La sfida del m­brand
Rapporto tra immagine della marca e utilizzo delle mobile app
di Carolina Guerini e Lara Stocchi
Dicembre 201 5
Articolo di approfondimento
> M-commerce e m-marketing
> Metodologia di ricerca
> Principali risultati
Di recente si fa un gran parlare di mmarketing e di m-commerce: grazie alla
possibilità di contatto costante con il
cliente tramite smartphone, tablet e
phablet, è nato un nuovo approccio di
marketing che offre interessanti opportunità alle imprese e anche ai consumatori.
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Il mobile marketing crea nuove possibilità di customer engagement nei confronti della marca.
Tuttavia l'evidenziazione di tali peculiarità, seppure utile, non è sufficiente alla
completa comprensione del fenomeno.
Sono ancora limitate, per esempio, le
conoscenze in tema di strategie di mobile marketing e di mobile branding per
raggiungere e fidelizzare ampi gruppi di
consumatori target, ma anche per consolidare e sviluppare l'immagine del
brand, indirizzando la scelta del consumatore verso un'app rispetto ad un’altra.
Secondo molti, m-marketing e m-commerce presentano caratteristiche "uniche" rispetto ai contesti di marketing più
tradizionali individuate nel diverso uso
della tecnologia rispetto agli altri contesti online, come l'e-commerce e l'online retailing. Per esempio, alcune
ricerche pongono l'accento sulla caratteristica dell'ubiquità - ovvero sulla possibilità di accedere ai servizi
istantaneamente e ovunque - come un
fattore peculiare dell'adozione di tecnologia mobile.
Gli autori più accreditati sono concordi
nel ritenere che, nonostante l'interesse
suscitato dal canale mobile, le certezze
su tali tematiche strategiche sono ancora assai limitate. Anche se può sembrare sorprendente, ad oggi non sono
disponibili ricerche sull'efficacia delle
strategie di marca nel contesto del mobile, che pure appaiono innumerevoli,
come si sottolinea da più parti. A riprova di ciò, il commercio a mezzo di device mobili è stato definito "brand in the
hand" 1 per la possibilità di favorire un
Focus articolo
> Digital Experience Branding
21 marzo - 23 marzo 2016
> Internet, Social Media e Mobile per la
Corporate Communication e il Marketing
18-21 aprile 2016
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contatto permanente tra il cliente e le sue marche preferite.
Alcune recenti ricerche di Carolina Guerini e Lara Stocchi
tentano di colmare, almeno in minima parte, questa lacuna
conoscitiva attraverso l'analisi della relazione tra utilizzo di
applicazioni e immagine dei mobile brand (m-brand) e attraverso l'esame dei differenti comportamenti di acquisto di
app.
Grazie alla collaborazione con Nexplora, nota società di ricerca milanese, l'indagine empirica presentata di seguito si
avvale di un ampio panel di consumatori italiani, dei quali
sono stati analizzati l'utilizzo e l’immagine di marca con
riferimento a 47 applicazioni, di cui 21 gratuite e 26 a pagamento. I risultati appaiono interessanti e confermano
l'importanza di strategie di marketing mirate allo sviluppo
di applicazioni mobile. È davvero possibile avere un brand
in hand.
M-commerce e m-marketing: alla ricerca delle linee
guida per il mobile marketing delle tecnologie digitali
Il cosiddetto m-commerce è stato decritto come una piattaforma di marketing differente da quelle tradizionali, perché
in grado di favorire un insieme di scambi di dati e di transazioni in ogni luogo e in ogni momento. Nonostante non
ci siano prove empiriche, si legge spesso che l’m-commerce offrirebbe opportunità crescenti per l’affermazione delle
politiche di marca. Lo dichiarano, per esempio, Sultan e
Rohm 2, divenuti noti per avere definito l’m-commerce come la possibilità di avere la ‘marca in mano’ (brand in the
hand).
In letteratura, in realtà, non è esplicito neppure che cosa si
debba intendere per m-brand. Inoltre, si possono distinguere differenti tipologie di applicazioni mobile Tra queste,
due macrocategorie presentano - con tutta probabilità - differenze in termini di comportamento di acquisto e di utilizzo: quelle gratuite e quelle a pagamento. Ma in letteratura
non vi è ancora alcun riscontro empirico sui principi e sui
meccanismi che favoriscono l’efficacia delle strategie di
marca delle due macrocategorie di applicazioni mobile.
