università degli studi di genova scuola di scienze

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI GENOVA
SCUOLA DI SCIENZE MEDICHE E FARMACEUTICHE
CORSO DI LAUREA TRIENNALE IN FISIOTERAPIA
Coordinatore: Prof. Carlo Gandolfo
LA FUNZIONE VISIVA COME INTEGRAZIONE TRA
PROCESSI COGNITIVI E MOTORI:
PROPOSTE DI ESERCIZIO NELLA RIABILITAZIONE
DELLE PARALISI CEREBRALI INFANTILI
Candidato
Roberto D’Anca
Relatore
Dott.ssa Valeria Banaudi
Anno Accademico 2011/2012
INDICE
INTRODUZIONE
pag. 5
CAPITOLO I
Le teorie dello sviluppo psicomotorio
1.1 Vygotskij, Piaget, Bruner: sviluppo, conoscenza ed azione
pag. 8
Vygotskij e il bambino “culturale”
pag. 8
La zona di sviluppo potenziale
pag. 10
Piaget e il bambino “epistemico e logico”
pag. 15
Piaget: la scala dell’ inseguimento visivo
e della permanenza dell’oggetto
pag. 16
Bruner e il bambino “rappresentazionale e narrativo”
pag. 18
Bruner: conoscenza e teorie della mente
pag. 20
1.2 Comunanze e differenze sulle concezioni dello sviluppo
pag. 22
CAPITOLO II
Il sistema visivo: dall’occhio alla corteccia cerebrale
2.1 Lo sviluppo del sistema visivo
pag. 24
2.2 I sistemi oculomotori nel bambino
pag. 25
2.3 La neurofisiologia della funzione visiva
pag. 28
2.4 La connessione tra il sistema vestibolare e il sistema visivo
pag. 32
2.5 L’integrazione visuo-vestibolo-somestesica
pag. 35
2
CAPITOLO III
Le paralisi cerebrali infantili…non solo un problema motorio
3.1 Il concetto di Paralisi Cerebrale Infantile
pag. 38
3.2 Le anomalie dello sguardo
pag. 42
3.3 I disturbi visivi
pag. 45
CAPITOLO IV
Il sistema visivo come costruttore di informazioni
4.1 La percezione come mezzo per conoscere
pag. 50
La percezione della profondità
pag. 51
Le costanze percettive
pag. 52
L’approccio della Gestalt alla percezione della forma
pag. 53
4.2 L’informazione: la teoria di Bateson
pag. 54
4.3 Il problem solving
pag. 55
CAPITOLO V
La valutazione del sistema visivo
5.1 Dai prerequisiti teorici alla scheda di valutazione
del sistema funzionale dell’esplorazione visiva
pag. 58
CAPITOLO VI
Dalla valutazione alle proposte di esercizio
3
pag. 70
CAPITOLO VII
Esperienza clinica
7.1 Materiali e metodi
pag. 78
7.2 Caso 1: Federico
pag. 80
Storia clinica
pag. 80
Osservazione
pag. 81
Valutazione del sistema funzionale dell’esplorazione visiva
pag. 82
Obiettivi
pag. 85
Unità di lavoro ed esercizi
pag. 86
Analisi dei risultati
pag. 86
7.3 Caso 2: Elio Marcello
pag. 90
Storia clinica
pag. 90
Osservazione
pag. 91
Valutazione del sistema funzionale dell’esplorazione visiva
pag. 92
Obiettivi
pag. 94
Unità di lavoro ed esercizi
pag. 95
Analisi dei risultati
pag. 95
CONCLUSIONI
pag. 98
RINGRAZIAMENTI
pag. 100
BIBLIOGRAFIA
pag. 101
4
INTRODUZIONE
La vista che serve per afferrare, quella che serve per camminare, oppure per leggere
non possono essere considerate della stessa natura. Per ogni funzione il sistema
visivo offre uno specifico contributo; infatti la vista che serve per “riconoscere gli
oggetti” ha ben poco a che vedere con altre funzioni visive; l’identificazione di
oggetti è dunque riconoscimento di forme o di dettagli, ma è da subito capacità di
integrare l’osservazione visiva con l’analisi del contesto in cui è immerso l’oggetto.
La visione d’oggetti e la visione panoramica vengono considerate anatomicamente e
funzionalmente separate. Se per la prima si utilizza il sistema occipito-temporale,
per la seconda è invece il sistema occipito-parietale ad essere coinvolto, pur
riguardando aspetti essenziali della visione d’oggetto. Tale concetto non è solo
importante nell’ambito delle ricerche neurofisiologiche e neuropsicologiche sul
sistema visivo, ma può assumere notevole valore ai fini riabilitativi e circa
l’interpretazione del recupero spontaneo. Il neonato può riuscire a controllare il
capo in epoca precocissima, se utilizza la vista. Ad esempio nella “manovra di
trazione” (sollevamento del neonato da supino a seduto traendolo per le mani) essa
permette il sollevamento, il controllo del capo e l’allineamento capo-tronco,
soprattutto se l’esaminatore mantiene un continuo rapporto occhio ad occhio; lo
sguardo, quindi, “dirige” il movimento del capo, facilitandone il controllo e
l’allineamento. Reciprocamente, un buon controllo del capo favorisce un buon
utilizzo della vista ed il riconoscimento e l’uso degli oggetti.
Il fine dell’esplorazione visiva è la percezione: il movimento saccadico serve per
raccogliere informazioni visive; d’altra parte, esse influenzano le modalità
dell’esplorazione stessa cosicché il “guardare e vedere”, oppure il “guardare per
vedere”, o ancora “vedere e guardare” oppure “vedere per guardare”, sono
soltanto aspetti e formule apparentemente diversi. Fin da subito il neonato
incomincia ad “organizzare” le sue attività, cioè ordina le sequenze dei movimenti
rispetto al raggiungimento di uno scopo, producendo così “una strategia di risposte
ai fini adattivi”. Per tale motivo da alcuni studiosi il sistema visivo viene considerato
un “occhio intelligente”, ossia uno strumento attraverso il quale il cervello può
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continuamente riadattarsi al cambiamento del contesto in cui si trova.
Infatti secondo la teoria di Piaget alla fase neonatale, caratterizzata da un’attività
puramente riflessa, fa seguito uno stadio in cui l’attività sensopercettiva e motoria
si configura con un tipo di intelligenza particolare (definita appunto
“sensomotoria”) che presenta alcune peculiari caratteristiche: è costituita da una
serie di apprendimenti riguardanti schemi di natura neurofisiologica e riferibili in
gran parte alla sfera visiva e non è compatibile con un’attività mentale separata
dalla percezione e dalla motricità.
Lo sviluppo visivo non è più stato considerato come un fenomeno relativamente
isolato e scandito al proprio interno da cambiamenti quantitativi, ma si è dimostrato
un processo molto discontinuo, caratterizzato da importanti variazioni qualitative
ed inscindibilmente legato all’intera evoluzione percettiva, motoria e neuropsichica.
Una delle acquisizioni più interessanti concerne proprio l’interazione tra occhio e
cervello: non più un occhio “che vede” al servizio di un cervello “che pensa”, ma un
ben diverso modello concettuale, che attribuisce alla funzione visiva un ruolo
strutturante nei confronti dell’organizzazione neurosensoriale e dei processi che la
sostengono.
Un sistema visivo che non serve solo a “vedere” trova dunque notevole applicazione
nella riabilitazione del bambino affetto da paralisi cerebrale infantile. In primo luogo
per le difficoltà che il soggetto incontra nell’organizzare le sue esperienze di
conoscenza e di adattamento al mondo che lo circonda e, inoltre, perché una
corretta stimolazione di tale canale sensoriale permetterà al bambino di acquisire o
migliorare capacità fondamentali per la vita quotidiana come il controllo del capo e
del tronco e la coordinazione occhi-capo.
Oltre al campo visivo si possono ottenere benefici anche in ambito relazionale
poiché il bambino tramite lo sguardo comunica i suoi bisogni, il suo stato d’animo e
le sue preferenze. Diventerà importante per il riabilitatore analizzare le strategie
che possono essere apprese, modificate e analizzate dal bambino grazie a processi
cognitivi che integrano le informazioni dei diversi canali sensoriali, in particolare
quello visivo e vestibolare per la costruzione di uno “sguardo funzionale”.
Lo scopo della tesi è, dunque, valorizzare la funzione visiva e inserirla nel piano di
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trattamento come strumento riabilitativo attraverso l’osservazione di due casi di
bambini con Paralisi Cerebrale Infantile, seguiti presso il Centro pediatrico di
Riabilitazione Motoria dell’Ospedale di Imperia per un periodo di sei mesi. Tramite
l’utilizzo di una scheda di valutazione del sistema funzionale dell’esplorazione visiva
vengono osservate le abilità visuo-motorie dei due bambini. Il percorso riabilitativo
della sperimentazione proposta fa riferimento all’Esercizio Terapeutico Conoscitivo,
in quanto tale teoria afferma che la qualità di recupero mediante l’utilizzo di
processi cognitivi attivati porta alla riorganizzazione post-lesionale, fine ultimo della
riabilitazione.
L’intervento terapeutico che ho condotto si è basato su una condizione di problem
solving, ponendo ai due pazienti una richiesta all’interno di ogni esercizio per far si
che la loro esplorazione visiva fosse globale e, di conseguenza, non solo interessata
a ciò che prediligono, ma utile per l’apprendimento.
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CAPITOLO I
Le teorie dello sviluppo psicomotorio
1.1 VYGOTSKIJ, PIAGET E BRUNER: SVILUPPO, CONOSCENZA ED AZIONE
Il bambino costruisce azioni per poter conoscere il mondo e chi gli sta intorno e,
attraverso il sistema visivo, soddisfa in completa autonomia il suo desiderio di
esplorare e il suo bisogno di conoscenza.
Molti autori in letteratura hanno proposto diverse teorie sulla capacità del bambino
di superare quei problemi conoscitivi che gli permetteranno di regolare e di dare
senso alla sua azione e, quindi, al suo comportamento, attraverso una presa di
coscienza di sé e del mondo che lo circonda; competenza definita dagli stessi autori
“teoria della mente”.
Le teorie dello sviluppo psicomotorio a cui si fa riferimento sono definite
interazioniste (Vygotskij L.S., 1973, Bruner J.S., 1992), costruttiviste (Piaget J., 1967,
Bruner J.S., 1992) e sistemiche (Bruner J.S., 1992, Camaioni L. e coll., 1995) e sono
l'attuale base teorica dello studio sullo sviluppo del bambino, considerato nella sua
globalità come sistema regolato da processi di auto-organizzazione. Vygotskij,
Piaget, Bruner spiegano lo sviluppo del comportamento del bambino in termini di
costruzioni di conoscenza, che scaturisce dall'emergere dei processi cognitivi e delle
strategie d'azione.
Vygotskij e il bambino “culturale”
Secondo Vygotskij (1973) lo sviluppo del bambino è il risultato dell'intreccio tra i
processi di evoluzione biologica e di sviluppo culturale che, nella nostra genesi,
costituiscono un processo unitario.
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In ontogenesi si assiste allo sviluppo di un “comportamento culturale”, cioè mediato
da segni. L'oggetto dello sviluppo è la capacità graduale, che l'individuo acquisisce
stando all'interno della società: dal semplice “usare” la mente al saperla controllare,
grazie ad una serie di segni mediatori dell'integrazione sociale. Le modalità, invece,
sono date da un cambiamento comunicativo-culturale e da segni che vengono
interiorizzati dal bambino ed utilizzati per regolare il comportamento. In pratica
ogni funzione psichica superiore rappresenta una relazione sociale interiorizzata.
I segni, nel corso dello sviluppo individuale, sono inizialmente mezzi di integrazione
sociale e, solo successivamente, trasferendosi all'interno del sistema mentale del
bambino, diventano mezzi di organizzazione individuale.
La conoscenza si attua quando i segni assumono valore di “strumenti-stimoli”, i
quali servono ad esercitare un controllo volontario sul comportamento in quanto
significativi o comunque forme di esperienza socialmente condivise.
È proprio il significato, che dà all'uomo la capacità di modificare gli elementi esterni
attraverso i segni, i quali in un secondo momento, essendo interiorizzati,
permettono all'uomo di dirigere il suo stesso comportamento.
Qualsiasi forma primitiva del comportamento del bambino viene ad essere superata
attraverso un diverso rapporto che il bambino stesso acquisisce con il mondo
esterno e che gli permette di modificarsi in relazione all’ambiente.
Il pensiero viene definito come una sorta di meccanismo di trasmissione tra le
pulsioni emotive e il comportamento, diventando, perciò, il presupposto per l'atto
volontario. Esso viene interpretato sia come un sistema di comportamento che
insorge sulla base delle pulsioni istintive ed emotive dell'organismo, dalle quali è
determinato, sia, al contrario, come la scelta che, tra le diversi istanze emotive,
genera l'azione volontaria che persegue lo scopo che ci siamo prefissi.
La natura del pensiero è, quindi, motoria. Vygotskij afferma che qualsiasi stimolo
proveniente dall'esterno, successivamente elaborato ed interiorizzato dal sistema
nervoso centrale, guadagna in flessibilità, precisione e complessità nell'interazione
reciproca con gli elementi del mondo esterno. L'azione che ne deriva assume forme
più complesse e precise. Viceversa il pensiero in un certo senso organizza
preliminarmente il movimento attraverso la sua rappresentazione interna.
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La zona di sviluppo potenziale
L'apprendimento e lo sviluppo mentale sono un'unica cosa, per cui devono essere
congruenti l'uno rispetto all'altro.
Vygotskij, innanzitutto, rivaluta il concetto di imitazione, affermando che la
collaborazione è un contesto utile per lo sviluppo delle capacità.
Esiste sempre un divario, anche se minimo tra la capacità di lavoro individuale e
quella del lavoro in collaborazione; questo significa che non tutto si può imitare, ma
soltanto ciò a cui il bambino è potenzialmente già vicino. L'apprendimento, per
essere fruttuoso, deve agganciarsi nel suo limite inferiore ai cicli dello sviluppo già
conclusi, ma fare leva, poi, sulle funzioni che sono in corso di maturazione.
La differenza tra il livello dei compiti eseguibili con l'aiuto degli adulti e quello
dell'attività indipendente definisce l'area si sviluppo potenziale del bambino. Ciò
che il bambino può fare oggi con l'aiuto degli adulti, lo potrà fare da solo domani.
L'area di sviluppo potenziale ci permette di determinare le future acquisizioni del
bambino e di prendere in esame non solo ciò che lo sviluppo ha già prodotto, ma
anche ciò che produrrà nel processo di maturazione. Vygotskij afferma: “è buono
quell'apprendimento che precede lo sviluppo e attiva una serie di funzioni che
stanno maturando e che, quindi, si trovano nella zona di sviluppo prossimale”. Lo
stato dello sviluppo mentale di un bambino viene determinato da almeno due livelli:
quello di sviluppo effettivo e l'area di sviluppo potenziale (Puccini P., Perfetti C.,
1992).
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Questa deve essere intesa come “l'insieme delle sequenze comportamentali
all'interno del quale esiste la possibilità di correzione di strategie ritenute
insufficienti”; ciò può essere ottenuto dal riabilitatore mediante la proposta di
ipotesi percettive adeguate, la quale può rendere significativa la raccolta di
determinate informazioni.
Per definire l'area di sviluppo potenziale non è importante il dato patologico (cioè
l'inadeguatezza del comportamento rispetto alla situazione), ma la capacità del
bambino di far fronte alla necessità di acquisire informazioni specifiche per la
risoluzione del compito stesso.
Secondo Vygotskij, l'area può essere valutata in base alle differenze constatate tra
gli indici delle prestazioni autonome e quelli dell'attività svolta con l'aiuto degli
adulti e specialmente in questo ambito è possibile fare intervenire l'apprendimento
di nuove strategie; l'insegnamento ha la possibilità di intervenire sugli aspetti
evolutivi solo nel caso che possa percorrere lo sviluppo.
L'esposizione del bambino ad esperienze tali da permettere un superamento delle
carenze maturative, così da attivare processi interni dello sviluppo, deve presentare
caratteristiche specifiche che possono essere dedotte solo dalla determinazione di
un preciso livello di area di sviluppo potenziale. Una volta che il bambino si presenta
alla nostra osservazione dovremmo essere in grado di valutare non solo quello che
è in grado di fare e come lo fa autonomamente, ma dobbiamo cercare di capire se ci
sono dei margini di intervento riabilitativo attraverso cui è possibile aiutarlo a
modificare il suo comportamento e guidarlo a raggiungere livelli di sviluppo
successivi, più complessi.
L'area è costituita dalla distanza tra il livello attuale di sviluppo, così come
determinato dal problem solving autonomo rispetto ad un determinato compito, e
il livello di sviluppo raggiunto sotto la guida dell'adulto o in collaborazione con i
propri pari più capaci.
L'apprendimento non è di per sé sviluppo, ma una sua corretta organizzazione
attiva una serie di processi che altrimenti rimarrebbero inattivi.
Questa concezione, che riconosce il ruolo predominante dell'apprendimento sullo
sviluppo, è analoga all'impostazione di Galperin che precisa ulteriormente alcune
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componenti del processo di apprendimento in riferimento all'azione oggettuale.
Anche in riabilitazione occorre individuare le condizioni che possono ridurre gli
errori e che tendono a sviluppare con sicurezza gli indici prestabiliti dall'azione.
Per ottenere la correzione dell'errore Galperin propone che questo venga scelto
come punto di partenza per l'individuazione del compito da effettuare all'interno
dell'esercizio; questo consiste così nel trovare il punto di orientamento, cioè la
capacità di comprensione degli elementi contemplati nel compito, che sono
significativi per il raggiungimento di certi scopi, in modo da permettere al soggetto
di non compiere quel determinato errore. La ricerca dei punti di orientamento viene
proseguita finché la correzione del loro insieme non garantisce al soggetto la
possibilità di eseguire una nuova azione in modo giusto fin dalla prima volta.
Dal punto di vista riabilitativo l'area di sviluppo potenziale può essere intesa come
quell'insieme di sequenze comportamentali attivate correttamente mediante
adeguate ipotesi percettive e opportune facilitazioni.
Il compito proposto, da realizzare attraverso una sequenza motoria, deve essere
moderatamente discrepante, in termini di complessità, rispetto al livello di sviluppo.
Questo, come del resto l'area di sviluppo potenziale, deve tenere conto e quindi far
riferimento al livello di conoscenze; le ipotesi percettive devono pertanto essere
coerenti con la costruzione delle conoscenze e nello stesso tempo favorire livelli
superiori di essa.
La discrepanza della complessità delle ipotesi percettive rispetto al livello di
sviluppo è indispensabile per favorire il processo di adattabilità delle strutture
nervose alla realtà esterna.
Con il termine facilitazioni si deve intendere da un lato la creazione, per il sistema
nervoso centrale, della necessità di acquisire certe informazioni, dall'altro la guida
per la raccolta di queste attraverso l'individuazione di interazioni con il mondo
circostante. Non si tratta quindi di una costrizione neuromotoria, ma di una guida
nell'individuare i punti di orientamento per elaborare ed eseguire un'azione
corretta.
Al fine di facilitare il bambino a trasferire l'esperienza terapeutica nell'agire
quotidiano può essere utile avvalersi di modalità d'aiuto come le istruzioni verbali e
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non verbali, la tipologia dell'informazione e il significato attribuito dal paziente
stesso all'esperienza condivisa.
Il confronto tra le prestazioni svolte autonomamente dal bambino e quelle
realizzate con l'aiuto dell'adulto permette di capire:
1) il corso interiore dello sviluppo  valorizzare la soggettività: bambini con lo
stesso livello di sviluppo hanno differenti aree di sviluppo prossimale;
2) i processi in corso di formazione  porre in rilievo le modalità con cui il bambino
procede da un livello evolutivo ad un altro;
3) l'immediato futuro del bambino e il suo stato dinamico di sviluppo/recupero 
osservare quali strategie il bambino è in grado di adottare spontaneamente e se
queste possono cambiare sotto la guida dell'adulto.
Il riferimento a tale area è utile per individuare una prima traccia di
programmazione dell'esercizio, per comprendere la disponibilità del bambino a
mettere in discussione il proprio punto di vista e a sperimentare quello altrui, per
suscitare l'interesse alla conoscenza e accrescere la consapevolezza nelle proprie
capacità di cambiamento.
E' possibile definire l'area di sviluppo potenziale sulla base di tentativi di
perfezionamento delle strategie, compiuti sia autonomamente dal bambino che con
l'aiuto degli adulti. Il tentativo di modificare l'atto comportamentale presuppone, da
parte del bambino stesso, la capacità di giudicarlo insufficiente nei confronti del
processo di acquisizione delle informazioni necessarie. Il tentativo di attuazione di
una strategia corretta sta infatti ad indicare l'avvenuta elaborazione di un processo
di anticipazione corretto con il quale confrontare le informazioni risultanti dal
movimento.
Al bambino, con un livello di sviluppo inadeguato alle variabili del mondo fisico, non
è possibile far identificare i limiti della strategia motoria attraverso segnali di
comunicazione linguistica. Il bambino si rende conto dell'adeguata programmazione
ed esecuzione della sequenza sulla base del risultato dell'azione. Se si considera il
risultato dell'azione come fonte di informazione, il riabilitatore deve prevedere
quali elementi, di quelli contemplati nel compito, risultino significativi per il
raggiungimento di certi scopi affinché avvenga il superamento dei limiti della
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capacità interattiva.
Su tali basi si può ipotizzare che l'esercizio terapeutico possa servire a trasformare
l'area di sviluppo potenziale in area di sviluppo effettivo.
L'individuazione dell'area di sviluppo potenziale permette la programmazione
dell'esercizio terapeutico, mentre la trasformazione di questa area in attuale,
corrispondente cioè alla capacità di attivare autonomamente un determinato
comportamento, permette dunque di verificare la presenza di capacità di
apprendimento.
