LE ORigini dELLA CRiSi nELLA SOCiETà gLObALizzATA

John Carlins
Le origini della crisi
nella società globalizzata
Modernità e voglia di distruzione:
le conseguenze sociali ereditate
dalla Prima guerra mondiale
ARMANDO
EDITORE
Sommario
Presentazione del libro
Introduzione
Le fonti
Primi concetti per capire
Le cause principali allo scoppio della Prima guerra mondiale
Cause secondarie, ma non meno importanti
Altri dettagli
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Prima parte
1913 L’humus culturale che formò il concetto di guerra
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Premessa31
Le novità del 1913
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Il capitolo sulla psicanalisi
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Il capitolo sull’arte – la pittura
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Il capitolo della fotografia
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Il capitolo sulla letteratura
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Il capitolo sull’architettura
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Il capitolo sulla musica e il teatro
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I fatti che non si possono capire
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Seconda parte
Modernità e distruzione
La confusione della modernità nel grande equivoco
Quant’è tardo il progresso nelle idee morali e sociali!
Perché a 100 anni di distanza non ricordiamo più il moralista
(Max Nordau) e resta in mente il deviato e confuso?
(Friedrich Nietzsche)
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Le cause del pessimismo
Il nuovo che avanza mentre tutti erano distratti: gli Stati Uniti d’America
Il concetto di uomo nuovo e moderno
Una dottrina della guerra con risvolti sociali
nel culto dell’uomo marziale
Invocando la guerra per combattere la noia: Nietzsche, Heym e altri
Il crollo delle idee di Nietzsche L’epoca del disincanto produsse, anziché lo sfascio dello sforzo
bellico, una tenace resistenza. Emerge un nuovo uomo,
ammutolito che piange
Perché meditare così a fondo le origini del primo
conflitto mondiale in epoca globalizzata?
Terza parte
Il periodo tra il 1900 e il 1914 meditando l’apocalisse
Premessa alla parte squisitamente storica del libro
Perché la storiografia del periodo trascura l’Italia
o addirittura la offende
La posizione dell’Italia nel 1914
La sindrome del 1915 (Italia) che si replicherà nel 1940,
quindi l’8 settembre 1943 l’ingresso nella moneta unica (euro)
Il sistema di alleanze per superare il Concerto Europeo
Un detto di quell’epoca: “Guai a te che hai un Re ragazzino”
La supercorazzata: la competizione navale
Amicizie improbabili: l’Entente Cordiale
L’orso e la balena: Russia e Gran Bretagna
La Duplice Alleanza austro-tedesca
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Nasce la personalità come simbolo dell’uomo nuovo
che unito ad altri forma l’opinione pubblica. Il Nazionalismo
ne rappresenta, a quell’epoca, il collante sociale
Nasce il concetto di Stato Maggiore
All’alba della Grande guerra: la prima crisi internazionale
in Marocco 1905
La crisi bosniaca: gelo tra l’Impero austroungarico e la Russia
Verso la Prima guerra mondiale: la seconda crisi marocchina.
Agadir 1911
Verso la Prima guerra mondiale: le guerre balcaniche
del 1912-1913
Gli ultimi mesi prima dello scoppio della guerra: 1914
I giorni in cui si spense la luce sul mondo: la
la dichiarazione di guerra dell’Austria alla Serbia,
28 luglio 1914
Un entusiasmo che durò una settimana:
i giorni di preludio alla Prima guerra mondiale
La guerra e il bisogno di un mito che la trasformasse in avventura
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Conclusioni. Oggi 24 maggio in Italia, perché ricordare
100 anni fa l’ingresso in guerra?
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Bibliografia
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Presentazione del libro
Questo libro è stato scritto per ricercare le origini di un comportamento
nervoso, isterico, collerico e poco collaborativo che affligge l’epoca globalizzata e l’Italia in particolare.
Che tipo di personalità esiste oggi, perché gli individui sono così conflittuali? E ancora, perché con l’avvento del web e del social network (si
ricorda che esiste un solo social network e tanti media) le persone sono generalmente superficiali, elaborando delle sintesi di un pensiero mai svolto?
Sono domande la cui risposta non è possibile immaginare senza tornare agli
albori dell’affermazione sociale della personalità attraverso l’opinione pubblica, che ne rappresenta lo stadio di maturità. Analizzando l’era moderna e
contemporanea, il fatto d’essere solitamente in ansia o normalmente ostili,
dovrebbe comportare una riflessione sociologica che in questo scritto assume una forte valenza storica. Il motivo è semplice: dove sono le origini del
nostro comportamento moderno? Per rispondere alla domanda dobbiamo risalire al periodo tra il 1890 e il 1914. In quegli anni la psicanalisi permise
l’esplorazione della personalità umana, ma anche le arti, ricercando nuove
forme espressive, contribuirono a spingere la sperimentazione imponendo “il
nuovo”. Ripensando al periodo, ci fu un’importante confusione di ruoli tra
i 2 concetti di crescita e sperimentazione, entrambi accecati dal bisogno di
velocità come accelerazione di fatti ed eventi. Per essere moderni bastò solo
essere veloci, acriticamente impegnati sull’effettiva destinazione. Frasi come
“il movimento è libertà”, drogarono una generazione affamata di “nuovo”
dopo secoli di progressiva e lenta crescita.
