Aspetti morfologici e anatomopatologici del nodulo tiroideo Generalità La tiroide è una ghiandola endocrina situata nella regione sottioioidea, a contatto con la cartilagine tiroide della laringe da cui prende il nome; e con la parte superiore della trachea. Produce ormoni di vitale importanza che controllano lo sviluppo, il metabolismo cellulare e l’omeostasi minerale. Richiami anatomici e istomorfologici Struttura macroscopica La tiroide è composta da due lobi di forma ovoidale, chiamati rispettivamente destro e sinistro, congiunti da un istmo, con un’estremità superiore più appuntita e un’estremità inferiore più smussa. In alcuni soggetti (il 50%) dalla parte sinistra dell’istmo parte un prolungamento conico, chiamato appendice del Morgagni, derivato dalla porzione più caudale del dotto tireoglosso. La tiroide è avvolta da una guaina separata dalla capsula fibrosa dell’organo da uno spazio, detto pericoloso, nel quale decorrono rami arteriosi e venosi. Da questa guaina peritiroidea emanano fasci fibrosi che fissano la ghiandola alle cartilagini cricoide e tiroide, ai primi anelli tracheali e alla guaina del fascio vascolonervoso del collo. Anteriormente la tiroide è coperta dalla fascia cervicale media e dai muscoli sotto ioidei, più in superficie dalla fascia cervicale superficiale. Lateralmente i due lobi sono in rapporto con il muscolo sternocleidomastoideo. La faccia mediale dei due lobi è in rapporto con la faccia anterolaterale della trachea e con quella laterale della laringe. L’istmo, di solito, aderisce al 1°, 2° e 3° anello tracheale. Posteriormente e lateralmente i due lobi sono in rapporto con il fascio vascolonervoso del collo e in alto dalla fascia paravertebrale. La tiroide è irrorata dalle arterie tiroidee superiore ed inferiore (2 per lato) alle quali va aggiunta una arteria tiroidea ima, incostante. L’arteria tiroidea superiore deriva dalla carotide esterna, e raggiunge il polo superiore della ghiandola dividendosi in numerosi rami, che si distribuiscono nella capsula fibrosa, per poi invadere tutto il parenchima tiroideo. L’arteria tiroide inferiore è un ramo della succlavia e del suo tronco tireocervicale, raggiunge la faccia posterolaterale del polo inferiore dividendosi in diversi rami già prima di entrare all’interno della 2 capsula. Fra le arterie omolaterali che irrorano la tiroide esistono diverse anastomosi che diminuiscono di numero a livello dell’istmo. Le vene tiroidee formano un ricco plesso nello spazio tra capsula fibrosa e guaina peritiroidea, da tale plesso si dipartono tre gruppi di vene: 1) le vene tiroidee superiori, che accompagnando l’arteria omonima sboccano nella giugulare interna; 2) le vene tiroidee medie anch’esse tributarie della giugulare interna; 3) le vene tiroidee inferiori, che formano il plesso paratracheale, situato al di sotto dell’istmo, e che sboccano nelle vene anonime. I vasi linfatici sono numerosissimi e per la maggior parte sono tributari dei linfonodi della catena giugulare interna. La tiroide riceve fibre nervose dal nervo vago, attraverso i nervi laringei, e dal simpatico cervicale; esse formano un plesso nella capsula fibrosa, dal quale partono fibre che accompagnano i vasi, espandendosi sulla parete di questi, e fibre che formano plessi attorno ai follicoli. Di particolare rilevanza chirurgica è il nervo laringeo ricorrente, in quanto una sua lesione accidentale post tiroidectomia genera una ipo mobilità delle corde vocali con disfonia. Struttura microscopica Dalla capsula fibrosa che avvolge la ghiandola si dipartono setti connettivali che estendendosi nel parenchima lo suddividono in lobuli. La ghiandola tiroide è costituita dai follicoli tiroidei, in numero di circa 3 milioni nell’adulto; sono formazioni sferoidali di dimetro variabile da 50 a 500m. Sono costituiti da uno strato di cellule epiteliali che delimitano uno spazio interno ripieno di una sostanza viscosa detta colloide. La colloide si colora con ac. periodico-Schiff (PAS) essendo formata da molecole di una sostanza di natura glicoproteica: la tireoglobulina. In generale i follicoli posti al centro dei lobuli sono di dimensioni inferiori rispetto a quelli posti in periferia. L’epitelio follicolare è costituito da due tipi di cellule, le follicolari la cui forma varia da pavimentosa a cubica, o a cilindrica, e le parafollicolari collocate sulla faccia laterobasale delle cellule follicolari e la membrana che avvolge il follicolo. Le parafollicolari si distinguono, oltre che per la posizione, a causa del nucleo a cromatina più lassamente distribuita e un citoplasma poco colorabile. Le cellule follicolari hanno un ricco corredo di organuli, che si possono ben evidenziare al microscopio elettronico. Nelle cellule in attiva sintesi di tireoglobulina, si notano un reticolo 3 endoplasmatico granulare con cisterne e lume dilatato, un apparato di Golgi sviluppato posto in vicinanza del polo distale del nucleo e numerosi mitocondri, sottili e ricchi di creste. Le cellule parafollicolari sono sempre in piccolo numero, raggiungendo nell’uomo massimo lo 0,1 % degli elementi parenchimali. Possono essere isolate o riunite a piccoli gruppi, ma non raggiungono mai il lume follicolare; sono argirofile, mostrano metacromasia mascherata e fanno parte del sistema APUD. All’osservazione con il microscopio elettronico mostrano i caratteri delle cellule endocrine a secrezione polipeptidica. Il nucleo ha cromatina finemente dispersa, il citoplasma è