I tentativi di correzione di strategie, che consentono una raccolta adeguata di
informazioni, permettono di indirizzare, nel processo di recupero, l'intervento di
processi di sviluppo che rimarrebbero inattivi e sarebbero resi tale da meccanismi di
compenso.
L'intervento riabilitativo deve tendere quindi al recupero delle capacità di attuare
sequenze indirizzate a scopi diversi, attraverso un processo di apprendimento
basato sull'identificazione dei limiti che questa presenta per la raccolta delle
informazioni necessarie.
La discrepanza tra le conseguenze sensoriali attese e quelle effettivamente ricevute
produce il segnale di errore che il terapista, attraverso la proposta di opportune
strategie, ipotesi percettive e la scelta di informazione adeguate, deve mettere il
bambino cerebroleso in condizione di valutare.
Solo la costruzione di un apparato di correzione può portare una modificazione dei
processi cognitivi che lo sottendono.
La visione di Vygotskij, concludendo, può essere espressa sinteticamente da questa
sua dichiarazione: “la teoria dell'area di sviluppo potenziale dà luogo ad una
formula che esattamente contraddice l'indirizzo tradizionale: l'unico buon
insegnamento è quello che percorre lo sviluppo”.
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Piaget e il bambino “epistemico e logico”
Secondo Piaget lo sviluppo cognitivo è dato dall’invariabile successione: dagli
schemi di azioni senso-motoria alle strutture logiche del pensiero operativo,
entrambi costruiti dal soggetto durante la sua interazione con l'ambiente. Essi
prospettano una sequenza graduale di sviluppo universale, necessario ed obiettivo.
Ogni struttura è caratterizzata da un equilibrio interno e contrae un miglior
rapporto con l'ambiente rispetto alla precedente in termini di conoscenza. Il
passaggio da una struttura a quella successiva è garantito dal processo di
equilibrazione, cioè la tendenza del soggetto a stabilire un equilibrio interno alla
struttura sempre migliore, grazie ai meccanismi di regolazione delle perturbazioni.
La maturazione avviene tramite l'organizzazione e l'adattamento che sono
indissociabili e si realizzano nel corso dell'interazione tra soggetto e ambiente.
Lo sviluppo cognitivo è una costruzione che riguarda il problema della conoscenza,
ovvero l'adattamento del pensiero alla realtà, processo che ha uno sviluppo
continuo.
L'adattamento è un elemento dinamico, che media i rapporti tra uomo e ambiente
e si modifica in funzione dei bisogni mediante i processi di assimilazione e
accomodamento. L'assimilazione è il processo attraverso cui la realtà esterna viene
incorporata nelle strutture mentali del soggetto senza modificarne la struttura.
Nell'accomodamento i dati incorporati modificano la struttura mentale (in realtà
essi non esistono alo stato puro, distinti l’uno dall’altro).
L'adattamento più compiuto e produttivo è quello caratterizzato da uno stato di
equilibrio tra i due momenti sopraccitati.
Le strutture che derivano da questi processi sono sistemi caratterizzati dalla legge di
composizione dei loro elementi, che si mantengono o si fanno più complessi sula
base stessa delle loro trasformazioni, autoregolandosi.
L'uomo entra in interazione con l'ambiente attraverso l'azione e tramite essa
realizza una trasformazione della realtà. Questa trasformazione ha due risultati: il
primo è modificare la realtà esterna, il secondo è conoscere le proprietà dell'azione,
cioè le peculiarità interne dello stesso organismo. Ciò si realizza in quanto l'azione si
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traduce in una trasformazione interna, attraverso la modificazione delle strutture
cognitive.
Piaget (1968) afferma che solo attraverso l'acquisizione della nozione di oggetto, di
spazio, di tempo, di causalità come realtà oggettive, il bambino giunge alla
conoscenza di un sé “corpo” inserito insieme ad altri corpi in uno spazio comune e
di essere costantemente collegato con loro da relazioni causali e temporali.
L'azione diventa uno strumento di formazione della conoscenza sul mondo e su se
stesso, che si interiorizza totalmente all'età di cinque anni diventando pensiero
operativo.
Le azioni diventano, invece, intenzionali solo alla fine del periodo senso-motorio,
quando il bambino è in grado di differenziare mezzi e scopi, ovvero a partire dai 1824 mesi.
Secondo Piaget i bambini sembrano consapevoli dei meccanismi delle proprie
azioni, cioè dei mezzi mediante cui realizzare i propri obiettivi, solo nella misura in
cui sono capaci di concettualizzarli: la consapevolezza delle propria azione è
l'assimilazione dell'azione ad uno schema concettuale. Questi processi discendono
da ricostruzioni che richiedono delle coordinate inferenziali. Risulta, quindi, che
sono consapevoli solo di ciò che riescono a rappresentarsi cognitivamente con un
processo attivo, che si costruisce proprio tramite la concettualizzazione.
Piaget: la scala dell'inseguimento visivo e della permanenza dell'oggetto
Parallelamente allo sviluppo dell'intelligenza sensomotoria, la scoperta e la
conoscenza delle proprietà del reale da parte del bambino si realizza, secondo
Piaget, in sei stadi; vi sono inoltre quattro categorie intorno alle quali si struttura la
comprensione del mondo fisico: l'oggetto, lo spazio, la causalità e il tempo.
La linea di riferimento adottata da Piaget nello studio della costruzione del reale si
può riassumere cosi: durante i primi mesi di vita l'universo non contiene né oggetti
permanenti, né spazio oggettivo, né tempo che unisca tra di loro gli avvenimenti
come tali, né causalità esterna alle proprie azioni; nella fase in cui l'intelligenza
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sensomotoria ha compiuto un'elaborazione sufficiente della conoscenza, per cui si
rendono possibili il linguaggio e l'intelligenza riflessiva, l'universo è costituito, al
contrario, da una struttura allo stesso tempo sostanziale e spaziale, causale e
temporale.
Le relazioni che si creano tra assimilazione e accomodamento spiegano la
costruzione della differenziazione soggetto-oggetto o il passaggio da uno stato
iniziale di adualismo a uno stato di decentramento.
I sei stadi che caratterizzano lo sviluppo della permanenza dell'oggetto descrivono
allo stesso tempo la costruzione della differenziazione soggetto-oggetto; essi sono:
Stadio 1: il bambino alla nascita non possiede il concetto di oggetto, non sa che
esistono degli oggetti dotati di esistenza autonoma e situati in uno spazio esterno. Il
bambino può dare prova di riconoscere delle cose (postura, rumore, evento
percettivo) grazie all'assimilazione ricognitiva, cioè in funzione della propria attività
assimilatrice. L'inseguimento visivo di oggetti, possibile fin dalla nascita, non
presuppone che, dal punto di vista del soggetto, l'oggetto inseguito abbia
un'esistenza autonoma.
Stadio 2: il bambino comincia a ricercare un oggetto che aveva in mano subito
prima di perderlo, finché l'oggetto perduto rimane visibile. La ricerca cessa dal
momento in cui l'oggetto scompare dal campo visivo del bambino. Ugualmente sul
piano visivo, un ricerca dell'oggetto sembra aver luogo, ma solo in quanto
prolungamento dell'attività di inseguimento già iniziata (cioè intorno al punto di
scomparsa).
Stadio 3: la prensione degli oggetti diviene intenzionale essendo in questa fase
coordinati gli schemi visivi e manuali. Il bambino è capace di prendere un oggetto
parzialmente nascosto, ma non viene intrapresa alcuna ricerca quando l'oggetto
scompare completamente sotto uno schermo.
Stadio 4: viene messa in evidenza la prima forma di permanenza dell'oggetto,
ovvero esso è concepito come autonomo (il bambino crede nella sua esistenza
anche se non lo percepisce più direttamente), ma questa autonomia ha dei limiti.
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Grazie alla coordinazione dei mezzi e dei fini, il bambino ritrova un oggetto
completamente nascosto, ma non controlla l'insieme degli spostamenti successivi,
visibili o invisibili, dell'oggetto.
Stadio 5: il controllo degli spostamenti successivi dell'oggetto riguarda prima li
spostamenti visibili. Il bambino saprà ritrovare un oggetto purché ne abbia seguita
percettivamente tutta la traiettoria.
Stadio 6: l'oggetto diventa permanente, è dotato cioè di esistenza autonoma e
stabile nel tempo e nello spazio dal punto di vista del soggetto. Gli spostamenti
invisibili sono controllati grazie alla possibilità di ricostruirli mentalmente. Il
bambino è in grado di rappresentare se stesso come oggetto fra altri.
Bruner e il bambino “rappresentazionale e narrativo”
Secondo Bruner lo sviluppo cognitivo avviene tramite “transizioni”, cioè forme di
rapporto interpersonale, che portano alla condivisione dei significati, all'accordo tra
le menti.
La costruzione dei significati, infatti, si basa non solo sul rapporto tra individui e
mondo, ma anche su come quest'ultimo viene rappresentato a livello mentale.
Questa ricerca del significato viene sempre costruita in rapporto al contesto
culturale in cui ha luogo. Inoltre, l'interazione tra bambino e adulto è determinante
per l'elaborazione di significati e segnali convenzionali (anche Bruner valorizza il
concetto di zona di sviluppo potenziale). In quest'ottica sembra possibile parlare di
sviluppo cognitivo come sviluppo del bambino “rappresentazionale”, cioè del modo
in cui egli costruisce rappresentazioni della realtà e, unitamente, come sviluppo del
bambino “narrativo”.
La maturazione si realizza tramite la comparsa di diverse modalità per costruire
significati: intersoggettiva, di azione, normativa, che trovano una loro coerenza nei
modi di significare narrativo e permettono al bambino di costruirsi una propria
rappresentazione della realtà, abilità che il bambino conquista a tre anni, quando è
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in grado di costruire autonomamente storie.
Le azioni vanno considerate per le possibilità di produrre strutture mentali, che
Bruner chiama rappresentazioni. La prima rappresentazione che il bambino si fa del
reale viene definita esecutiva e si basa, appunto sull'azione; essa si modifica
durante lo sviluppo diventando una rappresentazione iconica, cioè per immagini,
per trasformarsi poi in simbolica.
Le azioni sono sempre guidate da programmi in cui viene contenuta l'anticipazione
dell'obbiettivo da raggiungere, in cui viene anticipato uno scopo, in cui viene
organizzata una sequenza di azioni per poterlo raggiungere.
Nel pensiero, come attività mentale concreta, possiamo individuare e distinguere
quelle componenti che si manifestano allo steso modo sia nel pensiero narrativo,
che in quello concreto-attivo che logico-verbale, che nella programmazione dei
comportamenti.
a) Scoperta del compito: il soggetto si confronta con una situazione per la
quale non ha situazioni preformate (innate o abituali);
b) Indagine preliminare delle condizioni del problema: freno delle risposte
impulsive, analisi delle componenti del problema, riconoscimento degli
aspetti essenziali e loro reciproca correlazione;
c) Scelta di un'alternativa tra le possibili e creazione di un piano di azione:
costruzione della strategia generale di pensiero;
d) Scelta dei metodi appropriati ed esame delle operazioni: queste sono
algoritmi preformati, adeguati, linguistici, logici, numerici che costituiscono
la tattica (stadio operativo del pensiero);
e) Reale soluzione del problema: scoperta della risposta alla domanda insita nel
compito;
f) Comparazione dei risultati ottenuti con le condizioni originali del compito:
stadio dell'accettore d'azione (Anochin). Se i risultati sono in accordo con le
condizioni originali, l'atto intellettuale è completo; altrimenti la ricerca della
strategia necessaria deve iniziare nuovamente e il processo continuare fino a
giungere ad una soluzione adeguata.
19
Secondo Bruner, inizialmente, il bambino mette in atto delle azioni che sono goffe e
non gli permettono di raggiungere l'obiettivo, ad esempio muove gli arti inferiori e
superiori in maniera incoordinata per raggiungere un oggetto. Successivamente,
attraverso l'esercizio di questa attività, i moduli, cioè i sottoprogrammi che
compongono il programma si differenziano.
Affinché sia possibile realizzare un comportamento corretto bisogna che questi
sottoprogrammi siano automatizzati e non richiedano più risorse attentive per
essere eseguiti.
Bruner: conoscenze e teorie della mente
La sua idea riguardo alla conoscenza si rifà, inizialmente, al concetto di ipotesi
percettiva. Secondo questa teoria, la percezione della realtà è governata da ipotesi
prodotte dagli stimoli dell'ambiente e da processi e strutture cognitive del soggetto.
La conoscenza inizialmente evolve tramite un’interiorizzazione degli stimoli e solo
nelle fasi più avanzate si sviluppa attraverso una loro esteriorizzazione. In questa
seconda fase un ruolo centrale è quello dei processi di inferenza, che organizzano la
realtà imponendogli una logica.
Nel suo lavoro “la mente a più dimensioni” (1986), Bruner sostiene la tesi
dell'esistenza di due modalità di pensiero, ciascuna delle quali organizza e
costruisce la realtà secondo specifici principi, entrambi modi per costruire significati
complementari ma irriducibili l'uno all'altro:
a) Il pensiero paradigmatico (il modello conoscitivo di Piaget): presiede alla
creazione/costruzione scientifica della realtà;
b) Il pensiero narrato (il modello epistemico di Vygotskij): coglie il significato
dell'evento tenendo conto contemporaneamente dell'azione e della conoscenza.
Un topos entro cui i due modelli epistemici potrebbero confluire, integrandosi, è
quello della teoria della mente (Liverta Sempio O., 1998).
20
Bruner si riferisce al settore di ricerca che si occupa della comprensione infantile e
dell'esistenza degli stati mentali propri e altrui, cioè del formarsi nel bambino di una
teoria della mente, intesa come regolatrice del comportamento (Camaioni L., 1995,
Livera Sempio O., 1998). Si tratta, dunque, di una ricerca che si propone,
innanzitutto, di studiare come il bambino sviluppa le capacità di cogliere la vita
interna che sta dietro all'azione e al comportamento e, quindi, di indagare in modo
unitario, come si sviluppa nel bambino la conoscenza di stadi mentali di natura
epistemica (come le conoscenze e le inferenze) e di natura non-epistemica (quali le
intenzioni, i desideri, le emozioni). In quest'ottica si tratta di uno studio che si
dedica sia allo sviluppo dello “spiegare” che del “comprendere”. Questa teoria
spiega, secondo un modello cognitivista, la teoria della mente dei bambini.
Nel bambino si ipotizza uno sviluppo graduale della comprensione della mente, che
trova il suo pieno emergere nella comparsa, verso i quattro anni di età, di una
capacità metarappresentazionale o abilità di sapersi “rappresentare le
rappresentazioni” (Astington I.W., Olson D.R., 1995). Rappresentazioni di cui il
bambino può valutare la rispondenza o meno dello stato della realtà esterna, ma
che, vere o false che siano regolano il suo e l'altrui comportamento. Attraverso
questa strada il bambino apprende la distinzione tra sfera soggettiva e sfera
oggettiva, tra mondo interno e realtà esterna (Camaioni L., 1995).
Anche Bruner (1986) ritiene che lo sviluppo della teoria della mente avvenga
gradualmente nel bambino, affermando che essa abbia origine da questi processi
transazionali e culturali che costituiscono le interazioni sociali infantili nell'età
precedente all'acquisizione del linguaggio.
I “formati” dell'azione, successivamente, acquisiscono una struttura narrativa; si
tratta di una struttura che intreccia un duplice mondo: quello della soggettività e
quello dei fatti. Il bambino sperimenta molto presto l'intreccio tra azione e
coscienza, e ciò gli consente di iniziare a comprendere la mente propria e altrui
(Livera Sempio O., 1998).
21
1.2 COMUNANZE E DIFFERENZE SULLE CONCEZIONI DELLO SVILUPPO
Tra le diverse teorie vi sono, comunque, dei punti in comune: l’attribuzione
all’uomo di una natura attiva, un approccio costruttivistico alla conoscenza,
l’importanza assegnata all’interazione tra soggetto ed oggetto come fonte di
conoscenza e l’interesse per i cambiamenti della mente di tipo qualitativo piuttosto
che quantitativo. Tali concetti non sono però, totalmente condivisi poiché ciascuno
dei temi citati viene articolato diversamente dai tre autori.
L'attività umana è vista da Piaget nel suo aspetto di espressione naturale
dell'organismo vivente esplicata in un ambiente atemporale, mentre per Vygotskij è
un'attività mediata da segni e Bruner mette in evidenzia il carattere intenzionale e
motivato.
La costruzione della conoscenza è, secondo Piaget, l'esisto dell'interazione tra
soggetto e oggetto (mondo fisico) di ordine universale, acontestuale, logicoformale.
Per Vygotskij, invece, essa è data dall'interazione soggetto-oggetto, dove l'oggetto è
rappresentato dall'altro, inteso sia come persona, che come prodotto del pensiero
umano (segni). La conoscenza è, quindi, un fatto sociale. Anche Bruner mette in
rilievo questa interazione dove l'oggetto è un prodotto sociale, richiamando
l'importanza delle transizioni, cioè dei processi di negoziazione tra soggetto ed
oggetto che inducono all'intersoggettività, all'incontro tra le loro menti.
Infine i tre autori intendono lo sviluppo cognitivo come un percorso caratterizzato
da trasformazioni qualitative, piuttosto che da incrementi delle abilità relative alle
conoscenze; secondo Piaget sono le strutture a trasformarsi, secondo Vygotskij le
funzioni e secondo Bruner i modi di rappresentare e di interpretare la realtà.
Un elemento sulla cui base si stabilisce una radicale differenza è il diverso
presupposto sulla natura della conoscenza. La teoria piagetiana indica che la
conoscenza è il risultato del processo di ordine dei dati percettivi, che inizia con
l'interazione del soggetto con la realtà. La teoria vygotskijana, invece, adotta la
visione sociostorica. Per Bruner essa origina dai processi transazionali e culturali che
costituiscono interazioni sociali infantili prima dell'acquisizione del linguaggio. Tutto
22
ciò si riflette sulla concezione di apprendimento in cui Piaget sostiene che esso
scaturisca da un'attività “guidata”, mentre Vygotskij dall'interazione del bambino
con la cultura e la società (area di sviluppo potenziale), concetto a cui si rifà anche
Bruner.
L'ultimo nodo concettuale è la duplice natura della conoscenza,
contemporaneamente interna ed esterna all'individuo. Secondo Piaget questo
processo avviene per esteriorizzazione, cioè le costruzioni cognitive vengono
elaborate internamente all'individuo e solo successivamente hanno effetti sul piano
della sue relazioni con il mondo. Secondo Vygotskij si tratta, invece, di un processo
di interiorizzazione, poiché il soggetto in un primo tempo stabilisce relazioni sociali
e sono queste, una volta interiorizzate, a fare da base all'attività psichica.
Secondo Martì W.R. (1996) sono interpretazioni riduzioniste che non tengono conto
che entrambi gli autori vedono il rapporto tra realtà interna ed esterna in termini
bidirezionali, e che pongono alla base della costruzione della conoscenza la
tensione, che continuamente esiste, tra le due realtà. Infine Bruner integra
entrambe queste concezioni con il concetto dell'evolvere di una “teoria della
mente” durante lo sviluppo psichico del bambino.
23
CAPITOLO II
Il sistema visivo: dall’occhio alla corteccia cerebrale
2.1 LO SVILUPPO DEL SISTEMA VISIVO
Il sistema visivo
costituisce un’entità
anatomo-funzionale il
cui fine è di consentire
quell’attività che viene
chiamata nel suo
complesso “la visione”,
risultante da un insieme
di più funzioni elementari. Inoltre gli occhi possiedono un sistema neuro-muscolare
assai raffinato che consente loro di muoversi in maniera sincrona durante
l’esplorazione visiva o in risposta ai movimenti della testa e del corpo. La possibilità
per un adulto di possedere normali capacità visive dipende in modo preponderante
da come tali capacità si sono evolute nel periodo prenatale ed infantile. Tale
sviluppo è largamente condizionato dall’interazione di almeno tre tipi di fattori, che
possono essere schematicamente definiti come genetici, maturativi ed ambientali.
La normale funzione visiva è quindi il risultato finale di una lunga catena di eventi e
di armonica interazione fra lo sviluppo delle strutture anatomiche e le sollecitazioni
provenienti dall’ambiente esterno. Una qualsiasi perturbazione che interferisca con
le normali caratteristiche del quadro geneticamente predeterminato dallo sviluppo
intrauterino, dalla maturazione anatomica post-natale, dai fattori ambientali che
condizionano l’acquisizione corretta delle caratteristiche funzionali, influisce in
maniera negativa sull’efficienza finale del sistema visivo. Inoltre è indispensabile che
si creino e si mantengano durante lo sviluppo quelle condizioni che consentono non
solo il normale evolversi delle capacità funzionali monoculari, ma anche il perfetto
24
instaurarsi del massimo grado della cooperazione binoculare normale.
Il processo evolutivo attraverso il quale le strutture anatomiche raggiungono la
conformazione definitiva avviene in due tappe successive: lo sviluppo intrauterino e
la maturazione post-natale. La prima fase è condizionata in maniera assolutamente
predominante da fattori genetici ai quali, nella seconda, si aggiunge l’influenza di
fattori ambientali. I fattori genetici determinano essenzialmente la morfologia
macroscopica delle strutture costituenti il sistema visivo, mentre la citoarchitettonica più fine e l’organizzazione funzionale delle componenti
neurosensoriali dipendono prevalentemente dagli apporti ambientali. Utilizzando
termini mutuati dal linguaggio degli elaboratori si potrebbe dire che è
geneticamente predeterminato l’hardware, mentre l’esperienza visiva fornisce
prevalentemente il software.
