt relativi alla percezione della forma sono la percezione di figura-sfondo, la profondità, la somiglianzailianza, la chiusura, la continuità e la simmetria. Ciascuno di questi principi è coerente con la legge della pregnanza, nel senso che ciascuno di essi evidenzia come tendiamo a percepire gli insiemi di elementi visivi nel modo che organizza con la maggiore semplicità possibile i diversi elementi in una forma stabile e coerente. Nel guardare l'ambiente che ci circonda tendiamo a percepire raggruppamenti di oggetti vicini (prossimità) o di oggetti simili (somiglianza), oggetti completi piuttosto che parziali (chiusura), linee continue piuttosto che le linee discontinue (continuità), e configurazioni simmetriche piuttosto che asimmetriche. 53 4.2 L’INFORMAZIONE: LA TEORIA DI BATESON La teoria batesoniana dell’informazione può essere sintetizzata nell’aforisma: “la differenza è informazione”. La percezione si fonda sulla differenza, e ricevere un’informazione vuol dire sempre e necessariamente ricevere la notizia di una differenza. Quindi si parla di informazione quando una differenza fisica (cioè dell’ambiente esterno) genera una differenza cognitiva. Giovanni Madonna, studioso di Bateson, distingue oltre all’informazione per differenza anche quella per somiglianza, sottolineando come la conoscenza possa essere interpretata come il risultato della possibilità di cogliere nell’ambiente somiglianze e differenze. - L’informazione per differenza: Bateson distingue due tipi di differenze: la prima è la differenza tra due elementi messi in relazione tra di loro (due immagini di visi di cui uno sorridente ed uno triste), la seconda è la differenza tra un elemento nell’istante 1 e lo stesso elemento nell’istante 2 (cambiamento che avviene nel tempo, uno stimolo luminoso che all’inizio è in un punto e dopo in un altro); - L’informazione per somiglianza: La percezione si fonda anche sulla somiglianza. Nel mondo del processo mentale anche le somiglianze possono generare eventi. La capacità di cogliere continuità e risonanza tra gli eventi esterni contribuisce a dare un significato a ciò che il soggetto percepisce. 54 4.3 IL PROBLEM SOLVING E’ necessario superare degli ostacoli per rispondere ad una certa domanda o raggiungere un determinato obiettivo. Infatti, quando una certa risposta o soluzione è facilmente recuperabile in memoria, non ci si trova davanti a un problema. Quando invece ciò non è possibile, ci si imbatte allora con un problema da risolvere. I passi del ciclo della soluzione dei problemi comprendono: - Identificazione del problema: per quanto possa sembrare strano, a volte un passo difficile è il riconoscere che una certa situazione implica un problema. E' possibile infatti non riconoscere un certo fine, oppure che il percorso verso un nostra meta presenta ostacoli, oppure che la situazione che si aveva in mente non funziona. - Definizione e rappresentazione del problema: una volta che l'esistenza del problema è stata riconosciuta, allo scopo di capire come risolverlo è necessario definire e rappresentare il problema in modo adeguato. L'operazione della definizione del problema è cruciale; infatti, se un certo problema viene definito in modo impreciso o inadeguato, diminuisce la probabilità di risolverlo. - Formulazione di una strategia: una volta che il problema è stato definito in modo operativo, il passaggio successivo consiste nel pianificare una strategia di soluzione. La strategia può implicare l'analisi, ossia la scomposizione del problema complesso nel suo insieme in elementi su cui si può operare più facilmente. Una strategia alternativa, o addizionale, potrebbe essere basata sul processo complementare della sintesi, che consiste nel mettere insieme i diversi elementi per comporli in modo utile. Un'altra coppia di strategie complementari implica le forme divergente e convergente del pensiero. Nel pensiero divergente si tenta di generare un insieme diversificato di soluzioni possibili del problema. Una volta considerate le varie possibilità, è tuttavia necessario fare ricorso al pensiero convergente allo scopo di limitare le molteplici possibilità e convergere sulla risposta migliore, o perlomeno sulla risposta che si pensa rappresenti la soluzione più probabile da verificare come prima. 55 - Organizzazione dell'informazione: una volta che la strategia di soluzione è stata definita, si può passare ad organizzare l'informazione disponibile in modo da applicare la strategia. L'informazione viene organizzata in un quadro strategico, individuandone una rappresentazione tale da permettere di applicare nel modo migliore la strategia scelta. - Monitoraggio: un uso prudente del tempo comprende il monitoraggio nel periodo del processo di soluzione. I solutori efficaci, dopo aver scelto un certo percorso di soluzione, non aspettano di arrivarne alla fine prima di verificare dove ha portato, ma eseguono verifiche frequenti, controllando di procedere verso l'obiettivo. - Valutazione: oltre al monitoraggio del problema durante il processo di soluzione, è necessario valutare la soluzione una volta che questo processo ha avuto termine. Durante la valutazione possono essere riconosciuti nuovi problemi, possono emergere nuove strategie, possono essere resi disponibili nuove risorse o le risorse esistenti possono essere usate in modo più efficace. Il ciclo è completo quando conduce a nuovi insight e quando inizia di nuovo. La creatività può servire per scopi diversi dalla soluzione di problemi. L'attività di soluzione dei problemi è implicata quando è necessario superare degli ostacoli per rispondere ad una certa domanda o raggiungere un determinato obiettivo. Infatti, quando una certa risposta o soluzione è facilmente recuperabile in memoria, non ci si trova davanti a un problema. Quando invece ciò non è possibile, ci si imbatte allora con un problema da risolvere. È necessario che il solutore del problema consideri lo stato iniziale (stato problema) e lo stato meta (soluzione) all'interno di uno spazio problemico, che rappresenta l'universo di tutte le possibili azioni che possono essere eseguite per risolvere un certo problema. Secondo questo modello, la strategia fondamentale per la soluzione dei problemi è quella di scomporre un problema-compito in una serie di passi che conducono alla fine alla soluzione di quel problema. Ciascuno passo implica un insieme di regole relative alle procedure (operazioni). 56 Gli insiemi di regole sono organizzati gerarchicamente in programmi che contengono diversi livelli interni di sotto-programmi. Molti dei programmi di livelli più bassi consistono in algoritmi, che sono sequenze di operazioni eseguibili in modo ricorsivo (ripetibili più volte). La mente umana non riesce ad eseguire le computazioni ad alta velocità delle molteplici combinazioni possibili; avendo riconosciuto questi limiti, Newell e Simon hanno suggerito che gli esseri umani devono usare delle scorciatoie mentali per risolvere i problemi. 57 CAPITOLO V La valutazione del sistema visivo 5.1 DAI PREREQUISITI TEORICI ALLA SCHEDA DI VALUTAZIONE DEL SISTEMA FUNZIONALE DELL’ESPLORAZIONE VISIVA Per la funzione visiva è necessario fissare gli occhi su un oggetto, inseguire con gli occhi l’oggetto in movimento, muovere liberamente gli occhi per cercare l’oggetto (Bonini e coll., 1982). La fissazione è una funzione riflessa e consiste nella capacità di piazzare e mantenere la fovea su un oggetto. Nei bambini con paralisi cerebrale infantile la fissazione può risultare instabile e lo sguardo può apparire caotico od erratico. Questa funzione può essere allenata con l’utilizzo di stimoli interessanti, se necessario illuminati, allontanando molto lentamente lo stimolo dagli occhi del bambino fino a quando non si è sicuri che lo stia fissando. Una volta appurato che il bambino è in grado di fissare, si può svolgere la prova detta del fixation shift con e senza competizione. La prova con competizione, da effettuarsi dopo i tre mesi di vita, consiste nel favorire lo spostamento della fissazione da un oggetto a un altro, entrambi posti di fronte al bambino. La fixation shift senza competizione si esegue invece presentando uno stimolo nel campo visivo periferico mentre il bambino mantiene la fissazione su un bersaglio posto al centro del campo visivo. Si prosegue con la valutazione dei movimenti di inseguimento degli occhi e del capo in orizzontale, verticale, diagonale e circolare descrivendone la qualità (fluidi, a scatti, completi, incompleti). Anche l’inseguimento è una funzione riflessa (fissazione in movimento lento) ed è la capacità di mantenere la fovea su un oggetto che si muove lentamente, oppure nel mantenere la fissazione mentre il capo ruota lentamente. I movimenti di inseguimento sono inscindibili dalla fissazione, e sono lenti, continui, non a scatti. Quando il movimento dello sguardo è veloce, l’inseguimento è a scatti ed è 58 realizzato con movimenti saccadici. I movimenti saccadici servono a far convergere le radiazioni luminose nella fovea; costituiscono un rapido e continuo movimento di contrazione e di decontrazione dei gruppi muscolari tra loro interagenti (Frascarelli, 1998). I movimenti saccadici si valutano: - Dalla linea mediana verso destra; - Dalla linea mediana verso sinistra; - Dal centro verso l’alto; - Dal centro verso il basso; - Attraverso la linea mediana. Nei bambini con danno cerebrale la latenza dei movimenti