ricco di piccole cisterne di reticolo endoplasmatico granulare, con apparato di Golgi molto esteso, e i mitocondri si presentano di forma sferoide con matrice moderatamente densa e creste sparse. Gli elementi che caratterizzano queste cellule sono granuli di secreto, delimitati da una membrana Golgiana, con un secreto notevolmente elettrodenso. In base e questi granuli, le cellule parafollicolari, grazie a tecniche immunoistochimiche, sono state divise in due tipi: le prime, più numerose, secernenti calcitonina; le seconde somatostatina. Ultrastrutturalmente, i due tipi si distinguono per l’aspetto dei granuli di accumulo degli ormoni. Infatti quelli contenenti calcitonina hanno un diametro di circa 100 nm e un contenuto elettrodenso separato dalla membrana limitante da un esile alone chiaro, mentre i granuli di somatostatina sono più grandi, circa 200 nm, e presentano un contenuto a medio arresto elettronico adeso alla membrana limitante. Istofisiologia In seguito alle numerose indagini di microscopia convenzionale, microscopia elettronica e immunoistochimica; sono ormai perfettamente chiariti gli aspetti morfofunzionali della tiroide, tanto che, dal semplice esame dei preparati, è possibile stabilire lo stato morfofunzionale della ghiandola. Si analizza in primo luogo la dimensione dei follicoli, che sono grandi in fase di stasi funzionale e più piccoli in fase di attiva mobilitazione dell’ormone. Secondo elemento da valutare è lo stato della colloide; sarà compatta, acidofila, cromofila dopo colorazione con ematossilina ferrica e intensamente PAS-positiva nei follicoli a riposo, oppure vacuolizzata, basofila, cromofoba e lievemente PAS-positiva nei follicoli in attiva secrezione di tireoglobulina. Questo diverso aspetto e diversa affinità tintoriale sono correlati al suo grado di idratazione, che è basso nella fase di accumulo e alto in quella di secrezione. Inoltre per definire con precisione i vari momenti funzionali è utile esaminare l’epitelio follicolare. Questo, infatti è formato da cellule appiattite e povere di organuli nei follicoli a riposo, presenta cellule cubiche a citoplasma basofilo e ricco in 4 ergastoplasma nei follicoli in attiva secrezione di tireoglobulina nel lume follicolare, ed è costituito da cellule cubico-alte nei follicoli in attività di riassorbimento della colloide con immissione in circolo di T3 e T4. La secrezione dei principi ormonali comporta l’emissione di pseudopodi dalla superficie apicale delle cellule follicolari, l’endocitosi di gocce di colloide, la fusione di queste con lisosomi primari presenti in gran numero nella regione sopranucleare delle cellule, la demolizione intralisosomale della tireoglobulina con la liberazione dalla sua catena peptidica di T3 e T4 e, mediante meccanismi non ancora ben noti, il loro passaggio attraverso il plasmalemma basale nei capillari sanguigni perifollicolari. Lo stato funzionale delle cellule parafollicoari si deduce dallo sviluppo dall’ergastoplasma dall’estenzione dell’apparato di Golgi e dal numero di granuli di accumulo del prodotto. I noduli tiroidei Epidemiologia Le zone dove il tumore tiroideo ha una più alta incidenza coincidono con quelle dove è più frequente il gozzo tiroideo. Infatti è stata dimostrata una importante correlazione tra le aree dove è presente il gozzo endemico per carenza di iodio è l’insorgenza del tumore con istotipo papillifero e follicolare. Il carcinoma occulto, invece, ha una distribuzione completamente diversa, essendo frequente nell’area giapponese, solitamente considerata a bassa incidenza per il carcinoma di istotipo classico. Nel corso degli anni l’incidenza del tumore tiroideo non si è modificata in maniera significativa, tranne che negli Stati Uniti dove ha conosciuto un picco fino agli anni 50, per poi regredire a livelli mondiali dal ’55 in poi. Il sesso femminile è sicuramente più colpito rispetto a quello maschile, anche se i tassi variano in funzione dell’istotipo; essendo più marcato per il papillifero (3,1), per decrescere progressivamente nel follicolare (2,9), anaplastico (2,2) e midollare (1,2). Per quando riguarda la distribuzione in relazione all’età, negli uomini l’incidenza aumenta all’aumentare dell’età, nelle donne invece c’è un picco tra i 24 e i 44 anni (papillifero) e dopo i è5. Dal punto di vista istologico l’istotipo più frequente è sicuramente il carcinoma papillifero, anche se in alcuni paesi dell’arco alpino è la forma follicolare quella più diffusa. I fattori di rischio possono essere divisi in endogeni ed esogeni. 5 I primi a loro volta si dividono in genetici ed ormonali. I fattori genetici sono confermati dagli studi sul carcinoma occulto dei Giapponesi, che risulta indipendente dai fattori ambientali; dall’esistenza di una distribuzione familiare dei carcinomi papillifero e soprattutto midollare; infine dall’associazione del tumore tiroideo con altri tumori (MEN, la sindrome di Gardner, chemodectomi e la sindrome di Cowden). I fattori ormonali sono stati evidenziati dall’osservazione che i tumori tiroidei prediligono le donne con più gravidanze, o quelle che hanno fatto uso di estrogeni; molto probabilmente queste correlazioni sono determinate dall’aumento del TSH che in queste situazioni si registra. Per quanto riguarda i fattori esogeni s’individuano prevalentemente nelle radiazioni ionizzanti; il loro effetto è dimostrato da diverse osservazioni epidemiologiche quali l’elevata incidenza di carcinoma papillifero