Alla nascita sono presenti tutte le componenti maggiori del sistema visivo e molte di
esse seguiranno il proprio iter maturativo in modo quasi del tutto indipendente
dagli stimoli ambientali, ma per puro determinismo genetico. È ad esempio il caso
dei mezzi diottrici (cornea, cristallino, umore vitreo), delle tonache vascolari (retina
e coroide), della sclera e degli annessi (palpebre, apparato lacrimale). La
componente neuro-sensoriale e il sistema oculomotore, accanto all’impronta
genetica, necessitano invece per il loro normale sviluppo anatomo-funzionale
dell’apporto di stimoli visivi adeguati.
La patologia sperimentale e alcune evidenze cliniche dimostrano che l’efficienza dei
fotorecettori e delle interconnessioni a livello retinico, la struttura del ganglio
genicolato laterale e della corteccia calcarina, le risposte elettrofisiologiche di
queste strutture, la cooperazione binoculare, sono largamente influenzate da
alterazione dell’input visivo.
2.2 I SISTEMI OCULOMOTORI NEL BAMBINO
Il sistema della fissazione, destinato a mantenere sulla fovea l’immagine di un
oggetto, si sviluppa molto presto nel bambino. Se si usa come stimolo il volto
25
umano, si vede spesso che il bambino è in grado di mantenervi la fissazione fin dalle
primissime settimane, ed in genere a partire dalla sesta. Molti genitori, però,
possono facilmente osservare questa capacità fin dai primi giorni di vita.
Il sistema di inseguimento lento, invece, ha uno sviluppo lievemente più ritardato. Il
neonato, infatti, fino a circa la sesta settimana, non riesce a seguire con un
movimento continuo un oggetto che si muove e sul quale aveva mantenuto la
fissazione, ma lo sostituisce invece con una serie di saccadi (movimenti rapidi
successivi). A partire dalla sesta settimana, il bambino tende a combinare
movimenti rapidi e lenti con prevalenza sempre maggiore di quest’ultimi. Dal terzoquarto mese l’inseguimento lento appare ormai completamente sviluppato.
Le saccadi sono movimenti molto rapidi. Durante la loro esecuzione la visione viene
in pratica annullata per evitare il disturbo causato dal movimento delle immagini
sulla retina. Esse servono per passare velocemente da un oggetto all’altro e sono
uno dei meccanismi fondamentali con cui si osserva lo spazio circostante. Il neonato
riesce spesso a compiere movimenti saccadici, ma essi sono solitamente imprecisi e
compiuti mediante una serie di aggiustamenti multipli. A partire dal secondo mese
l’accuratezza delle saccadi migliora considerevolmente.
Il riflesso vestibolo-oculare (VOR), generato dal sistema vestibolare consente di
mantenere gli occhi diretti verso un determinato oggetto durante i movimenti del
capo. Questo compito è svolto in sinergia con il sistema d’inseguimento lento e
viene elicitato da riflessi provenienti dai canali semicircolari del labirinto. Come
risposta alla stimolazione labirintica, gli occhi compiono un movimento in direzione
opposta a quello della testa. Questo movimento è presente anche in assenza della
visione. Il VOR orizzontale è presente alla nascita, quello verticale si sviluppa molto
presto.
Il sistema optocinetico stabilizza la fissazione durante movimenti prolungati del
capo e, ugualmente, consente di osservare oggetti in movimento continuo. Anche in
questo caso, la fase rapida sposta l’asse visivo verso l’oggetto che si presenta
successivamente, la fase lenta lo mantiene sul nuovo oggetto fissato. Questa
successione di fasi rapide e lente si ripete durante tutto il tempo in cui lo stimolo è
presentato e costituisce il nistagmo optocinetico (NOC). Possiamo elicitare una
26
risposta optocinetica anche in bambini molto piccoli impiegando tecniche assai
semplici. Queste permettono di osservare che il NOC è presente anche nel neonato
di pochi giorni. Il NOC presenta fino al terzo mese di vita una tipica asimmetria, se lo
stimolo viene presentato in visione monoculare. La risposta optocinetica è infatti
pronta e adeguata se il bersaglio visivo si sposta dalla tempia verso il naso, mentre è
molto povera, o del tutto assente, se il bersaglio si muove in senso opposto, cioè dal
naso in direzione della tempia. Questa asimmetria si riduce, fino a scomparire, dopo
il terzo o quarto mese.
Il sistema delle vergenze è finalizzato a mantenere simultaneamente sulle due fovee
le immagini dello stesso oggetto. Ciò comporta un movimento dei due occhi in
direzioni opposte per indirizzare gli assi visivi sull’oggetto fissato. La convergenza
viene particolarmente stimolata nell’osservazione a distanza ravvicinata. Quando un
oggetto si trova vicino, infatti, è necessario che i due assi visivi, di norma paralleli fra
loro quando guardano lontano, compiano un movimento disgiunto in modo che le
due immagini vadano a formarsi sulle due fovee. In caso contrario esse si
formerebbero sulla fovea di un occhio e su un’area extrafoveale dell’altro con
conseguente diplopia. La diplopia è quindi uno stimolo alla convergenza tramite il
meccanismo della fusione motoria.
La convergenza può essere stimolata anche dalla sfocatura delle immagini causata
da un oggetto posto a distanza ravvicinata. La sfocatura induce l’occhio ad
accomodare per vedere nitido da vicino. Ne consegue, a causa della sincinesia con
l’accomodazione, una convergenza. La fusione motoria sollecita inoltre i movimenti
oculari in divergenza, quando lo sguardo passa dal vicino al lontano. Tramite lo
stesso meccanismo si generano la ciclovergenza e le vergenze verticali, necessarie
per compensare eventuali moderate discrepanze di posizione dei due occhi attorno
agli assi di rotazione y e z. La convergenza è già presente nel neonato a termine, ma
appare frequentemente incoordinata. Alla fine del terzo mese essa è invece già ben
sviluppata.
La conoscenza delle caratteristiche funzionali del principali sistemi oculomotori
costituisce la miglior guida all’esame fisico delle alterazioni dell’oculomotricità.
27
2.3 LA NEUROFISIOLOGIA DELLA FUNZIONE VISIVA
La vista è unica nelle sue capacità di
fornire quasi istantaneamente
informazioni sulle caratteristiche statiche
e dinamiche dell’ambiente vicino e
lontano. Uno degli scopi fondamentali
del sistema visivo inteso come l’insieme
dei componenti che si estende
dall’occhio alla corteccia cerebrale, è
quella di contribuire nell’organizzazione
del movimento al bilanciamento posturale e all’equilibrio del cammino (Lee D.N.,
Aronson E., 1973). Il sistema visivo è importante inoltre per programmare il
percorso a destinazioni non visibili; noi ci spostiamo usando riferimenti non sempre
in prevedibile relazione con la destinazione finale.
In alcune situazioni locomotorie come camminare e correre, la visione offre più
informazioni cinestesiche dei meccanocettori. In altre si è assolutamente
indipendenti dalla sinestesia visiva, anche se in alcuni casi possono entrare in
conflitto.
La localizzazione visiva non è fatta da un sistema di riferimento centrato sulla retina,
ma sulla coordinazione tra movimenti rispettivi di capo e occhi. Gnadt J.K. (1991)
dimostrò che la posizione del capo rispetto al tronco esercita un’influenza
sull’accuratezza dei movimenti saccadici verso lo spazio e l’oggetto.
Le strutture visive del neonato sono diverse da quelle dell’adulto; vengono
comunque distinti due sistemi anatomicamente differenziati dalla cui integrazione
deriva la possibilità di dare risposte articolate e flessibili agli input ambientali.
La superficie recettoriale del sistema visivo è costituita dalla retina, porzione
esteroflessa del diencefalo, al quale è unita tramite il nervo ottico. Circa al centro
della parte ottica della retina si trova una piccola depressione chiamata fovea
centrale, che è la sede fisiologica della visione distinta.
Nei primi giorni l’acuità visiva (data dalla maturazione delle strutture dell’occhio) è
28
minore. Nel bambino i coni (strutture che organizzano la vista foveale) maturano
dopo i bastoncelli (deputati alla vista periferica). Il bambino piccolo infatti non può
focalizzare un punto selettivo, ma è attratto dai movimenti in periferia, poiché le
strutture deputate a questo maturano prima. Inoltre, per incapacità del cristallino di
adattarsi (accomodazione alla distanza), il bambino piccolo non può prendere
informazioni visive oltre i 50 cm. Tuttavia gli stimoli presentati in questo range sono
percepiti dal bambino in maniera attiva.
L'esplorazione visiva dell'ambiente circostante comporta da parte del bambino la
necessità di elaborare strategie a livello interattivo sempre più complesse che sono
il risultato della coordinazione di componenti indirizzate a scopi specifici, ma il cui
insieme concorre alla realizzazione di un'unica funzione, ossia l'acquisizione di
informazioni circa il mondo circostante. Le prime fasi costitutive del sistema visivo
sono la fissazione (la prima da indagare), l'inseguimento oculare e i movimenti del
capo; le altre fasi si inseriscono nella sequenza motoria in tempi successivi
(movimenti del tronco, degli arti inferiori). Fin dalla prima settimana di vita è
possibile l'orientamento visivo verso la sorgente luminosa, il bambino di pochi
giorni è in grado di fissare stimoli animati se non si trovano a distanza superiore ai
20-30 cm, inoltre le informazioni devono essere nel campo visivo preferenziale del
bambino ovvero quando si trova in posizioni asimmetriche perché tali
faciliterebbero la capacità percettiva in quanto un orientamento posturale
significativo permette di lasciare una parte di difficoltà riscontrate
nell'interpretazione di un'esplorazione oculomotoria garantendo che l'attenzione è
ben orientata sull'oggetto presente.
Nei primi due mesi di vita la possibilità di esplorazione si arricchisce grazie alla
comparsa della capacità di inseguimento oculare: nel primo mese di vita ha un
aspetto discontinuo, incompleto e a scatti. L'inseguimento viene prima secondo il
piano orizzontale poi secondo quello verticale; fissazione e inseguimento servono
per acquisire e mantenere un primo rapporto con l'oggetto.
Al secondo mese l'inseguimento avviene fino ad un livello di tensione massimale a
cui fa seguito lo spostamento della testa; la componente della rotazione del capo si
inserisce nella sequenza, prima che i movimenti oculari di inseguimento arrivino a
29
livello di tensione massimale. La terza modalità comportamentale è caratterizzata
da una coordinazione plastica tra movimenti oculari e movimenti del capo. Se dopo
un certo numero di stimoli luminosi regolari, l'esaminatore ne omette uno, il
bambino volge ugualmente lo sguardo con un movimento della stessa ampiezza e
nella stessa direzione, cioè idoneo, per raggiungere l'obiettivo, anche se questa
volta lo stimolo non c'è; si tratta di una funzione con un maggior grado di
adattabilità. L'acquisizione dei processi di anticipazione rende possibile ipotizzare
meccanismi di controllo dei movimenti oculari più dinamici, nel senso che l'inizio e
la fine del movimento sono determinati secondo un programma adattabile a diversi
scopi. La capacità del bambino di ricercare un oggetto scomparso dal campo visivo
dimostra la possibilità di formulare scopi più specifici; ciò è indice di un'iniziale
capacità di anticipazione derivante da una precisazione degli scopi: il bambino si
pone il problema di ristabilire il contatto visivo con l'oggetto.
Il sistema visivo è rappresentato quindi dalla capacità del bambino di orientare lo
sguardo verso gli oggetti significativi dell'ambiente circostante in modo che si
possano formare degli scopi, per la realizzazione dei quali il bambino deve
organizzare sequenze motorie sempre più dinamiche, al cui interno viene anche
coordinata l'attività più elementare, necessaria in quella determinata situazione.
Nel valutare lo sviluppo delle capacità visive del bambino interferisce lo sviluppo di
molte altre proprietà del sistema nervoso come la capacità di attenzione,
concentrazione su un determinato oggetto; solo la richiesta di attenzione può
favorire l'integrazione delle informazioni visive con l'esperienza motoria. Fino a due
mesi non fissa a lungo un oggetto, a due mesi fissa e concentra l'attenzione, può
sollevare la mano e osservarla, a quattro mesi può osservare stando seduto con
l'aiuto di altre persone fino a quando l'esplorazione dell'ambiente è resa ancora più
facile dalla possibilità di stare seduto da solo, a sei mesi, e guardarsi intorno. La
capacità del bambino di elaborare una sequenza costituita da fissazione,
inseguimento e movimenti del capo, determina la possibilità di una più ampia
esplorazione dell'ambiente circostante.
Le informazioni visive della retina sono principalmente elaborate a livello corticale.
La corteccia visiva primaria riceve informazioni retiniche attraverso il nucleo
30
genicolato laterale e le distribuisce ad aree corticali vicine responsabili
dell’elaborazione degli input visivi. Queste aree sono deputate all’analisi di specifici
attributi dell’immagine visiva, come movimento e forma.
Le vie neuronali transcorticali, particolarmente significative per le operazioni
visuomotorie, sono state da tempo individuate da Milner A.D. e Goodale M.A.
(1996), i quali sostengono che questi due circuiti stanno alla base di due funzioni
principali per la visione: percezione ed azione:
- Via occipito-parietale, in relazione alla conoscenza del “dove”, più direttamente
collegata all’azione. Il controllo dell’azione richiede input visivi da una prospettiva
egocentrica;
- Via occipito-temporale, in relazione alla conoscenza del “cosa”, quindi alla
percezione. La costanza percettiva richiede di conoscere eventi ed oggetti in
contesti diversi e da differenti punti di vista (Puccini P., 2003).
La locomozione investe contemporaneamente la visione dell’oggetto (via ventrale)
e la visione spaziale (via dorsale). Le due visioni vivono solo teoricamente una vita
separata, poiché una è valorizzata dall’altra e perde significato se viene separata.
Secondo J.F. Stein (1989), la struttura in grado di eseguire queste complesse
operazioni di trasformazione sensomotoria è la corteccIa parietale posteriore
(PPC). Quest’area consiste in un lobo parietale superiore (aree 5, 7) ed il lobo
inferiore (aree 39 e 49 di Brodmann per le abilità prassiche); queste strutture
renderebbero gestibili le informazioni per le aree motorie F4 e F5. Le afferenze
retiniche sono elaborate anche a livello sottocorticale dal collicolo superiore, che
gioca un ruolo importante nell’orientare l’attenzione verso nuovi stimoli all’interno
del campo visivo.
In riferimento alle capacità attentive, Cohen L.B. (1972) ha ipotizzato che possano
esistere due modalità:
a.
Attention getting o processo di riferimento;
b.
Attention holding o processo di fissazione.
Il primo processo è in relazione alle capacità del bambino di orientarsi verso uno
stimolo proiettato nella periferia del campo visivo. Il secondo invece tiene conto
31
della persistenza dell’attenzione sullo stimolo, una volta che è stato fissato (Puccini
P., 1993).
2.4 LA CONNESSIONE TRA IL SISTEMA VESTIBOLARE E IL SISTEMA VISIVO
Studi neurofisiologici hanno
permesso di approfondire il
ruolo del sistema
vestibolare
nell’organizzazione dello
spazio e nelle trasformazioni
viso-motorie, dimostrando che i meccanismi di controllo di questo sistema vanno
ben oltre le aree mesencefaliche, con numerose proiezioni a livello corticale, dal
lobo parietale, al lobo frontale, all’ippocampo.
La maggior parte dei movimenti oculari si realizza inconsciamente; il cervello non è
interessato a conoscere i movimenti oculari, ma alla posizione degli occhi
(rappresentate in corteccia dal campo oculare frontale), che serve per conoscere
altri movimenti guidati visivamente (Puccini P., 2003). Le informazioni vestibolari
svolgono un ruolo importante nell’orientamento spaziale del capo, necessario nel
cammino e utile per la funzione di visuo-localizzazione dello spazio. In questo senso
i segni vestibolari intervengono sia nella percezione della localizzazione
dell’oggetto, sia nella percezione e controllo degli spostamenti del corpo. Tali
messaggi sarebbero mediati da differenti parti della corteccia parietale posteriore
(Andersen R.A. e coll., 1999, Puccini P., 2003). Le due maggiori funzioni del sistema
vestibolari sono la percezione della verticalità e del movimento del sé, controllate a
livello centrale dalla corteccia multisensoriale parieto-insulare (Brandt T., Dieterich
M., 1999). Anche i neuroni presenti nelle aree vestibolari sono multisensoriali come
quelli dell’area 7 della corteccia parietale inferiore. Quest’area è il maggior centro di
integrazione multisensoriale per l’orientamento spaziale e la funzione visuomotoria.
La stimolazione del sistema vestibolare è sempre multisensoriale. La corteccia
32
parietale (parieto-insulare) codifica le informazioni metriche dello spazio
allocentrico ed è coinvolta nella percezione della verticalità e del movimento di sé.
La corteccia vestibolare interagisce strettamente con la corteccia visiva per
confrontare le due mappe tridimensionali e media la percezione del movimento di
sé attraverso interazioni inibitorie reciproche visuo-vestibolari. Questo meccanismo
permette un avvicendamento tra le due modalità, visiva o vestibolare durante la
percezione del movimento di sé. L’importanza attribuita ad una o all’altra modalità
sensoriale dipende dalla qualità della stimolazione prevalente: l’accelerazione
corporea, segnalata dall’informazione vestibolare, o il movimento a velocità
costante, rilevato prevalentemente dal segnale visivo (Brandt T., Dieterich M.,
1999).
La percezione del proprio movimento è data, invece, dall’interazione reciproca
visuo-vestibolare. Il sistema vestibolare, sensore delle accelerazioni del capo, non
può registrare il movimento a velocità costante, perciò richiede informazioni visive
supplementari. Secondo Brandt e Dieterich questo meccanismo sensomotorio è la
base di un’adeguata percezione del proprio movimento, permettendo l’alternanza
da una modalità sensoriale all’altra. La percezione del proprio movimento è
dominata o da segnali vestibolari, durante l’accelerazione del capo, o da segnali
visivi, a velocità costante. La corteccia parieto-insulare e quella visiva interagiscono
al fine di formare le due mappe di orientamento tridimensionale e per mediare la
percezione di movimento del proprio corpo, attraverso l’interazione inibitoria
reciproca, visuo-vestibolare (Puccini P., 2003).
L’attivazione coordinata della corteccia visiva e vestibolare è fondamentale in
situazioni riguardanti cambiamenti inaspettati e multidirezionali tra accelerazioni
corporee e movimento a velocità costante. Dal momento che non è possibile
concepire contemporaneamente due differenti stati di movimento del corpo, i due
emisferi sono tra loro correlati e, attraverso un interno spostamento
dell’attenzione, determinano un’attuale ed unica percezione di movimento o di
assenza di movimento (Puccini P., 2003).
Il sistema visivo, vestibolare e somatosensoriale procurano, attraverso la loro
integrazione, la conoscenza sia della posizione, che del movimento del corpo
33
relativo allo spazio esterno.
Le coordinate retiniche (dipendenti dallo sguardo e dalla posizione del capo) e le
coordinate labirintiche (riferite alla testa) necessitano di continui aggiornamenti
sulle particolari posizioni degli occhi e della testa al fine di trasmettere segnali
attendibili per l’adeguata esplorazione oculomotoria e motoria nello spazio. Il
complicato controllo sensomotorio di un tale sistema avviene attraverso la codifica
multisensoriale dello spazio in coordinate comuni, sia egocentriche che
allocentriche, piuttosto che retinotopiche o centrate sulla testa.
Le informazioni spaziali in coordinate “non retiniche” permettono di determinare la
posizione del corpo relativa allo spazio visivo, necessario prerequisito per una
risposta motoria accurata. Per ottenere un tale punto di riferimento le informazioni
codificate dagli organi sensoriali periferici (retina, otoliti, canali semicircolari,
propriocettori come i fusi neuro muscolari, recettori cutanei) devono essere
trasformate ed integrate. Questa funzione avviene nella corteccia parietale
posteriore, la cui lesione produce emineglect visuo-spaziali.
Gli studi di Kornhubern H.H. sul sistema vestibolare (1974) avevano già dimostrato
che è un apparato sensoriale con accesso alla corteccia cerebrale, alla percezione
cosciente e alla memoria, che interviene nel controllo della posizione del corpo e
degli occhi.
La localizzazione del labirinto nel capo è importante per la regolazione della
posizione degli occhi, mentre il contributo della propriocezione nucale alla stabilità
degli occhi è piccolo. La maggior parte dei neuroni del nucleo vestibolare risponde
ad afferenze vestibolari e somestesiche profonde, principalmente dalla nuca e dalle
articolazioni prossimali degli arti: dal nucleo vestibolare i messaggi raggiungono,
attraverso il talamo, le aree sensoriali vestibolari e le aree corticali motorie. A
differenza della scarsa rappresentazione di movimento oculare, la sensazione
vestibolare dei movimenti del capo e del corpo è fortemente rappresentata
nell’esperienza cosciente ed ha accesso in memoria a lungo termine (Kornhubern
H.H., 1974).
Nell’area 5 si realizzerebbe una convergenza tra i segnali sull’intenzione del
movimento e gli input propriocettivi forniti dalla periferia; questa convergenza
34
contribuirebbe a generare una rappresentazione della posizione del corpo e del
movimento, determinando la percezione somestesica.
Inoltre la corteccia frontale è coinvolta nella trasformazione delle informazioni
allocentriche in appropriati movimenti locomotori diretti spazialmente nella
struttura egocentrica (Pouchet B., 1993). Inoltre, nell’area 8 viene pianificato e
rappresentato il contesto dell’azione, in quale attiva le mappe localizzate nell’area
parietale posteriore.
L’ippocampo, invece, codifica le informazioni topologiche e mantiene in memoria la
localizzazione dell’oggetto, importante requisito del cammino. Robertson G. e coll.