saccadici può essere eccezionalmente lunga, sia per la difficoltà di staccarsi dal precedente punto di fissazione, sia per la difficoltà di planning motorio. Alcuni bambini con problemi motori non sono in grado di effettuare i movimenti saccadici attraverso la linea mediana o dall’alto e dal basso verso la linea mediana. La presenza di tali movimenti è un prerequisito fondamentale per esplorare visivamente un oggetto in quanto l’esplorazione visiva consiste in una serie di fissazioni rapidissime per cogliere più informazioni dallo stesso oggetto; si valuterà quindi se l’esplorazione visiva avviene spontaneamente o solo su richiesta, se è presente in tutte le direzioni o se alcune vengono escluse, se avviene con tutti gli stimoli e se il bambino utilizza una strategia particolare. Lo spostamento dello sguardo da un oggetto a un altro di una serie di oggetti posti a distanza angolare inferiore a 15° (cioè distanziati di circa 5cm) può essere definita “arrampicamento” (Fazi e coll., 1998). In queste condizioni si può presumere che la macula possa prendere fissazione sull’oggetto successivo, senza perdere quella sull’oggetto precedente (così la regione maculare comprende contemporaneamente i due oggetti, o un’intera serie di “faccette” proposte) (Sabbadini e Bonini, 1986). Un altro elemento da valutare è la coordinazione oculo-manuale, osservando se il bambino guarda l’oggetto proposto sotto il controllo visivo, con quale mano afferra spontaneamente e con quale modalità, se mentre afferra fissa l’oggetto e se la 59 presa avviene in ogni zona del campo visivo. Inoltre è bene osservare la precisione per profondità e localizzazione, se la coordinazione oculo-manuale è migliore con oggetti di grandi dimensioni e a quale distanza si riscontrano meno difficoltà. Infine, è necessario osservare la qualità della manipolazione dell’oggetto dopo l’afferramento: si annoterà se mentre il bambino lo esplora continua a guardarlo o se in seguito il contatto visivo viene escluso, se esplora l’oggetto tattilmente, uditivamente e visivamente in modo separato, se riesce ad integrare contemporaneamente i tre tipi di informazione sensoriale. Poiché la funzionalità visiva può cambiare a seconda della postura è necessario valutare e osservare il bambino in varie posizioni (supino, prono, decubito laterale, seduto, carponi, in stazione eretta e mentre deambula) in modo da osservare qual’ è la postura che favorisce il miglior utilizzo della vista. Spesso si lavora in posizione supina con i bambini che non hanno un buon controllo di capo e tronco e in decubito laterale per favorire la prensione, per esempio nei bambini distonici (Fazi e coll., 1998). La valutazione dell’esplorazione visiva si basa quindi sull’osservazione delle azioni effettuate dal bambino durante diversi compiti cognitivi che hanno come oggetto comune il sistema visivo. Questa proposta di esame del “comportamento di esplorazione oculare” permette di identificare il livello evolutivo raggiunto dalle componenti del sistema funzionale dell’esplorazione visiva e della loro coordinazione, che consente una delle più ricche interazioni con l’ambiente. Certi del fatto che la valutazione di come il bambino sa orientarsi di fronte alle varie fonti di interesse visivo presenti nel mondo circostante non può essere limitata all’analisi del movimento quantificabile come reclutamento di unità motorie o come espressione di attività riflessa, si ritiene fondamentale la valutazione delle capacità di modificare il comportamento in rapporto alle diverse esigenze conoscitive. Solo all’interno di questo modo di vedere trovano adeguata collocazione i concetti di livello di sviluppo e di area di sviluppo potenziale. Spesso, per esempio, la sequenza di inseguimento oculare che deve essere combinata con il movimento di rotazione del capo nell’esplorazione più ampia del mondo circostante, rimane parziale perché il bambino non riesce ad inibire l’attività riflessa (riflesso tonico asimmetrico del collo) in funzione delle informazioni che deve 60 acquisire. Non è sufficiente, per il riabilitatore, accontentarsi di verificare la presenza di tale riflesso, ma occorre anche specificare se il comportamento adeguato alla necessità di esplorazione visiva (espressione di una elaborazione più complessa di parametri spaziali) non è attivabile in maniera assoluta o se può comparire in determinate condizioni. Queste possono essere create producendo modificazioni della situazione, in maniera tale da rendere più facile l’estrazione di informazioni dall’ambiente. Tale modo di operare permette di individuare l’area di sviluppo potenziale per il sistema funzionale dell’esplorazione visiva. L’esaminatore infatti, modificando certe caratteristiche del corpo come per esempio la velocità di scorrimento del quadro percettivo, oppure facilitando il bambino nella realizzazione della frequenza (aiutandolo nella rotazione del capo) in modo che possa analizzare compiutamente le informazioni visive, fa in modo che il bambino stesso riesca a programmare una modalità di interazione, altrimenti non attivabile. L’individuazione dell’area di sviluppo potenziale permette la programmazione dell’esercizio terapeutico, mentre la trasformazione di questa in area attuale, corrispondente cioè alla capacità di attivare autonomamente un determinato comportamento, permette di verificare la presenza di capacità di apprendimento. Gli aspetti comportamentali presi in considerazione successivamente nella valutazione permettono di seguire le linee evolutive del sistema funzionale della prensione, le quali partendo da livelli molto elementari, offrono la possibilità al bambino di conoscere “parziali” dell’oggetto che confrontandosi con quelle rese possibili attraverso l’organizzazione del sistema funzionale dell’esplorazione visiva determinano l’elaborazione di sequenze di approccio e manipolazione via via più “raffinate”. Durante il tirocinio presso il Centro pediatrico di Riabilitazione Motoria, con la partecipazione delle terapiste del servizio, ho redatto una scheda di valutazione del sistema visivo con i seguenti item: 61 Centro Pediatrico di Riabilitazione Motoria Ospedale di Imperia Cognome_____________________ Nome___________________ Data di nascita ________________ Data esame_______________ PERCEZIONE VISIVA-FOCALE Posizione supina_____ Posizione seduta long sitting_____Posizione seduta su panchetto_____ FISSAZIONE 1) Struttura informazione visiva___________________________________________ 2) Distanza___________________________________________________________ 3) Come_____________________________________________________________ ____________________________________________________________________ PERCEZIONE VISIVA-PERIFERICA Posizione supina_____ Posizione seduta long sitting_____Posizione seduta su panchetto_____ LOCALIZZAZIONE DELLO STIMOLO NEI DIVERSI PIANI DELLO SPAZIO 1. In quale spazio__________________________________________________ 2. Come__________________________________________________________ ____________________________________________________________________ RELAZIONE VISIONE PERIFERICA E CENTRALE Posizione supina_____ Posizione seduta long sitting_____Posizione seduta su panchetto_____ INSEGUIMENTO OCULARE 1) Struttura informazione visiva__________________________________________ 2) Direzione dello stimolo_______________________________________________ 3) Come_____________________________________________________________ ____________________________________________________________________ 62 ALTERNANZA DELLO SGUARDO Strategie oculari per la ricerca e ricomposizione di immagini Posizione supina_____ Posizione seduta long sitting_____Posizione seduta su panchetto_____ Come________________________________________________________________ ____________________________________________________________________ COSTRUZIONE DI STRATEGIE DIVERSE COORDINAZIONE MOVIMENTI CAPO E OCCHI Posizione supina_____ Posizione seduta long sitting_____Posizione seduta su panchetto_____ 1) Direzione__________________________________________________________ 2) Come_____________________________________________________________ ____________________________________________________________________ COORDINAZIONE OCCHIO-MANO Posizione supina______ Posizione seduta long sitting______ Posizione seduta su panchetto______ A Guarda le proprie mani che si toccano B Guarda e tocca l'oggetto vicino alla mano C Guarda l'oggetto che tocca la mano COORDINAZIONE OCCHIO-MANO-PIEDE Posizione supina______ Posizione seduta long sitting______ Posizione seduta su panchetto______ -Guarda il piede e lo tocca COORDINAZIONE OCCHIO-PIEDE Posizione supina______ Posizione seduta long sitting______ Posizione seduta su panchetto______ A Guarda i piedi B Guarda e tocca l'oggetto vicino al piede C Guarda l'oggetto e tocca il piede 63 Nello specifico, nella scheda di valutazione proposta, vengono prese in considerazione le capacità di fissazione e di inseguimento oculare di un oggetto posto nel campo visivo del bambino, secondo determinate modalità; vengono anche analizzate le abilità di localizzazione dello stimolo nei diversi piani dello spazio e l’alternanza dello sguardo. - Fissazione: è la capacità del bambino di mantenere l'attenzione verso le informazioni visive che si trovano nell'ambiente circostante. Si osserva già a pochi giorni dalla nascita, e la distanza è fondamentale (20-30 cm) per il cristallino