tra i sopravvissuti di Nagasaki, i bambini trattati con iodio radioattivo per diverse patologie neoplastiche e non. Concludendo possiamo affermare che la genesi dei tumori tiroidei è legata al sovrapporsi di due mutazioni oncogene, l’una ereditata geneticamente e l’altra acquisita probabilmente per l’esposizione a radiazioni ionizzanti. Infine il TSH sembra poter svolgere un’azione cocancerogenetica stimolando la ghiandola. Anatomia Patologica Si tratta prevalentemente di tumori di origine epiteliale, anche se la distinzione anatomopatologica tra adenomi e carcinomi è ardua. Comunque a fini ditattici tratteremo prima i tumori benigni, costituiti dagli adenomi, e poi i carcinomi; dividendoli nei rispettivi istotipi. Adenomi Sono costituiti da una lesione nodulare , unica, ben capsulata, di forma rotondeggiante, od ovolare di dimensioni che vanno da alcuni millimetri a qualche centimetro, sulla superficie di taglio il tumore è spesso caratterizzato da emorragie o zone di necrosi centrale, che spesso vanno incontro a fibrosi o calcificazione. Istologicamente si tratta di adenomi follicolari, che mostrano, però, gradi assai variabili di differenziazione. 6 Adenoma trabecolare o embrionale. E’ il meno differenziato con scarsa tendenza alla formazione di follicoli. Le cellule sono disposte in ammassi e trabecole solide. Adenoma microfollicolare o fetale. Ricorda il tumore del feto e mostra follicoli piccoli, privi di colloide. E’ la forma più frequente di adenoma Adenoma semplice. E’ quello che ricorda di più la struttura normale della tiroide; la diagnosi è affidata a una netta demarcazione capsulare rispetto al restante parenchima; se è iperfunzionante si parla di adenoma tossico. Adenoma macrofollicolare o colloide. E’ formato da follicoli voluminosi, pieni di una colloide densa. E’ la forma che offre maggiori problemi di diagnosi differenziale rispetto al gozzo nodulare. L’adenoma si può differenziare da quest’ultima condizione per l’unicità del nodulo, per la presenza di una capsula fibroso che lo circonda in tutta la sua circonferenza, per l’evidenza di fenomeni compressivi sul parenchima tiroideo adiacente, per l’omogeneità di forma e dimensione degli otricoli. Adenoma ossifilo. Questo tumore mostra scarsa tendenza alla formazione di otricoli, ed è composto in tutto o in larga parte da cellule ossifile o di (Hurtle): elementi cellulari ampi con citoplasma eosinofilo e granulare e nucleo chiaro abbastanza voluminoso. Adenoma atipico. E’ caratterizzato da ipercellularità, scarsa tendenza alla formazione di otricoli, polimorfismo e polimetrismo cellulare e nucleare, e dalla presenza di un numero limitato di figure cariocinetiche. Questa forma pone seri problemi di discriminazione nei confronti del carcinoma follicolare L’esistenza di un adenoma papillifero oggi è definitivamente negata. Formazioni pseudopapillari possono essere presenti tanto nel gozzo, che negli adenomi, ma vere papille, rivestite da epitelio, con le stigmate citologiche del carcinoma papillifero, impongono la diagnosi di malignità anche se manchino del tutto fenomeni di displasia o d’invasione. La diagnosi differenziale tra un adenoma follicolare e una forma ben differenziata di carcinoma follicolare solleva problemi di difficile soluzione anche per il patologo più esperto. L’unico criterio attendibile è rappresentato dall’osservazione dell’attitudine invasiva propria del carcinoma: si valuta, cioè, la tendenza ad infiltrare la capsula o i vasi. La vera infiltrazione della capsula va però differenziata da figure di pseudoinfiltrazione, dovute alla presenza di otricoli che rimangono intrappolati nelle maglie del rivestimento capsulare, e la stessa trombosi carcinomatosa di vasi viene ammessa solo se le cellule sono tumorali sono raccolte in ammassi coerenti con la parete, perché figure simili possono essere dovute a dislocazione di cellule epiteliali per artefatti tecnici o a presenza di cellule nel lume di cavità pseudovascolari. 7 Carcinomi Vengono classificati in base all’istogenesi, distinguendo tumori che derivano dall’epitelio follicolare e da quello parafollicolare, e al grado di differenziazione. Carcinomi che derivano dall’epitelio follicolare Carcinoma papillifero Può presentarsi in tre forme macroscopiche: una forma massiva, piuttosto rara, nella quale il tumore invade una larga porzione dell’organo e può infiltrare la capsula tiroidea; una forma nodulare, ben marcata ma priva di una vera e propria capsula, di qualche centimetro di diametro; un forma occulta, di dimensioni che vanno da qualche mm fino a 1 cm. Il carcinoma occulto è molto spesso multicentrico, con focolai che possono essere presenti in entrambi i lobi: non è possibile discriminare se si tratti di metastasi intratiroidee, o di un’origine multicentrica. Nella forma occulta il tumore primitivo, viste le sue dimensioni, non da segno di s: pertanto la diagnosi viene posta o in modo del tutto casuale nel corso di un esame istologico condotto sulla tiroide per qualche altra patologia, o grazie alla comparsa di metastasi. Queste prediligono la via linfatica, interessando i linfonodi laterocervicali, e sono molto frequente, spesso, assai più voluminose del tumore primitivo. Rare le metastasi per via ematogena, che raggiungono perlopiù il polmone. Com’è ovvio, le due varianti del carcinoma occulto hanno significato prognostico diverso, in quanto il carcinoma cosiddetto incidente non si associa, di solito, a metastasi. La caratteristica microscopica peculiare di questo tumore è la formazione di papille, rilievi digitiformi rivestiti da un epitelio di regola monostratificato, formato da cellule cubiche con citoplasma eosinofilo abbastanza chiaro e grosso nucleo pallido detto a “vetro smerigliato” . Talora il nucleo presenta una caratteristica pseudoinclusione eosinofila detta pseudonucleolo, che corisponde in realtà a un’invaginazione del citoplasma all’interno del nucleo. Più raramente l’epitelio che riveste le papille può essere cilindrico, mono o pluristratificato o francamente epidermoide, oppure di tipo ossofilo L’impalcatura delle papille è un asse, nel quale si ritrovano spesso calcificazione rotondeggianti, concentriche: i corpi psammomatosi. 