(1998) hanno ipotizzato che l’ippocampo si attivi in relazione ai movimenti di capo e
occhi e che, quindi, anche la memoria sia attivata da segnali vestibolari e dalla
posizione oculare. Si pensa che, un punto di interconnessione tra la via visuoparietale e visuo-temporale sia proprio la formazione ippocampale.
È utile inoltre tener conto dei contributi neurofisiologici sul cervelletto che
dimostrano il ruolo di questa struttura nello spostamento rapido dell’attenzione tra
stimoli visivi e modalità sensoriali diverse (Akshoomoff, Courchesne, Townsend,
1999) ed anche durante i compiti di attenzione focalizzata (Allen G. e coll., 1997).
Non bisogna, infine, dimenticare che affinché si possano realizzare delle
trasformazioni coerenti, è necessario avere dei sistemi di riferimento su cui
organizzarle. Un’importante punto di riferimento per la pianificazione è la linea
mediana, utile a definire la nostra percezione di spazio egocentrico.
2.5 L’INTEGRAZIONE VISUO-VESTIBOLO-SOMESTESICA
Il sistema di controllo “posturale” ha due funzioni principali: la prima è creare una
postura antigravitaria ed assicurare che l’equilibrio sia mantenuto; la seconda è
fissare l’orientamento e la posizione dei segmenti che servono come struttura di
riferimento per la percezione e l’azione in relazione al mondo esterno.
Entrambi i sistemi, visivo e somatosensoriale, sono fondamentali per la
stabilizzazione del capo e del tronco. Ma da che informazioni dipende la
35
stabilizzazione del capo nello spazio?
Anche se la visione periferica e le informazioni visuo-spaziali giocano un ruolo
importante nel mantenimento dell’equilibrio, in particolare nei bambini, la
stabilizzazione del capo nello spazio non dipende unicamente dalle informazioni
visive ,ma sono altresì importanti quelle vestibolari.
Le informazioni vestibolari, infatti giocano un ruolo importante anche
nell’orientamento spaziale del capo, necessario per il cammino e utile per la visuolocalizzazione dello sguardo.
I tre sistemi sensoriali visivo, vestibolare e somestesico consentono, con
informazioni ridondanti, la conoscenza della posizione e del movimento del corpo
relativi allo spazio esterno.
Il bambino, fin dalla nascita, è un “ricercatore dinamico di informazioni” e nel corso
del primo anno di vita, può svolgere discriminazioni visive complesse, mostra
apprendimento rapido, memoria a lungo termine, ha possibilità di formare
categorie e di fare operazioni di trasferimento transmodale (Rose e coll., 1991).
La capacità di compiere trasformazioni intermodali si basa sulla conoscenza del sé,
conoscenza che il bambino, appunto, possiede già alla nascita anche se in forma
elementare (Rochat P., 1992).
Studi recenti (Puccini P., 2003) hanno dimostrato che, il processo di trasformazione
tra le conoscenze visive, vestibolari e somestesiche richiede molti anni per la sua
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completa realizzazione, nonostante l’interazione tra il sistema vestibolare e quello
visivo inizi precocemente durante lo sviluppo. L’autrice afferma che i dati rilevati
facevano presumere che l’orientamento spaziale, raggiunto attraverso la
coordinazione delle diverse informazioni (visive, vestibolari e somestesiche), sia
costruito nel bambino sano gradualmente nei primi cinque anni di vita.
L’integrazione multisensoriale più completa, ottenuta tramite la capacità di un più
ricco frazionamento dei diversi segmenti dell’asse corporeo, richiede tempi
decisamente più lunghi, fino a sei anni.
Laszlo e Bairshow (1985) ritengono, inoltre, che le informazioni cinestesiche siano
significative a tutti i livelli di organizzazione motoria: inizialmente segnalano la
posizione degli arti, poi sono una traccia di esperienze precedenti per la
progettazione e provvedono all’informazione di feedback.
Infine si può supporre che, la stabilità e l’orientamento adeguato dello sguardo, del
capo e del corpo durante il cammino, siano raggiunti in virtù del frazionamento del
corpo, attraverso molteplici correlazioni tra sistema visivo, vestibolare e
somestesico (Puccini P., 2003).
37
CAPITOLO III
Le paralisi cerebrali infantili…non solo un problema motorio
3.1 IL CONCETTO DI PARALISI CEREBRALE INFANTILE
La Paralisi Cerebrale Infantile (PCI) è un turba persistente, ma non immutabile, della
postura e del movimento dovuta ad alterazioni della funzione cerebrale per cause
pre, peri- o post-natali, prima che se ne completi la crescita e lo sviluppo.
La sua specificità risiede nel momento temporale dell’incidenza dell’evento
patogeno; poiché lo sviluppo del sistema nervoso prosegue dopo la nascita, ogni
alterazione patologica che lo interessi incide anche sulla sua maturazione,
rallentandola. La condizione che ne consegue è detta dismaturativa e accompagna
sempre le PCI. Quindi nelle PCI più che di “decorso” è opportuno parlare di
“percorso”. Quasi tutte le PCI, se osservate in età precoce, manifestano un quadro
di tipo aposturale, definito come “floppy baby”, destinato ad evolvere, in tempi e
con modalità specifiche, verso le singole forme mature.
Le eziologie sono molteplici e sovente agiscono in modo associato nel determinare
la singola condizione clinica. In relazione al fenomeno della vulnerabilità del cervello
nello sviluppo, esse conducono a differenti conseguenze a seconda dell'epoca in cui
intervengono: prima della 20esima settimana di età concezionale si realizzano
malformazioni cerebrali, tra le 26esima e la 30esima settimana si ha soprattutto una
peculiare sofferenza della sostanza bianca periventricolare, sia nel feto che nel
neonato pretermine; alla fine del terzo trimestre e nel periodo perinatale nel
neonato a termine si osserva un danno prevalente a livello corticale e dei nuclei
della base. A seconda dell'età in cui si realizzano, si distinguono:
- fattori prenatali: di ordine genetico, includendo le cromosomopatie e le
malformazioni cerebrali, e di ordine acquisito, quali le infezioni, i disturbi vascolari e
l'insufficienza placentare;
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- fattori perinatali: soprattutto le condizioni che determinano traumi e asfissia da
parto, infezioni, ipoglicemia severa, ittero da parto;
- fattori postnatali: encefaliti e meningoencefaliti, traumi cranici maggiori, stato di
male convulsivo, incidenti cerebro-vascolari.
In generale, nel determinare la PCI concorrono più condizioni che un singolo evento.
Nell'ambito di questa cofattorietà patogenetica, vanno considerati due fattori
predisponenti: la prematurità e il ritardo di crescita intrauterina.
La prematurità è oggi la causa più frequente di PCI spastiche.
Tra i disturbi neuromotori che si manifestano clinicamente nei primi anni di vita, la
PCI rappresenta il quadro clinico più importante, per la sua gravità ed anche per la
sua frequenza. L’incidenza di tale patologia è del 2-2,5 ogni mille nati, ma negli
ultimi anni, grazie al miglioramento delle tecniche di assistenza intensiva neonatale,
è in calo.
Accanto al mutamento del panorama di incidenza si è verificata anche
un’importante evoluzione del concetto di PCI, attualmente non più considerata
come una pura alterazione del tono muscolare e dei riflessi osteotendinei, ma come
un’entità clinica complessa che si esprime con diverse modalità caratteristiche. Per
il sistema nervoso del bambino la paralisi non è infatti solo un difetto di organi,
apparati o strutture, ma è un diverso funzionamento, una diversa modalità di azione
e di organizzazione di un sistema, che continua a cercare soluzioni all’esigenza
esterna di modificare l’ambiente in cui vive e a quella di adattarsi ad esso. Il
problema principale della paralisi è rappresentato, dunque, dalla necessità di
riorganizzare le funzioni, cui consegue un riassetto generale del sistema che
coinvolge tutti gli aspetti dello sviluppo e rende originale ciascun soggetto rispetto
agli altri. Perciò, il concetto di paralisi si riferisce non a un qualcosa che manca, ma
piuttosto a un qualcosa che si sviluppa in maniera diversa, nel tentativo di
relazionarsi con l’ambiente esterno.
Il pensare alla paralisi come un problema di interazione tra l’individuo e l’ambiente,
piuttosto che di muscoli e movimenti, rappresenta un rovesciamento
dell’interpretazione.
Anche se la PCI viene ancora definita come “una turba persistente della postura e
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del movimento”, risulta molto difficile pensare che il fenomeno possa essere
analizzato in maniera esauriente solo sul piano dell’alterazione del movimento,
anche quando questo sembra essere il sintomo principale.
Per comprendere al meglio la PCI dobbiamo necessariamente imparare ad utilizzare
altri parametri di osservazione oltre a quello motorio, quali il punto di vista
percettivo e quello dell’intenzionalità, perché solo dall’integrazione di essi nasce la
complessità della patologia.
Giudicare la paralisi dal punto di vista motorio consiste nell’analizzare il repertorio
di movimenti posseduti dal paziente e dall’utilizzo che sa farne.
L’idea comune che la PCI sia un problema esclusivamente motorio non tiene conto
di un processo fondamentale: per compiere movimenti specializzati dobbiamo
saper raccogliere informazioni specifiche e per raccogliere informazioni specifiche
abbiamo bisogno di movimenti specializzati.
Solo l’integrità del sistema percettivo, dunque, garantisce la miglior prestazione a
livello motorio e, laddove sia presente un disturbo percettivo, la motricità sarà
espressa attraverso strategie di movimento o molto semplificate o vincolate ad un
unico percorso. Ma il problema non risiede solo nella raccolta delle informazioni;
spesso, infatti, i piccoli pazienti hanno le potenzialità per percepire i dati necessari e
l’incapacità risiede nel prestare attenzione alle informazioni raccolte o, in molti casi,
nel tollerarle. Solo pensando ad una paralisi anche percettiva si riesce a
comprendere la scelta di non muoversi di alcuni bambini, che preferiscono stare
fermi piuttosto che sopportare il disagio provocato dal movimento.
La PCI è anche un problema di volontà, intenzione, interesse, partecipazione,
curiosità e creatività. Il piacere dell’agire e l’agire come piacere rappresentano un
elemento importante nel condizionare l’intenzionalità e la propositività del
paziente. Il concetto di intenzionalità raccoglie in sé anche l’emozione che il
paziente prova nel compiere una determinata azione: soltanto chi prova piacere
nell’agire continua a modificare in senso adattivo le proprie funzioni per
raggiungere un risultato che sia sempre più adeguato ai compiti che lo sviluppo
richiede.
Secondo A. Ferrari (1990), le PCI vengono classificate a seconda delle parti del corpo
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coinvolte, del reclutamento tonico prevalente e delle caratteristiche del
movimento.
Tale classificazione prevede:
- Coinvolgimento dei quattro arti, capo e tronco  tetraparesi; quest’ultima in base
alle caratteristiche del movimento, si suddivide in: spasticità, atetosi e atassia;
- Coinvolgimento di un lato  emiparesi;
- Coinvolgimento degli AAII  diplegia.
A. Milani Comparetti (1978) differenzia il movimento in: povertà di movimento e
disordine.
Analizziamo meglio il quadro della tetraparesi che è la patologia sulla quale sono
fondati gli studi di questa tesi; le caratteristiche principali che possiamo incontrare
sono la difficoltà nelle competenze antigravitarie con conseguente povertà di
movimento o la scarsa modulazione del movimento da cui deriva la stereotipia dello
stesso.
L’alterazione della stiffness muscolare può essere grave con ipertonia costante
presente in tutti i distretti corporei, moderata con ipertonia modificabile in base al
compito e all’ambiente presente soprattutto nei segmenti distali o mista con
presenza di distonie.
A seconda dello schema patologico instaurato (estensorio o flessorio) possiamo
trovare: facies angosciata, capo esteso e bocca aperta, cingolo scapolare in
estensione, mani ad artiglio, tronco esteso, inspirazione forzata, arti inferiori estesi,
piedi supino-vari o valgo-pronati; oppure, spalle anteposte, gomiti flessi e mani
semiaperte, capo reclinato e bocca aperta se supino, capo e tronco flessi in avanti
se seduto, arti inferiori flessi spesso a colpo di vento.
In caso di sinergia estensoria le problematiche motorie saranno una risposta
antigravitaria dalla flessione all’estensione, la retropulsione del capo e del tronco, la
mancanza di patterns ritmici, la permanenza di comportamenti motori dominati dai
riflessi e gli arti superiori incompetenti per la manipolazione; se la sinergia è
flessoria ci sarà assenza di locomozione, di reazione positiva di sostegno, di
controllo ambientale e di manipolazione.
In entrambi i casi, infine, si potrà andare incontro a deformità future come la
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scoliosi, la lussazione dell’anca, le deformità articolari e dei piedi, le retrazioni
tendinee e gli arti a colpo di vento. Le problematiche respiratorie riguarderanno la
respirazione frequente e superficiale, il ristagno delle secrezioni, la tosse debole e le
infezioni respiratorie; quelle alimentari, la masticazione assente, la deglutizione non
competente, la scialorrea, il reflusso gastro esofageo e la stipsi ostinata.
3.2 LE ANOMALIE DELLO SGUARDO
Le anomalie dei movimenti oculari e dello sguardo, inteso come la risultante dei
movimenti degli occhi e della testa indirizzati all’esplorazione dell’ambiente,
rappresentano un’evenienza frequente nei soggetti con lesioni del SNC in età
evolutiva. In particolare, tali anomalie rivestono un grande interesse pratico nelle
paralisi cerebrali infantili. Si può trattare sia di alterazioni che sono presenti anche
in soggetti neurologicamente non compromessi, come i vari tipi di strabismo e di
nistagmo congenito, sia di anomalie peculiari, per lo più coniugate, bizzarre, spesso
imprevedibili nel loro susseguirsi con esacerbazioni critiche in corrispondenza di
stress fisici, di variazioni dello stato di vigilanza e dello stato emotivo.
Ai disturbi della motricità scheletrica si associano anomalie di sguardo, molto
frequenti e molto diversificate. Il comportamento dello sguardo mostra caratteri
tipici nei suoi tre momenti essenziali di rest (riposo), di reaching (atto di dirigere lo
sguardo verso un oggetto) e di fixing (fase della fissazione di un oggetto).
Fase di riposo (rest)
Le alterazioni più caratteristiche della fase di riposo sono costituite da movimenti di
tipo rowing, movimenti di tipo scanning e alterazioni della stabilizzazione. Nei
movimenti tipo rowing si ha un vagare continuo degli occhi senza nessuna
apparente organizzazione direzionale. I movimenti di tipo scanning sono ampie
oscillazioni degli occhi sul piano orizzontale. L’elemento più tipico notato in questi
bambini è l’instabilità di posizione, cioè l’assenza, in certi casi assoluta, di una
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posizione di riposo. Gli occhi oscillano costantemente in maniera irregolare intorno
ad essa.
Fase di indirizzamento dello sguardo (reaching)
Le alterazioni del reaching sono numerose e tipiche. Quando nel campo di visione
compare un oggetto di interesse, indirizzare lo sguardo verso di esso è un compito
estremamente difficile da eseguire in modo adeguato. Il bambino tenta di
raggiungere con lo sguardo il bersaglio, ma molto spesso non vi riesce. Durante
questo tentativo si possono verificare diversi fenomeni, che sono: l’avoiding, una
traiettoria degli occhi parabolica o ad arco, una traiettoria tipo curva a “chicane”, il
blink prolungato.
L’avoiding, che si osserva anche per la motilità scheletrica, a carico dello sguardo si
manifesta come una fuga degli occhi dal bersaglio, evocata dall’intenzione del
bambino di guardarlo. Spesso il passaggio degli occhi da un lato all’altro non avviene
con un movimento puramente orizzontale, ma seguendo una traiettoria arcuata,
passando dal basso verso l’alto, a volte preceduta da piccole oscillazioni orizzontali
simili al nistagmo. Lo stesso passaggio degli occhi da un lato all’altro non avviene
sempre con un movimento orizzontale continuo, ma in questo viene inserita una
“chicane”: gli occhi partono da una posizione laterale, si mantengono sul piano
orizzontale fino quasi a metà orbita, poi compiono una deflessione verticale in alto
o in basso, una successiva in direzione opposta per poi continuare il movimento sul
piano orizzontale. Talora, infine, il passaggio dello sguardo da un oggetto all’altro, è
accompagnato da una prolungata chiusura delle palpebre che dura dall’inizio del
tentativo di reaching fino alla fine della traiettoria.
Fase di fissazione (fixing)
Anche la fissazione e il suo mantenimento presentano gravi alterazioni che
possiamo identificare come: esotropia, exotropia, nistagmo manifesto latente e
nistagmo pendolare, spasmo in convergenza, blocco in lateroversione, overreacihng
dello sguardo, instabilità di fissazione.
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Nelle PCI frequentissimo è il riscontro di deviazioni concomitanti, simili a quelle che
si trovano anche in bambini non affetti. Molto spesso la deviazione è in
convergenza. Si tratta di una esotropia che si presenta sovente con caratteri che la
fanno assomigliare all’esotropia infantile. In molti casi, invece, e con una frequenza
nettamente superiore a quella riscontrabile nella popolazione di controllo, la
deviazione dei bulbi oculari è in divergenza, cioè in exotropia. Come nelle deviazioni
oculari ad insorgenza precoce, è possibile osservare un nistagmo di tipo manifestolatente, con scossa rapida diretta verso il lato temporale dell’occhio fissante e che
aumenta con l’occlusione. La presenza di un nistagmo pendolare si accompagna
spesso con una compromissione delle vie ottiche, ma può anche essere isolata. Si
notano a volte improvvisi aumenti della esodeviazione, definibili come spasmo di
convergenza, scarsamente legati allo stimolo accomodativo e in genere ripetuti e di
breve durata. Talora gli occhi appaiono come bloccati in lateroversione estrema,
condizione anche questa solitamente fugace che non appare finalizzata alla
riduzione di un nistagmo, tanto che la testa è in genere ruotata dallo stesso lato
della deviazione oculare. Nell’overreaching dello sguardo gli occhi cercano di
arrestarsi sull’oggetto di interesse, in realtà lo superano, per poi ritornare su di
esso. La fissazione è comunque di brevissima durata. Non è quasi mai possibile, per
le complesse alterazioni che abbiamo visto, il mantenimento di una fissazione
prolungata. Molto presto gli occhi si allontanano dal punto di fissazione, ricompare
la motricità caotica della posizione di riposo, seguita poi da un nuovo, complesso,
tentativo di reaching per reindirizzare lo sguardo sull’oggetto e quindi ancora una
qualche modalità di fissazione e così via di seguito.
Evoluzione delle anomalie di sguardo
Un altro elemento di grande rilievo nelle PCI è la presenza di almeno tre fasi
evolutive nello sviluppo della loro complessa oculomotricità.
Nella prima fase il bambino tiene preferenzialmente gli occhi in condizione di riposo
con scarsi tentativi di reaching e fissazione brevissima limitata pochi attimi. Le
alterazioni tipiche della fase di riposo sono pertanto molto evidenti. Spesso è
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presente un vero e proprio caos dello sguardo.
Nella seconda fase il bambino acquisisce un miglior controllo della motricità oculare
in fase di riposo, il reaching è più frequente e la fissazione più prolungata. È ancora
evidente l’avoiding dello sguardo. Questa fase coincide con un tentativo, anche se
parziale, di strutturazione dell’atteggiamento motorio globale e, in genere, con un
aumento dell’interesse per gli oggetti, le persone e l’ambiente da parte del
bambino. È possibile che anche la motricità oculare, pur restando patologica,
risenta di questa maggiore strutturazione.
Compaiono, infine, modalità di reaching e di fissazione tipiche del soggetto che si
“specializza” in alcune strategie di sguardo, che pur restando patologiche, sono
però più funzionali di altre. Si tratta della terza fase in cui la sintomatologia oculare
si attenua potendo residuare, apparentemente, anche solo un eso- o exodeviazione
ad angolo variabile.
Permangono anomalie dello sguardo caratterizzate da una certa viscosità nel
pursuit, latenza del reaching, tendenza allo sguardo laterale.
Al di là dell'aspetto strettamente motorio, l'handicap del paziente si connota per un
complesso di disturbi variamente associati e di differente intensità quali la
compromissione cognitiva, l'epilessia e i disturbi comportamentali.
3.3 I DISTURBI VISIVI
Nelle paralisi cerebrali infantili (PCI) oltre ai più classici segni neuromotori si
associano altri segni sia di natura periferica che centrale, che aggravano il quadro
generale del bambino.
DISTURBI VISIVI PERIFERICI:
Strabismo: anomala posizione degli assi visivi evidente in condizioni statiche o
dinamiche (nei vari campi di sguardo) per cui si determina un’ alterazione dei
normali rapporti tra i due occhi (movimenti coniugati di convergenza e divergenza)
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e della visione binoculare (diplopia, disturbi dell’ampiezza fusiva e del senso
stereoscopico, soppressione, anomala corrispondenza retinica, ambliopia) (Esente,
1962). Si classifica in strabismo convergente se un occhio devia verso l’interno;
divergente se devia verso l’esterno; verticale se l’occhio devia verso l’alto o verso il
basso. Lo strabismo concomitante (dovuto a difettosa inserzione dei muscoli
oculari), presente nel 2-3% della popolazione infantile normale, è stato rilevato nel
45-47% dei casi di PCI (Douglas, 1961). Lo strabismo è assai più frequente nelle PCI
rispetto ad altre cerebropatie in genere. Il rapporto strabismo
convergente/divergente è di circa 3/1 (Toselli e Miglior, 1979).