che ancora non si adatta. Il bambino fissa meglio con il capo ruotato in rapporto alla posizione dello schermidore per il problema della vista binoculare; rilevanti sono anche la necessità o meno del comando verbale del terapista, il modo in cui fissa lo stimolo visivo (coordinazione occhi-capo), la struttura visiva (a colori, in bianco e nero..), la localizzazione dell'informazione nei diversi piani dello spazio e il tempo in cui mantiene la fissazione. La fissazione è la prima caratteristica che emerge dalla maturazione del sistema visivo. Può essere presente un’incapacità ad attivare stabilmente la fissazione, lo sguardo del bambino è continuamente errante, cioè non si sofferma mai su un oggetto, per cui non possono essere analizzate in maniera adeguata le caratteristiche visive dell’oggetto stesso. In altri casi può essere rilevata, al contrario, un’estrema rigidità della fissazione, per cui lo sguardo risulta “calamitato”, nel senso che il bambino non riesce a variare dinamicamente la fissazione da un punto ad un altro dello spazio. Anche questo comportamento fa risultare estremamente povera l’esplorazione dell’ambiente perché rende difficile il confronto delle informazioni visive provenienti da punti diversi dello spazio; - Localizzazione dello stimolo: è la capacità del bambino di cogliere la presenza di un impulso che viene proposto nei diversi piani dello spazio; - Inseguimento oculare: è presente quando il bambino riesce a seguire uno stimolo visivo nei diversi piani dello spazio. Inizialmente l'inseguimento è incompleto e discontinuo, si completa intorno ai 2 mesi; la tendenza iniziale è quella di seguire i percorsi orizzontali, poi quelli verso l'alto e infine quelli verso il basso; successivamente diventa sempre più dinamico. I parametri di valutazione sono la linearità, la presenza/assenza di movimenti distonici, i movimenti del capo, la 64 direzione dello stimolo, la coordinazione occhi-capo e la struttura visiva. Si può osservare una permanente incompletezza o una discontinuità, oppure un comportamento costituito da un inseguimento completo, ma rigido, nel senso che è scarsamente adattabile a compiti diversamente programmati in quanto a traiettorie, sia da un punto di vista quantitativo che qualitativo (ci può essere incapacità di prendere in considerazione, per esempio, un oggetto che compare sopra o sotto quello che il bambino sta seguendo, mentre scorre davanti ai suoi occhi). Spesso anche la convergenza oculare risulta alterata; - Alternanza dello sguardo: è la possibilità che ha il bambino di alternare l'attenzione su due o più stimoli. Permette la costruzione dei processi di anticipazione (4 mesi) quindi la costituzione degli scopi; il bambino comincia a usare la vista con un aspetto più intenzionale, l'inizio e la fine del movimento sono determinati da un programma stabilito a livello corticale. Durante l'alternanza vengono valutati il controllo del capo e la coordinazione occhi-capo in base alla localizzazione degli stimoli (alto/basso, destra/sinistra). L’introduzione, nell’osservazione della sequenza, della capacità di anticipazione offre la possibilità di verificare anche l’acquisizione, da parte del bambino, di regole che permettono un comportamento più adattabile. Infatti se il quadro percettivo viene presentato al bambino in una situazione in cui possano essere cambiati alcuni aspetti (per esempio lo “stimolo” compare una volta a destra e due volte a sinistra del suo campo visivo), può essere verificata la capacità di estrapolare dalla situazione determinate regole e di elaborare sequenze sulla base di queste. In presenza di tale capacità, il bambino riesce ad orientare gli occhi nella direzione giusta, ancora prima che compaia lo stimolo. Anche in questo caso quindi ciò che viene preso in considerazione non è un singolo “dato motorio” (movimenti oculari) e neppure un singolo dato definibile “percettivo” (capacità di fissazione), ma piuttosto la capacità di elaborare e di ricercare determinate informazioni. Le sequenze di cui si ricerca la capacità di attivazione vengono considerate come il risultato di determinati livelli di elaborazioni utili, attraverso una adeguata interazione con l’ambiente; 65 - Coordinazione tra i movimenti oculari e quelli del capo: particolare importanza riveste l’analisi del comportamento cosiddetto spontaneo per rilevare movimenti isolati delle dita, movimenti del braccio o avambraccio. Anche se ancora oggi non è chiaro il significato che tali movimenti possono rivestire per il sistema nervoso del bambino, essi possono essere tuttavia interpretati come espressione del raggiungimento di certi livelli di maturazione del sistema nervoso e quindi come corredo genetico di uno sviluppo fisiologico. È stato infatti osservato che anche il bambino di pochi giorni presenta movimenti isolati delle dita della mano. Tali movimenti sono presenti soltanto durante l’attività “libera”, mentre non vengono attivati allorché si tratta di entrare in rapporto con l’oggetto. Non hanno quindi significato di frammentazione della superficie esplorante, cioè di indirizzare, in maniera più adeguata, la mano verso la raccolta di informazioni, poiché quando questa si trova a contatto con l’oggetto si comporta secondo livelli molto elementari (attività di flessione o estensione massima di tutte le dita). A livello del braccio e dell’avambraccio è importante osservare l’eventuale presenza di movimenti di oscillazione. Durante l’esecuzione di tali movimenti, quando causalmente la mano entra nel campo visivo, il bambino la osserva con interesse. È importante osservare quindi: - Attività della mano nei confronti di altre parti del corpo: il bambino già all’età di due/tre mesi comincia ad esplorare con la mano gli oggetti con cui accidentalmente viene a contatto. Tali movimenti hanno un carattere di “globalità”, infatti, come ha osservato Piaget, il bambino compie movimenti di flessione ed estensione di tutte le dita della mano a contatto con l’oggetto riproducendo movimenti simili al grattamento. Secondo questa modalità, il bambino inizia anche un’esplorazione tattile del volto: si stropiccia gli occhi, si tocca l’addome, utilizzando una o entrambe le mani. Inoltre quando il bambino vede la propria mano tende a “trattenerla” nel campo visivo. Si può anche osservare la prensione reciproca delle mani che vengono portate alla bocca e succhiate; inoltre, sempre più spesso il bambino trascorre una parte del suo tempo ad osservare le mani che si palpano. 66 È ipotizzabile che, attraverso questi comportamenti, il bambino arricchisca il suo bagaglio di conoscenze, se pure parziali (solo informazioni tattili) e non selettive (l’esplorazione infatti viene effettuata con tutta la mano). Il comportamento di osservazione delle mani che si palpano reciprocamente può essere messo in rapporto con la possibilità iniziale di tenere conto e di confrontare modalità percettive diverse (tattili e visive) della medesima parte del corpo. Questo comportamento rappresenta una delle prime modalità attraverso cui il bambino costruisce la coordinazione oculo-manuale: infatti dapprima il bambino guarda la sua mano mentre scorre nel campo visivo, poi le mani che si toccano tra di loro, poi la mano che sfiora oggetti che sta guardando (Piaget, 1968). Se nella valutazione del livello di sviluppo vengono rilevati comportamenti elementari, non modificabili in situazioni diverse, il riabilitatore può facilitare il bambino nell’esecuzione del compito, ponendolo in situazioni più semplici, al fine di valutare l’area di sviluppo potenziale e potere quindi indirizzare il trattamento terapeutico. Nel considerare il processo di costruzione della coordinazione oculo-manuale è importante valutare: - Attività della mano verso oggetti: a questo scopo viene preso in considerazione il comportamento della mano nei confronti dell’oggetto, poiché, essendo la superficie esplorante, dovrà consentire i livelli successivi di adattabilità nei confronti dell’oggetto, permettendo anche l’organizzazione delle altre componenti del sistema funzionale della prensione. L’oggetto viene posto vicino alla mano del bambino e viene valutata la capacità della mano di entrare in rapporto con esso, per poter percepire le caratteristiche tattili. Verso i tre mesi la mano viene mantenuta dal bambino in atteggiamento di semiflessione e si osserva l’estensione delle dita, solo dopo che è avvenuto il contatto con la superficie dell’oggetto. In questo comportamento, che rappresenta la prima forma di rapporto tattile con l’oggetto, il contatto avviene ancora in modo casuale, ma, una volta instaurato, il bambino ha la possibilità di orientare adeguatamente la superficie esplorante in modo da cogliere certe caratteristiche dell’oggetto. Ciò consente di poter formulare successivamente scopi più precisi. 