Seguendo questo percorso la sperimentazione (cui tutto è concesso) allagò il bisogno di modernità confondendo e condizionando. In pratica, si
divenne moderni solo se estremizzati. L’opinione pubblica, già isterica per
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natura, ci credette e nacque così quella miscela esplosiva che non poté non
restare affascinata dalla sua stessa autodistruzione, immaginandosi come
un dio laico o minore. Allora, come oggi, sarebbe stato opportuno fermarsi
e capire, ma così non fu nel 1914 come non lo è in questi anni globalizzati.
Per modernità s’intende quel momento storico in cui la personalità si conferma sul piano sociale attraverso l’opinione pubblica, il che vuol dire agli
esordi della Prima guerra mondiale. Infatti, il primo e il secondo conflitto
non sono accaduti (questa è un’altra tesi del libro) per caso, ma come diretta
volontà di popoli in completo stato confusionale, non indirizzati da alcuna
classe dirigente dell’epoca. Tornando agli anni recenti, afflitti da nervosismo
sociale, perché, ad esempio, un’assemblea condominiale può diventare un
campo da battaglia? La tensione nervosa, oltre agli aspetti cardiovascolari
negativi, è soprattutto uno dei detonatori che hanno portato le coppie sposate a separarsi-divorziare al 42% in Italia (dato ISTAT) e al 45% negli Stati
Uniti, per non dire quanto accade anche nelle convivenze che falliscono al
60% complessivo (dato stimato). Si tratta di un’epidemia che affligge l’amore stabile, quello di lungo periodo favorendo l’occasionale, il fortuito e il
superficiale. Cos’è accaduto da ridurre le persone in questo stadio di povertà
affettiva danneggiando loro stesse e la solidità del sistema sociale?
Per proseguire va focalizzato un altro concetto che riguarda i tempi contemporanei oltre l’immaturità affettiva: il nervosismo. Si tratta di una malattia, come lo è anche la noia che insieme colpiscono il comportamento
umano. In questo caso dobbiamo distinguere tra un nervosismo individuale
(il peggiore, in grado d’arrecare importanti guasti alla coppia, famiglia e
società) da quello collettivo e sociale, che potrebbe anche sfociare in creatività, fantasia e imprenditorialità.
In Nord America, ad esempio esiste una tensione/nervosismo a livello
personale che è inferiore a quella italiana, il che migliora la qualità della
vita in senso collettivo e comunitario, ma non l’incidenza delle separazioni di coppia. Ecco che la realtà si complica, infatti nonostante nel Nuovo
Mondo si viva generalmente meglio, il rapporto personale e di coppia ne
risulta ugualmente danneggiato. Quale la relazione tra questi due fatti? Certamente il trasmettere nella società, attraverso i figli, un’instabilità affettiva
e in fondo anche caratteriale, non può che nuocere alla comunità nel suo
insieme, colpendo anche la creatività e la produttività.
Approfondendo la morte dell’amore in una coppia, non è solo un fatto
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tra adulti, ma riflette immediatamente sui più deboli, i figli, una mancanza
di fiducia nella vita che avrà i suoi effetti nei rispettivi matrimoni. Non
solo, in questa stessa generazione si nota una minore capacità educativa
delle donne sugli uomini, da cui una scadente educazione all’amore. Ecco
che il comportamento confuso e sintetico (superficiale) imputabile in genere all’Occidente, trova generalmente giustificazione nel web e nel social
network, dove si ragiona per sintesi di un ragionamento mai espresso (Zygmunt Bauman). Quest’ultima interpretazione, sul web come piaga sociale
d’immaturità, è sicuramente dotta e profonda, tanto da sintetizzarsi in titoli
di grande successo: società liquida, amore liquido. Al netto di ogni cosa
però resta sempre un problema: come abbiamo fatto a giungere a questo
sottolivello di civiltà? Perché abbiamo accesso a sofisticate tecnologie,
eccezionalmente diffuse e non sappiamo discutere per ragionare evitando
conflitti, urla, silenzi scontrosi e disastri coniugali, da cui figli complessati
e pericolosi per la stabilità della società futura?
La tesi del libro è di collegare le analisi storiche già sviluppate sul concetto di “uomo nuovo”, per proiettarle sugli attuali problemi sociali, affinché sia nota la “data e l’origine” di un comportamento che non si sta rivelando adeguato nei confronti dei valori fondamentali dell’uomo: l’amore,
l’amicizia, la famiglia, i figli, la comunità nazionale e quella culturale.