Nistagmo: oscillazione ritmica bulbare in senso orizzontale, verticale, rotatoria o
mista, evidente in condizioni statiche o dinamiche, solitamente bilaterale (Esente,
1962). E’ generalmente dovuto a lesione dei meccanismi riflessi che controllano,
tramite connessioni cerebellari, i movimenti oculari coniugati. In linea generale il
nistagmo può essere:
- Pendolare: movimenti ondulatori di uguale ampiezza e velocità;
- Fasico o a scosse: con una fase lenta in una certa direzione e una rapida nella
direzione opposta;
- Irregolare.
Quando si parla di nistagmo nelle PCI, nel 90% dei casi si tratta di nistagmo paretico
con valore di paresi centrale di sguardo (Sabbadini e Bonini, 1993). E’ un falso
nistagmo che compare quando vi è un deficit della muscolatura oculare estrinseca;
si manifesta in un solo occhio quando lo sguardo viene diretto verso il lato del
muscolo paretico.
DEFICIT DELL’ACUITA’ VISIVA DA OSTACOLI PERIFERICI:
Cataratta: consiste nell’opacizzazione del cristallino e nell’ostruzione del foro
pupillare.
Coloboma: perdita di sostanza per lo più a carico delle membrane oculari ed
annessi, congenita o acquisita.
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Fibroplasia Retrolenticolare: affezione quasi esclusiva dei prematuri, causata dalla
somministrazione ad alte dosi di ossigeno che agisce sui vasi immaturi della retina
provocando inizialmente edema ed infiltrazione ematica; nella fase cicatriziale si ha
atrofia e fibrosi.
Atrofia Ottica: ridotto trofismo del nervo ottico e della sua papilla. E’ in genere
associata a segni clinici gravi di PCI, con diminuzione del visus e grave deficit
mentale.
VIZI DI RIFRAZIONE comprendono:
-
Miopia: i raggi luminosi provenienti da oggetti lontani convergono in un
fuoco situato anteriormente al piano della retina. Ciò dipende più spesso da
un’eccessiva lunghezza dell’asse antero-posteriore del bulbo; raramente da un
eccessivo potere di rifrazione del cristallino (Guyton, 1978);
-
Ipermetropia: i raggi luminosi convergono posteriormente al piano della
retina. Dipende sia dalla brevità dell’asse antero-posteriore del bulbo, sia da un
debole potere di rifrazione;
-
Astigmatismo: dipende dal fatto che la cornea, o più raramente il cristallino,
hanno forma oblunga. Si hanno due linee focali principali separate fra loro da un
intervallo focale, la cui lunghezza è la misura del grado di astigmatismo;
-
Paralisi periferiche o strabismi paralitici: riguardano circa il 4% dei casi di
PCI (contro il 2% della popolazione normale) (Sabbadini e Bonini, 1986). Sono
dovute a lesioni dei nervi cranici oculomotori (III, IV e VI).
DISTURBI VISIVI CENTRALI:
Emianopsia: perdita della visione di una metà del campo visivo di uno o di entrambi
gli occhi. Indica più spesso l’esito di una lesione di un singolo punto delle vie ottiche;
se la lesione è a livello del chiasma ottico, si avrà emianopsia bitemporale.
Paralisi Centrali Di Sguardo: si riferiscono ad una lesione sopranucleare delle vie
fronto-mesencefaliche ed occipito-mesencefaliche (dalla corteccia fino ai nuclei del
III, IV e VI paio di nervi cranici nel mesencefalo e nel ponte) e delle connessioni
47
occipito-frontali.
Dalla letteratura neurologica e neuro-oftalmologica (Walsh, 1957; Hoyt e Derolf,
1971; Miller, 1985) si ricava la seguente suddivisione:
-
Paralisi pontina: paralisi verso destra o verso sinistra;
-
Paralisi mesencefalica: paralisi verticali;
-
Paralisi internucleare del fascicolo longitudinale mediale: paralisi
dell’adduzione o dell’abduzione di un solo occhio;
-
Aprassia di sguardo corticale frontale.
DISTURBI DELL’ORIENTAMENTO SPAZIALE:
Disagnosia Spaziale: i sintomi comprendono l’incapacità di localizzare bersagli e
oggetti, di riconoscere luoghi e percorsi, di dare un giudizio sulla direzione, sulla
misura dello spazio, del tempo e della velocità. Si associa talora “atassia ottica” e
disturbi della discriminazione delle forme.
DISTURBI DELLA PERCEZIONE SOCIALE:
Dispercezione Sociale: incapacità di riconoscere il valore emozionale delle
espressioni facciali e dei gesti, valutati visivamente dal vero o sulle figure
(Sabbadini, 1992).
Simultanagnosia: visione parcellare con incapacità di interpretare il significato
globale di una scena.
DISTURBI CONGENITI DEL RICONOSCIMENTO VISIVO: possono essere secondari a
disturbi della percezione visiva, oppure a disturbi dell’esplorazione visiva.
DISTURBI DELLA PERCEZIONE VISIVA: sono riassumibili nel concetto di “Cecità
Corticale Congenita” che rappresenta però un termine ambiguo perché, nei casi
citati dalla letteratura, non vi è perdita totale della vista e i bambini riescono quasi
sempre a localizzare oggetti anche piccoli.
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Per questo motivo alcuni autori (Pierro, 1984; Cannao, 1984; Weiskrantz, 1989)
considerano molto incerti i confini tra cecità corticale ed “Agnosia Visiva
Congenita”, nell’adulto, ma soprattutto nel bambino. Si riconoscono in genere una
“agnosia appercettiva” ed una “agnosia associativa” che comportano
rispettivamente deficit della categorizzazione percettiva e di quella semantica.
DISTURBI DELL’ESPLORAZIONE VISIVA:
Si identificano con l’Aprassia Congenita di Sguardo di Cogan (Cogan , 1952), le cui
caratteristiche sono:
-
paralisi dello sguardo volontaria orizzontale (conservata la funzionalità
verticale);
-
conservati i random eye movements;
-
occhi fissi, iperfissazione;
-
spasmi in fissazione;
-
scatti compensatori orizzontali, tics simili del capo, ammiccamenti;
-
altri segni neurologici assenti o di lieve entità o non menzionati
Le patologie della funzione visiva qui citate, comportano problemi sia di ordine
motorio che cognitivo e devono pertanto essere valutate ed identificate con
sicurezza.
49
CAPITOLO IV
Il sistema visivo come costruttore di informazioni
4.1 LA PERCEZIONE COME MEZZO PER CONOSCERE
La percezione può essere definita
come l'insieme dei processi per
mezzo dei quali riconosciamo,
organizziamo e diamo un senso alle
sensazioni relative alla molteplicità
degli stimoli ambientali. Talvolta non
possiamo percepire quello che esiste
realmente; è anche vero che altre
volte percepiamo cose che in realtà
non esistono. Così a volte non
percepiamo quello che in realtà c'è, e altre volte percepiamo quello che non c'è.
L'esistenza delle illusioni percettive suggerisce che ciò che vediamo (a livello dei
nostri organi di senso per la visione) non corrisponde necessariamente al risultato
che otteniamo (nella nostra mente). La nostra mente deve manipolare questa
informazione tale da creare delle rappresentazioni mentali degli oggetti e poter
definire le proprietà e le relazioni spaziali tra i diversi ambienti. Quali sono i principi
che guidano le nostre percezioni? Dobbiamo esaminare alcuni indizi che ci portano
a poter identificare uno spazio tridimensionale partendo da un' informazione
sensoriale bidimensionale.
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La percezione della profondità
Muovendoci nello spazio che ci circonda, guardiamo intorno di continuo e ci
orientiamo visivamente in uno spazio tridimensionale. Quando guardiamo avanti
percependo le distanze, stiamo proiettando lo sguardo nel senso della terza
dimensione, quella della profondità. Ogni volta che ci spostiamo, afferriamo o
manipoliamo oggetti siamo necessariamente impegnati in giudizi relativi alla
profondità.
Come riusciamo a percepire uno spazio tridimensionale quando i recettori sensoriali
delle nostre retine mappano soltanto una rappresentazione bidimensionale di
quello che vediamo?
Uno degli aspetti che ci confondono è la percezione di indizi di profondità
contraddittori relativi a sezioni differenti per esempio della figura. Gli indizi di
profondità sono sia monoculari che binoculari: i monoculari possono essere
rappresentati in solo due dimensioni, come in un quadro; i binoculari sono basati
sulla recezione di informazione sensoriale da parte di entrambi gli occhi. L'idea
chiave alla base degli indizi di profondità binoculari è che i nostri due occhi sono
posizionati a una distanza reciproca sufficiente per trasmettere due tipi di
informazione al cervello: la disparità binoculare e la convergenza binoculare. Noi
facciamo affidamento sugli indizi di profondità basati sulla disparità binoculare, in
base alla quale i due occhi inviano al cervello immagini di differenza crescente
quanto più gli oggetti si avvicinano a noi; il nostro cervello interpreta il grado di
disparità come un'indicazione della distanza degli oggetti. Nel caso di oggetti che
vediamo in punti dello spazio relativamente vicini, facciamo uso di indizi di
profondità basati sulla convergenza binoculare. Nella convergenza binoculare i due
occhi ruotano sempre di più verso l'interno all'avvicinarsi degli oggetti, e il cervello
interpreta questi movimenti muscolari come indicazioni di distanza.
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Le costanze percettive
Quando gli oggetti si avvicinano a noi, percepiamo cambiamenti nella profondità:
come mai gli oggetti diventano sempre più grandi, ma rimaniamo convinti che sono
rimasti della stessa grandezza? La costanza apparente della grandezza rappresenta
un esempio di costanza percettiva. Quest’ultima opera quando la nostra percezione
di un oggetto rimane la stessa anche quando le nostre sensazioni immediate
relative a quell'oggetto cambiano. La sensazione immediata dell'oggetto
corrisponde allo stimolo prossimale interno, così come esso è registrato dai
recettori sensoriali retinici. Lo stimolo distale esterno corrisponde all'oggetto, inteso
come un'entità del mondo esterno. Sappiamo dall'esperienza che le caratteristiche
fisiche degli oggetti distali esterni non cambiano, e questa consapevolezza influenza
la nostra interpretazione dello stimolo prossimale. La percezione rimane quindi
costante anche quando la sensazione cambia. La costanza di grandezza consiste
nella percezione stabile della grandezza di un oggetto nonostante cambiamenti
nella grandezza dello stimolo prossimale. La grandezza di un'immagine sulla retina
dipende direttamente dalla distanza dall'occhio di un dato oggetto; lo stesso
oggetto a due distanze differenti proietta sulla retina immagini di dimensioni
differenti. Come la costanza di grandezza, anche la costanza di forma è legata alla
percezione delle distanze, ma in modo differente. La costanza di grandezza
coinvolge la distanza di un oggetto percepita da un osservatore, mentre la costanza
di forma coinvolge la distanza di parti differenti dell'oggetto percepita
dall'osservatore.
52
L’approccio della Gestalt alla percezione della forma
Si basa sull'idea che il tutto è diverso dalle sue parti individualmente considerate.
L'approccio della Gestalt è utile per comprendere come percepiamo gruppi di
oggetti o anche parti di oggetti per formare totalità intere. In accordo con la legge
della pregnanza, tendiamo a concepire ogni dato come un insieme di diversi
elementi visivi che se assemblati definiscono una forma stabile e coerente,
piuttosto che come un miscuglio di sensazioni indefinite e disorganizzate.
Tendiamo, ad esempio, a percepire una data figura come focale e altre sensazioni
come componenti uno sfondo della figura su cui la nostra percezione si è
focalizzata. Per figura si intende qualunque oggetto percepito come in rilievo, quasi
sempre in contrasto a qualche tipo di sfondo. I principi della Gestalt relativi alla
percezione della forma sono la percezione di figura-sfondo, la profondità, la
somiglianzailianza, la chiusura, la continuità e la simmetria. Ciascuno di questi
principi è coerente con la legge della pregnanza, nel senso che ciascuno di essi
evidenzia come tendiamo a percepire gli insiemi di elementi visivi nel modo che
organizza con la maggiore semplicità possibile i diversi elementi in una forma stabile
e coerente. Nel guardare l'ambiente che ci circonda tendiamo a percepire
raggruppamenti di oggetti vicini (prossimità) o di oggetti simili (somiglianza), oggetti
completi piuttosto che parziali (chiusura), linee continue piuttosto che le linee
discontinue (continuità), e configurazioni simmetriche piuttosto che asimmetriche.
53
4.2 L’INFORMAZIONE: LA TEORIA DI BATESON
La teoria batesoniana dell’informazione può essere sintetizzata nell’aforisma: “la
differenza è informazione”.
La percezione si fonda sulla differenza, e ricevere un’informazione vuol dire sempre
e necessariamente ricevere la notizia di una differenza.
Quindi si parla di informazione quando una differenza fisica (cioè dell’ambiente
esterno) genera una differenza cognitiva.
Giovanni Madonna, studioso di Bateson, distingue oltre all’informazione per
differenza anche quella per somiglianza, sottolineando come la conoscenza possa
essere interpretata come il risultato della possibilità di cogliere nell’ambiente
somiglianze e differenze.
-
L’informazione per differenza:
Bateson distingue due tipi di differenze: la prima è la differenza tra due
elementi messi in relazione tra di loro (due immagini di visi di cui uno
sorridente ed uno triste), la seconda è la differenza tra un elemento
nell’istante 1 e lo stesso elemento nell’istante 2 (cambiamento che avviene
nel tempo, uno stimolo luminoso che all’inizio è in un punto e dopo in un
altro);
-
L’informazione per somiglianza:
La percezione si fonda anche sulla somiglianza. Nel mondo del processo
mentale anche le somiglianze possono generare eventi.
La capacità di cogliere continuità e risonanza tra gli eventi esterni
contribuisce a dare un significato a ciò che il soggetto percepisce.
54
4.3 IL PROBLEM SOLVING
E’ necessario superare degli ostacoli per rispondere ad una certa domanda o
raggiungere un determinato obiettivo. Infatti, quando una certa risposta o soluzione
è facilmente recuperabile in memoria, non ci si trova davanti a un problema.
Quando invece ciò non è possibile, ci si imbatte allora con un problema da risolvere.
I passi del ciclo della soluzione dei problemi comprendono:
- Identificazione del problema: per quanto possa sembrare strano, a volte un passo
difficile è il riconoscere che una certa situazione implica un problema. E' possibile
infatti non riconoscere un certo fine, oppure che il percorso verso un nostra meta
presenta ostacoli, oppure che la situazione che si aveva in mente non funziona.
- Definizione e rappresentazione del problema: una volta che l'esistenza del
problema è stata riconosciuta, allo scopo di capire come risolverlo è necessario
definire e rappresentare il problema in modo adeguato. L'operazione della
definizione del problema è cruciale; infatti, se un certo problema viene definito in
modo impreciso o inadeguato, diminuisce la probabilità di risolverlo.
- Formulazione di una strategia: una volta che il problema è stato definito in modo
operativo, il passaggio successivo consiste nel pianificare una strategia di soluzione.
La strategia può implicare l'analisi, ossia la scomposizione del problema complesso
nel suo insieme in elementi su cui si può operare più facilmente. Una strategia
alternativa, o addizionale, potrebbe essere basata sul processo complementare
della sintesi, che consiste nel mettere insieme i diversi elementi per comporli in
modo utile. Un'altra coppia di strategie complementari implica le forme divergente
e convergente del pensiero. Nel pensiero divergente si tenta di generare un insieme
diversificato di soluzioni possibili del problema. Una volta considerate le varie
possibilità, è tuttavia necessario fare ricorso al pensiero convergente allo scopo di
limitare le molteplici possibilità e convergere sulla risposta migliore, o perlomeno
sulla risposta che si pensa rappresenti la soluzione più probabile da verificare come
prima.
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- Organizzazione dell'informazione: una volta che la strategia di soluzione è stata
definita, si può passare ad organizzare l'informazione disponibile in modo da
applicare la strategia. L'informazione viene organizzata in un quadro strategico,
individuandone una rappresentazione tale da permettere di applicare nel modo
migliore la strategia scelta.
- Monitoraggio: un uso prudente del tempo comprende il monitoraggio nel periodo
del processo di soluzione. I solutori efficaci, dopo aver scelto un certo percorso di
soluzione, non aspettano di arrivarne alla fine prima di verificare dove ha portato,
ma eseguono verifiche frequenti, controllando di procedere verso l'obiettivo.
- Valutazione: oltre al monitoraggio del problema durante il processo di soluzione, è
necessario valutare la soluzione una volta che questo processo ha avuto termine.
Durante la valutazione possono essere riconosciuti nuovi problemi, possono
emergere nuove strategie, possono essere resi disponibili nuove risorse o le risorse
esistenti possono essere usate in modo più efficace.
Il ciclo è completo quando conduce a nuovi insight e quando inizia di nuovo.
La creatività può servire per scopi diversi dalla soluzione di problemi.
L'attività di soluzione dei problemi è implicata quando è necessario superare degli
ostacoli per rispondere ad una certa domanda o raggiungere un determinato
obiettivo. Infatti, quando una certa risposta o soluzione è facilmente recuperabile in
memoria, non ci si trova davanti a un problema. Quando invece ciò non è possibile,
ci si imbatte allora con un problema da risolvere.
È necessario che il solutore del problema consideri lo stato iniziale (stato problema)
e lo stato meta (soluzione) all'interno di uno spazio problemico, che rappresenta
l'universo di tutte le possibili azioni che possono essere eseguite per risolvere un
certo problema.
Secondo questo modello, la strategia fondamentale per la soluzione dei problemi è
quella di scomporre un problema-compito in una serie di passi che conducono alla
fine alla soluzione di quel problema.
Ciascuno passo implica un insieme di regole relative alle procedure (operazioni).
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Gli insiemi di regole sono organizzati gerarchicamente in programmi che
contengono diversi livelli interni di sotto-programmi.
Molti dei programmi di livelli più bassi consistono in algoritmi, che sono sequenze di
operazioni eseguibili in modo ricorsivo (ripetibili più volte). La mente umana non
riesce ad eseguire le computazioni ad alta velocità delle molteplici combinazioni
possibili; avendo riconosciuto questi limiti, Newell e Simon hanno suggerito che gli
esseri umani devono usare delle scorciatoie mentali per risolvere i problemi.
57
CAPITOLO V
La valutazione del sistema visivo
5.1 DAI PREREQUISITI TEORICI ALLA SCHEDA DI VALUTAZIONE DEL
SISTEMA FUNZIONALE DELL’ESPLORAZIONE VISIVA
Per la funzione visiva è necessario fissare gli occhi su un oggetto, inseguire con gli
occhi l’oggetto in movimento, muovere liberamente gli occhi per cercare l’oggetto
(Bonini e coll., 1982).
La fissazione è una funzione riflessa e consiste nella capacità di piazzare e
mantenere la fovea su un oggetto. Nei bambini con paralisi cerebrale infantile la
fissazione può risultare instabile e lo sguardo può apparire caotico od erratico.
Questa funzione può essere allenata con l’utilizzo di stimoli interessanti, se
necessario illuminati, allontanando molto lentamente lo stimolo dagli occhi del
bambino fino a quando non si è sicuri che lo stia fissando. Una volta appurato che il
bambino è in grado di fissare, si può svolgere la prova detta del fixation shift con e
senza competizione. La prova con competizione, da effettuarsi dopo i tre mesi di
vita, consiste nel favorire lo spostamento della fissazione da un oggetto a un altro,
entrambi posti di fronte al bambino. La fixation shift senza competizione si esegue
invece presentando uno stimolo nel campo visivo periferico mentre il bambino
mantiene la fissazione su un bersaglio posto al centro del campo visivo.
Si prosegue con la valutazione dei movimenti di inseguimento degli occhi e del capo
in orizzontale, verticale, diagonale e circolare descrivendone la qualità (fluidi, a
scatti, completi, incompleti).
Anche l’inseguimento è una funzione riflessa (fissazione in movimento lento) ed è la
capacità di mantenere la fovea su un oggetto che si muove lentamente, oppure nel
mantenere la fissazione mentre il capo ruota lentamente. I movimenti di
inseguimento sono inscindibili dalla fissazione, e sono lenti, continui, non a scatti.
Quando il movimento dello sguardo è veloce, l’inseguimento è a scatti ed è
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realizzato con movimenti saccadici.
I movimenti saccadici servono a far convergere le radiazioni luminose nella fovea;
costituiscono un rapido e continuo movimento di contrazione e di decontrazione
dei gruppi muscolari tra loro interagenti (Frascarelli, 1998).
I movimenti saccadici si valutano:
-
Dalla linea mediana verso destra;
-
Dalla linea mediana verso sinistra;
-
Dal centro verso l’alto;
-
Dal centro verso il basso;
-
Attraverso la linea mediana.
Nei bambini con danno cerebrale la latenza dei movimenti saccadici può essere
eccezionalmente lunga, sia per la difficoltà di staccarsi dal precedente punto di
fissazione, sia per la difficoltà di planning motorio. Alcuni bambini con problemi
motori non sono in grado di effettuare i movimenti saccadici attraverso la linea
mediana o dall’alto e dal basso verso la linea mediana.
La presenza di tali movimenti è un prerequisito fondamentale per esplorare
visivamente un oggetto in quanto l’esplorazione visiva consiste in una serie di
fissazioni rapidissime per cogliere più informazioni dallo stesso oggetto; si valuterà
quindi se l’esplorazione visiva avviene spontaneamente o solo su richiesta, se è
presente in tutte le direzioni o se alcune vengono escluse, se avviene con tutti gli
stimoli e se il bambino utilizza una strategia particolare.
Lo spostamento dello sguardo da un oggetto a un altro di una serie di oggetti posti a
distanza angolare inferiore a 15° (cioè distanziati di circa 5cm) può essere definita
“arrampicamento” (Fazi e coll., 1998).
