“LA DIMENSIONE ERMENEUTICA DEL DISCORSO PEDAGOGICO

“LA DIMENSIONE ERMENEUTICA DEL
DISCORSO PEDAGOGICO”
PROF.SSA MARIA GRAZIA SIMONE
Università Telematica Pegaso
La dimensione ermeneutica del
discorso pedagogico
Indice
1
OLTRE LA PRESCRITTIVITÀ -------------------------------------------------------------------------------------------- 3
2
L’IDEA DELLA RETE ------------------------------------------------------------------------------------------------------- 5
BIBLIOGRAFIA ---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 8
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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La dimensione ermeneutica del
discorso pedagogico
1 Oltre la prescrittività
Nell’attuale stadio di sviluppo del sapere è ormai un dato pressoché acquisito che
l’approccio che disgiunge le discipline tra loro, e anche i rispettivi linguaggi, è da rigettare perché
improduttivo e capace di produrre un effetto frenante per il cammino della conoscenza scientifica.
Circa l’analisi del discorso pedagogico, allo stesso modo, è necessaria una discussione,
ampia e partecipata tra gli studiosi di settore, per fare in modo che il linguaggio non rimanga
circoscritto al solo aspetto prescrittivo. Se il linguaggio rimane rinchiuso in quest’ambito, infatti,
per Carmela Metelli di Lallo, si darebbe esito ad una imperdonabile “decurtazione riduttiva”, per
altro “illecita” se alla base ci fosse l’aspirazione di ridurre il discorso sull’educazione a “moduli
prescrittivo-valutativi non esplicitati”1. In forza di questa “deformazione semplificativa”, il discorso
pedagogico verrebbe a corrispondere ad elencazioni imperative, e tutta la pedagogia ad una raccolta
di proclami prescrittivi, con annesso prospetto valutativo di ciò che si deve fare e di ciò che non si
deve fare2.
Un discorso come quello pedagogico esce dall’ambito prescrittivo perché vuole, tra le altre
cose, anche conservare ampi margini di flessibilità e di negoziazione dei suoi termini, funzionali al
confronto con i discorsi propri delle altre scienze.
Il discorso pedagogico vuole rivendicare un suo riconoscimento e una sua autonomia, e
vuole sottoporsi alla verifica empirica. La ricognizione di un discorso comporta attività di
scomposizione e ricomposizione dei termini in gioco, nel vivo della sua esecuzione, per individuare
1
2
Cfr. C. METELLI DI LALLO, Analisi del discorso pedagogico, Marsilio, Padova 1966, p.75.
Ivi, p. 73.
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le diverse combinazioni possibili fra temi e linguaggi, per scoprire l’articolazione tra le varie parti
ed il collegamento con l’intera linea di sviluppo seguita dall’argomentazione.
L’utilizzazione di approcci diversi, capaci di sviscerare tutta la complessità del discorso
pedagogico come fin qui inteso, costituisce l’apporto metodologico più produttivo.
Per questa ragione, come ci conferma l’Autrice, “la difesa di un solo tipo di approccio e di
procedimento come idonei a dar ragione di tutto il discorso pedagogico nella sua integrale verità è,
di per sé, il più grave fattore di invalidazione di qualsiasi esito possa essere, per tale via,
conseguito”3.
C. Metelli di Lallo, ragionando ancora di discorso pedagogico, si propone anche quesiti di
questo genere: che tipo di registro linguistico è più conveniente ad una teoria scientifica? È utile
privilegiare un linguaggio più accessibile? O più tecnico? Oppure optare per uno “intransigente”?
Ella conclude che la propensione per una specifica tipologia di linguaggio, e per il relativo lessico,
nella formulazione delle teorie, è un problema che interessa, insieme alle teorie stesse, anche i
modelli ed i costrutti e trova una pregiudiziale ragion d’essere nel tipo e nel posto, e dunque nel
valore, che si intende conferire alla pratica dell’interpretazione.
La carica ermeneutica di un discorso, la forza dell’interpretazione, va dunque preservata ed
esaltata, specie quando si ha bisogno di conferire maggiore fecondità a tutta la discussione.
Non basta definire un concetto, ma occorre anche stabilirne la effettiva natura, le proprietà
distintive, la funzione, ecc. Si tratta di dar vita ad uno scavo interpretativo su di esso, per cogliere
insieme lessico, semantica e regole d’uso che possono meglio caratterizzarlo.
3
Ivi, p. 713.
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2 L’idea della rete
Il concetto di rete matura, in Carmela Metelli di Lallo, ragionando intorno alle caratteristiche
di una teoria scientifica. Evidentemente, la studiosa non attribuisce al termine di rete il significato
che oggi si è soliti conferirgli in seguito agli sviluppi delle nuove tecnologie informatiche. Ma si
può parlare di rete anche in contesti che non siano tecnologicamente mediati, e nel suo discorso
appaiono in nuce alcuni elementi di interessante predizione.
L’Autrice si accosta al problema con l’aiuto di K. G. Hempel, matematico e filosofo
tedesco, esponente del neopositivismo logico. Questa corrente filosofica, anche nota come
positivismo, neoempirismo o empirismo logico, sorge nella prima metà Novecento e, in sintesi, si
fonda sul principio che la filosofia debba aspirare al rigore proprio della scienza, e che i suoi assunti
debbano essere verificabili.