8 Benché la formazione delle papille sia peculiare di questa neoplasia, essa non esaurisce il quadro istologico: in arre più o meno estese del tumore le cellule neoplastiche si aggregano in follicoli e alcune volte, addirittura, in ammassi solidi. Esiste anche la possibilità che la neoplasia si presenti esclusivamente in follicoli, variante follicolare del carcinoma papillifero, la diagnosi in questo caso è affidata alle specifiche caratteristiche citologiche delle cellule tumorali. Tale diagnosi differenziale è altresì importante poiché anche la variante follicolare del carcinoma papillifero si comporta biologicamente come quest’ultimo. Lo stroma del carcinoma papillifero è spesso abbondante, fibrose denso o ialino, tanto da mascherare la componente neoplastica. In realtà, un nodulo denso e calcifico all’interno della tiroide, merita sempre di essere esaminato istologicamente, poiché può contenere un focolaio occulto di carcinoma papillifero. Un’altra caratteristica frequente dello stroma è di contenere un infiltrato linfoplasmocitario, usualmente interpretato come segno di reazioni immunitaria contro il tumore, ed associato ad un prognosi migliore. Carcinoma follicolare. Si presenta con due forme macroscopiche fondamentali, caratterizzate da diverso comportamento biologico e clinico: una forma massiva e una nodulare. Nella forma massiva il tumore tende a valicare la capsula tiroidea e a infiltrare le strutture adiacenti, da rendere spesso il paziente in condizioni d’inoperabilità. Anche quando al paziente si può eseguire l’asportazione della tiroide, è facile che il tumore abbia già dato recidive locali o metastasi a distanza; queste ultime si propagano perlopiù per via ematogena al polmone e lo scheletro. Microscopicamente il tumore si caratterizza per una disposizione follicolare delle cellule neoplastiche, che nella forma massiva lascia spesso spazio a formazioni di ammassi solidi. Frequenti sono le figure cariocinetiche e le aree di necrosi. Anche macroscopicamente è facile vedere l’invasione dei vasi venosi da parte del tumore, quest’ultimo, infatti, risulta delimitata in maniera molto parziale da una capsula. La forma nodulare è quella che pone più problemi di diagnosi differenziale rispetto all’adenoma. Quest’ultimo, microscopicamente, appare più differenziato, con modesti caratteri di pleomorfismo e polimetrismo cellulare, un basso numero di figure cariocinetiche e scarsi fenomeni di necrosi. La diagnosi differenziale è comunque affidata alla presenza o meno d’invasione vasale e infiltrazione della capsula. La prognosi di pazienti con la variante nodulare del carcinoma papillifero è molto migliore rispetto alla variante massiva. Infatti dopo lobectomia, o tiroidectomia le recidive sono rare, e le metastasi sono infrequenti e, comunque, tardive. 9 Carcinoma anaplastico. Con questo termine si suole identificare un gruppo di neoplasie indifferenziate, caratterizzate da peculiarità istologiche, di diagnosi differenziale, e di prognosi. Il carcinoma indifferenziato a piccole cellule. E’ una neoplasia voluminosa, a margini indistinti, a margini indistinti, a crescita rapida, che si estende velocemente ai tessuti vicini. Microscopicamente si distingue una variante diffusa e una compatta. La variante diffusa è composta da un tappeto di cellule neoplastiche piccole, di forma rotondeggiante e ovolare, con nucleo pachi cromatico e scarso citoplasma, più raramente le cellule tendono ad assumere un aspetto epiteliomorfo disponendosi in ammassi solidi. Resta difficile la diagnosi differenziale nei confronti del linfoma non Hodgkin a meno che non si faccia ricorso al microscopio elettronico o all’immunoistochimica. Al contrario la variante compatta ha caratteri più francamente epiteliali, con disposizione delle cellule in cordoni o in ammassi solidi. La variante diffusa ha una prognosi decisamente peggiore. Nel complesso la sopravvivenza ai 5 anni non supera il 25% dei casi. Il carcinoma anaplastico a cellule fusate è una neoplasia voluminosa ed infiltrante, a limiti mal definiti che invade le strutture del collo. Microscopicamente distinguiamo due tipi di cellule: le cellule fusate, talora nastriformi, atipiche spesso bizzarre; e cellule giganti, multinucleate. Quando c’è una prevalenza di queste ultime si parla anche di carcinoma anaplastico a cellule giganti. Elemento caratterizzante del carcinoma anaplastico a cellule fusate è l’elevato numero di cariocinesi, spesso atipiche. La diagnosi differenziale è nei confronti del sarcoma, da cui si differenzia per la presenza in quest’ultimo di aree palesemente epeiteliomorfe, con grosse cellule poligonali giustapposte le une alle altre, o al ricorso dell’immunoistochimica. Il riscontro