In queste condizioni si può presumere che la macula possa prendere fissazione
sull’oggetto successivo, senza perdere quella sull’oggetto precedente (così la
regione maculare comprende contemporaneamente i due oggetti, o un’intera serie
di “faccette” proposte) (Sabbadini e Bonini, 1986).
Un altro elemento da valutare è la coordinazione oculo-manuale, osservando se il
bambino guarda l’oggetto proposto sotto il controllo visivo, con quale mano afferra
spontaneamente e con quale modalità, se mentre afferra fissa l’oggetto e se la
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presa avviene in ogni zona del campo visivo. Inoltre è bene osservare la precisione
per profondità e localizzazione, se la coordinazione oculo-manuale è migliore con
oggetti di grandi dimensioni e a quale distanza si riscontrano meno difficoltà. Infine,
è necessario osservare la qualità della manipolazione dell’oggetto dopo
l’afferramento: si annoterà se mentre il bambino lo esplora continua a guardarlo o
se in seguito il contatto visivo viene escluso, se esplora l’oggetto tattilmente,
uditivamente e visivamente in modo separato, se riesce ad integrare
contemporaneamente i tre tipi di informazione sensoriale.
Poiché la funzionalità visiva può cambiare a seconda della postura è necessario
valutare e osservare il bambino in varie posizioni (supino, prono, decubito laterale,
seduto, carponi, in stazione eretta e mentre deambula) in modo da osservare qual’
è la postura che favorisce il miglior utilizzo della vista. Spesso si lavora in posizione
supina con i bambini che non hanno un buon controllo di capo e tronco e in
decubito laterale per favorire la prensione, per esempio nei bambini distonici (Fazi e
coll., 1998). La valutazione dell’esplorazione visiva si basa quindi sull’osservazione
delle azioni effettuate dal bambino durante diversi compiti cognitivi che hanno
come oggetto comune il sistema visivo. Questa proposta di esame del
“comportamento di esplorazione oculare” permette di identificare il livello
evolutivo raggiunto dalle componenti del sistema funzionale dell’esplorazione visiva
e della loro coordinazione, che consente una delle più ricche interazioni con
l’ambiente. Certi del fatto che la valutazione di come il bambino sa orientarsi di
fronte alle varie fonti di interesse visivo presenti nel mondo circostante non può
essere limitata all’analisi del movimento quantificabile come reclutamento di unità
motorie o come espressione di attività riflessa, si ritiene fondamentale la
valutazione delle capacità di modificare il comportamento in rapporto alle diverse
esigenze conoscitive. Solo all’interno di questo modo di vedere trovano adeguata
collocazione i concetti di livello di sviluppo e di area di sviluppo potenziale. Spesso,
per esempio, la sequenza di inseguimento oculare che deve essere combinata con il
movimento di rotazione del capo nell’esplorazione più ampia del mondo
circostante, rimane parziale perché il bambino non riesce ad inibire l’attività riflessa
(riflesso tonico asimmetrico del collo) in funzione delle informazioni che deve
60
acquisire. Non è sufficiente, per il riabilitatore, accontentarsi di verificare la
presenza di tale riflesso, ma occorre anche specificare se il comportamento
adeguato alla necessità di esplorazione visiva (espressione di una elaborazione più
complessa di parametri spaziali) non è attivabile in maniera assoluta o se può
comparire in determinate condizioni. Queste possono essere create producendo
modificazioni della situazione, in maniera tale da rendere più facile l’estrazione di
informazioni dall’ambiente. Tale modo di operare permette di individuare l’area di
sviluppo potenziale per il sistema funzionale dell’esplorazione visiva. L’esaminatore
infatti, modificando certe caratteristiche del corpo come per esempio la velocità di
scorrimento del quadro percettivo, oppure facilitando il bambino nella realizzazione
della frequenza (aiutandolo nella rotazione del capo) in modo che possa analizzare
compiutamente le informazioni visive, fa in modo che il bambino stesso riesca a
programmare una modalità di interazione, altrimenti non attivabile.
L’individuazione dell’area di sviluppo potenziale permette la programmazione
dell’esercizio terapeutico, mentre la trasformazione di questa in area attuale,
corrispondente cioè alla capacità di attivare autonomamente un determinato
comportamento, permette di verificare la presenza di capacità di apprendimento.
Gli aspetti comportamentali presi in considerazione successivamente nella
valutazione permettono di seguire le linee evolutive del sistema funzionale della
prensione, le quali partendo da livelli molto elementari, offrono la possibilità al
bambino di conoscere “parziali” dell’oggetto che confrontandosi con quelle rese
possibili attraverso l’organizzazione del sistema funzionale dell’esplorazione visiva
determinano l’elaborazione di sequenze di approccio e manipolazione via via più
“raffinate”.
Durante il tirocinio presso il Centro pediatrico di Riabilitazione Motoria, con la
partecipazione delle terapiste del servizio, ho redatto una scheda di valutazione del
sistema visivo con i seguenti item:
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Centro Pediatrico di
Riabilitazione Motoria
Ospedale di Imperia
Cognome_____________________ Nome___________________
Data di nascita ________________ Data esame_______________
PERCEZIONE VISIVA-FOCALE
Posizione supina_____ Posizione seduta long sitting_____Posizione seduta su
panchetto_____
FISSAZIONE
1) Struttura informazione visiva___________________________________________
2) Distanza___________________________________________________________
3) Come_____________________________________________________________
____________________________________________________________________
PERCEZIONE VISIVA-PERIFERICA
Posizione supina_____ Posizione seduta long sitting_____Posizione seduta su
panchetto_____
LOCALIZZAZIONE DELLO STIMOLO NEI DIVERSI PIANI DELLO SPAZIO
1.
In quale spazio__________________________________________________
2.
Come__________________________________________________________
____________________________________________________________________
RELAZIONE VISIONE PERIFERICA E CENTRALE
Posizione supina_____ Posizione seduta long sitting_____Posizione seduta su
panchetto_____
INSEGUIMENTO OCULARE
1) Struttura informazione visiva__________________________________________
2) Direzione dello stimolo_______________________________________________
3) Come_____________________________________________________________
____________________________________________________________________
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ALTERNANZA DELLO SGUARDO
Strategie oculari per la ricerca e ricomposizione di immagini
Posizione supina_____ Posizione seduta long sitting_____Posizione seduta su
panchetto_____
Come________________________________________________________________
____________________________________________________________________
COSTRUZIONE DI STRATEGIE DIVERSE
COORDINAZIONE MOVIMENTI CAPO E OCCHI
Posizione supina_____ Posizione seduta long sitting_____Posizione seduta su
panchetto_____
1) Direzione__________________________________________________________
2) Come_____________________________________________________________
____________________________________________________________________
COORDINAZIONE OCCHIO-MANO
Posizione supina______ Posizione seduta long sitting______ Posizione seduta su
panchetto______
A Guarda le proprie mani che si toccano
B Guarda e tocca l'oggetto vicino alla mano
C Guarda l'oggetto che tocca la mano
COORDINAZIONE OCCHIO-MANO-PIEDE
Posizione supina______ Posizione seduta long sitting______ Posizione seduta su
panchetto______
-Guarda il piede e lo tocca
COORDINAZIONE OCCHIO-PIEDE
Posizione supina______ Posizione seduta long sitting______ Posizione seduta su
panchetto______
A Guarda i piedi
B Guarda e tocca l'oggetto vicino al piede
C Guarda l'oggetto e tocca il piede
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Nello specifico, nella scheda di valutazione proposta, vengono prese in
considerazione le capacità di fissazione e di inseguimento oculare di un oggetto
posto nel campo visivo del bambino, secondo determinate modalità; vengono
anche analizzate le abilità di localizzazione dello stimolo nei diversi piani dello
spazio e l’alternanza dello sguardo.
- Fissazione: è la capacità del bambino di mantenere l'attenzione verso le
informazioni visive che si trovano nell'ambiente circostante. Si osserva già a pochi
giorni dalla nascita, e la distanza è fondamentale (20-30 cm) per il cristallino che
ancora non si adatta. Il bambino fissa meglio con il capo ruotato in rapporto alla
posizione dello schermidore per il problema della vista binoculare; rilevanti sono
anche la necessità o meno del comando verbale del terapista, il modo in cui fissa lo
stimolo visivo (coordinazione occhi-capo), la struttura visiva (a colori, in bianco e
nero..), la localizzazione dell'informazione nei diversi piani dello spazio e il tempo in
cui mantiene la fissazione. La fissazione è la prima caratteristica che emerge dalla
maturazione del sistema visivo. Può essere presente un’incapacità ad attivare
stabilmente la fissazione, lo sguardo del bambino è continuamente errante, cioè
non si sofferma mai su un oggetto, per cui non possono essere analizzate in maniera
adeguata le caratteristiche visive dell’oggetto stesso. In altri casi può essere rilevata,
al contrario, un’estrema rigidità della fissazione, per cui lo sguardo risulta
“calamitato”, nel senso che il bambino non riesce a variare dinamicamente la
fissazione da un punto ad un altro dello spazio. Anche questo comportamento fa
risultare estremamente povera l’esplorazione dell’ambiente perché rende difficile il
confronto delle informazioni visive provenienti da punti diversi dello spazio;
- Localizzazione dello stimolo: è la capacità del bambino di cogliere la presenza di
un impulso che viene proposto nei diversi piani dello spazio;
- Inseguimento oculare: è presente quando il bambino riesce a seguire uno stimolo
visivo nei diversi piani dello spazio. Inizialmente l'inseguimento è incompleto e
discontinuo, si completa intorno ai 2 mesi; la tendenza iniziale è quella di seguire i
percorsi orizzontali, poi quelli verso l'alto e infine quelli verso il basso;
successivamente diventa sempre più dinamico. I parametri di valutazione sono la
linearità, la presenza/assenza di movimenti distonici, i movimenti del capo, la
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direzione dello stimolo, la coordinazione occhi-capo e la struttura visiva. Si può
osservare una permanente incompletezza o una discontinuità, oppure un
comportamento costituito da un inseguimento completo, ma rigido, nel senso che è
scarsamente adattabile a compiti diversamente programmati in quanto a
traiettorie, sia da un punto di vista quantitativo che qualitativo (ci può essere
incapacità di prendere in considerazione, per esempio, un oggetto che compare
sopra o sotto quello che il bambino sta seguendo, mentre scorre davanti ai suoi
occhi).
Spesso anche la convergenza oculare risulta alterata;
- Alternanza dello sguardo: è la possibilità che ha il bambino di alternare
l'attenzione su due o più stimoli. Permette la costruzione dei processi di
anticipazione (4 mesi) quindi la costituzione degli scopi; il bambino comincia a usare
la vista con un aspetto più intenzionale, l'inizio e la fine del movimento sono
determinati da un programma stabilito a livello corticale. Durante l'alternanza
vengono valutati il controllo del capo e la coordinazione occhi-capo in base alla
localizzazione degli stimoli (alto/basso, destra/sinistra).
L’introduzione, nell’osservazione della sequenza, della capacità di anticipazione
offre la possibilità di verificare anche l’acquisizione, da parte del bambino, di regole
che permettono un comportamento più adattabile. Infatti se il quadro percettivo
viene presentato al bambino in una situazione in cui possano essere cambiati alcuni
aspetti (per esempio lo “stimolo” compare una volta a destra e due volte a sinistra
del suo campo visivo), può essere verificata la capacità di estrapolare dalla
situazione determinate regole e di elaborare sequenze sulla base di queste. In
presenza di tale capacità, il bambino riesce ad orientare gli occhi nella direzione
giusta, ancora prima che compaia lo stimolo.
Anche in questo caso quindi ciò che viene preso in considerazione non è un singolo
“dato motorio” (movimenti oculari) e neppure un singolo dato definibile
“percettivo” (capacità di fissazione), ma piuttosto la capacità di elaborare e di
ricercare determinate informazioni. Le sequenze di cui si ricerca la capacità di
attivazione vengono considerate come il risultato di determinati livelli di
elaborazioni utili, attraverso una adeguata interazione con l’ambiente;
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- Coordinazione tra i movimenti oculari e quelli del capo: particolare importanza
riveste l’analisi del comportamento cosiddetto spontaneo per rilevare movimenti
isolati delle dita, movimenti del braccio o avambraccio. Anche se ancora oggi non è
chiaro il significato che tali movimenti possono rivestire per il sistema nervoso del
bambino, essi possono essere tuttavia interpretati come espressione del
raggiungimento di certi livelli di maturazione del sistema nervoso e quindi come
corredo genetico di uno sviluppo fisiologico.
È stato infatti osservato che anche il bambino di pochi giorni presenta movimenti
isolati delle dita della mano. Tali movimenti sono presenti soltanto durante l’attività
“libera”, mentre non vengono attivati allorché si tratta di entrare in rapporto con
l’oggetto. Non hanno quindi significato di frammentazione della superficie
esplorante, cioè di indirizzare, in maniera più adeguata, la mano verso la raccolta di
informazioni, poiché quando questa si trova a contatto con l’oggetto si comporta
secondo livelli molto elementari (attività di flessione o estensione massima di tutte
le dita).
A livello del braccio e dell’avambraccio è importante osservare l’eventuale presenza
di movimenti di oscillazione. Durante l’esecuzione di tali movimenti, quando
causalmente la mano entra nel campo visivo, il bambino la osserva con interesse.
È importante osservare quindi:
- Attività della mano nei confronti di altre parti del corpo: il bambino già all’età di
due/tre mesi comincia ad esplorare con la mano gli oggetti con cui accidentalmente
viene a contatto. Tali movimenti hanno un carattere di “globalità”, infatti, come ha
osservato Piaget, il bambino compie movimenti di flessione ed estensione di tutte le
dita della mano a contatto con l’oggetto riproducendo movimenti simili al
grattamento. Secondo questa modalità, il bambino inizia anche un’esplorazione
tattile del volto: si stropiccia gli occhi, si tocca l’addome, utilizzando una o entrambe
le mani. Inoltre quando il bambino vede la propria mano tende a “trattenerla” nel
campo visivo.
Si può anche osservare la prensione reciproca delle mani che vengono portate alla
bocca e succhiate; inoltre, sempre più spesso il bambino trascorre una parte del suo
tempo ad osservare le mani che si palpano.
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È ipotizzabile che, attraverso questi comportamenti, il bambino arricchisca il suo
bagaglio di conoscenze, se pure parziali (solo informazioni tattili) e non selettive
(l’esplorazione infatti viene effettuata con tutta la mano).
Il comportamento di osservazione delle mani che si palpano reciprocamente può
essere messo in rapporto con la possibilità iniziale di tenere conto e di confrontare
modalità percettive diverse (tattili e visive) della medesima parte del corpo.
Questo comportamento rappresenta una delle prime modalità attraverso cui il
bambino costruisce la coordinazione oculo-manuale: infatti dapprima il bambino
guarda la sua mano mentre scorre nel campo visivo, poi le mani che si toccano tra di
loro, poi la mano che sfiora oggetti che sta guardando (Piaget, 1968).
Se nella valutazione del livello di sviluppo vengono rilevati comportamenti
elementari, non modificabili in situazioni diverse, il riabilitatore può facilitare il
bambino nell’esecuzione del compito, ponendolo in situazioni più semplici, al fine di
valutare l’area di sviluppo potenziale e potere quindi indirizzare il trattamento
terapeutico.
Nel considerare il processo di costruzione della coordinazione oculo-manuale è
importante valutare:
- Attività della mano verso oggetti: a questo scopo viene preso in considerazione il
comportamento della mano nei confronti dell’oggetto, poiché, essendo la superficie
esplorante, dovrà consentire i livelli successivi di adattabilità nei confronti
dell’oggetto, permettendo anche l’organizzazione delle altre componenti del
sistema funzionale della prensione.
L’oggetto viene posto vicino alla mano del bambino e viene valutata la capacità
della mano di entrare in rapporto con esso, per poter percepire le caratteristiche
tattili. Verso i tre mesi la mano viene mantenuta dal bambino in atteggiamento di
semiflessione e si osserva l’estensione delle dita, solo dopo che è avvenuto il
contatto con la superficie dell’oggetto. In questo comportamento, che rappresenta
la prima forma di rapporto tattile con l’oggetto, il contatto avviene ancora in modo
casuale, ma, una volta instaurato, il bambino ha la possibilità di orientare
adeguatamente la superficie esplorante in modo da cogliere certe caratteristiche
dell’oggetto. Ciò consente di poter formulare successivamente scopi più precisi.
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Il comportamento successivo è caratterizzato dà un’estensione delle dita che
anticipa il contatto con l’oggetto, non ancora però in maniera adattabile alla
caratteristiche dell’oggetto stesso (forma, grandezza). Questo potrebbe stare ad
indicare che il bambino ha formulato lo scopo di stabilire un contatto con l’oggetto
già nel momento in cui lo vede. Nel bambino con PCI si osservano comportamenti
inadeguati a stabilire interazioni di una certa complessità. È ipotizzabile quindi che
gli scopi formulati si differenzino scarsamente e/o che vengano raggiunti in modo
da non fornire al sistema nervoso centrale le informazioni sufficienti per una
corretta programmazione motoria.
L’individuazione dell’area di sviluppo potenziale permette, tra l’altro, di favorire la
formulazione di scopi più complessi e differenziati. Infatti se un bambino con
tetraparesi presenta un livello di sviluppo caratterizzato da una prensione statica,
l’operatore dovrà proporre situazioni terapeutiche in cui il bambino è posto nella
necessità di raccogliere informazioni più ampie e diversificate circa le caratteristiche
dell’oggetto: superficie, consistenza, ecc… In tal modo viene verificata la possibilità
di modificare comportamenti elementari, stereotipati, in comportamenti di livelli
interattivi superiori, che risultano meglio adattabili ai diversi scopi.
Vengono poi presi in considerazione gli altri momenti della sequenza che
contribuiscono a realizzare il contatto della mano con l’oggetto, per cui viene
valutato, nella sua completezza, il comportamento di prensione e di manipolazione.
La capacità di programmare sequenze più dinamiche, in relazione all’oggetto, risulta
in stretto rapporto con le modalità di esplorazione visiva e tattile che si
arricchiscono notevolmente nel corso del primo anno di vita, integrandosi.
Verranno quindi considerati il raggiungimento, l’approccio e le manipolazione
dell’oggetto, cercando di individuare le componenti (direzione, distanza ecc…) dalla
cui organizzazione emergono livelli interattivi sempre più complessi.
All’interno della progressiva integrazione tra afferenze visive e tattili, cioè della
coordinazione oculo-manuale, viene valutata anche la capacità di utilizzare i
movimenti del tronco nella posizione seduta. La postura (in questo caso quella
seduta) non viene valutata separatamente e specificamente rispetto al movimento,
ma viene anch’essa interpretata come un elemento interattivo.
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Il termine postura sta ad indicare la posizione dei vari segmenti corporei, in un dato
momento, e i meccanismi coinvolti nel mantenimento della posizione di un dato
segmento o di tutto il corpo (Massion, 1985).
L’osservazione dei diversi livelli di comportamento porta a considerare la
coordinazione tra postura e movimento; uno degli schemi sull’organizzazione
centrale di questa coordinazione è basato sull’ipotesi che l’aggiustamento posturale
è la risultante dell’azione di collaterali interne provenienti dalle vie di controllo del
movimento (Massion, 1985).
La valutazione del controllo del tronco, all’interno dell’attività oculo-manuale, nella
posizione seduta, potrebbe fare riferimento a tale ipotesi di coordinazione tra
postura e movimento;
- Attività degli arti inferiori. Coordinazione occhio-piede:
Per valutare lo sviluppo iniziale del sistema funzionale del cammino, è opportuno
rilevare i comportamenti degli arti inferiori prima che questi acquisiscano la
funzione specifica della deambulazione.
Come per l’arto superiore, anche a livello dell’arto inferiore si possono osservare
movimenti selettivi delle dita, delle caviglie e delle ginocchia, durante l’attività
spontanea del bambino; anche in questo caso non è chiaro il significato che tali
movimenti possono rivestire per il sistema nervoso centrale del bambino, al di là
dell’espressione di un’integrità del patrimonio genetico.
Il comportamento del piede nei confronti dell’oggetto, poi, rappresenta una delle
prime forme di rapporto di questa superficie somestesica con l’ambiente esterno,
prima che la fonte specifica di informazioni per questa superficie diventi il suolo,
con la conseguente organizzazione del cammino.
69
CAPITOLO VI
Dalla valutazione alle proposte di esercizio
Il controllo del capo viene considerato come un processo di raddrizzamento e
simmetrizzazione; è il risultato dell'acquisizione delle capacità di aggiustamento
posturale. Un'altra teoria dice che il controllo del capo rappresenta un aspetto di
sequenze attraverso il quale il bambino può ricevere informazioni circa la realtà;
secondo ciò non è giusto parlare di esercizi per il controllo del capo, ma di esercizi
per il recupero del sistema funzionale dell'esplorazione visiva.
Per creare gli esercizi mi sono rifatto alle teorie citate nei capitoli precedenti ovvero
quelle della percezione, dell’informazione e del problem solving oltre ad aver
tenuto conto, ovviamente, della scheda di valutazione.
Nella modalità di ogni esercizio comparirà una richiesta, la quale sarà d’aiuto per il
bambino perché lo guiderà a costruire l’informazione visiva mediante la percezione
di somiglianze e differenze nell’ambiente circostante affinché una differenza fisica
dell’ambiente crei una differenza cognitiva nel cervello del bambino. Cogliendo le
differenze si fanno confronti con ciò che si ha vissuto, se no rimane tutto
indifferenziato.
“La mente non è un registratore passivo”: se il terapista fa solo vedere qualcosa
arriva sicuramente ma il suo compito, in realtà, è far comprendere cosa arriva.
La conoscenza deve essere considerata come un’unica costruzione tra ambiente,
persona, scopo ed eventi passati.