Prendendo avvio da Keller3 l’immagine di marca consiste
nell’insieme di percezioni che il cliente immagazzina nella
memoria in riferimento a un nome di marca. Le percezioni
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includono, a loro volta, gli attributi (inerenti o non inerenti la
marca), i benefici garantiti (benefici di natura funzionale,
esperienziale, simbolica) e gli atteggiamenti verso la marca (tra cui le valutazioni della marca). Esse derivano, in
primis, dall’esperienza di consumo del cliente, ma sono favorite anche dall’esposizione alle politiche di comunicazione aziendale e al passaparola. Tutto ciò risulta,
sinteticamente, in un processo di associazioni spontanee
rispetto alla marca che il cliente custodisce in memoria e
cui diamo il nome d’immagine di marca.
L’immagine di marca (brand image) - insieme ad un altro
aspetto fondamentale che caratterizza le marche, ovvero
la notorietà (o awareness) definita come la capacità di riconoscere la precedente esposizione alla marca - costituisce una componente essenziale del valore (brand equity)
di marca. Sulla base del celeberrimo framework della CBBE (Customer-based Brand Equity), essa può essere definita come la risposta differenziale fornita dai consumatori
alle attività di marketing. Tale risposta differenziale è rappresentata dalle percezioni di marca, dalle preferenze e
dal comportamento del consumatore in risposta al mix di
marketing. Il comportamento risulta infine un fattore fondamentale, determinante in termini di scelta e utilizzo della
marca, per effetto di una preferenza espressa rispetto ad
offerte concorrenti.
E’ importante anche ricordare che la risposta del consumatore, ovvero il comportamento di acquisto, è funzione di
una ricerca della marca in memoria e della capacità di rinvenire la stessa nel set presente in memoria. Di conseguenza, è stato accettato per lungo tempo il fatto che
l’immagine di marca sia al contempo il risultato dell’utilizzo
(posto che l’utilizzo è una delle fonti di maggiore importanza per lo sviluppo delle associazioni di marca), ma anche
la determinante del consumo.
Alcuni lavori più recenti illustrano come il rilievo empirico e
pratico della relazione tra l’utilizzo dei prodotti e l’immagine
di marca sia meglio rappresentato da dati statistici sulla
performance di marca, rilevati attraverso questionari diretti
a quantificare le associazioni di marca. Romaniuk4 dimostra che è possibile basarsi sul concetto di immagine di
marca per calcolare metriche quali una quota di mercato
‘mnemonica’ (ovvero la porzione di associazioni di una
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specifica marca in relazione a quella dell’intera categoria),
la penetrazione associativa (la porzione di consumatori in
grado di fornire almeno un’associazione di marca) e il tasso associativo (il numero medio di associazioni di una
marca). Le suddette metriche forniscono una chiara indicazione della chance che ogni marca avrà di essere ‘considerata’ nel momento dell’acquisto, e sono correlate
positivamente con il comportamento di consumo, consentendo, quindi di individuare implicazioni manageriali sulle
strategie di marca.
stessa app (n=1 ,331 ).
Cenni sulla metodologia della ricerca
Ai fini del presente lavoro di ricerca, le m-brand sono definite quali marche sviluppate nell’ambito delle tecnologie
mobile sulla base dell’impiego di marche esistenti (es. Zara shopping brand) oppure attraverso il lancio di marche
nuove (es. Candy Crush Saga app).
I dati concernenti l’utilizzo e le percezioni di tutte le app
sono stati utilizzati per il calcolo di una serie di dati statistici sulla categoria (distinguendo le app a pagamento da
quelle gratuite), nonché sulle singole marche e hanno costituito, successivamente, l’input per una serie di test.
Secondo quanto rinvenuto in letteratura in merito ai principali fattori di influenza nel contesto mobile, sono state
somministrate sei percezioni principali ai rispondenti per
l’elicitazione delle associazioni. Queste sono state individuate in:
1 . Semplicità di utilizzo
2. Convenienza (utilità)
3. Divertimento/intrattenimento
4. Conformità alle esigenze
5. Piacevolezza estetica
6. Predisposizione a stimolare il passaparola tra consumatori.
Con riferimento all’utilizzo delle m-marche, sono state calcolate due diverse misure:
• Per ogni categoria, la % di utilizzo della categoria, ovvero la proporzione del campione totale che afferma di
avere scaricato e/o utilizzato l’app nei 30 giorni precedenti
(n=2,405)
• Per ogni marca, la % di utilizzo dell’app, calcolata come porzione del campione che indica l’uso corrente della
Con riferimento all’immagine di marca, in linea con le elaborazioni di Keller (1 993) e di Romaniuk (201 3), i dati statistici sulle percezioni di marca derivano dall’analisi di
un’ampia gamma di associazioni rappresentative delle
percezioni di marca. I dati relativi alle associazioni, sono
stati raccolti sulla base di un format che prevedeva la possibilità di indicare un numero libero di associazioni per ogni
marca (Driesener, Romaniuk, 201 3).