frequente di aree residue riferibili a un carcinoma differenziato, ha fatto ritenere che il carcinoma anaplastico possa insorgere su un tumore differenziato preesistente. Questo potrebbe anche essere avvalorato dal fatto che i tumori anaplastici insorgono in soggetti con una età media superiore rispetto a quelli con le varianti differenziate. La prognosi della variante a cellule fusate è estremamente infausta, con mortalità pressoché totale a 1 anno dalla diagnosi. Carcinomi che originano dalle cellule parafollicolari Carcinoma midollare. E’ un tumore di dimensioni variabili, anche se generalmente voluminose, e di consistenza dura. All’esame microscopico la neoplasia si caratterizza per la presenza di ammassi solidi di cellule poligonali, eosinofile, con nucleo ipercromatico, fittamente 10 stipate. Tali ammassi cellulari sono separati da spesse bande di stroma fibroialino, che si caratterizza per calcificazioni e soprattutto per depositi di sostanza amiloide. E’ possibile riscontrare, anche, una variante di carcinoma midollare nella quale manca la produzione di amiloide: in questo caso per fare diagnosi ci si affida all’immunoistochimica per dimostrare la produzione di calcitonina da parte delle cellule tumorali. Il carcinoma midollare si accresce lentamente, ma le metastasi, tanto linfonodali che ematogene , si sviluppano precocemente e tendono a disseminarsi in tutto il corpo. Il 90% del carcinoma midollare è sporadico; nella restante percentuale si associa a trasmissione familiare, eventualmente nel novero delle neoplasie endocrine multiple (MEN) di tipo IIa e IIb. Aspetti citodiagnostici L’introduzione della diagnosi citologica mediante ago sottile nella patologia tiroidea, si deve a un gruppo di ricercatori svedesi agli inizi degli anni ’50. A seguito degli ottimi risultato, la metodica si diffuse rapidamente sia in Europa che negli altri continenti. Infatti la metodica, accompagnata dalla guida ecografica, offre un altissimo grado di sicurezza ed è un intervento facilmente realizzabile in strutture ambulatoriali. Tuttavia, pur avendo tanti vantaggi bisogna ricordare che l’interpretazione della citodiagnostica tiroidea non è semplice; infatti l’accuratezza diagnostica dipende dal rispetto rigoroso di alcune condizioni. In primo luogo è necessario che gli strisci vengano effettuati con tecnica corretta in modo da fornire al patologo un materiale idoneo per la diagnosi. Inoltre al patologo è richiesta un specifica competenza sui noduli tiroidei, questo perché è molto difficile valutare gli aspetti citologici di questa neoplasia. Infatti le atipie citologiche non sono esclusiva dei processi neoplastici ma si possono riscontrare in numerosi processi patologici tiroidei. D’altra parte i tumori tiroidei non sempre si manifestano con tipiche alterazioni citologiche maligne. Per esempio nei carcinomi follicolari ben differenziati l’aspetto citologico è simile a quello degli adenomi follicolari e dei noduli iperplastici. Pertanto non potendo esserci una diagnosi precisa tutti questi casi vengono etichettati come “neoplasia follicolare” o “proliferazione follicolare”. Per risolvere queste situazioni dubbie non resta che effettuare l’esame istologico. 11 Adenoma follicolare Gli adenomi semplici non. possono essere distinti citologicamente dai noduli colloidi. Gli adenomi microfollicolari e trabecolari sono caratterizzati da abbondante cellularità e da scarsa colloide. Le cellule, nel caso degli adenomi microfollicolari, spesso sono disposte in forma di piccoli anelli, o di rosette ripetendo la configurazione di microfollicoli (fig. 41). Gli elementi cellulari hanno citoplasma pallido, delicato, a limiti mal definiti, e un nucleo centrale la cui cromatina, finemente granulate, e uniformemente distribuita. I nucleoli sono piccoli. Le cellule non presentano spiccate note di polimorfismo e di polimetrismo, che, invece, si riscontrano nei cosiddetti adenomi atipici. Gli aspirati di adenoma a cellule ossifile (o di Mirthle) sono costituiti da numerose cellule di dimensioni variabili disposte sia isolatamente che in gruppi o in lembi. II citoplasma ampio e nelle colorazioni con la metodica di Papanicolaou appare eosinofilo e granulare mentre è grigio o grigio-bluastro nelle colorazioni con il May-Griinwald-Giemsa.I nuclei centrali o eccentrici sono più grandi delle normali cellule follicolari e possono essere polimorfi, polimetrici e ipercromatici (fig. 42).Le cellule di Hartle possono ritrovarsi occasionalmente in svariate condizioni patologiche, ma in questi casi costituiscono un reperto limitato, mentre negli aspirati di adenomi esse rappresentano la quasi totalità degli elementi cellulari dello striscio. Quando, nell'adenoma, avvengono eventi colliquativi, con formazione di pseudocisti, il materiale aspirato è costituito da liquido emorragico. Lo striscio del sedimento risulta di macrofagi e di elementi epiteliali degenerati ' In questi casi, particolare attenzione deve essere posta nella ricerca, di aggregati papillari per escludere la presenza di una forma cistica di carcinoma papillifero. Come già accennato in precedenza, 1'esame citologico non permette la diagnosi sicura di adenoma follicolare in quanto non è possibile distinguere con criteri citologici l’adenoma dal carcinoma follicolare ben differenziato. La diagnosi citologica è in questi casi di una neoplasia o proliferazione follicolare e il paziente è inviato al chirurgo per il controllo istologico della lesione. Carcinoma papillifero Gli strisci sono molto cellulari e la colloide è scarsa. Raramente si prelevano vere e proprie papille, ma di solito si aspirano lembi cellulari di aspetto ramifica delimitati, alla periferia, da cellule cubiche disposte a palizzata Le singole cellule hanno citoplasma abbondante ed eosinofilo e i limiti citoplasmatici sono netti. I nuclei, nelle forme ben differenziate, sono scarsamente polimorfi e polimetrici e i nucleoli sono piccoli. 