67 Il comportamento successivo è caratterizzato dà un’estensione delle dita che anticipa il contatto con l’oggetto, non ancora però in maniera adattabile alla caratteristiche dell’oggetto stesso (forma, grandezza). Questo potrebbe stare ad indicare che il bambino ha formulato lo scopo di stabilire un contatto con l’oggetto già nel momento in cui lo vede. Nel bambino con PCI si osservano comportamenti inadeguati a stabilire interazioni di una certa complessità. È ipotizzabile quindi che gli scopi formulati si differenzino scarsamente e/o che vengano raggiunti in modo da non fornire al sistema nervoso centrale le informazioni sufficienti per una corretta programmazione motoria. L’individuazione dell’area di sviluppo potenziale permette, tra l’altro, di favorire la formulazione di scopi più complessi e differenziati. Infatti se un bambino con tetraparesi presenta un livello di sviluppo caratterizzato da una prensione statica, l’operatore dovrà proporre situazioni terapeutiche in cui il bambino è posto nella necessità di raccogliere informazioni più ampie e diversificate circa le caratteristiche dell’oggetto: superficie, consistenza, ecc… In tal modo viene verificata la possibilità di modificare comportamenti elementari, stereotipati, in comportamenti di livelli interattivi superiori, che risultano meglio adattabili ai diversi scopi. Vengono poi presi in considerazione gli altri momenti della sequenza che contribuiscono a realizzare il contatto della mano con l’oggetto, per cui viene valutato, nella sua completezza, il comportamento di prensione e di manipolazione. La capacità di programmare sequenze più dinamiche, in relazione all’oggetto, risulta in stretto rapporto con le modalità di esplorazione visiva e tattile che si arricchiscono notevolmente nel corso del primo anno di vita, integrandosi. Verranno quindi considerati il raggiungimento, l’approccio e le manipolazione dell’oggetto, cercando di individuare le componenti (direzione, distanza ecc…) dalla cui organizzazione emergono livelli interattivi sempre più complessi. All’interno della progressiva integrazione tra afferenze visive e tattili, cioè della coordinazione oculo-manuale, viene valutata anche la capacità di utilizzare i movimenti del tronco nella posizione seduta. La postura (in questo caso quella seduta) non viene valutata separatamente e specificamente rispetto al movimento, ma viene anch’essa interpretata come un elemento interattivo. 68 Il termine postura sta ad indicare la posizione dei vari segmenti corporei, in un dato momento, e i meccanismi coinvolti nel mantenimento della posizione di un dato segmento o di tutto il corpo (Massion, 1985). L’osservazione dei diversi livelli di comportamento porta a considerare la coordinazione tra postura e movimento; uno degli schemi sull’organizzazione centrale di questa coordinazione è basato sull’ipotesi che l’aggiustamento posturale è la risultante dell’azione di collaterali interne provenienti dalle vie di controllo del movimento (Massion, 1985). La valutazione del controllo del tronco, all’interno dell’attività oculo-manuale, nella posizione seduta, potrebbe fare riferimento a tale ipotesi di coordinazione tra postura e movimento; - Attività degli arti inferiori. Coordinazione occhio-piede: Per valutare lo sviluppo iniziale del sistema funzionale del cammino, è opportuno rilevare i comportamenti degli arti inferiori prima che questi acquisiscano la funzione specifica della deambulazione. Come per l’arto superiore, anche a livello dell’arto inferiore si possono osservare movimenti selettivi delle dita, delle caviglie e delle ginocchia, durante l’attività spontanea del bambino; anche in questo caso non è chiaro il significato che tali movimenti possono rivestire per il sistema nervoso centrale del bambino, al di là dell’espressione di un’integrità del patrimonio genetico. Il comportamento del piede nei confronti dell’oggetto, poi, rappresenta una delle prime forme di rapporto di questa superficie somestesica con l’ambiente esterno, prima che la fonte specifica di informazioni per questa superficie diventi il suolo, con la conseguente organizzazione del cammino. 69 CAPITOLO VI Dalla valutazione alle proposte di esercizio Il controllo del capo viene considerato come un processo di raddrizzamento e simmetrizzazione; è il risultato dell'acquisizione delle capacità di aggiustamento posturale. Un'altra teoria dice che il controllo del capo rappresenta un aspetto di sequenze attraverso il quale il bambino può ricevere informazioni circa la realtà; secondo ciò non è giusto parlare di esercizi per il controllo del capo, ma di esercizi per il recupero del sistema funzionale dell'esplorazione visiva. Per creare gli esercizi mi sono rifatto alle teorie citate nei capitoli precedenti ovvero quelle della percezione, dell’informazione e del problem solving oltre ad aver tenuto conto, ovviamente, della scheda di valutazione. Nella modalità di ogni esercizio comparirà una richiesta, la quale sarà d’aiuto per il bambino perché lo guiderà a costruire l’informazione visiva mediante la percezione di somiglianze e differenze nell’ambiente circostante affinché una differenza fisica dell’ambiente crei una differenza cognitiva nel cervello del bambino. Cogliendo le differenze si fanno confronti con ciò che si ha vissuto, se no rimane tutto indifferenziato. “La mente non è un registratore passivo”: se il terapista fa solo vedere qualcosa arriva sicuramente ma il suo compito, in realtà, è far comprendere cosa arriva. La conoscenza deve essere considerata come un’unica costruzione tra ambiente, persona, scopo ed eventi passati. Gli esercizi vengono proposti in ordine crescente di difficoltà. 70 ESERCIZIO 1: Operazioni visive di fissazione. CONTENUTI: Esplorazione visiva, coordinazione occhi-capo e controllo del tronco. MODALITA': Informazioni: Visive. Materiale: Pannello di legno con applicata, tramite velcro, una figura in bianco e nero. Esecuzione: Il bambino è seduto sul panchetto con gli avambracci appoggiati ad un tavolino ad incavo. Di fronte, ad una distanza di 30 cm, è posizionato un pannello di legno al quale è applicata, tramite velcro, una figura nello spazio frontale centrale. Richiesta: “Guarda la figura; la mamma sorride o è triste?” OBIETTIVO: Il bambino guarda le figure del libro e osserva tutte le parti che compongono l’animale. 71 ESERCIZIO 2: Operazioni visive di localizzazione dello stimolo nei diversi spazi. CONTENUTI: Esplorazione visiva, coordinazione occhi-capo e controllo del tronco. MODALITA': Informazioni: Visive. Materiale: Pannello di legno con applicata, tramite velcro, quattro figure in bianco e nero. Esecuzione: Il bambino è seduto sul panchetto con gli avambracci appoggiati ad un tavolino ad incavo. Viene posto, ad una distanza di 30 cm, un pannello con velcro al quale sono applicate quattro figure differenti rispettivamente una a sinistra, una nello spazio frontale alto, una nello spazio frontale basso e una a destra. Vengono valutati i movimenti oculari e del capo (dissociazione/non dissociazione) per raggiungere gli stimoli considerati dal bambino, il controllo del capo e del tronco; si notano inoltre la posizione dello stimolo più considerato e le difficoltà nel ricercare gli altri. Per un'eventuale variabile dell'esercizio si possono utilizzare le “faccette” di Fantz (in serie orizzontale e verticale) prima in bianco e nero, poi di colori diversi, prima grandi e vicine, poi più piccole e via via più distanti. Richiesta: “Guarda tutte le figure; dov’è il leone?” OBIETTIVO: Il bambino sceglie, all’interno della sua stanza, l’oggetto con cui vuole giocare. 72 ESERCIZIO 3: Operazioni visive di localizzazione dello stimolo in basso. CONTENUTI: Esplorazione visiva, coordinazione occhi-capo e controllo del tronco. MODALITA': Informazioni: Visive. Materiale: Pannello di legno con applicate, tramite velcro, cinque figure in bianco e nero. Esecuzione: Il bambino è seduto sul panchetto con gli avambracci appoggiati ad un tavolino ad incavo. Viene posto ad una distanza di 30 cm un pannello con velcro al quale sono applicate cinque figure in bianco e nero rispettivamente una a sinistra in basso, una nello spazio frontale alto (di distrazione), due nello spazio frontale basso ed una a destra in basso. Vengono valutati i movimenti oculari e del capo (dissociazione/non dissociazione) per raggiungere gli stimoli, la posizione di quello più considerato e le difficoltà nel ricercare gli altri. Il medesimo esercizio si può adattare per tutti i deficit di localizzazione degli oggetti nei diversi spazi, basta modificarne il posizionamento. Richiesta: “Guarda tutte le figure e stai attento a non far cadere la tua testa”. OBIETTIVO: Il bambino si guarda le scarpe mentre la mamma gli allaccia le scarpe. 73 ESERCIZIO 4: Operazioni visive di inseguimento oculare con stimolazione luminosa. CONTENUTI: : Ricerca dello stimolo luminoso, favorire la coordinazione occhicapo e il controllo del tronco. MODALITA': Informazioni: Visive. Materiale: Contenitore di uova vuoto con applicate, tramite velcro, varie figure colorate. Esecuzione: Il bambino è seduto sul panchetto con gli avambracci appoggiati ad un tavolino ad incavo. Nello spazio frontale viene posto ad una distanza di 30 cm un grosso contenitore di uova bucherellato; dai fori con l'ausilio di una torcia fuoriesce una luce che parte da un punto (cane) e arriva in un altro punto (bambina). Il bambino segue tutto il percorso. Vengono valutati i movimenti oculari e del capo (dissociazione/non dissociazione) per raggiungere gli stimoli presentati al bambino, il controllo del capo e del tronco; si notano inoltre la posizione dello stimolo meglio individuato, le difficoltà nel ricercare gli altri e se sono presenti differenze rispetto alla ricerca delle figure. Richiesta: “Dove va il cagnolino?” OBIETTIVO: Il bambino segue con gli occhi lo spostamento della mamma e capisce verso quale stanza si dirige. 