Come si potrà leggere nella prima parte del libro, negli anni immediatamente prima al grande conflitto, si confuse il concetto di moderno con la velocità (Filippo Tommaso Marinetti e il futurismo) e con l’esagerazione (nella
pittura come nelle arti in genere) spingendosi verso l’indagine dell’animo
umano (psicanalisi); tutti passaggi che hanno segnato degli eccezionali progressi, tranne quando ebbero un comune denominatore: l’eccesso.
Una vecchia canzone recita: voglio vivere una vita esagerata. Ecco i
risultati di una vita esagerata condotta per un secolo: 60 milioni di morti
solo tra il primo e il secondo conflitto mondiale, solitudine, sofferenza &
progresso, ricchezza come mai nella storia, calo della mortalità infantile e
della fame nel mondo. Certamente però la vita esagerata, per quanto affascinante possa essere, non lascia un retroterra, una storia su cui vivere, una
famiglia, dei figli, ma solo semi sparpagliati senza frutto. È giusto così? Il
libro entra in punta di piedi nel merito morale, toccando appena il campo
della filosofia e della religione, lasciando ad altri il compito di trarre le prime conclusioni. Resta il punto come l’uomo moderno nel 1914 e in seguito
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anche la donna, siano voluti entrare in guerra, nel primo grande conflitto
mondiale per pentirsene un mese dopo. Tutti soffrirono, vinsero e anche
persero, per ritrovarsi ancora più incattiviti nel primo dopoguerra, introducendo la violenza collettiva nei loro comportamenti. Non che il mondo
fosse “rose e fiori” prima dei grandi conflitti mondiali del XX secolo, ma
con l’era moderna la scala della distruzione divenne “enorme”, accarezzando nel disegno d’onnipotenza, anche l’autodistruzione come mito e fascino.
Moderno e affascinato dalla sua distruzione: sarebbe questo l’uomo nuovo
in un’era del fortuito e volatile?
Anticipando la conclusione di questo studio sociologico e storico, si osserva come l’idea della modernità sia ancora incompiuta. Manca, in epoca
globalizzata, quella donna e quell’uomo moderni che all’inizio del XX secolo furono pensati e lanciati nella storia. In questo momento stiamo ancora
raccogliendo un progetto restando fermi alla sua parte peggiore.
È possibile che il fallimento del concetto di moderno, allora come oggi,
sia dovuto alla confluenza della politica nel progetto che ha reso tutto troppo concentrato! In effetti per definire l’uomo nuovo sono scesi in campo
comunismo, socialismo, fascismo, franchismo, nazismo, nazionalismo, futurismo e infine la democrazia: che affollamento! Certo è punto di vista da
cui partire per ipotizzare il futuro tratteggiando un nuovo carattere che sia
socialmente compatibile responsabile e autorevole. Detto in altre parole,
potrebbe essere un’interessante via d’uscita dall’attuale crisi sociale, la formazione di un nuovo individualismo socialmente motivato. Ad esempio, la
scuola non dovrebbe più solo puntare sul singolo, trascurando le sue relazioni e influenze sul gruppo, ma coltivare la classe nella sua interezza. Oggi
non è così. Nella scuola c’è un eccesso di psicologi e nessun sociologo. Con
questa formula educativa di questo tipo, è stato valorizzato eccessivamente
l’individuo a danno della comunità per cui ci troviamo nello stadio maturo
del nichilismo (individualismo esagerato).
Con la voglia di migliorare NOI per migliorare il mondo, ci apriamo a una
prospettiva completamente nuova, integralmente da progettare, figlia delle
migliori idee del passato. Ecco come questo libro diviene terribilmente attuale pur discutendo della storia della modernità a cavallo del XX secolo.
Per evitare di scrivere un trattato tecnico ristretto agli addetti, la scelta
editoriale del volume è stata di presentarsi al grande pubblico discutendo
principalmente di storia, in forma sintetica, con un’importante chiave so12
ciologica. Qui lo stile di narrazione vuole essere introspettivo, con diretti
riferimenti agli anni correnti in era globalizzata. L’augurio è d’esserci parzialmente riusciti, consegnando una chiave di lettura provocatoria al lettore, affinché possa discutere con un’importante base di riferimento l’attualità, i drammi personali e familiari che lo affliggono. Si tratta di una scelta
originale che si affianca ai classici di storia e sociologia. Indubbiamente, in
questi testi sacri, lo specialista che si dedica a un solo aspetto della dinamica umana, o quello storico come artistico, letterario, sociologico, resta
ancora e così sarà per sempre, fondamentale per comprendere. Nonostante
ciò l’eccessiva specializzazione porta il lettore a perdere di vista la realtà
che sarebbe l’insieme di più eventi, tutti contemporanei (l’interdisciplinarietà dell’esistenza umana).