Gli esercizi vengono proposti in ordine crescente di difficoltà.
70
ESERCIZIO 1: Operazioni visive di fissazione.
CONTENUTI: Esplorazione visiva, coordinazione occhi-capo e controllo del
tronco.
MODALITA':
Informazioni: Visive.
Materiale: Pannello di legno con applicata, tramite velcro, una figura in bianco e
nero.
Esecuzione: Il bambino è seduto sul panchetto con gli avambracci appoggiati ad un
tavolino ad incavo. Di fronte, ad una distanza di 30 cm, è posizionato un pannello di
legno al quale è applicata, tramite velcro, una figura nello spazio frontale centrale.
Richiesta: “Guarda la figura; la mamma sorride o è triste?”
OBIETTIVO: Il bambino guarda le figure del libro e osserva tutte le parti che
compongono l’animale.
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ESERCIZIO 2: Operazioni visive di localizzazione dello stimolo nei diversi spazi.
CONTENUTI: Esplorazione visiva, coordinazione occhi-capo e controllo del
tronco.
MODALITA':
Informazioni: Visive.
Materiale: Pannello di legno con applicata, tramite velcro, quattro figure in bianco e
nero.
Esecuzione: Il bambino è seduto sul panchetto con gli avambracci appoggiati ad un
tavolino ad incavo. Viene posto, ad una distanza di 30 cm, un pannello con velcro al
quale sono applicate quattro figure differenti rispettivamente una a sinistra, una
nello spazio frontale alto, una nello spazio frontale basso e una a destra. Vengono
valutati i movimenti oculari e del capo (dissociazione/non dissociazione) per
raggiungere gli stimoli considerati dal bambino, il controllo del capo e del tronco; si
notano inoltre la posizione dello stimolo più considerato e le difficoltà nel ricercare
gli altri. Per un'eventuale variabile dell'esercizio si possono utilizzare le “faccette” di
Fantz (in serie orizzontale e verticale) prima in bianco e nero, poi di colori diversi,
prima grandi e vicine, poi più piccole e via via più distanti.
Richiesta: “Guarda tutte le figure; dov’è il leone?”
OBIETTIVO: Il bambino sceglie, all’interno della sua stanza, l’oggetto con cui
vuole giocare.
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ESERCIZIO 3: Operazioni visive di localizzazione dello stimolo in basso.
CONTENUTI: Esplorazione visiva, coordinazione occhi-capo e controllo del
tronco.
MODALITA':
Informazioni: Visive.
Materiale: Pannello di legno con applicate, tramite velcro, cinque figure in bianco e
nero.
Esecuzione: Il bambino è seduto sul panchetto con gli avambracci appoggiati ad un
tavolino ad incavo. Viene posto ad una distanza di 30 cm un pannello con velcro al
quale sono applicate cinque figure in bianco e nero rispettivamente una a sinistra in
basso, una nello spazio frontale alto (di distrazione), due nello spazio frontale basso
ed una a destra in basso. Vengono valutati i movimenti oculari e del capo
(dissociazione/non dissociazione) per raggiungere gli stimoli, la posizione di quello
più considerato e le difficoltà nel ricercare gli altri. Il medesimo esercizio si può
adattare per tutti i deficit di localizzazione degli oggetti nei diversi spazi, basta
modificarne il posizionamento.
Richiesta: “Guarda tutte le figure e stai attento a non far cadere la tua testa”.
OBIETTIVO: Il bambino si guarda le scarpe mentre la mamma gli allaccia le
scarpe.
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ESERCIZIO 4: Operazioni visive di inseguimento oculare con stimolazione
luminosa.
CONTENUTI: : Ricerca dello stimolo luminoso, favorire la coordinazione occhicapo e il controllo del tronco.
MODALITA':
Informazioni: Visive.
Materiale: Contenitore di uova vuoto con applicate, tramite velcro, varie figure
colorate.
Esecuzione: Il bambino è seduto sul panchetto con gli avambracci appoggiati ad un
tavolino ad incavo. Nello spazio frontale viene posto ad una distanza di 30 cm un
grosso contenitore di uova bucherellato; dai fori con l'ausilio di una torcia fuoriesce
una luce che parte da un punto (cane) e arriva in un altro punto (bambina). Il
bambino segue tutto il percorso. Vengono valutati i movimenti oculari e del capo
(dissociazione/non dissociazione) per raggiungere gli stimoli presentati al bambino,
il controllo del capo e del tronco; si notano inoltre la posizione dello stimolo meglio
individuato, le difficoltà nel ricercare gli altri e se sono presenti differenze rispetto
alla ricerca delle figure.
Richiesta: “Dove va il cagnolino?”
OBIETTIVO: Il bambino segue con gli occhi lo spostamento della mamma e
capisce verso quale stanza si dirige.
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ESERCIZIO 5: Operazioni visive di alternanza dello sguardo mediante movimenti
coniugati di capo e occhi che guidano alla raccolta di informazioni visive attraverso il
confronto uguale/diverso.
CONTENUTI: Esplorazione visiva verso sinistra finalizzata all’individuazione di
uno stimolo nello spazio laterale sinistro (selettività dell’attività di ricerca nello
spazio visivo meno utilizzato) con riconoscimento di figura.
MODALITA':
Informazioni: Visive.
Materiale: Pannello di legno con applicate, tramite velcro, tre figure in bianco e
nero.
Esecuzione: Il bambino è seduto sul panchetto con gli avambracci appoggiati ad un
tavolino ad incavo. Viene posto ad una distanza di 30 cm un pannello con velcro al
quale sono applicate tre figure in bianco e nero rispettivamente una a sinistra in
alto, una a sinistra in centro e una a sinistra in basso. Il bambino ha una figura
uguale ad una delle tre presentate vicino a sé. Vengono valutati i movimenti oculari
e del capo (dissociazione/non dissociazione) compiuti nella ricerca della figura, il
controllo del capo e del tronco.
Richiesta: “Dov’è la figura uguale? Dov’è papà?”
OBIETTIVO: Il bambino sceglie a quale compagno vuole stare vicino.
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ESERCIZIO 6: Operazione visive di coordinazione occhio-mano.
CONTENUTI: Esplorazione visiva con riconoscimento figura e raggiungimento
della stessa finalizzati all’utilizzo contemporaneo di occhi e mano verso la stessa
direzione.
MODALITA':
Informazioni: Visive.
Materiale: Pannello di legno con applicate, tramite velcro, quattro figure colorate.
Esecuzione: Il bambino è seduto sul panchetto con gli avambracci appoggiati ad un
tavolino ad incavo. Viene posto ad una distanza di 30 cm un pannello con velcro al
quale sono applicate quattro figure colorate. Il bambino ha di fianco una figura e
deve trovare il suo uguale per poi attaccarcela sopra. Vengono valutati i movimenti
oculari e del capo (dissociazione/non dissociazione) compiuti nella ricerca della
figura, il controllo del capo e del tronco e la coordinazione oculo-manuale.
Richiesta: “Guarda, vicino alla tua mano c’è una bambina. Dov’è l’altra bambina?
Attaccacela sopra”
OBIETTIVO: Il bambino riesce ad appiccicare gli adesivi sui libri attacca e stacca.
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ESERCIZIO 7: Identificazione e localizzazione di target visivi con consapevolezza
dello spostamento del corpo necessario alla loro fissazione.
CONTENUTI: Integrazione visuo-vestibolo-somestesica, coordinazione
movimenti di capo e occhi.
MODALITA':
Informazioni: Visive, vestibolari e somestesiche.
Materiale: Due pannelli di legno con applicate, tramite velcro, tessere colorate o
figure.
Esecuzione: Il bambino è seduto sul panchetto con gli avambracci appoggiati ad un
tavolino ad incavo. Il terapista applica su uno dei due pannelli, distanti fra loro e dal
bambino 30 cm, tre figure (cane, gatto e topo).
Sull’altro riquadro, invece, dispone tre figure identiche alle precedenti, ma collocate
diversamente (risulterà, per esempio, che il cane nel pannello di sinistra sarà situato
in alto e al centro, mentre in quello di destra sarà posto in basso e a destra).
Il terapista, dopo aver nominato una figura, chiede al bambino di individuarla nel
pannello di destra.
Successivamente chiede di indirizzare occhi e capo verso la figura analoga, applicata
su quello di sinistra.
Richiesta: “Guarda queste figure, guarda il gatto nel pannello di destra e cerca la
stessa figura in quello di sinistra”.
OBIETTIVI: Il bambino è in grado di mantenere capo e tronco allineati mentre
orienta lo sguardo verso giocattoli posizioni su diversi scaffali del mobile.
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CAPITOLO VII
Esperienza clinica
7.1 MATERIALI E METODI
Il presente studio si basa su un’esperienza svolta presso l’Ospedale di Imperia.
Tra tutti i bambini seguiti presso il Centro pediatrico di Rieducazione Motoria sono
stati scelti due casi, ritenuti idonei per sperimentare il protocollo di valutazione e
rieducazione del sistema funzionale dell’esplorazione visiva.
I “protagonisti” dello studio sono un bambino di 4 anni affetto da tetraparesi
spastica ed un bambino con un quadro di tetraparesi spastico-distonica di 7 anni.
Tutti e due i casi sono seguiti con un programma riabilitativo elaborato sulle basi
della teoria dell’Esercizio Terapeutico Conoscitivo.
All’inizio dell’esperienza terapeutica, sulla base delle ipotesi teoriche finora esposte,
sono stati inseriti nuovi esercizi che tenessero conto dell’elaborazione delle
informazioni visive, ritenute determinanti per il controllo del capo e del tronco e per
la coordinazione occhi-capo.
I bambini sono stati seguiti per un periodo di 6 mesi, con sedute della durata di
un’ora, a cadenza trisettimanale.
I casi verranno proposti singolarmente e per ognuno di essi verrà presentato un
quadro generale del bambino, che metterà in luce gli aspetti relativi al
comportamento spontaneo, analizzato tramite l’osservazione diretta, al fine di
analizzare le modalità di interazione del bambino con l’ambiente.
Sulla base dei dati emersi dalle valutazioni, è stato elaborato un programma
riabilitativo composto da specifici esercizi, rivolti ad una corretta elaborazione
cognitiva e riorganizzazione delle informazioni visive, che si ritiene conferiscano al
bambino un controllo sulla patologia e l’apprendimento di nuove strategie di
esplorazione oculare. Sono stati identificati, inoltre, specifici obiettivi e modifiche a
breve e medio termine che verranno verificate al termine della sperimentazione.
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Per ogni bambino verranno messi in evidenza i risultati di queste verifiche, che
verranno , poi, confrontati con le valutazioni iniziali al fine di capire se i nuovi
esercizi introdotti hanno apportato modifiche significative al recupero dei sistemi
funzionali. Gli esercizi, utilizzati per stimolare la funzione visiva, sono stati
diversificati in base alle esigenze, al livello cognitivo e alle prestazioni di base di
ciascun bambino.
Le proposte hanno riguardato:
- Esercizi per la fissazione;
- Esercizi per la localizzazione dello stimolo nei diversi spazi;
- Esercizi per l’inseguimento oculare;
- Esercizi per l’alternanza dello sguardo;
- Esercizi per la coordinazione occhi-capo;
- Esercizi per la coordinazione occhio-mano;
- Esercizi di trasformazione somestesico-visiva e visuo-somestesica.
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7.2 CASO 1: FEDERICO
Storia clinica
Nato nel Settembre del 2008, alla 31esima settimana di gestazione, dopo un parto
distocico. Peso 1860g, lunghezza 42cm, indice APGAR 9 dopo un minuto, 10 dopo
cinque.
E’ stata richiesta una TC urgente presso l’Ospedale di Imperia.
Dopo viene trasferito presso l’Ospedale Gaslini di Genova per distress respiratorio, è
stato assistito in ventilazione meccanica e sottoposto a fototerapia per ittero di
modesta entità.
Ecoencefalo nella norma. L’EEG presenta numerosi artefatti di movimento, con tali
limiti non sembrano evidenziarsi asimmetrie dell’attività fondamentale che appare
modicamente irregolare. Presenti sporadici grafo elementi lenti sulle regioni centro
posteriori dei due emisferi. Assenti grafo elementi patologici specifici.
L’RMN encefalo evidenzia un quadro di leucomalacia periventricolare quale esito di
sofferenza perinatale, caratterizzata da una marcata riduzione della sostanza bianca
profonda bilaterale; i ventricoli sono di piccole dimensioni, ma presentano pareti
irregolarmente ondulate. La scarsa residua sostanza bianca presenta modesti
80
fenomeni gliotici, appare francamente assottigliato il corpo calloso. Non sono
presenti anomalie per il resto della girazione corticale o reperti patologici a carico
delle strutture della fossa posteriore.
La diagnosi finale è di tetraplegia spastica.
La valutazione ortottica evidenzia un’incoordinazione oculomotoria con occhi
mantenuti spesso in infraduzione ed in destroversione. Il campo visuale di sguardo
preferito rimane a destra, ma se richiamato porta gli occhi in posizione primaria con
riflessi corneali centrati. Scarso l’interesse nel campo di sguardo a sinistra in alto,
porzioni dello spazio dove sarebbe importante continuare la stimolazione.
Soprattutto nello sguardo in alto si aiuterebbe il controllo del capo che comunque
pare buono.
E’ presente una buona coordinazione oculo-manuale. Al fundus oculi non si
apprezzano alterazioni.
Osservazione
(Aprile 2012)
Il bambino ha una buona capacità relazionale con utilizzo di sorriso e comprende il
linguaggio, è interessato all’ambiente circostante e partecipa attivamente al gioco
scegliendo lui stesso l’attività e le modalità di gioco. Mantiene il controllo del capo e
del tronco in posizione seduta a panchetto, rimane seduto con appoggio degli
avambracci sul tavolino posto anteriormente, dalla posizione seduta è capace di
dissociare capo e tronco durante i compiti di discriminazione-esplorazione visiva.
E’ possibile la prensione con entrambe le mani ed è in grado di passarsi un gioco da
una mano all’altra. Usa correttamente “l’indicizzazione”.
Tollera le stimolazioni vestibolari e sensoriali (riconoscimento di superfici tattili
sotto le mani e i piedi; tale tipologia di esercizio sotto i piedi induce un’irradiazione
dell’articolazione tibio-tarsica con conseguente atteggiamento in flessione e in
punta).
Da supino effettua autonomamente il rotolo sino alla posizione prona e da essa è in
81
grado di scendere da lettino e posizionarsi in stazione eretta. Se sostenuto riesce a
mantenere la stazione eretta (sfruttando l’ipertono estensorio degli AAII e del
tronco). La posizione long sitting viene mantenuta solo con appoggio posteriore del
tronco e compare RAAS agli adduttori ed irradiazione al tronco con chiusura del
cingolo scapolare).
In stazione eretta, l’appoggio bipodalico avviene con l’avampiede, causando quindi
una retrazione dell’achilleo che ostacola l’appoggio della porzione del retropiede al
suolo. In posizione seduta a panchetto, se non supportato da controllo verbale,
spesso compare, durante l’atto di prensione di un oggetto, irradiazione con chiusura
del cingolo scapolare e adduzione-flessione-intrarotazione dell’arto superiore non
coinvolto nel gesto della prensione.
Valutazione del sistema funzionale dell’esplorazione visiva
(Aprile 2012)
Durante della valutazione il bambino è seduto su panchetto con tavolino ad incavo
posto anteriormente e con minimo appoggio posteriore.
La postura spontanea di Federico è con il capo lievemente inclinato verso sinistra,
l'occhio destro è orientato verso destra mentre quello sinistro è direzionato
frontalmente.
FISSAZIONE:
- Fissazione sul piano frontale: guarda l'oggetto per due/tre secondi, prima coglie
l'immagine con l'occhio destro e poi recluta anche il sinistro. Durante il compito
mantiene il capo lievemente inclinato a sinistra.
- Fissazione sul piano laterale destro: molto abile visto che la sua postura spontanea
prevede l'orientamento degli occhi verso destra.
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- Fissazione sul piano laterale sinistro: ha più difficoltà, orienta il capo verso
l'immagine e successivamente gli occhi, ma ne perde subito la fissazione (la
mantiene solo per un secondo).
- Fissazione in alto: orienta prima gli occhi (fissa per due secondi) e poi il capo; il
compito proposto è limitato dal fatto che perde quasi subito il controllo del tronco a
causa di irradiazione in estensione della colonna e del capo.
- Fissazione in basso: orienta prima gli occhi e poi il capo , mantenendo la fissazione
per due secondi. La durata della fissazione è limitata al fatto che quando il capo è
mantenuto nello spazio in basso tende a perderne quasi subito il controllo.
LOCALIZZAZIONE DELLO STIMOLO NEI DIVERSI PIANI DELLO SPAZIO:
- Emicampo laterale sinistro: coglie l'immagine quando sta entrando nello spazio
frontale.
- Emicampo laterale destro: riesce subito a cogliere l'immagine.
- Spazio alto e basso: ha più difficoltà, infatti coglie l'immagine quando si trova nello
spazio anteriore.
INSEGUIMENTO OCULARE:
- Inseguimento oculare da sinistra verso destra: nello spazio sinistro coglie la figura
solo a partire dalla parte centrale dell'emicampo, la perde nel passaggio tra
l'emicampo sinistro e lo spazio frontale, la riprende da metà campo frontale e
prosegue per quasi tutto lo spazio laterale destro. Ha difficoltà a portare a termine il
compito (ancora da valutare se perde l'attenzione o la motivazione); l'esercizio
migliora se sostenuto da un comando verbale continuo. Esegue il compito con lo
spostamento del capo, ha più difficoltà con gli occhi.
- Inseguimento oculare da destra verso sinistra: coglie subito l'immagine (posta a
destra) con gli occhi, attiva il capo solo quando l'immagine è nello spazio frontale,
83
nel passaggio tra il campo anteriore e quello laterale sinistro perde il controllo sia
del capo che degli occhi; si dirige col capo verso l'immagine solo quando è alla fine
dell'emicampo laterale sinistro, in questa posizione gli occhi li orienta solo uno o
due secondi.
- Inseguimento oculare dall'alto verso il basso: è in grado di completare il compito in
parte; quando la figura si trova nello spazio basso il contatto oculare è precario e
tende ad orientare gli occhi nella loro posizione di partenza (verso destra).
- Inseguimento oculare dal basso verso l'alto: il compito è più difficile in quanto
l'esercizio viene “disturbato” dall'irradiazione in estensione del tronco e del capo
che compaiono quando la figura si trova nella parte alta dello spazio frontale e il
bambino perde quindi il controllo della posizione seduta a panchetto. Non riesce
dunque a portare a termine il compito, neanche su facilitazione verbale.
ALTERNANZA DELLO SGUARDO:
- Alternanza dello sguardo dall'alto verso il basso: fissa la figura in alto per due
secondi poi, solo su comando verbale, fissa quella in basso, ma spontaneamente
non rieffettua l'alternanza. Attiva contemporaneamente capo e occhi.
- Alternanza dello sguardo dal basso verso l'alto: orienta capo e occhi verso il basso
poi spontaneamente si dirige nello spazio anteriore, invece, se supportato dal
comando verbale, riesce ad orientare solo gli occhi verso l'alto. Se l'oggetto è
posizionato molto in alto e quindi è obbligato per fissarlo ad attivare anche il capo,
perde il controllo della posizione seduta a causa dell'irradiazione in estensione.
- Alternanza dello sguardo destra/sinistra: di sua volontà guarda prima a destra con
gli occhi, poi reclutando occhi e capo, si dirige verso sinistra e a seconda della
preferenza dell'immagine, si ridirige verso quel lato.
COORDINAZIONE MOVIMENTI OCCHI-CAPO: ha difficoltà a dissociare occhi e capo;
tende a muovere simultaneamente entrambi i segmenti.
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COORDINAZIONE OCCHIO-MANO: guarda e tocca l’oggetto vicino alla mano.
COORDINAZIONE OCCHIO-MANO-PIEDE: guarda il piede e cerca di raggiungerlo con
la mano.
COORDINAZIONE OCCHIO-PIEDE: guarda l’oggetto che tocca il piede.
Obiettivi
A breve termine:
- Riesce a seguire uno stimolo che si sposta davanti a lui in maniera lineare;
- Mantiene la mano aperta su un oggetto anche mentre si guarda intorno;
- Guarda dove indica e guarda l’adulto;
- Quando un oggetto entra in contatto con il piede lo fa cadere e lo guarda;
- Segue in maniera continuativa uno stimolo visivo che si sposta da destra a sinistra;
- In posizione seduta sul panchetto con appoggio posteriore e piedi mantenuti in
appoggio al suolo, ascolta e guarda l’adulto che gli parla e si sposta davanti a lui;
- In posizione long-sitting segue un oggetto che si sposta davanti a lui e dirige la
mano verso di esso mantenendo la posizione;
- Mantiene la posizione long-sitting con arti inferiori estesi e abdotti mentre si
guarda intorno.
A medio termine:
- Mantiene la posizione seduta sul panchetto con piedi appoggiati al suolo, senza
appoggio, mentre raggiunge oggetti nello spazio anteriore e laterale.
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Unità di lavoro ed esercizi
Capo, occhi e tronco:
In base alla valutazione sono stati impostati esercizi di:
- Fissazione e inseguimento di figure nei diversi piani dello spazio (soprattutto in
basso e a sinistra perché maggiormente deficitari);
- Localizzazione e identificazione dello stimolo nei diversi spazi;
- Ricerca, fissazione e inseguimento di traiettorie dello stimolo luminoso;
- Dissociazione occhi-capo;
- Integrazione visuo-vestibolo-somestesica.
Analisi dei risultati
(Novembre 2012)
FISSAZIONE:
- Fissazione sul piano frontale: guarda l'oggetto più a lungo (cinque e più secondi),
riesce a cogliere l'immagine simultaneamente con entrambi gli occhi.