74 ESERCIZIO 5: Operazioni visive di alternanza dello sguardo mediante movimenti coniugati di capo e occhi che guidano alla raccolta di informazioni visive attraverso il confronto uguale/diverso. CONTENUTI: Esplorazione visiva verso sinistra finalizzata all’individuazione di uno stimolo nello spazio laterale sinistro (selettività dell’attività di ricerca nello spazio visivo meno utilizzato) con riconoscimento di figura. MODALITA': Informazioni: Visive. Materiale: Pannello di legno con applicate, tramite velcro, tre figure in bianco e nero. Esecuzione: Il bambino è seduto sul panchetto con gli avambracci appoggiati ad un tavolino ad incavo. Viene posto ad una distanza di 30 cm un pannello con velcro al quale sono applicate tre figure in bianco e nero rispettivamente una a sinistra in alto, una a sinistra in centro e una a sinistra in basso. Il bambino ha una figura uguale ad una delle tre presentate vicino a sé. Vengono valutati i movimenti oculari e del capo (dissociazione/non dissociazione) compiuti nella ricerca della figura, il controllo del capo e del tronco. Richiesta: “Dov’è la figura uguale? Dov’è papà?” OBIETTIVO: Il bambino sceglie a quale compagno vuole stare vicino. 75 ESERCIZIO 6: Operazione visive di coordinazione occhio-mano. CONTENUTI: Esplorazione visiva con riconoscimento figura e raggiungimento della stessa finalizzati all’utilizzo contemporaneo di occhi e mano verso la stessa direzione. MODALITA': Informazioni: Visive. Materiale: Pannello di legno con applicate, tramite velcro, quattro figure colorate. Esecuzione: Il bambino è seduto sul panchetto con gli avambracci appoggiati ad un tavolino ad incavo. Viene posto ad una distanza di 30 cm un pannello con velcro al quale sono applicate quattro figure colorate. Il bambino ha di fianco una figura e deve trovare il suo uguale per poi attaccarcela sopra. Vengono valutati i movimenti oculari e del capo (dissociazione/non dissociazione) compiuti nella ricerca della figura, il controllo del capo e del tronco e la coordinazione oculo-manuale. Richiesta: “Guarda, vicino alla tua mano c’è una bambina. Dov’è l’altra bambina? Attaccacela sopra” OBIETTIVO: Il bambino riesce ad appiccicare gli adesivi sui libri attacca e stacca. 76 ESERCIZIO 7: Identificazione e localizzazione di target visivi con consapevolezza dello spostamento del corpo necessario alla loro fissazione. CONTENUTI: Integrazione visuo-vestibolo-somestesica, coordinazione movimenti di capo e occhi. MODALITA': Informazioni: Visive, vestibolari e somestesiche. Materiale: Due pannelli di legno con applicate, tramite velcro, tessere colorate o figure. Esecuzione: Il bambino è seduto sul panchetto con gli avambracci appoggiati ad un tavolino ad incavo. Il terapista applica su uno dei due pannelli, distanti fra loro e dal bambino 30 cm, tre figure (cane, gatto e topo). Sull’altro riquadro, invece, dispone tre figure identiche alle precedenti, ma collocate diversamente (risulterà, per esempio, che il cane nel pannello di sinistra sarà situato in alto e al centro, mentre in quello di destra sarà posto in basso e a destra). Il terapista, dopo aver nominato una figura, chiede al bambino di individuarla nel pannello di destra. Successivamente chiede di indirizzare occhi e capo verso la figura analoga, applicata su quello di sinistra. Richiesta: “Guarda queste figure, guarda il gatto nel pannello di destra e cerca la stessa figura in quello di sinistra”. OBIETTIVI: Il bambino è in grado di mantenere capo e tronco allineati mentre orienta lo sguardo verso giocattoli posizioni su diversi scaffali del mobile. 77 CAPITOLO VII Esperienza clinica 7.1 MATERIALI E METODI Il presente studio si basa su un’esperienza svolta presso l’Ospedale di Imperia. Tra tutti i bambini seguiti presso il Centro pediatrico di Rieducazione Motoria sono stati scelti due casi, ritenuti idonei per sperimentare il protocollo di valutazione e rieducazione del sistema funzionale dell’esplorazione visiva. I “protagonisti” dello studio sono un bambino di 4 anni affetto da tetraparesi spastica ed un bambino con un quadro di tetraparesi spastico-distonica di 7 anni. Tutti e due i casi sono seguiti con un programma riabilitativo elaborato sulle basi della teoria dell’Esercizio Terapeutico Conoscitivo. All’inizio dell’esperienza terapeutica, sulla base delle ipotesi teoriche finora esposte, sono stati inseriti nuovi esercizi che tenessero conto dell’elaborazione delle informazioni visive, ritenute determinanti per il controllo del capo e del tronco e per la coordinazione occhi-capo. I bambini sono stati seguiti per un periodo di 6 mesi, con sedute della durata di un’ora, a cadenza trisettimanale. I casi verranno proposti singolarmente e per ognuno di essi verrà presentato un quadro generale del bambino, che metterà in luce gli aspetti relativi al comportamento spontaneo, analizzato tramite l’osservazione diretta, al fine di analizzare le modalità di interazione del bambino con l’ambiente. Sulla base dei dati emersi dalle valutazioni, è stato elaborato un programma riabilitativo composto da specifici esercizi, rivolti ad una corretta elaborazione cognitiva e riorganizzazione delle informazioni visive, che si ritiene conferiscano al bambino un controllo sulla patologia e l’apprendimento di nuove strategie di esplorazione oculare. Sono stati identificati, inoltre, specifici obiettivi e modifiche a breve e medio termine che verranno verificate al termine della sperimentazione. 78 Per ogni bambino verranno messi in evidenza i risultati di queste verifiche, che verranno , poi, confrontati con le valutazioni iniziali al fine di capire se i nuovi esercizi introdotti hanno apportato modifiche significative al recupero dei sistemi funzionali. Gli esercizi, utilizzati per stimolare la funzione visiva, sono stati diversificati in base alle esigenze, al livello cognitivo e alle prestazioni di base di ciascun bambino. Le proposte hanno riguardato: - Esercizi per la fissazione; - Esercizi per la localizzazione dello stimolo nei diversi spazi; - Esercizi per l’inseguimento oculare; - Esercizi per l’alternanza dello sguardo; - Esercizi per la coordinazione occhi-capo; - Esercizi per la coordinazione occhio-mano; - Esercizi di trasformazione somestesico-visiva e visuo-somestesica. 79 7.2 CASO 1: FEDERICO Storia clinica Nato nel Settembre del 2008, alla 31esima settimana di gestazione, dopo un parto distocico. Peso 1860g, lunghezza 42cm, indice APGAR 9 dopo un minuto, 10 dopo cinque. E’ stata richiesta una TC urgente presso l’Ospedale di Imperia. Dopo viene trasferito presso l’Ospedale Gaslini di Genova per distress respiratorio, è stato assistito in ventilazione meccanica e sottoposto a fototerapia per ittero di modesta entità. Ecoencefalo nella norma. L’EEG presenta numerosi artefatti di movimento, con tali limiti non sembrano evidenziarsi asimmetrie dell’attività fondamentale che appare modicamente irregolare. Presenti sporadici grafo elementi lenti sulle regioni centro posteriori dei due emisferi. Assenti grafo elementi patologici specifici. L’RMN encefalo evidenzia un quadro di leucomalacia periventricolare quale esito di sofferenza perinatale, caratterizzata da una marcata riduzione della sostanza bianca profonda bilaterale; i ventricoli sono di piccole dimensioni, ma presentano pareti irregolarmente ondulate. La scarsa residua sostanza bianca presenta modesti 80 fenomeni gliotici, appare francamente assottigliato il corpo calloso. Non sono presenti anomalie per il resto della girazione corticale o reperti patologici a carico delle strutture della fossa posteriore. La diagnosi finale è di tetraplegia spastica. La valutazione ortottica evidenzia un’incoordinazione oculomotoria con occhi mantenuti spesso in infraduzione ed in destroversione. Il campo visuale di sguardo preferito rimane a destra, ma se richiamato porta gli occhi in posizione primaria con riflessi corneali centrati. Scarso l’interesse nel campo di sguardo a sinistra in alto, porzioni dello spazio dove sarebbe importante continuare la stimolazione. Soprattutto nello sguardo in alto si aiuterebbe il controllo del capo che comunque pare buono. E’ presente una buona coordinazione oculo-manuale. Al fundus oculi non si apprezzano alterazioni. Osservazione (Aprile 2012) Il bambino ha una buona capacità relazionale con utilizzo di sorriso e comprende il linguaggio, è interessato all’ambiente circostante e partecipa attivamente al gioco scegliendo lui stesso l’attività e le modalità di gioco. Mantiene il controllo del capo e del tronco in posizione seduta a panchetto, rimane seduto con appoggio degli avambracci sul tavolino posto anteriormente, dalla posizione seduta è capace di dissociare capo e tronco durante i compiti di discriminazione-esplorazione visiva. E’ possibile la prensione con entrambe le mani ed è in grado di passarsi un gioco da una mano all’altra. Usa correttamente “l’indicizzazione”. Tollera le stimolazioni vestibolari e sensoriali (riconoscimento di superfici tattili sotto le mani e i piedi; tale tipologia di esercizio sotto i piedi induce un’irradiazione dell’articolazione tibio-tarsica con conseguente atteggiamento in flessione e in punta). Da supino effettua autonomamente il rotolo sino alla posizione prona e da essa è in 81 grado di scendere da lettino e posizionarsi in stazione eretta. Se sostenuto riesce a mantenere la stazione eretta (sfruttando l’ipertono estensorio degli AAII e del tronco). La posizione long sitting viene mantenuta solo con appoggio posteriore del tronco e compare RAAS agli adduttori ed irradiazione al tronco con chiusura del cingolo scapolare). In stazione eretta, l’appoggio bipodalico avviene con l’avampiede, causando quindi una retrazione dell’achilleo che ostacola l’appoggio della porzione del retropiede al suolo. In posizione seduta a panchetto, se non supportato da controllo verbale, spesso compare, durante l’atto di prensione di un oggetto, irradiazione con chiusura del cingolo scapolare e adduzione-flessione-intrarotazione dell’arto superiore non coinvolto nel gesto della prensione. Valutazione del sistema funzionale dell’esplorazione visiva (Aprile 2012) Durante della valutazione il bambino è seduto su panchetto con tavolino ad incavo posto anteriormente e con minimo appoggio posteriore. La postura spontanea di Federico è con il capo lievemente inclinato verso sinistra, l'occhio destro è orientato verso destra mentre quello sinistro è direzionato frontalmente. FISSAZIONE: - Fissazione sul piano frontale: guarda l'oggetto per due/tre secondi, prima coglie l'immagine con l'occhio destro e poi recluta anche il sinistro. Durante il compito mantiene il capo lievemente inclinato a sinistra. - Fissazione sul piano laterale destro: molto abile visto che la sua postura spontanea prevede l'orientamento degli occhi verso destra. 