Nel bisogno di voler meglio comprendere i fatti della vita, delle donne e degli uomini, la dottrina ha parcellizzato la realtà sganciandola dalla
sua essenza, ponendo le premesse al dubbio: perché nell’attuale vita non
riusciamo a replicare la gloria e i fatti del passato? Forse i nostri avi erano
migliori? Nel tentativo di cercare di riunire i frammenti di vita del passato
in un unico punto di vista che possa cogliere sia il piano collettivo (politico, sociale, economico e sociologico) con quello individuale (psicanalitico, psicologico e passionale) è stato scritto questo libro con l’intento
di cogliere in un sol colpo d’occhio i processi di causa effetto. Forse da
questo esperimento potrebbe partire un nuovo filone “interdisciplinare”. Lo
auguriamo. Certamente da qui è possibile, godere di un punto di partenza
per comprendere cosa stia accadendo in una società, quella globalizzata che
sta totalizzando il record delle mancate promesse. Stiamo raggiungendo
l’opposto di quanto ci siamo ripromessi. Perché?
Buona lettura.
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Introduzione
Il libro sviluppa soprattutto otto tesi che sono:
• La Grande Guerra fu cercata e voluta da tutti, anziché un incidente
accaduto per caso sulla florida cultura occidentale, come spesso ritenuto dalla storiografia ufficiale. Un esempio tra tutti. Il regista Christian
Carion, aprendo il film Joyeux Noel, una verità dimenticata dalla storia,
del 2006, esordisce con 3 distinti ragazzini, un francese, un inglese e
un tedesco, che nelle rispettive classi, a scuola, recitano una filastrocca.
Ogni poesia, nella sua lingua originale, descrive un nemico intento nel
distruggere la Patria e promette d’immolarsi nella lotta, all’ultimo sangue, per la salvezza finale. Con queste premesse è possibile affermare
che quasi tutti in Europa vollero la guerra (popolari, socialisti, intellettuali, artisti, borghesi e militari) per cercare un nuovo equilibrio tra l’avanzamento della società e le classi dirigenti, rimaste ferme allo schema
liberale e della nobiltà, rivelatesi troppo limitate per le ambizioni e i
nuovi bisogni della società. Ecco che la guerra, come atto cruento avrebbe, secondo le speranze, rotto il vecchio regime aristocratico per aprire
la società alla modernità.
• C’è un nesso tra modernità e cultura della distruzione? L’uomo classico
e quello rinascimentale furono entrambi tesi verso la costruzione pur
distruggendo. È il caso dell’Impero Romano da cui riuscì a emergere un
mondo nuovo, il Medio Evo e il Rinascimento. Con la modernità cambiano le regole introducendo delle importanti estremizzazioni. L’affermazione della personalità individuale e il successivo sviluppo dell’opinione pubblica, che ne rappresentò l’interfaccia sociale, con le continue
crisi isteriche della folla, spinsero verso il confronto militare i governi
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incapaci di gestirne i capricci. Solo con la modernità la guerra raggiunse
i suoi vertici in numero di morti, feriti e segnati per sempre dentro lo spirito. Solo la modernità è riuscita ad accettare che 6 milioni di persone,
solo perché di razza ebraica, potessero essere uccise. Solo la modernità
permise che in Russia, milioni di persone poterono morire perché un
dittatore comunista così decise. Solo la modernità permise lo stesso in
Cina, altra dittatura comunista, dove le morti per fame ammontarono,
nei soli anni Cinquanta a 25-30milioni di contadini, perché non gestibili
dal partito. Senza andar lontano, solo nella modernità si riesce oggi ad
assistere a una distruzione massiccia d’amore coniugale. C’è un nesso
tra modernità e distruzione?