12 Quando il carcinoma papillifero si presenta in forma cistica, l'agoaspirato è costituito da un liquido ematico simile a quello della pseudocisti emorragica. La diagnosi, in questi casi, presenta notevoli difficoltà in quanto le cellule neoplastiche sono difficilmente reperibili nel sedimento strisciato e, inoltre, presentano sovente alterazioni degenerative con vacuolizzazione citoplasmatica che le rendono simili a macrofagi e possono indurre a diagnosi false negative. Allo scopo di esaminare la maggior parte del materiale sedimentato, può essere utile includere il sedimento in paraffina ed effettuare sezioni a vari livelli per dimostrare la presenza di strutture papillari Carcinoma follicolare Le forme ben differenziate presentano le stesse caratteristiche citologiche dell'adenoma follicolare. La diagnosi si effettua mediante la dimostrazione dell'invasione neoplastica dei vasi e della capsula, possibile solo con 1'esame istologico. Nei carcinomi follicolari scarsamente differenziati gli strisci sono costituiti da cellule che presentano chiare note di polimorfismo e polimetrismo, sia nucleare che citoplasmatico, con ipercromasia dei nuclei e dei nucleoli prominenti (fig. 45). Le cellule neoplastiche non hanno tendenza a disporsi in follicoli e la colloide è scarsa. Carcinomi anaplastici Gli aspetti istologici variano a seconda dell'istotipo Il carcinoma anaplastico a piccole cellule è caratterizzato, negli strisci, da numerose cellule poco più grandi di un linfocita con nucleo voluminoso e citoplasma scarso. La diagnosi differenziale con i linfomi è difficile, ma, di solito, il reperto di piccoli gruppi di cellule tra loro coese permette di riconoscere la natura epiteliale del tumore. Gli aspirati di carcinoma anaplastico a cellule fusate sono costituiti da cellule fusate caratterizzate da spiccate note di polimorfismo e polimetrismo dei nuclei. Gli aspirati di carcinoma anaplastico a cellule giganti sono caratterizzati dalla presenza di elementi giganti, di forma bizzarra. e spesso multinucleati. Carcinoma midollare Gli strisci sono costituiti da numerose cellule disposte isolatamente o in piccoli gruppi. La colloide è scarsa. La forma delle cellule è variabile: rotondeggiante, ovale, triangolare, poligonale o fusata. 13 11 citoplasma, di solito, è abbondante ed eosinofilo. Nei preparati colorati con la metodica del May-Griinwald-Giemsa si mettono in evidenza granuli intracitoplasmatici che si colorano metacromaticamente in rosso-violetto. I suddetti granuli corrispondono ai granuli neurosecretori dimostrabili con un indagine ultrastrutturale. Occasionalmente si possono osservare inclusioni citoplasmatiche intranucleari. La sostanza amiloide, quando è presente, appare come un materiale omogeneo eosinofilo nelle colorazioni con il Papanicolaou e rosso-viola in quelle con il MayGrfinwald-Giernsa. è possibile dimostrare la presenza della sostanza amiloide mediante la colorazione del rosso, Congo sugli strisci. Altri tumori Linfomi.- Gli strisci sono costituiti da un tappeto di elementi linfoidi atipici. La diagnosi differenziale si pone, in questi casi, con il carcinoma anaplastico a piccole cellule e con la tiroidite di Hashimoto. Tumori metastatici. - Sono rari. La diagnosi differenziale dai tumori primitivi spesso è molto difficile in assenza di adeguate notizie cliniche Storia naturale e prognosi L'evoluzione clinica del carcinoma della tiroide, 3 volte più frequente nelle donne, è da correlare con il comportamento biologico dell'istotipo, essendosi dimostrato che la prognosi è variabile pur derivando i diversi tipi di tumore dall'epitelio follicolare. Pertanto, ai fini terapeutici, è imperativa. la catalogazione istologica del tumore, conforme alla classificazione dell'OMS. La forma di carcinoma tiroideo di più comune riscontro è rappresentata dall’istotipo papillifero che si osserva in tutte le età, pur presentando un’aumentata prevalenza nel 3°-4° decennio di vita e manifestandosi con una frequenza più elevata nelle donne. Nell'infanzia non è dato riscontrare una cosi netta prevalenza nel sesso femminile. Sul piano prognostico la sopravvivenza non è legata all'assetto istologico né all'eventuale presenza di linfonodi, ma è da correlare, sia con la dimensione del focolaio neoplastico primitivo, sia con la presenza di lesioni invasive locali, nonché con le disseminazioni metastatiche a distanza, soprattutto in rapporto all'età del paziente. Pertanto, il carcinoma papillifero, da un punto di vista clinicoevolutivo, può essere catalogato in 3 sottogruppi: la forma occulta, la forma intratiroidea e quella extratiroidea. 