82 - Fissazione sul piano laterale sinistro: ha più difficoltà, orienta il capo verso l'immagine e successivamente gli occhi, ma ne perde subito la fissazione (la mantiene solo per un secondo). - Fissazione in alto: orienta prima gli occhi (fissa per due secondi) e poi il capo; il compito proposto è limitato dal fatto che perde quasi subito il controllo del tronco a causa di irradiazione in estensione della colonna e del capo. - Fissazione in basso: orienta prima gli occhi e poi il capo , mantenendo la fissazione per due secondi. La durata della fissazione è limitata al fatto che quando il capo è mantenuto nello spazio in basso tende a perderne quasi subito il controllo. LOCALIZZAZIONE DELLO STIMOLO NEI DIVERSI PIANI DELLO SPAZIO: - Emicampo laterale sinistro: coglie l'immagine quando sta entrando nello spazio frontale. - Emicampo laterale destro: riesce subito a cogliere l'immagine. - Spazio alto e basso: ha più difficoltà, infatti coglie l'immagine quando si trova nello spazio anteriore. INSEGUIMENTO OCULARE: - Inseguimento oculare da sinistra verso destra: nello spazio sinistro coglie la figura solo a partire dalla parte centrale dell'emicampo, la perde nel passaggio tra l'emicampo sinistro e lo spazio frontale, la riprende da metà campo frontale e prosegue per quasi tutto lo spazio laterale destro. Ha difficoltà a portare a termine il compito (ancora da valutare se perde l'attenzione o la motivazione); l'esercizio migliora se sostenuto da un comando verbale continuo. Esegue il compito con lo spostamento del capo, ha più difficoltà con gli occhi. - Inseguimento oculare da destra verso sinistra: coglie subito l'immagine (posta a destra) con gli occhi, attiva il capo solo quando l'immagine è nello spazio frontale, 83 nel passaggio tra il campo anteriore e quello laterale sinistro perde il controllo sia del capo che degli occhi; si dirige col capo verso l'immagine solo quando è alla fine dell'emicampo laterale sinistro, in questa posizione gli occhi li orienta solo uno o due secondi. - Inseguimento oculare dall'alto verso il basso: è in grado di completare il compito in parte; quando la figura si trova nello spazio basso il contatto oculare è precario e tende ad orientare gli occhi nella loro posizione di partenza (verso destra). - Inseguimento oculare dal basso verso l'alto: il compito è più difficile in quanto l'esercizio viene “disturbato” dall'irradiazione in estensione del tronco e del capo che compaiono quando la figura si trova nella parte alta dello spazio frontale e il bambino perde quindi il controllo della posizione seduta a panchetto. Non riesce dunque a portare a termine il compito, neanche su facilitazione verbale. ALTERNANZA DELLO SGUARDO: - Alternanza dello sguardo dall'alto verso il basso: fissa la figura in alto per due secondi poi, solo su comando verbale, fissa quella in basso, ma spontaneamente non rieffettua l'alternanza. Attiva contemporaneamente capo e occhi. - Alternanza dello sguardo dal basso verso l'alto: orienta capo e occhi verso il basso poi spontaneamente si dirige nello spazio anteriore, invece, se supportato dal comando verbale, riesce ad orientare solo gli occhi verso l'alto. Se l'oggetto è posizionato molto in alto e quindi è obbligato per fissarlo ad attivare anche il capo, perde il controllo della posizione seduta a causa dell'irradiazione in estensione. - Alternanza dello sguardo destra/sinistra: di sua volontà guarda prima a destra con gli occhi, poi reclutando occhi e capo, si dirige verso sinistra e a seconda della preferenza dell'immagine, si ridirige verso quel lato. COORDINAZIONE MOVIMENTI OCCHI-CAPO: ha difficoltà a dissociare occhi e capo; tende a muovere simultaneamente entrambi i segmenti. 84 COORDINAZIONE OCCHIO-MANO: guarda e tocca l’oggetto vicino alla mano. COORDINAZIONE OCCHIO-MANO-PIEDE: guarda il piede e cerca di raggiungerlo con la mano. COORDINAZIONE OCCHIO-PIEDE: guarda l’oggetto che tocca il piede. Obiettivi A breve termine: - Riesce a seguire uno stimolo che si sposta davanti a lui in maniera lineare; - Mantiene la mano aperta su un oggetto anche mentre si guarda intorno; - Guarda dove indica e guarda l’adulto; - Quando un oggetto entra in contatto con il piede lo fa cadere e lo guarda; - Segue in maniera continuativa uno stimolo visivo che si sposta da destra a sinistra; - In posizione seduta sul panchetto con appoggio posteriore e piedi mantenuti in appoggio al suolo, ascolta e guarda l’adulto che gli parla e si sposta davanti a lui; - In posizione long-sitting segue un oggetto che si sposta davanti a lui e dirige la mano verso di esso mantenendo la posizione; - Mantiene la posizione long-sitting con arti inferiori estesi e abdotti mentre si guarda intorno. A medio termine: - Mantiene la posizione seduta sul panchetto con piedi appoggiati al suolo, senza appoggio, mentre raggiunge oggetti nello spazio anteriore e laterale. 85 Unità di lavoro ed esercizi Capo, occhi e tronco: In base alla valutazione sono stati impostati esercizi di: - Fissazione e inseguimento di figure nei diversi piani dello spazio (soprattutto in basso e a sinistra perché maggiormente deficitari); - Localizzazione e identificazione dello stimolo nei diversi spazi; - Ricerca, fissazione e inseguimento di traiettorie dello stimolo luminoso; - Dissociazione occhi-capo; - Integrazione visuo-vestibolo-somestesica. Analisi dei risultati (Novembre 2012) FISSAZIONE: - Fissazione sul piano frontale: guarda l'oggetto più a lungo (cinque e più secondi), riesce a cogliere l'immagine simultaneamente con entrambi gli occhi. - Fissazione sul piano laterale destro: tale abilità è invariata. Molto abile visto che la sua postura spontanea prevede l'orientamento degli occhi verso destra. - Fissazione sul piano laterale sinistro: ha meno difficoltà rispetto a sei mesi fa: orienta il capo verso l'immagine e successivamente gli occhi, la fissazione decade più tardi (due/tre secondi). - Fissazione in alto: il compito viene eseguito con più facilità, dato che Federico ha sviluppato un miglior controllo del tronco, del capo e degli elementi patologici. Orienta prima gli occhi e poi il capo. Mantiene la fissazione per tre/quattro secondi. 86 - Fissazione in basso: riesce a mantenere la fissazione per quattro secondi grazie al fatto che è migliorato il controllo del capo in tale posizione. LOCALIZZAZIONE DELLO STIMOLO NEI DIVERSI PIANI DELLO SPAZIO: - Emicampo laterale sinistro: coglie l'immagine prima rispetto a sei mesi fa quindi più lateralmente. - Emicampo laterale destro: riesce subito a cogliere l'immagine. - Spazio alto e basso: ha sempre difficoltà, infatti coglie l'immagine quando si trova nello spazio anteriore. INSEGUIMENTO OCULARE: - Inseguimento oculare da sinistra verso destra: lievemente migliorato rispetto alla prima valutazione; nello spazio sinistro coglie la figura quando è quasi nello spazio anteriore, la perde nel passaggio tra l'emicampo sinistro e lo spazio frontale, la riprende da metà campo frontale e prosegue per tutto lo spazio laterale destro. Riesce a portare a termine il compito se stimolato da un comando verbale continuo. Esegue il compito con lo spostamento del capo, ha più difficoltà con gli occhi. - Inseguimento oculare da destra verso sinistra: tale competenza è invariata; è migliorata solo la durata della fissazione nell’emicampo laterale sinistro (circa quattro secondi). - Inseguimento oculare dall'alto verso il basso: non riesce ancora a completare il compito perché quando la figura si trova nello spazio basso tende ad orientare gli occhi nella loro posizione di partenza (verso destra). - Inseguimento oculare dal basso verso l'alto: il compito risulta sempre difficile nonostante un miglior controllo del tronco e del capo, il bambino perde meno il controllo della posizione seduta a panchetto, ma non riesce comunque a portare a termine il compito completamente. 