Secondo la metodologia proposta da Romaniuk (201 3), le
associazioni di marca a disposizione nel dataset sono
state utilizzate per calcolare le seguenti metriche:
• Per ogni m-marca la quota di mercato ’mnemonica’
(mental market share), calcolata quale rapporto tra il numero totale di associazioni di una singola app rispetto al
numero totale di associazioni ottenuto da tutte le app della
categoria;
• Per ogni m-marca e per l’intera categoria, la % di penetrazione associativa (associative penetration), calcolata
come porzione di rispondenti in grado di indicare almeno
un’associazione rispetto al totale della categoria (v. sopra);
• Per ogni m-brand e per la categoria, il tasso associativo (associative rate), ovvero il numero di associazioni medio per marca, per ogni rispondente in grado di fornire
almeno un’associazione rispetto al totale della categoria (v.
sopra).
Il calcolo delle suddette metriche è stato utile per lo svolgimento di alcuni test empirici. E’ stata effettuata una regressione lineare tra le misure di utilizzo e le misure di
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immagine di ogni m-brand. E’ stato operato il confronto dei
coefficienti di regressione lineare b ed i valori residui R2, in
base a cui sono state dedotte conclusioni.
Infine, le metriche (quelle delle due categorie e quelle di
ogni m-brand) sono state imputate nel software in grado di
generare gli equivalenti teorici della stessa misura sulla
base di un modello matematico software, il modello
Dirichlet. Ciò ha reso possibile la comparazione tra la misura teorica e quella osservata, in modo da poterne derivare ulteriori conclusioni sul contesto mobile.
I principali risultati dell’analisi proposta
Nonostante le numerose differenze ascritte alla nuova (e
poco esplorata) piattaforma denominata m-commerce, la
presente ricerca attesta anche alcune similitudini tra contesti digital, on- e offline. In particolare, l’analisi condotta
conferma che la performance delle m-brand dipende in
gran parte dall’ampiezza dell’utenza, la quale, a sua volta,
favorisce il miglioramento dell’immagine, anche nel contesto digitale.
La prevista evoluzione delle app sembra in questo senso
supportata anche dal presente studio, atteso che le mbrands contribuiscono a definire le percezioni di marca attraverso l’utilizzo. Ancora, le app appaiono in grado di fare
ciò, anche in presenza di marche nuove, lanciate nel contesto mobile.
Con maggiore dettaglio, rispetto al livello di utilizzo, i dati
raccolti riflettono la dicotomia attesa tra app gratuite e a
pagamento: la percentuale di utilizzo medio è superiore
per le app gratuite (21 .7) rispetto a quelle onerose (4.1 ).
Le differenze nelle metriche proposte per la misurazione
dell’immagine di marca non mostrano, invece, sempre la
medesima dinamica. Più specificatamente, nel livello di
mental market share si riscontra una minima differenza tra
categorie (4.5 per le free app e 4.0 per quelle a pagamento), mentre nella % di penetrazione associativa la differenza è rilevante, in favore delle app gratuite (1 9.2 per le free
app versus 7.1 per quelle a pagamento). Infine, il tasso associativo medio mostra, nuovamente, una differenza marcata, ma, in quest’ultimo caso, a favore delle app cedute a
titolo oneroso (2.4 versus 1 .9 rispettivamente).
Si tratta di un risultato di per sé interessante, in quanto
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sottolinea la differenza tra app gratuite e app onerose,
sancendo che, se le app gratuite attraggono un maggior
numero di utilizzatori capaci di ‘pensare alle free app’ (come si evince dai maggiori valori della penetrazione associativa relativa alla categoria rispetto a quelli della
categoria a pagamento); le app a pagamento attirano
utenti che conoscono a fondo il prodotto prescelto, per il
quale mostrano una chiara ‘disponibilità a pagare’ (come si
evince dai valori superiori del tasso associativo).