Questa scuola di pensiero, cui appartiene K. G. Hempel, ritiene che il sapere debba essere
analizzato secondo i criteri logici propri dell’analisi del linguaggio. Il sorgere di diversi “equivoci”
nella scienza, per lo studioso, dipenderebbe da un uso scorretto delle parole al punto che risolvere
le ambiguità legate al linguaggio significa giungere direttamente alla risoluzione di importanti
problemi filosofici. Come per i neopositivisti, anche la Metelli di Lallo afferma nel suo studio che il
vocabolario di una teoria scientifica si divida in due categorie di termini: teorici e osservativi”4.
Le teorie sono destinate a fare i conti con l’osservabile; il problema della loro validità
diventa allora quello dell’ “attrezzatura interpretativa” cui debbono disporre. Di conseguenza, la
teoria risulta definita attraverso un insieme di proposizioni, con valore euristico, espresse tramite un
4
Cfr. K. G. HEMPEL, Studies in the logic of Confirmation in Probability, Confirmation, and Simplicity, Odissey Press,
New York 1966. Hempel non è comunque stato il primo a mettere in evidenza come l’induzione sia legata a logiche
paradossali: ne avevano già parlato, ad esempio, D. Hume e B. Russell.
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“vocabolario specifico”5. Le definizioni sono organizzate su una “rete sospesa nello spazio. I suoi
termini sono rappresentati dai nodi, mentre i fili colleganti questi corrispondono, in parte, alle
definizioni e, in parte, alle ipotesi fondamentali e derivative della teoria. L’intero sistema fluttua,
per così dire, sul piano dell’osservazione, cui è ancorato mediante le regole interpretative. Queste
possono essere concepite come fili non appartenenti alla rete, ma tali da connettere alcuni punti di
quest’ultima con determinate zone del piano di osservazione. Grazie a siffatte connessioni
interpretative, la rete può essere utilizzata come teoria scientifica: da certi dati empirici è possibile
risalire, mediante un filo interpretativo, a qualche punto della trama teorica e di qui procedere,
attraverso definizioni ed ipotesi, ad altri nodi dai quali, per mezzo di un altro filo interpretativo, si
può infine ridiscendere al piano dell’osservazione”6. La rete non aderisce al terreno dei fatti, ma è
pur sempre ad esso collegata attraverso fili, le cosiddette regole di corrispondenza tra termini teorici
e termini osservativi.
È presente, in questo modo di guardare alla teoria, l’idea della ricorsività, della circolarità
delle informazioni e del flusso dei costrutti, la necessità che il sapere si doti di una sorta di
infrastruttura di comunicazione dinamica, dove non serve che ci sia un centro, se non parziale e
momentaneo, ma dove tutta l’efficacia euristica risiede nella fecondità dei nessi realizzabili tra
concetti e nella diversa morfologia delle interconnessioni ottenibili.
Non si tratta, con l’idea della rete che attraverserebbe anche il discorso pedagogico, di creare
una organizzazione concettuale autosufficiente, ma di disegnare un sistema in rapporto di continuità
con il ricco patrimonio di analisi elaborate nell’ambito della ricerca pedagogica su questo settore,
dove si confrontano, appunto in una logica di rete, parole, contesti d’uso, metodi, persone, valori,
attese, bisogni, ecc.
5
6
C. METELLI DI LALLO, Analisi del discorso pedagogico, op. cit.,. p. 50.
Ibidem, p. 51.
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Per delimitare un oggetto di analisi, sulla quale progettare una rete concettuale ed un
apparato teorico, Carmela Metelli di Lallo suggerisce alcuni criteri metodologici: l’individuazione
di “temi” o di “concetti” prevalenti e ricorrenti; l’identificazione della “struttura logica” che appare
discriminativa di un discorso rispetto ad altri; l’evidenziazione dei procedimenti argomentativi
seguiti nella trattazione della materia. Tali criteri di ricognizione, e altri, dove sono previamente
enunciati si trovano spesso integrati tra loro soprattutto quando si incontrano temi comuni a più
discipline come accade nel sapere contemporaneo7.
7
Ibidem, p. 96.
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Bibliografia
 Boscolo P., Ricordo di Carmela Metelli di Lallo, in Aa. Vv., La ricerca pedagogica tra
scienza ed utopia. Scritti in memoria di Carmela Metelli di Lallo, La Nuova Italia, Firenze
1979.
 De Giacinto S., L’educazione come sistema. Studio per una formalizzazione della teoria
pedagogica, La Scuola, Brescia 1977.
 Hempel K. G., , Studies in the logic of Confirmation in Probability, Confirmation, and
Simplicity, Odissey Press, New York 1966.
 Metelli di Lallo C., Analisi del discorso pedagogico, Marsilio, Padova 1966.
 Paparella N., Istituzioni di Pedagogia, Pensa Multimedia, Lecce 1997.
 Simone M. G., L’analisi del discorso pedagogico. L’attualità del pensiero di C. Metelli di
Lallo, in Paparella N. (a cura di), Il progetto educativo, vol. 3, Armando, Roma 2009.
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