87 ALTERNANZA DELLO SGUARDO: - Alternanza dello sguardo dall'alto verso il basso: fissa la figura in alto per quattro secondi poi, solo su comando verbale, fissa quella in basso. Riguarda solo la figura in alto. Attiva contemporaneamente capo e occhi. - Alternanza dello sguardo dal basso verso l'alto: orienta capo e occhi verso il basso poi spontaneamente si dirige nello spazio anteriore e riesce ad orientare solo gli occhi verso l'alto senza aver più bisogno della richiesta verbale. Se l'oggetto è posizionato molto in alto perde ancora il controllo del tronco. - Alternanza dello sguardo destra/sinistra: di sua volontà guarda sempre prima a destra con gli occhi, poi reclutando occhi e capo, si dirige verso sinistra. COORDINAZIONE MOVIMENTI OCCHI-CAPO: ha sempre difficoltà nel dissociare occhi e capo, ma rispetto all’inizio tale abilità, soprattutto durante la seduta riabilitativa, tende ad emergere, anche spontaneamente. COORDINAZIONE OCCHIO-MANO: guarda l’oggetto, lo afferra e lo mette dove gli dice il terapista. COORDINAZIONE OCCHIO-MANO-PIEDE: tale capacità è invariata. COORDINAZIONE OCCHIO-PIEDE: guarda l’oggetto e accenna movimenti al piede per raggiungerlo. 88 89 7.3 CASO 2 : ELIO MARCELLO Storia clinica Nato nell’Ottobre 2005, alla 40esima settimana di gestazione, dopo un parto distocico. In sala parto sono state effettuate manovre rianimatorie, intubazione e ventilazione meccanica. Elio Marcello è stato trasferito presso l’istituto G. Gaslini con diagnosi di asfissia neonatale grave. L’ecografia nella prima giornata dimostrava iperecogenicità diffusa e due giorni dopo iperecogenicità a livello dei due talami. L’elettroencefalogramma nelle prime 24 ore di vita mostrava attività di fondo gravemente ipovoltata, ipodifferenziata con alterazione di significato specifico bilaterali, temporooccipitali. La risonanza magnetica a quattro giorni di vita segnalava edema citotossico da necrosi neuronale, selettiva in sede centrale e cortico sottocorticali compatibile con encefalopatia ischemica in fase acuta. Elementi di sofferenza neurologica alla valutazione alla dimissione avvenuta a 16 giorni di vita con terapia barbiturica. La diagnosi finale è di tetraparesi spastico-distonica a lieve prevalenza destra. A motivo di comizialità poco trattabile il bambino ha effettuato numerose variazioni farmacologiche per il controllo delle stesse con associate terapie anti reflusso per controllare reflusso gastro-esofageo. Ancora recentemente è stato necessario aumentare il dosaggio dei farmaci antiepilettici in uso a motivo di frequenti episodi comiziali. 90 Osservazione (Aprile 2012) Elio Marcello è un bambino di sette anni, fisicamente ben cresciuto e curato. Ha una buona capacità relazionale con utilizzo di sorriso e riso comunicativo. Il bambino comprende il linguaggio ed ha già selezionato una modalità per il si e il no. Colpisce l’interesse per i giochi, le relazioni e il coinvolgimento in tutte le attività proposte. Il bambino frequenta la prima elementare in una classe che lo ha immediatamente accolto; l’insegnante è molto disponibile a svolgere un programma in grado di coinvolgere il bambino. Elio utilizza, per gli spostamenti, un passeggino “Mygo di LECKEY” dotato di doppio utilizzo (interno/esterno) con scocca inclinabile e basculante, contenimento per capo e tronco e tavolo ad incavo. Il bambino, grazie all’ausilio, è in grado di mantenere la posizione seduta per tempi prolungati in situazione di confort. Gli arti superiori possono orientarsi verso la linea mediana. Se verticalizzato e sostenuto da un adulto, il bambino esegue una serie di passi di natura G.P.C., orientati al raggiungimento dell’oggetto. Elio non ha acquisito il controllo del capo e del tronco e non ha sviluppato linguaggio verbale. E’ presente costante fluttuazione di tono con passaggio da ipotonia a ipertonia e interferenza distonica. La difficoltà principale è quella di riuscire a coniugare la voglia partecipativa del bambino con le alterazioni toniche che impediscono al bambino di raggiunger l’obiettivo funzionale. 91 Valutazione del sistema funzionale dell’esplorazione visiva (Aprile 2012) Nell'arco della valutazione il bambino è seduto sul passeggino in posizione facilitante con lo schienale lievemente inclinato posteriormente, senza contenimento per il capo; l'atteggiamento spontaneo del capo è di lieve inclinazione verso destra. FISSAZIONE: - Fissazione sul piano frontale: fissa per quattro/cinque secondi la figura, quando la riconosce sorride. Mantiene il capo inclinato verso destra e compare una lieve irradiazione di entrambi gli arti superiori in abduzione; con comando verbale mantiene più a lungo la fissazione sull'oggetto. - Fissazione sul piano laterale sinistro: orienta prima gli occhi e poi il capo, inizialmente lo sguardo è amimico mentre quando riconosce la figura sorride. Fissa per due/tre secondi, poi ritorna col capo in posizione di partenza perdendo cosi il contatto con gli occhi. Quando sposta il capo e riconosce la figura eleva l'arto superiore sinistro. - Fissazione sul piano laterale destro: compito molto più semplice rispetto ai precedenti perché ha capo e occhi orientati in quella posizione; orienta lo sguardo più velocemente e l'irradiazione all'arto superiore sinistro è minore rispetto alla prova precedente. - Fissazione in alto: non muove il capo, orienta gli occhi e fissa per due secondi. - Fissazione in basso: orienta gli occhi e fissa per due secondi; per prolungare la fissazione perde il controllo del capo che cade verso il basso. 92 LOCALIZZAZIONE DELLO STIMOLO NEI DIVERSI PIANI DELLO SPAZIO: Se l'oggetto arriva da sinistra lo coglie nello spazio anteriore, se arriva da destra lo riesce ad agganciare già nello spazio laterale centrale quindi lo coglie prima. INSEGUIMENTO OCULARE: - Inseguimento oculare da sinistra verso destra: perde quasi subito il controllo del capo che cade verso il basso, tenta di orientare gli occhi sullo stimolo, ma riesce a mantenere il contatto occhi-capo solo quando la figura è posta sul piano frontale e a destra. - Inseguimento oculare da destra verso sinistra: perde l'inseguimento solo quando la figura è nell'emicampo sinistro. - Inseguimento oculare dall'alto verso il basso: controlla capo e occhi sino allo spazio frontale medio, poi perde il controllo del capo e di conseguenza gli occhi seguono meno. - Inseguimento oculare dal basso verso l'alto: perde subito il controllo del capo, il contatto oculare è instabile, migliora quando l'oggetto è nello spazio anteriore. Quando l'oggetto è nello spazio anteriore e si sposta verso l'alto mantiene il contatto oculare e fa tentativi di aggiustamento per controllare il capo. ALTERNANZA DELLO SGUARDO: - Alternanza dello sguardo in alto e in basso: spontaneamente guarda in basso e poi si orienta verso l’alto, mantenendo la fissazione solo uno/due secondi. In basso non controlla il capo, ma mantiene la fissazione per quattro/cinque secondi. - Alternanza dello sguardo destra/sinistra: guarda prima a destra visto che ha il capo e gli occhi orientati in quella direzione, fissa per due/tre secondi poi si gira a sinistra 93 non dissociando capo e occhi per due/tre secondi senza bisogno del comando verbale poi torna nella posizione iniziale. COORDINAZIONE MOVIMENTI CAPO E OCCHI: Se lo stimolo è posto in alto segue solo con gli occhi, se è in basso perde il controllo del capo, da sinistra verso destra segue prima con gli occhi e poi con il capo, da destra verso sinistra non dissocia capo e occhi. COORDINAZIONE OCCHIO-MANO: guarda l’oggetto che tocca la mano. COORDINAZIONE OCCHIO-MANO-PIEDE: Elio non possiede tale capacità. COORDINAZIONE OCCHIO-PIEDE: cerca di guardare l’oggetto che gli ha toccato il piede. Obiettivi A breve termine: - Mantenimento di posizione seduta sul passeggino con reclutamento tonico attivo della muscolatura del collo; - Miglioramento del controllo del capo al fine di favorire la corretta relazione con i compagni e la partecipazione ad attività scolastiche selezionate; - Guarda dove indica e guarda l’adulto; - Quando un oggetto entra in contatto con la mano con aiuto lo fa cadere e lo guarda. A medio termine: - Finalizzare il movimento degli arti superiori all’indicazione per supportare un’eventuale attività di C.A.A. (coordinazione oculo-manuale); - Riesce a seguire uno stimolo che si sposta davanti a lui in maniera lineare; - Aumento dei tempi di fissazione; 94 - Alterna lo sguardo su almeno tre stimoli. Unità di lavoro ed esercizi Capo, occhi e tronco: In base alla valutazione sono stati impostati esercizi di: - Fissazione e inseguimento di figure nei diversi piani dello spazio (soprattutto in basso e a destra perché maggiormente deficitari); - Localizzazione e identificazione dello stimolo nei diversi spazi; - Ricerca, fissazione e inseguimento di traiettorie dello stimolo luminoso; - Dissociazione occhi-capo; - Integrazione visuo-vestibolo-somestesica. Analisi dei risultati (Novembre 2012) FISSAZIONE: - Fissazione sul piano frontale: fissa per più di sette secondi la figura, quando la riconosce sorride. Mantiene il capo inclinato verso destra e compare una lieve irradiazione di entrambi gli arti superiori in abduzione. - Fissazione sul piano laterale sinistro: orienta prima gli occhi e poi il capo, riconosce quasi subito la figura e sorride. Fissa per quattro secondi, poi ritorna col capo in posizione di partenza perdendo cosi il contatto con gli occhi. Quando sposta il capo e riconosce la figura eleva l'arto superiore sinistro. - Fissazione sul piano laterale destro: sono aumentati i tempi della durata della fissazione, orienta lo sguardo più velocemente e l'irradiazione all'arto superiore sinistro è praticamente scomparsa. 