14 L’istotipo follicolare del carcinoma tiroideo differenziato costituisce circa il 15% delle neoplasie di questa ghiandola ed è più frequente nelle donne, presentando una cuspide di incidenza nel 40 e 5' decennio di vita. Trattasi di una forma neoplastica ben differenziata, incapsulata, a lento accrescimento, caratterizzata da cellule epiteliali con numerose mitosi, disposte in strutture follicolari contenenti colloide; la neoplasia, che può presentarsi anche con struttura solida, tende all'invasione vascolare e capsulare, in tal modo diversificandosi nettamente dalla forma papillifera. Pertanto sono assai frequenti le metastasi a distanza (ossee, cerebrali e polmonari), mentre rare sono le colonizzazioni linfonodali. Le neoplasie con minima invasione capsulare hanno una prognosi favorevole, tanto che la sopravvivenza è paragonabile a quella di soggetti normali, mentre il riscontro di una spiccata invasione capsulare e vascolare implica. una sopravvivenza a 10 anni del 35%, e a 20 anni del 15%. Per questo istotipo 1'esame istologico estemporaneo è del tutto inaffidabile, registrandosi reperti falsamente negativi in una percentuale elevata di casi, dal 11 al 50%. Sul piano clinico, il tumore follicolare si esprime con un nodulo asintomatico, a lento accrescimento, la cui evoluzione è correlabile con il quadro di aggressività, valutata sulla base dell'invasività capsulare e vascolare della lesione. Si distinguono, pertanto: una lesione a minima. invasività, quando sussistono solo evidenze di invasioni ai vasi periferici sufficienti a porre la diagnosi; un carcinoma moderatamente invasivo, caratterizzato da una. massa tumorale con focolai invasivi multipli; una forma altamente invasiva, contrassegnata da nodulari satelliti. La cosa da sottolineare che, contrariamente alla forma papillifera, anche lesioni di dimensioni non cospicue possono colonizzare a distanza, e talora le manifestazioni cliniche sostenute dalle metastasi, quali, ad es., fratture spontanee o fenomeni compressivi del midollo spinale, possono indurre a sospettare la diagnosi. Metastasi massive possono sintetizzare ormone tiroideo in quantitativi sufficienti a causare uno stato ipertiroideo, talora dovuto a una T3-tossicosi La prognosi è correlata con le caratteristiche istologiche, osservandosi, a 10 anni dal trattamento iniziale, una mortalità del 15% nelle lesioni minimamente invasive, mentre le forme follicolari più invasive sono assai più aggressive e la mortalità nello stesso periodo di osservazione è del 50%. IL carcinoma anaplastico della tiroide è una forma indifferenziata di tumore che si osserva in età adulta e prevale in ETI senile, con una cuspide di incidenza nel 7' e 8' decennio, pur essendo stati riportati rari casi in età giovanile. Trattasi di una neoplasia assai aggressiva, che si insedia, per lo più, in lesioni tiroidee carcinomatose differenziate o in tiroidi gozzigene e adenomatosiche, e che ha un decorso tumultuoso. La massa neoplastica cresce rapidamente infiltrando i tessuti contigui, 15 causando un'ingravescente sintomatologia compressiva, che si solito impone la tracheostomia palliativa. La prognosi è inesorabilmente infausta, e la sopravvivenza, non superiore ai è-7 mesi, può essere prolungata mediante trattamento combinato, chirurgico, radiante e chemioterapico. La tiroidectomia radicale non trova indicazioni, mentre la resezione parziale, oltre che per beneficio decompressivo, può essere indicata per ridurre la massa tumorale da irradiare; da sottolineare che la storia naturale, e la sopravvivenza, del carcinoma anaplastico è da correlare con le diverse proprietà biologiche dei vari istotipi. E cosi, le forme a piccole cellule, da taluni AA. considerate varianti di linfomi, sono più sensibili ai provvedimenti terapeutici, mentre le forme a cellule giganti hanno una più spiccata. tendenza alla rapida crescita infiltrativa nelle strutture adiacenti Il carcinoma midollare, che costituisce il 5-10% dei carcinomi tiroidei, riveste particolare importanza per le sue peculiarità embriogenetiche e biologiche costituito, infatti, da un tipo di cellule, indovinate nel tessuto tiroideo, diverse dall'epitelio follicolare, le cellule parafollicolari o cellule chiare, o cellule C, che embriogeneticamente derivano dalla cresta neurale. Pertanto tale tipo di tumore tiroideo è caratterizzato da specifiche' proprietà biochimiche ed endocrine, che offrono la possibilità di un precoce riconoscimento diagnostico e di un idoneo monitoraggio terapeutico; e grazie alle disponibilità di specifici markers tumorali è anche possibile uno screening preventivo. Questo tipo di tumore non predilige alcuna età, osservandosi una distribuzione diffusa, da 4 a 80 anni, pur essendo stata segnalata una cuspide di incidenza nel 4° decennio di vita; inoltre, contrariamente alle altre forme differenziate di carcinoma tiroideo non sembra essere influenzato dal sesso, osservandosi un rapporto F/M di 1,3. Alle iniziali osservazioni di forme sporadiche di carcinoma midollare sono susseguiti rilievi dimostranti che tale forma tumorale A presenta, nel 15% dei casi, come una malattia familiare, trasmessa quale carattere autosomico dominante. La forma sporadica è usualmente unifocale, nettamente circoscritta e incapsulata, e può essere apprezzata palpatoriamente, per lo più in corrispondenza del polo superiore del lobo tiroideo, nella sua porzione posteriore, rilevandosi spesso un impegno linfonodale satellite. L'aggressività clinica del carcinoma midollare è da considerare intermedia tra il carcinoma follicolare e quello anaplastico, osservandosi una sopravvivenza, a 5 anni, del 70%, e del 50%, a 10 anni. Il decorso è variabile e, di solito, tende a crescere lentamente metastatizzando precocemente ai linfonodi cervicali, mediastinici, e, a distanza, nel fegato, nel polmone, nello scheletro. La sopravvivenza è influenzata dall’entità delle metastasi e dalla chirurgia radicale, integrata dalla radioterapia associata a chemioterapia. . 