Ancora, i valori delle metriche di marca crescono in funzione della percentuale di utilizzo, ovvero le applicazioni che
presentano un maggiore tasso di utilizzo mostrano, costantemente, valori superiori in tutte le misure dell’immagine di marca.
I valori statistici relativi alle categorie e alle marche sono
stati utilizzati, successivamente, per la conduzione di alcuni test sopradescritti. L’analisi di correlazione mostra che
essa è positiva tra % di utilizzo e tutte le metriche concernenti l’immagine di marca. Per completezza, i risultati sono
consistenti per tutte le app comprese in ogni categoria e riguardano dunque sia le app che impiegano marche esistenti (es. Zara), sia quelle che propongono marche nuove
(es. Candy Crash Saga app), sia quelle che offrono servizi
online (es. Facebook). La correlazione maggiore si rinviene tra la percentuale di utilizzo e la penetrazione associativa. Nonostante il risultato sia comune per entrambe le
categorie di app, la correlazione è marginalmente superiore per le app gratuite (soprattutto considerando i valori
dell’indice di correlazione).
Per approfondire il risultato, sono state esaminate, quindi,
le informazioni disponibili nel dataset relative alle motivazioni di acquisto fornite dagli utenti di app a pagamento. In
dettaglio, esse dimostrano che il senso di urgenza o necessità, l’unicità (ovvero l’assenza di alternative e il fatto di
essere ‘alla moda’) e il valore della co-creazione (ovvero la
possibilità di supportare gli sviluppatori) appaiono, al di là
del prezzo, fondamentali per la scelta. Le suddette motivazioni hanno dunque un’‘influenza a priori’ sulla correlazione tra utilizzo del brand e immagine di marca.
Un secondo risultato di rilievo riguarda la conferma
dell’esistenza dell’effetto denominato in letteratura Double
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Jeopardy in entrambe le categorie di app
esaminate. Del pari di quanto avviene
offline o online (ovvero nei contesti più
tradizionali), le app che contano su
un’utenza ampia sperimentano, costantemente, un livello di immagine superiore, specialmente con riferimento alla
capacità che i clienti mostrano di ‘recuperare le app dalla memoria' (misurato
dalla penetrazione associativa, la metrica che più di ogni altra risulta, alla luce
di questo primo studio, correlata positivamente con l’utilizzo).
Infine, ad un livello più generale, i risultati di ricerca appaiono di estremo interesse in quanto indicano anche la possibilità
di valutare la performance di una mbrand sulla base di indicatori e misure
utilizzate tradizionalmente. Ciò include la
possibilità di ricorso alla relazione tra utilizzo e immagine e all’effetto Double
Jeopardy, non solo per fare benchmark
tra differenti app, ma anche per la previsione delle future dinamiche di acquisto
e per la simulazione delle dinamiche alternative previste, per esempio, per app
a pagamento o gratuite.
Carolina Guerini è Professore Associato di
Economia e Gestione d’Impresa alla LIUC,
dove è responsabile della Laurea Specialistica in Marketing. E’ inoltre componente
della Faculty di SDA Bocconi - nell’ambito
dell’area marketing. E' autrice di numerose
pubblicazioni nazionali e internazionali su
temi di marketing internazionale e di marketing. Ha trent’anni di esperienza professionale come consulente e formatore, anche in
prestigiose Università e Business School
internazionali.
Lara Stocchi è Senior Lecturer in Marketing
alla Flinders University of South Australia, ad
Adelaide, dove è responsabile per la ricerca,
coordinatrice del programma di inserimento
al lavoro per gli studenti master e docente
nei corsi di laurea di economia e business. E’
autrice di varie pubblicazioni sul tema della
scelta del consumatore, specialmente in
merito agli aspetti psicologici e mnemonici
delle decisioni di acquisto. I suoi lavori sono
pubblicati in riviste accademiche, quali ill
Journal of Advertising Research, l’International Journal of Market Research ed il Journal
ofConsumer Behaviour.
La Marketing Community è co­
stituita da tutti coloro che hanno
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tato da un mix straordinario di
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Per informazioni:
www.sdabocconi.it/amacom
[email protected]
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Ti aspettiamo ai
prossimi eventi!
1 : Sultan e Rohm (2005): rispettivamente della Northeastern
University, Boston e della Loyola Marymount University, LA
2: Ibidem
3: Kevin Lane Keller: Tuck School of Business - Dartmouth
College
4: Jenni Romaniuk: University of South Australia Business
School - School of Marketing
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