• Il terzo passaggio di studio analizza l’affermazione della personalità ponendo in relazione le classi dirigenti con l’opinione pubblica. La personalità umana come capacità d’affermare un pensiero autonomo è sempre
esistita nella storia dell’umanità, ma assunse contorni certi e socialmente ritenuti validi, solo alla fine dell’Ottocento, in Occidente attraverso
la formazione dell’opinione pubblica. Purtroppo però l’esordio della
coscienza pubblica, non avendo ricevuto un’educazione dalla classe dirigente di quell’epoca (per incapacità) subì grandi sbandamenti in una
generalizzata isteria, che divenne rilevante, per le Cancellerie, a causa
dell’estensione del voto. Questa isteria collettiva non va studiata solo
nel periodo a cavallo delle incrociate dichiarazioni di guerra, in Europa,
tra luglio e agosto 1914. In realtà l’opinione pubblica e il concetto di
personalità sul piano sociale, avevano già segnato diverse volte l’Europa
nei primi anni del Novecento e in particolare, in corrispondenza, delle
crisi internazionali che furono preludio al grande conflitto. Il guaio, se
così si può definire, è che di fronte a oceaniche e festose presenze d’entusiasmo alla guerra, anche le dirigenze politiche e regnanti ci abbiano
creduto portando ai loro occhi l’equivalenza tra la conservazione del potere con il favore popolare. In Russia, lo Zar Nicola II, oltre che al destino della nazione, fu preoccupato della sorte della dinastia dei Romanov
a 300 anni dalla loro ascesa al potere, tanto che per indurlo a firmare la
dichiarazione di guerra, i suoi ministri non esitarono a minacciarne la
sua destituzione. Non molto diverso il quadro anche in Germania, con
Guglielmo II e così accadde in Francia per il primo ministro e i suoi “bagni di folla”. Dappertutto si dichiarò: non c’è più sinistra o destra, siamo
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tutti francesi, oppure tedeschi. Si venne a instaurare un’interazione tra
l’entusiasmo della folla e la classe dirigente, sotto l’influenza di un’emotività fallace, che nel corso di un solo mese si trasformò in angoscia
e silenzio. Credo che se qualcosa di drammatico possa essere annotato
in quel periodo, è come abbia mal esordito l’espressione pubblica della personalità e il concetto d’opinione pubblica, nella storia sociale del
mondo, perché isterica e senza controllo.
• Il quarto passaggio è particolarmente difficile e completamente originale: non l’ha mai pensato e tanto meno scritto nessuno. Ci si è voluti
interrogare sul perché ci sia stata così tanta insistenza negli artisti degli
anni precedenti la Grande guerra nella raffigurazione del nudo femminile, una nudità che superò gli schemi classici per colpire direttamente
l’erotismo. L’analisi si è spinta fino a collegare il bisogno di personalità
con le emozioni che ne rappresentano il carburante necessario. Non è
possibile coltivare una personalità senza un vivo e chiaro assetto emozionale. Il nudo è servito, ma ancor oggi ha conservato questo potere,
come stimolatore di emozioni. Il passante o colui che guarda, se riconosce di provare delle emozioni (per quanto indicibili) alla vista del nudo
in ogni sua sfaccettatura, ponendo in movimento un processo di gradimento/rigetto, comunque accende la personalità, che confrontata con le
altre genera opinione pubblica o social network come si direbbe oggi.
Non è finita. Il nudo, collocato nel periodo 1890-1914 in realtà è servito
anche a un altro scopo più nobile: costruire la democrazia. Rispetto a un
mondo dominato dai nobili e in una certa misura dalla borghesia, come
affermare (gridare) la presenza delle masse nella storia? Bisognava trovare un qualcosa che permettesse a tutti di poter affermare la propria
individuale partecipazione alla storia in movimento. Considerando che
tutti hanno come dotazione di natura “la nudità”, sin dalla notte della
civiltà, ecco che ogni donna, attraverso il nudo, riconobbe il potere di
diventare “dea” e protagonista assoluta della sua storia personale e intima. La nudità divenne quindi motivo di partecipazione alla vita sociale
e privata, l’anticamera di quella che sarà la democrazia, dove ogni persona ha una personalità, dei sentimenti, un voto e delle tasse da pagare,
ma è anche un soldato, un cittadino e una storia da unire a quelle degli
altri: nasce la società moderna. Oggi, negli anni della globalizzazione,
il concetto della nudità non è affatto decaduto, anzi, ha subito delle forti
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evoluzioni, giungendo alla sua crisi che si chiama esibizionismo. Ecco
che solo in un secolo è possibile assistere sia alla nascita della personalità, utilizzando il nudo come energia attrattiva, che alla sua crisi. In
questo modo la democrazia entra in difficoltà, negli anni della globalizzazione, perché è l’uomo moderno che ha perso la capacità di guardare
al nudo come strumento espressivo per ridurlo al solo consumo.
• Sempre sulla nudità c’è ancora un particolare da considerare. Il nudo si
è evoluto dalla prima modernità, entrando nel comportamento degli occidentali sdoganandosi dal solo sessuale. Oggi, in epoca globalizzata e
in Occidente, pochi limitano la nudità alla sessualità. Questa evoluzione
ha permesso di trasferire “il nudo” nelle forme di comunicazione della
persona “moderna” contribuendo anche alla sua complessità. Ne è la
prova la pubblicità che fa ampio uso di nudo per richiamare l’attenzione,
come la stessa moda femminile ruota completamente intorno al vedo
non vedo, offrendo parti del corpo. Ecco che la nudità diventa espressione di personalità non sempre in senso positivo, bensì come sintesi di
un ragionamento mai svolto. Insomma la gente, in Occidente utilizza il
nudo come quote di sensibilità che consegna agli altri, senza spiegarne
il senso. Abbiamo quindi foto di nudo che impazzano nel web, come se
fossero bigliettini da visita, per aprirsi agli altri, senza sapersi descrivere (perché immaturi) fuggendo dal contatto reale, che svelerebbe tale
miseria umana. Il libro La sessualità nella società globalizzata analizza
questo processo di iper valorizzazione del nudo sostitutivo di valori e
concetti come l’amicizia e il rispetto, cui deriva solitudine e incomprensione. La società globalizzata ha come caratteristica l’ottenere il contrario delle sue aspettative.