- Fissazione sul piano laterale destro: tale abilità è invariata. Molto abile visto che la
sua postura spontanea prevede l'orientamento degli occhi verso destra.
- Fissazione sul piano laterale sinistro: ha meno difficoltà rispetto a sei mesi fa:
orienta il capo verso l'immagine e successivamente gli occhi, la fissazione decade
più tardi (due/tre secondi).
- Fissazione in alto: il compito viene eseguito con più facilità, dato che Federico ha
sviluppato un miglior controllo del tronco, del capo e degli elementi patologici.
Orienta prima gli occhi e poi il capo. Mantiene la fissazione per tre/quattro secondi.
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- Fissazione in basso: riesce a mantenere la fissazione per quattro secondi grazie al
fatto che è migliorato il controllo del capo in tale posizione.
LOCALIZZAZIONE DELLO STIMOLO NEI DIVERSI PIANI DELLO SPAZIO:
- Emicampo laterale sinistro: coglie l'immagine prima rispetto a sei mesi fa quindi
più lateralmente.
- Emicampo laterale destro: riesce subito a cogliere l'immagine.
- Spazio alto e basso: ha sempre difficoltà, infatti coglie l'immagine quando si trova
nello spazio anteriore.
INSEGUIMENTO OCULARE:
- Inseguimento oculare da sinistra verso destra: lievemente migliorato rispetto alla
prima valutazione; nello spazio sinistro coglie la figura quando è quasi nello spazio
anteriore, la perde nel passaggio tra l'emicampo sinistro e lo spazio frontale, la
riprende da metà campo frontale e prosegue per tutto lo spazio laterale destro.
Riesce a portare a termine il compito se stimolato da un comando verbale continuo.
Esegue il compito con lo spostamento del capo, ha più difficoltà con gli occhi.
- Inseguimento oculare da destra verso sinistra: tale competenza è invariata; è
migliorata solo la durata della fissazione nell’emicampo laterale sinistro (circa
quattro secondi).
- Inseguimento oculare dall'alto verso il basso: non riesce ancora a completare il
compito perché quando la figura si trova nello spazio basso tende ad orientare gli
occhi nella loro posizione di partenza (verso destra).
- Inseguimento oculare dal basso verso l'alto: il compito risulta sempre difficile
nonostante un miglior controllo del tronco e del capo, il bambino perde meno il
controllo della posizione seduta a panchetto, ma non riesce comunque a portare a
termine il compito completamente.
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ALTERNANZA DELLO SGUARDO:
- Alternanza dello sguardo dall'alto verso il basso: fissa la figura in alto per quattro
secondi poi, solo su comando verbale, fissa quella in basso. Riguarda solo la figura in
alto. Attiva contemporaneamente capo e occhi.
- Alternanza dello sguardo dal basso verso l'alto: orienta capo e occhi verso il basso
poi spontaneamente si dirige nello spazio anteriore e riesce ad orientare solo gli
occhi verso l'alto senza aver più bisogno della richiesta verbale. Se l'oggetto è
posizionato molto in alto perde ancora il controllo del tronco.
- Alternanza dello sguardo destra/sinistra: di sua volontà guarda sempre prima a
destra con gli occhi, poi reclutando occhi e capo, si dirige verso sinistra.
COORDINAZIONE MOVIMENTI OCCHI-CAPO: ha sempre difficoltà nel dissociare
occhi e capo, ma rispetto all’inizio tale abilità, soprattutto durante la seduta
riabilitativa, tende ad emergere, anche spontaneamente.
COORDINAZIONE OCCHIO-MANO: guarda l’oggetto, lo afferra e lo mette dove gli
dice il terapista.
COORDINAZIONE OCCHIO-MANO-PIEDE: tale capacità è invariata.
COORDINAZIONE OCCHIO-PIEDE: guarda l’oggetto e accenna movimenti al piede
per raggiungerlo.
88
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7.3 CASO 2 : ELIO MARCELLO
Storia clinica
Nato nell’Ottobre 2005, alla 40esima
settimana di gestazione, dopo un parto
distocico. In sala parto sono state effettuate
manovre rianimatorie, intubazione e
ventilazione meccanica. Elio Marcello è stato
trasferito presso l’istituto G. Gaslini con
diagnosi di asfissia neonatale grave.
L’ecografia nella prima giornata dimostrava
iperecogenicità diffusa e due giorni dopo
iperecogenicità a livello dei due talami.
L’elettroencefalogramma nelle prime 24 ore di
vita mostrava attività di fondo gravemente
ipovoltata, ipodifferenziata con alterazione di
significato specifico bilaterali, temporooccipitali. La risonanza magnetica a quattro giorni di vita segnalava edema
citotossico da necrosi neuronale, selettiva in sede centrale e cortico sottocorticali
compatibile con encefalopatia ischemica in fase acuta.
Elementi di sofferenza neurologica alla valutazione alla dimissione avvenuta a 16
giorni di vita con terapia barbiturica.
La diagnosi finale è di tetraparesi spastico-distonica a lieve prevalenza destra.
A motivo di comizialità poco trattabile il bambino ha effettuato numerose variazioni
farmacologiche per il controllo delle stesse con associate terapie anti reflusso per
controllare reflusso gastro-esofageo.
Ancora recentemente è stato necessario aumentare il dosaggio dei farmaci
antiepilettici in uso a motivo di frequenti episodi comiziali.
90
Osservazione
(Aprile 2012)
Elio Marcello è un bambino di sette anni, fisicamente ben cresciuto e curato. Ha una
buona capacità relazionale con utilizzo di sorriso e riso comunicativo. Il bambino
comprende il linguaggio ed ha già selezionato una modalità per il si e il no. Colpisce
l’interesse per i giochi, le relazioni e il coinvolgimento in tutte le attività proposte.
Il bambino frequenta la prima elementare in una classe che lo ha immediatamente
accolto; l’insegnante è molto disponibile a svolgere un programma in grado di
coinvolgere il bambino.
Elio utilizza, per gli spostamenti, un passeggino “Mygo di LECKEY” dotato di doppio
utilizzo (interno/esterno) con scocca inclinabile e basculante, contenimento per
capo e tronco e tavolo ad incavo. Il bambino, grazie all’ausilio, è in grado di
mantenere la posizione seduta per tempi prolungati in situazione di confort.
Gli arti superiori possono orientarsi verso la linea mediana.
Se verticalizzato e sostenuto da un adulto, il bambino esegue una serie di passi di
natura G.P.C., orientati al raggiungimento dell’oggetto.
Elio non ha acquisito il controllo del capo e del tronco e non ha sviluppato
linguaggio verbale. E’ presente costante fluttuazione di tono con passaggio da
ipotonia a ipertonia e interferenza distonica.
La difficoltà principale è quella di riuscire a coniugare la voglia partecipativa del
bambino con le alterazioni toniche che impediscono al bambino di raggiunger
l’obiettivo funzionale.
91
Valutazione del sistema funzionale dell’esplorazione visiva
(Aprile 2012)
Nell'arco della valutazione il bambino è seduto sul passeggino in posizione
facilitante con lo schienale lievemente inclinato posteriormente, senza
contenimento per il capo; l'atteggiamento spontaneo del capo è di lieve inclinazione
verso destra.
FISSAZIONE:
- Fissazione sul piano frontale: fissa per quattro/cinque secondi la figura, quando la
riconosce sorride. Mantiene il capo inclinato verso destra e compare una lieve
irradiazione di entrambi gli arti superiori in abduzione; con comando verbale
mantiene più a lungo la fissazione sull'oggetto.
- Fissazione sul piano laterale sinistro: orienta prima gli occhi e poi il capo,
inizialmente lo sguardo è amimico mentre quando riconosce la figura sorride. Fissa
per due/tre secondi, poi ritorna col capo in posizione di partenza perdendo cosi il
contatto con gli occhi. Quando sposta il capo e riconosce la figura eleva l'arto
superiore sinistro.
- Fissazione sul piano laterale destro: compito molto più semplice rispetto ai
precedenti perché ha capo e occhi orientati in quella posizione; orienta lo sguardo
più velocemente e l'irradiazione all'arto superiore sinistro è minore rispetto alla
prova precedente.
- Fissazione in alto: non muove il capo, orienta gli occhi e fissa per due secondi.
- Fissazione in basso: orienta gli occhi e fissa per due secondi; per prolungare la
fissazione perde il controllo del capo che cade verso il basso.
92
LOCALIZZAZIONE DELLO STIMOLO NEI DIVERSI PIANI DELLO SPAZIO:
Se l'oggetto arriva da sinistra lo coglie nello spazio anteriore, se arriva da destra lo
riesce ad agganciare già nello spazio laterale centrale quindi lo coglie prima.
INSEGUIMENTO OCULARE:
- Inseguimento oculare da sinistra verso destra: perde quasi subito il controllo del
capo che cade verso il basso, tenta di orientare gli occhi sullo stimolo, ma riesce a
mantenere il contatto occhi-capo solo quando la figura è posta sul piano frontale e
a destra.
- Inseguimento oculare da destra verso sinistra: perde l'inseguimento solo quando
la figura è nell'emicampo sinistro.
- Inseguimento oculare dall'alto verso il basso: controlla capo e occhi sino allo
spazio frontale medio, poi perde il controllo del capo e di conseguenza gli occhi
seguono meno.
- Inseguimento oculare dal basso verso l'alto: perde subito il controllo del capo, il
contatto oculare è instabile, migliora quando l'oggetto è nello spazio anteriore.
Quando l'oggetto è nello spazio anteriore e si sposta verso l'alto mantiene il
contatto oculare e fa tentativi di aggiustamento per controllare il capo.
ALTERNANZA DELLO SGUARDO:
- Alternanza dello sguardo in alto e in basso: spontaneamente guarda in basso e poi
si orienta verso l’alto, mantenendo la fissazione solo uno/due secondi. In basso non
controlla il capo, ma mantiene la fissazione per quattro/cinque secondi.
- Alternanza dello sguardo destra/sinistra: guarda prima a destra visto che ha il capo
e gli occhi orientati in quella direzione, fissa per due/tre secondi poi si gira a sinistra
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non dissociando capo e occhi per due/tre secondi senza bisogno del comando
verbale poi torna nella posizione iniziale.
COORDINAZIONE MOVIMENTI CAPO E OCCHI:
Se lo stimolo è posto in alto segue solo con gli occhi, se è in basso perde il controllo
del capo, da sinistra verso destra segue prima con gli occhi e poi con il capo, da
destra verso sinistra non dissocia capo e occhi.
COORDINAZIONE OCCHIO-MANO: guarda l’oggetto che tocca la mano.
COORDINAZIONE OCCHIO-MANO-PIEDE: Elio non possiede tale capacità.
COORDINAZIONE OCCHIO-PIEDE: cerca di guardare l’oggetto che gli ha toccato il
piede.
Obiettivi
A breve termine:
- Mantenimento di posizione seduta sul passeggino con reclutamento tonico attivo
della muscolatura del collo;
- Miglioramento del controllo del capo al fine di favorire la corretta relazione con i
compagni e la partecipazione ad attività scolastiche selezionate;
- Guarda dove indica e guarda l’adulto;
- Quando un oggetto entra in contatto con la mano con aiuto lo fa cadere e lo
guarda.
A medio termine:
- Finalizzare il movimento degli arti superiori all’indicazione per supportare
un’eventuale attività di C.A.A. (coordinazione oculo-manuale);
- Riesce a seguire uno stimolo che si sposta davanti a lui in maniera lineare;
- Aumento dei tempi di fissazione;
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- Alterna lo sguardo su almeno tre stimoli.
Unità di lavoro ed esercizi
Capo, occhi e tronco:
In base alla valutazione sono stati impostati esercizi di:
- Fissazione e inseguimento di figure nei diversi piani dello spazio (soprattutto in
basso e a destra perché maggiormente deficitari);
- Localizzazione e identificazione dello stimolo nei diversi spazi;
- Ricerca, fissazione e inseguimento di traiettorie dello stimolo luminoso;
- Dissociazione occhi-capo;
- Integrazione visuo-vestibolo-somestesica.
Analisi dei risultati
(Novembre 2012)
FISSAZIONE:
- Fissazione sul piano frontale: fissa per più di sette secondi la figura, quando la
riconosce sorride. Mantiene il capo inclinato verso destra e compare una lieve
irradiazione di entrambi gli arti superiori in abduzione.
- Fissazione sul piano laterale sinistro: orienta prima gli occhi e poi il capo, riconosce
quasi subito la figura e sorride. Fissa per quattro secondi, poi ritorna col capo in
posizione di partenza perdendo cosi il contatto con gli occhi. Quando sposta il capo
e riconosce la figura eleva l'arto superiore sinistro.
- Fissazione sul piano laterale destro: sono aumentati i tempi della durata della
fissazione, orienta lo sguardo più velocemente e l'irradiazione all'arto superiore
sinistro è praticamente scomparsa.
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- Fissazione in alto: muove poco il capo, orienta gli occhi e fissa per due secondi.
- Fissazione in basso: orienta gli occhi e riesce a fissare per tre/quattro secondi; per
prolungare la fissazione perde il controllo del capo che cade verso il basso.
LOCALIZZAZIONE DELLO STIMOLO NEI DIVERSI PIANI DELLO SPAZIO:
Tale capacità rimane invariata.
INSEGUIMENTO OCULARE:
- Inseguimento oculare da sinistra verso destra: leggermente migliorato rispetto alla
prima valutazione; perde il controllo del capo nel passaggio tra la fine
dell’emicampo sinistro e l’inizio dello spazio frontale, tenta di orientare gli occhi
sullo stimolo, ma riesce a mantenere il contatto occhi-capo solo quando la figura è
posta sullo spazio anteriore e a destra.
- Inseguimento oculare da destra verso sinistra: perde l'inseguimento solo quando
la figura entra nell'emicampo sinistro, ma poi fa diversi tentativi per riprendere
l’inseguimento e fissa per uno/due secondi la figura nello spazio sinistro.
- Inseguimento oculare dall'alto verso il basso: riesce a controllare un po’ di più il
controllo di occhi e capo, poi ne perde il controllo.
- Inseguimento oculare dal basso verso l'alto: l’inseguimento inizia solo quando
l'oggetto è nello spazio anteriore.
ALTERNANZA DELLO SGUARDO:
- Alternanza dello sguardo in alto e in basso: predilige lo spazio in basso perché non
ha ancora il controllo completo del capo, mantiene la fissazione per quattro/cinque
secondi; in alto fissa per tre secondi.
- Alternanza dello sguardo destra/sinistra: invariata rispetto alla prima valutazione.
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COORDINAZIONE MOVIMENTI CAPO E OCCHI:
Se lo stimolo è posto in alto segue principalmente con gli occhi anche se è presente
un accenno di movimento del capo, se è in basso perde il controllo del capo, da
sinistra verso destra segue prima con gli occhi e poi con il capo, da destra verso
sinistra inizia la dissociazione di capo e occhi.
COORDINAZIONE OCCHIO-MANO: guarda l’oggetto e lo spinge verso il terapista.
COORDINAZIONE OCCHIO-MANO-PIEDE: Elio non ha ancora questa capacità.
COORDINAZIONE OCCHIO-PIEDE: tale capacità è invariata.
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CONCLUSIONI
Dallo studio effettuato sono emersi risultati positivi nella qualità dell’ esplorazione
visiva dei due bambini. I miglioramenti più significativi si sono verificati nella
capacità di fissazione, evidenziata da un prolungamento dei tempi, e nella fluidità
dei movimenti oculari, soprattutto nell’inseguimento visivo e nell’alternanza dello
sguardo.
I buoni esiti hanno dato dimostrazione della buona integrazione delle informazioni
visuo-vestibolo-somestesiche, affermando che la stabilizzazione del capo nello
spazio non dipende unicamente dalle informazioni visive, ma sono altresì importanti
quelle vestibolari. Le informazioni vestibolari, infatti, giocano un ruolo importante
anche nell’orientamento spaziale del capo utile per la visuo-localizzazione dello
sguardo. In termini pratici possiamo dire che “il bambino guarda l’oggetto, lo
riconosce, lo osserva in tutte le sue parti e ci gioca manipolandolo cerebralmente”.
La proposta riabilitativa utilizzata, l’Esercizio Terapeutico Conoscitivo, mi ha fatto
concentrare su alcuni aspetti indispensabili per la costruzione degli esercizi: il
movimento è conoscenza e deve dunque essere considerato un mezzo a
disposizione del soggetto per conoscere il mondo; il corpo nella sua globalità deve
essere inteso come un’unica superficie recettoriale, esplorante e modificabile; gli
obiettivi, generalmente, sono favorire la costruzione di comportamenti adattabili
alla diverse condizioni, evitando l’utilizzo di compensi.
Il movimento deve essere considerato come azione finalizzata ad uno scopo, uno
strumento che il Sistema Nervoso Centrale ha a disposizione per interagire con la
realtà per raccogliere informazioni e per arricchire le conoscenze.
L’Uomo, muovendosi, si relaziona e modifica l’ambiente, ma per potervisi adattare,
dev’essere modificato dall’ambiente stesso.
Secondo la Teoria Cognitiva, la riabilitazione è intesa come un processo di
apprendimento in condizioni patologiche: non esistono programmi stereotipati, ma
ogni individuo si muove sempre in maniera diversa a seconda del contesto.
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Il trattamento riabilitativo consente al paziente di recuperare la capacità di costruire
determinate rappresentazioni, non di evocarne di già esistenti; vi è un rapporto
d’identità fra riabilitazione e apprendimento.
Nelle patologie il corpo diventa meno abile a svolgere compiti conoscitivi diretti
verso il mondo (Perfetti, 1996); il corpo deve potersi frazionare per svolgere in
modo corretto il suo ruolo conoscitivo e deve essere interpretato come una
struttura organizzatrice di informazioni.
A livello cognitivo, un lavoro basato su tale teoria, ha allungato i tempi di attenzione
e migliorato le capacità mnesiche e di partecipazione; tale partecipazione ha anche
aumentato la motivazione del bambino a trovare nuove strategie per superare i
“problem solving” della vita quotidiana e questo ha dimostrato quanto sia stato
utile inserire in ogni esercizio una richiesta che richiedeva al bambino una risposta
corretta, una risposta al “problema”, in modo da instaurare in esso la capacità di
cercare informazioni nell’ambiente circostante, cogliendo differenze e somiglianze.
Dal punto di vita puramente motorio un’esercitazione di questo tipo, mirata
all’attivazione del sistema visivo, ha indotto un miglior controllo del tronco e del
capo e una più adeguata capacità di dissociarlo dai movimenti oculari.
Entrambi i bambini potranno sfruttare le modifiche posturali apprese al fine di
avere una migliore capacità relazionale e una buona attività oculo-manuale.
99
Grazie...perché
Grazie: una semplice parola fa capire alle persone che ci stanno vicino che
abbiamo gradito il loro aiuto, sei lettere in risposta a tutto ciò che abbiamo
ricevuto.
Beh a me è stato dato tanto e a molte persone devo dire grazie.
Grazie a Dio che mi ha dato questa opportunità e voglio tenermela stretta
perché non tutti hanno queste occasioni nella vita.
Grazie alla mia mammina, che mi coccola come se fossi ancora un bambino,
perché ha fatto molti sacrifici per permettermi la carriera universitaria e
perché mi ha cresciuto facendomi diventare un uomo serio e sincero.
Grazio al mio papino perché sono sicuro che dal cielo mi ha indirizzato verso
la strada giusta e mi ha aiutato in tutte le scelte difficili illuminandomi il
cammino.
Grazie ai miei fratelli, Antonio e Fabio, perché mi sono sempre stati vicini e
hanno preso il posto di mio papà quando se n’è andato.
Grazie a Chiara perché mi ha dato la forza per raggiungere questo bellissimo
traguardo e ha sopportato i miei sbalzi d’umore nelle sessioni di esame.
Grazie ai miei tutor, Cinzia e Fortunata, perché mi hanno manifestato la loro
passione per questo lavoro insegnandomi tantissime cose valide non solo per
questa professione, ma anche per la vita di tutti i giorni.
Grazie a Valeria perché non è stata semplicemente la mia relatrice, ma una
fonte di aiuto in qualsiasi situazione e ha dimostrato di essere un’esperta
fisioterapista nonostante la giovane età; mi ha seguito passo a passo in
questo lavoro dedicandomi parte del suo tempo libero e anche lei ha
contribuito a farmi diventare un fisioterapista migliore.
Grazie a Caterina perché grazie alla sua esperienza e pazienza con i bambini
ho imparato tante cose.
Grazie al Centro pediatrico di Riabilitazione Motoria perché mi ha ospitato
per tanti mesi e di conseguenza grazie a tutte le figure sanitarie che ci
lavorano: fisioterapiste (Eda), logopediste (Cristiana e Michela),
psicomotriciste (Laura e Sonia), neuropsichiatra infantile (Dott.ssa Susanna
Frasconi), pediatra (Dott. Carlo Amoretti) e infermiera (Lidia).
Grazie a Federico e ad Elio Marcello, i due protagonisti della mia tesi, perché
con il loro affetto e la loro disponibilità hanno incrementato in me la voglia di
lavorare con i più piccoli.
Grazie ai loro genitori perché mi hanno permesso di svolgere questa
sperimentazione e di ottenere risultati soddisfacenti.
E infine grazie ai miei compagni di viaggio di questi stupendi tre anni: a
Martina inseparabile compagna di tirocinio con la quale ho condiviso tutte le
preoccupazioni pre-esami, ad Alessio grande compagno di studio, a
Valentina simpatica compagna chiacchierona e ad Andrea mitico compagno
100
di risate. E un grazie a Fabio e a Laura che hanno reso quest’ultimo anno
ancora più bello!
Grazie a tutte le persone che mi vogliono bene 
BIBLIOGRAFIA
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