95 - Fissazione in alto: muove poco il capo, orienta gli occhi e fissa per due secondi. - Fissazione in basso: orienta gli occhi e riesce a fissare per tre/quattro secondi; per prolungare la fissazione perde il controllo del capo che cade verso il basso. LOCALIZZAZIONE DELLO STIMOLO NEI DIVERSI PIANI DELLO SPAZIO: Tale capacità rimane invariata. INSEGUIMENTO OCULARE: - Inseguimento oculare da sinistra verso destra: leggermente migliorato rispetto alla prima valutazione; perde il controllo del capo nel passaggio tra la fine dell’emicampo sinistro e l’inizio dello spazio frontale, tenta di orientare gli occhi sullo stimolo, ma riesce a mantenere il contatto occhi-capo solo quando la figura è posta sullo spazio anteriore e a destra. - Inseguimento oculare da destra verso sinistra: perde l'inseguimento solo quando la figura entra nell'emicampo sinistro, ma poi fa diversi tentativi per riprendere l’inseguimento e fissa per uno/due secondi la figura nello spazio sinistro. - Inseguimento oculare dall'alto verso il basso: riesce a controllare un po’ di più il controllo di occhi e capo, poi ne perde il controllo. - Inseguimento oculare dal basso verso l'alto: l’inseguimento inizia solo quando l'oggetto è nello spazio anteriore. ALTERNANZA DELLO SGUARDO: - Alternanza dello sguardo in alto e in basso: predilige lo spazio in basso perché non ha ancora il controllo completo del capo, mantiene la fissazione per quattro/cinque secondi; in alto fissa per tre secondi. - Alternanza dello sguardo destra/sinistra: invariata rispetto alla prima valutazione. 96 COORDINAZIONE MOVIMENTI CAPO E OCCHI: Se lo stimolo è posto in alto segue principalmente con gli occhi anche se è presente un accenno di movimento del capo, se è in basso perde il controllo del capo, da sinistra verso destra segue prima con gli occhi e poi con il capo, da destra verso sinistra inizia la dissociazione di capo e occhi. COORDINAZIONE OCCHIO-MANO: guarda l’oggetto e lo spinge verso il terapista. COORDINAZIONE OCCHIO-MANO-PIEDE: Elio non ha ancora questa capacità. COORDINAZIONE OCCHIO-PIEDE: tale capacità è invariata. 97 CONCLUSIONI Dallo studio effettuato sono emersi risultati positivi nella qualità dell’ esplorazione visiva dei due bambini. I miglioramenti più significativi si sono verificati nella capacità di fissazione, evidenziata da un prolungamento dei tempi, e nella fluidità dei movimenti oculari, soprattutto nell’inseguimento visivo e nell’alternanza dello sguardo. I buoni esiti hanno dato dimostrazione della buona integrazione delle informazioni visuo-vestibolo-somestesiche, affermando che la stabilizzazione del capo nello spazio non dipende unicamente dalle informazioni visive, ma sono altresì importanti quelle vestibolari. Le informazioni vestibolari, infatti, giocano un ruolo importante anche nell’orientamento spaziale del capo utile per la visuo-localizzazione dello sguardo. In termini pratici possiamo dire che “il bambino guarda l’oggetto, lo riconosce, lo osserva in tutte le sue parti e ci gioca manipolandolo cerebralmente”. La proposta riabilitativa utilizzata, l’Esercizio Terapeutico Conoscitivo, mi ha fatto concentrare su alcuni aspetti indispensabili per la costruzione degli esercizi: il movimento è conoscenza e deve dunque essere considerato un mezzo a disposizione del soggetto per conoscere il mondo; il corpo nella sua globalità deve essere inteso come un’unica superficie recettoriale, esplorante e modificabile; gli obiettivi, generalmente, sono favorire la costruzione di comportamenti adattabili alla diverse condizioni, evitando l’utilizzo di compensi. Il movimento deve essere considerato come azione finalizzata ad uno scopo, uno strumento che il Sistema Nervoso Centrale ha a disposizione per interagire con la realtà per raccogliere informazioni e per arricchire le conoscenze. L’Uomo, muovendosi, si relaziona e modifica l’ambiente, ma per potervisi adattare, dev’essere modificato dall’ambiente stesso. Secondo la Teoria Cognitiva, la riabilitazione è intesa come un processo di apprendimento in condizioni patologiche: non esistono programmi stereotipati, ma ogni individuo si muove sempre in maniera diversa a seconda del contesto. 98 Il trattamento riabilitativo consente al paziente di recuperare la capacità di costruire determinate rappresentazioni, non di evocarne di già esistenti; vi è un rapporto d’identità fra riabilitazione e apprendimento. Nelle patologie il corpo diventa meno abile a svolgere compiti conoscitivi diretti verso il mondo (Perfetti, 1996); il corpo deve potersi frazionare per svolgere in modo corretto il suo ruolo conoscitivo e deve essere interpretato come una struttura organizzatrice di informazioni. A livello cognitivo, un lavoro basato su tale teoria, ha allungato i tempi di attenzione e migliorato le capacità mnesiche e di partecipazione; tale partecipazione ha anche aumentato la motivazione del bambino a trovare nuove strategie per superare i “problem solving” della vita quotidiana e questo ha dimostrato quanto sia stato utile inserire in ogni esercizio una richiesta che richiedeva al bambino una risposta corretta, una risposta al “problema”, in modo da instaurare in esso la capacità di cercare informazioni nell’ambiente circostante, cogliendo differenze e somiglianze. Dal punto di vita puramente motorio un’esercitazione di questo tipo, mirata all’attivazione del sistema visivo, ha indotto un miglior controllo del tronco e del capo e una più adeguata capacità di dissociarlo dai movimenti oculari. Entrambi i bambini potranno sfruttare le modifiche posturali apprese al fine di avere una migliore capacità relazionale e una buona attività oculo-manuale. 99 Grazie...perché Grazie: una semplice parola fa capire alle persone che ci stanno vicino che abbiamo gradito il loro aiuto, sei lettere in risposta a tutto ciò che abbiamo ricevuto. Beh a me è stato dato tanto e a molte persone devo dire grazie. Grazie a Dio che mi ha dato questa opportunità e voglio tenermela stretta perché non tutti hanno queste occasioni nella vita. Grazie alla mia mammina, che mi coccola come se fossi ancora un bambino, perché ha fatto molti sacrifici per permettermi la carriera universitaria e perché mi ha cresciuto facendomi diventare un uomo serio e sincero. Grazio al mio papino perché sono sicuro che dal cielo mi ha indirizzato verso la strada giusta e mi ha aiutato in tutte le scelte difficili illuminandomi il cammino. Grazie ai miei fratelli, Antonio e Fabio, perché mi sono sempre stati vicini e hanno preso il posto di mio papà quando se n’è andato. Grazie a Chiara perché mi ha dato la forza per raggiungere questo bellissimo traguardo e ha sopportato i miei sbalzi d’umore nelle sessioni di esame. Grazie ai miei tutor, Cinzia e Fortunata, perché mi hanno manifestato la loro passione per questo lavoro insegnandomi tantissime cose valide non solo per questa professione, ma anche per la vita di tutti i giorni. Grazie a Valeria perché non è stata semplicemente la mia relatrice, ma una fonte di aiuto in qualsiasi situazione e ha dimostrato di essere un’esperta fisioterapista nonostante la giovane età; mi ha seguito passo a passo in questo lavoro dedicandomi parte del suo tempo libero e anche lei ha contribuito a farmi diventare un fisioterapista migliore. Grazie a Caterina perché grazie alla sua esperienza e pazienza con i bambini ho imparato tante cose. Grazie al Centro pediatrico di Riabilitazione Motoria perché mi ha ospitato per tanti mesi e di conseguenza grazie a tutte le figure sanitarie che ci lavorano: fisioterapiste (Eda), logopediste (Cristiana e Michela), psicomotriciste (Laura e Sonia), neuropsichiatra infantile (Dott.ssa Susanna Frasconi), pediatra (Dott. Carlo Amoretti) e infermiera (Lidia). Grazie a Federico e ad Elio Marcello, i due protagonisti della mia tesi, perché con il loro affetto e la loro disponibilità hanno incrementato in me la voglia di lavorare con i più piccoli. Grazie ai loro genitori perché mi hanno permesso di svolgere questa sperimentazione e di ottenere risultati soddisfacenti. E infine grazie ai miei compagni di viaggio di questi stupendi tre anni: a Martina inseparabile compagna di tirocinio con la quale ho condiviso tutte le preoccupazioni pre-esami, ad Alessio grande compagno di studio, a Valentina simpatica compagna chiacchierona e ad Andrea mitico compagno 100 di risate. E un grazie a Fabio e a Laura che hanno reso quest’ultimo anno ancora più bello! Grazie a tutte le persone che mi vogliono bene BIBLIOGRAFIA BATESON G., (1961) “Perceval”, Bollati Boringhieri, Torino, 2005. BATESON G., (1972) “Verso un’ecologia della mente”, Adelphi, Milano, 2000. BATESON G., (1979) “Mente e natura”, Adelphi, Milano, 1984. BATESON G., (1991) “Una sacra unità. Altri passi verso un’ecologia della mente”, (a cura di) Donaldson R.E., Adelphi, Milano 1987. BATESON G., BATESON M.C., (1987) “Dove gli angeli esitano”, Adelphi, Milano, 1989. BATESON M.C., (1972) “Our own metaphor: a personal account of a conference on conscious purpose and human adaption”, Alfred A. Knopf, New York. BATESON M.C., (1984) “Con occhi di figlia”, Feltrinelli, Milano 1985. BATESON M.C., (1989) “Comporre una vita”, Feltrinelli, Milano 1992. BATESON M.C., (1999) “Foreword by Mary Catherine Bateson”, in Bateson (1972), “Steps to an ecology of mind”, The University of Chicago Press, Chicago and London. 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