• Un altro passaggio caratterizzante questa ricerca, riguarda che tipo di
uomo e donna nuovi siano necessari per uscire dall’attuale crisi sociale in
epoca globalizzata. Considerando superati quei passaggi storici a cavallo tra la fine dell’Ottocento e il Novecento, noti come nazionalizzazione
delle masse e socializzazione, oggi appare necessario un individualismo
(già strillato e sbandierato da Nietzsche) che sia però collaborativo con
il resto della società, anziché antitetico e in guerra con il mondo. Detto
più semplicemente non serve nichilismo ma civiltà. Nel momento in cui
si formarono le comunità nazionali, ovviamente la personalità (appena
nata) fu schiacciata per le necessità collettive. A un secolo di distanza la
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personalità è completamente libera (troppo). Tra i due estremi, necessita
oggi un riequilibrio che confermi il bisogno di un’individualità non più
ostile agli altri e alla società. Come fare? L’argomento a questo punto diventa veramente complesso. Nonostante ciò, in termini propositivi, questo
studio propone più comunità (ad esempio la famiglia) rispetto la società
(tutto il resto del mondo). Meno cellulare e internet e più incontri faccia
a faccia. Più realtà meno virtuale, oppure sì al virtuale, se in accompagnamento a reali contatti tra le persone. Quindi città più piccole anziché
metropoli, meno discoteca e più cucina con tavola imbandita in famiglia e
amici. In definitiva si sta accennando a una riscoperta di un modo definibile artigianale di vivere, anziché quello anonimo e solitario dell’individualista tipo, ostile a tutti perché scarsamente considerato, da cui un bisogno
esibizionistico d’apparire per affermare d’esistere.
• Un aspetto poco considerato nella storiografia universale delle cause alla
Prima guerra mondiale, sono le conseguenze della Grande Depressione
del 1873 (fino al 1896) sugli assetti sociali e politici europei. Con questa
crisi Bismarck perse la cancelleria nel 1890 facendo entrare la Germania
in una gravissima crisi di leadership dalla quale uscì solo nel 1946. In
pratica accadde che l’ingresso sul mercato europeo di cereali a basso costo
dalla Russia (per effetto delle riforme realizzate con capitali francesi) e
dalle Americhe, fece crollare il prezzo dei prodotti europei, conducendo
sul lastrico i contadini che da centinaia di anni coltivavano la terra per
vivere. Improvvisamente la certezza di reddito degli ultimi secoli con la
proprietà fondiaria crollò miseramente e un esercito di contadini, ridotti
in povertà, non potè che affluire nelle città per ridursi a proletariato. La
rabbia sociale che ne conseguì, introdurrà nella società una frattura e un
astio che servirà da propellente nella ricerca di un cambiamento sociale
così acuto, che solo la guerra potrà portare, distruggendo i precedenti e
vecchi equilibri. Si conferma ancora una volta come la guerra fu un evento
voluto per sistemare i conti tra classi sociali, sconvolte da un capitalismo
mal applicato e da un’urbanizzazione impazzita. Serviva un nuovo ordine.
• L’ultima tesi è suggestiva. I governi liberali, spinti da un’opinione pubblica isterica, abbracciarono la guerra come “igiene sociale” portando le
masse a combattere. Il popolo accettò il dovere imposto, ma si ribellò
nell’immediato dopo guerra, attraverso rivoluzioni o scelte politiche
molto forti come il nazismo, il fascismo, il franchismo e il comunismo,
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introducendo nella vita sociale una frattura come mai fu vista nella storia. Grazie a questa violenza il liberalismo, come forma di governo,
cadde definitivamente e la società moderna si scoprì conflittuale, spingendosi fino ad oggi, in epoca globalizzata, come frantumata da un individualismo ostile e patologico.
Le fonti
Ogni idea nasce da precedenti valutazioni, come le onde del mare. Per
scrivere queste righe è stato necessario studiare il pensiero evoluto d’altri
ricercatori il cui elenco è nella bibliografia. Nel rispetto e riconoscenza da
tributare agli storici italiani, francesi, tedeschi, inglesi e russi, sia contemporanei sia scomparsi, colpisce anche il lavoro svolto da alcuni studiosi
non europei, per aver commesso grandi errori nelle loro ricerche monumentali. Elencando il debito e la riconoscenza, non è possibile non pensare
allo storico militare John Keegan, allo storico politico Winston Churchill,
al pensatore e intellettuale italiano Emilio Gentile, alle riflessioni del russo
Arkadij Samsonovi Erusalimskij, alle intense pagine della signora Barbara
Tuchman come alle sintesi sociologiche dello storico americano George
Mosse. Specificatamente allo storico italiano Emilio Gentile va un debito
di riconoscenza per aver accostato il concetto di modernità all’apocalisse,
quindi al senso di distruzione che rappresenta uno dei passaggi d’approfondimento del libro. Per studiare il 1913 il riferimento è dedicato principalmente al lavoro svolto dallo storico dell’arte Florian Illies, le cui acute
riflessioni consentono di poter collegare l’arte al pensiero nuovo.
Al contrario, forti riserve sono espresse su altri studiosi, benché abbiano
scritto molto e in forma appassionata. Un errore formidabile, preso a caso,
è quello di dedicare una quindicina di pagine all’Italia sulle oltre 700 di un
testo famoso, descrivendo come si sia pervenuti allo scoppio della Prima
guerra mondiale. Fortunatamente per parare tale errore, molto diffuso, lo
storico italiano Gian Enrico Rusconi ha provveduto con un suo testo: L’azzardo del 1915. Un secondo sbaglio si nota prendendo parte, come ricercatori e storici, sul piano personale, alla vicenda in corso di studio e questo
accade spesso sul tema del “pacifismo”, denigrando il pensiero dei protagonisti di quell’epoca, considerando quindi la guerra come un abbaglio,
anziché la risposta a dei precisi bisogni. Azzardi di questo tipo sono diffusi.
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Primi concetti per capire
Un fenomeno così complesso e ricco di particolari, come gli anni che
hanno preceduto la Prima guerra mondiale richiede un approccio graduale.
La scelta operata è stata quella di partire esaminando alcuni aspetti come se
fossero delle pietruzze di un mosaico il cui disegno complessivo si svelerà
passo dopo passo:
• ad esempio com’è stato possibile sterminare un centro abitato? Vanno
ricordati i fatti di Loviano in Belgio, un paese incendiato gratuitamente
e senza apparente motivo dall’esercito tedesco: l’odore acre del fumo
ammorbava l’aria... (tratto dal libro 1914);
• le previsioni d’avanzata tedesca in esecuzione del piano Schlieffen, si
rivelarono del tutto erronee, soprattutto nell’attraversamento del Belgio, che tra l’altro, godeva di una neutralità che lo Stato Maggiore tedesco calpestò benché già firmata e ratificata dai Governi di tutta Europa.
Un errore di questo tipo (mancata coordinazione tra diplomatici e militari a causa del governo debole) spinse la Gran Bretagna a entrare in
guerra. In realtà i diplomatici tedeschi informarono lo Stato Maggiore
sui trattati che sancirono la neutralità belga, ma non vollero “disturbare” ulteriormente il lavoro di pianificazione degli strateghi militari,
rivelando un netto problema di soggezione;
• le prime grandi vittime culturali della Prima guerra mondiale, furono
il centro abitato di Loviano, la cattedrale di Reims, il mercato dei tessuti di Ypres e, successivamente s’aggiungerà anche il centro storico
di Treviso. Tutte località che lo storico militare John Keegan, nel suo
libro La prima guerra mondiale, preciserà che sono state integralmente
ricostruite, senza con questo arrecare danno alla civiltà, definendo quel
conflitto, una guerra sorprendentemente corretta;
• morirono 9 milioni di maschi, prevalentemente occidentali, a cui si aggiunsero 15 milioni di feriti per un totale di 24 milioni di persone toccate dal conflitto in maniera profonda. A questi vanno aggiunti anche 20
milioni di morti, per l’epidemia di febbre spagnola. Si sta parlando di
44 milioni di persone! Mai nella storia dell’umanità (cifre che saranno
superate nel secondo conflitto) le perdite sono state così profonde, vaste, incisive! L’Europa perderà il suo ruolo egemone nel mondo
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Tratto dal dipinto di Paul Nash con il titolo: Stiamo costruendo un mondo nuovo
A questo punto si può riflettere su alcuni passaggi che sono:
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la distruzione senza senso, come novità nel panorama cultura occidentale;
una pace incerta;
scomparvero 4 imperi; (Russo, Ottomano, Austro-Ungarico e Tedesco);
il preludio, sulla scena mondiale degli Stati Uniti e del Giappone;
aprì il secolo americano;
unendo i 2 conflitti mondiali, si può parlare di una grande guerra dei
30 anni;
in termini sociologici ci fu un’esplosione di letteratura autobiografica,
come mai nella storia dell’umanità.
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Le cause principali allo scoppio della Prima guerra mondiale
1) Emerse una diffusa necessità, da parte di tutti gli Stati europei, di una
politica imperiale che rispondesse alla nuova formula sociologica di
partecipazione alla vita della Nazione: il Nazionalismo. In questa prima
fase, lo spirito nazionale si presentò alternativo agli altri popoli, in pratica si poteva essere nazionalisti solo se in contrasto con altre culture. Il
nazionalismo pacifico fu una conquista degli anni Sessanta in Francia,
Italia e Germania;
2) nazionalismo e politica imperiale portano naturalmente al bisogno di
colonie, quindi la corsa per “un posto al sole”;
3) dal bisogno di colonie, derivò la necessità di una marina militare e di
un esercito adeguato, quindi scattò la corsa al riarmo che nel caso delle
“leggi navali”, specie in Germania e in Inghilterra, peserà non poco
sulle finanze pubbliche e la stabilità sociale. Più precisamente mentre
in Germania le 4 leggi navali sottrassero fondi all’esercito, determinandone la definitiva sconfitta nel conflitto del 1914-1918, in Gran Bretagna seguirono gravissimi scontri sociali, che inizialmente distrassero il
Paese dai fatti europei, (scioperi dei minatori e voglia di secessione irlandese) e dalla successiva partecipazione alla Prima guerra mondiale;
4) il riarmo e il bisogno di colonie, introducendo alla rivalità economica verso altre nazioni, non sfociò in guerre commerciali, iniziò però a
“preparare il terreno”, sotto il punto di vista mentale, nei confronti delle
opinioni pubbliche all’idea di conflitto;
5) va sempre ricordato come il mondo degli affari e quello anglo-tedesco
in particolare, siano stati molto legati, anzi profondamente integrati. È
famoso, in quel periodo, 1913, un libro di Angell La grande illusione
dove si conferma che se mai dovesse esserci uno scontro militare in Europa, non potrebbe durare che poche settimane, perché il mondo degli
affari non consentirebbe uno spreco di risorse più prolungato. In effetti
è corretto pensare, che la Prima guerra mondiale, non tragga spunto
da reali motivazioni economiche, ma al contrario da un bisogno imperiale espresso soprattutto dagli ambienti militari. Ecco che agli albori
della democrazia l’apparato militare, soprattutto quello tedesco, non fu
espressione della Nazione, ma una realtà a sé stante, in grado di seguire una sua logica. Su quest’aspetto, un ufficiale tedesco dichiarò: ogni
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stato si dota di un esercito, ma in Germania è l’esercito che si è dotato
di uno Stato;
6) i piani militari scoprirono, in quel periodo, la potenzialità della ferrovia per la conduzione della guerra. Dipendere dal sistema ferroviario
comportò anche restare “incastrati” in una rigidità di azioni-reazioni
come non mai nel passato, sia perché gli Stati Maggiori dovettero adattarsi all’orario dei treni, che nella mole di uomini coinvolti. Nascono
in questo modo i grandi eserciti, quelli di massa, per dare un senso
nazionale alla Nazione (nazionalizzazione delle masse, come direbbe
George Mosse, uno dei pensatori più acuti e profondi di quest’epoca
definendo “l’uomo nuovo”). La Prima guerra mondiale diventò così il
primo conflitto sociale della storia dell’umanità.
Cause secondarie, ma non meno importanti
È già stato citato il nazionalismo, ma mai abbastanza descritto. Si tratta
di un nazionalismo di natura ostile, che coinvolge sia gli Imperi tra loro, che
soprattutto all’interno della Nazione, con effetti spesso paralizzanti nella
gestione di governo. Si sta parlando non solo dell’Impero Ottomano, votato
alla morte per aver inglobato in sé troppe nazionalità senza una politica
d’assimilazione (vedi su quest’aspetto la grande esperienza dell’Impero
Romano), ma anche quello Austro Ungarico, già paralizzato tra le due etnie
a cui si aggiunse, in forma deflagrante, la componente slava. È come se la
partecipazione alla nuova dimensione statale, soprattutto in Serbia, Montenegro e Albania, portasse le persone a “impazzire”. In realtà ciò che mancò
fu l’educazione alle masse, da parte del Governo, comunque già introdotte
nella vita sociale, ma non formate per una sana convivenza, in una parola
mancò una politica di coinvolgimento e assimilazione:
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ci fu un’importante paura, da parte delle nascenti classi medie e borghesi, di perdere il benessere appena acquisito in quegli anni post grande
depressione, dove i prezzi agricoli crollarono;
s’aggiunse nelle classi medie, borghesi, nobiliari e di corte, la paura
della rivoluzione sociale;
in tutti, comunque, a diverso titolo, covò la speranza di un cambiamento della società per quanto ancora nessuno sapesse come si sarebbe
chiamato: Prima guerra mondiale;
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