16 La forma familiare del carcinoma midollare fa parte di una sindrome che coinvolge il sistema delle cellule APUD (Amine Precursor Uptake and Decarboxylation) di origine neuroectodermica ed endodermica, caratterizzata da una predisposizione genetica alla neoplasia, che esordisce con una diffusa, iperplasia, per poi virare verso la neoplasia multifocale e plurighiandolare, funzionalmente caratterizzata da produzione ectopica di ormoni peptidici. La forma familiare del carcinoma midollare è per lo pia bilaterale, e spesso plurifocale, con una diffusa iperplasia delle cellule C, associata a iperplasia o neoplasia del surrene e delle paratiroidi. L'associazione del carcinoma midollare familiare con il feocromocitoma e l'iperparatiroidismo, descritta. da Sipple, può essere integrata con altre displasie neuroectodermiche, delineandosi complessi quadri fenotipici che si esprimono con neuroni mucosi e con anomalie strutturali e funzionali del sistema nervoso autosomico e che costituiscono il quadro delle cosiddette neoplasie endocrine multiple (MEN). Linfoma maligno.- Il linfoma maligno della tiroide è appannaggio dell'età senile, e predilige il sesso femminile presentandosi con un rapporto F/M 3:1, in contrasto con la predominanza F/M 1,5:1 del carcinoma anaplastico. Il linfoma, maligno deve essere differenziato dalla tiroidite di Hashimoto, e il brusco aumento volumetrico della tiroide in una donna anziana, con una pregressa storia di malattia di Hashimoto, soprattutto se refrattaria al trattamento tiroxinico, induce a porre il sospetto diagnostico di linfoma, La diagnosi di linfoma maligno sarà confermata dall'esame citologico, dal quale si rileva, oltre all'abbondanza di plasmacellule e di cellule di Harthle, anche la presenza di linfociti monomorfi prevalentemente immaturi, in contrasto al reperto di linfociti maturi che caratterizza il quadro della tiroidite di Hashimoto, nella quale si riscontrano elementi follicolari frammisti alle plasmacellule e alle cellule di Harthle. Talora, il quadro clinico del linfoma può presentarsi con un gozzo diffuso e con modica dolorabilità, aumento della tiroiodionemia e ridotta captazione del radioiodio: tale quadro simula la tiroidite, sia nella sua forma paradigmatica sia nella sua espressione silente. Tumori secondari.- Raramente la tiroide può essere sede di colonizzazione metastatica di tumori primitivi di altri organi, sia per estensione diretta da strutture adiacenti, che per diffusione linfatica retrograda, cosi come per disseminazione per via ematica. Qualsiasi carcinoma può metastatizzare alla tiroide, ma più frequentemente derivano da tumori renali, mammari, polmonari, cosi come da localizzazione tiroidea di neoplasie sistemiche quali le leucemie ed i linfomi. Clinicamente, il più spesso, il tumore secondario tiroideo si manifesta con un nodulo solitario, ad insorgenza repentina 17 ed a rapido accrescimento, caratterizzato, alla mappa scintigrafica, da una ridotta attività iodofissatrice, e da un quadro ecografico solido-misto, non distinguibile dalle nodosità sostenute da processi benigni o da carcinoma differenziato Approccio terapeutico L'impostazione dei provvedimenti terapeutici da adottare nel trattamento del carcinoma tiroideo, non solo deve essere dettata dalla precisazione dell'istotipo, nella sua classe principale e nelle sue sottoclassi, ma si deve anche tenere conto delle variabili connesse con i diversi fattori che influenzano la storia naturale e 1'evoluzione prognostica del processo tumorale. Per il carcinoma papillifero e per quello follicolare, negli ultimi anni si è assistito al consolidarsi di un indirizzo più conservativo, ma a tale riguardo non sussistono orientamenti concordi, non solo per quanto attiene al1'estensione della chirurgia ablativa, ma anche per quanto concerne il trattamento integrativo con radioiodio e con la terapia soppressiva, quali presidi idonei a dominare la crescita neoplastica. Tali divergenze sono motivate, sia dalla rarità della malattia, sia dalla tendenza non aggressiva delle lesioni neoplastiche, che, nella maggioranza dei casi, comporta una sopravvivenza di alcuni decenni. Infatti, nella maggior parte dei casi, la mortalità nel carcinoma papillifero e in quello follicolare non angioinvasivo è del 10% a 20 anni dall'esordio clinico della malattia. Pur tuttavia, in alcuni pazienti, specificamente nei soggetti di età superiore a 40 anni al momento della diagnosi, o in quelli con carcinoma papillifero a invasione extracapsulare, come in quelli portatori di carcinoma follicolare angioinvasivo, il tumore può assumere proprietà biologiche aggressive e fatali. Ma, indipendentemente dai vari rilievi prognostici, sussiste un univoco orientamento terapeutico che contempla l'atto operatorio quale insostituibile provvedimento prioritario, pressoché risolutivo del processo neoplastico. I sostenitori della tiroidectomia pressoché totale giustificano l'intervento demolitivo, sul riscontro, ad un accurato esame istologico seriato, di una lesione tumorale plurifocale. Ma coloro che propugnano una terapia chirurgica più limitativa prospettano che tali focolai microscopici non implicano una recidiva clinica del carcinoma: a sostegno della loro tesi, relativamente conservativa, adducono i rilievi dimostranti che la sopravvivenza dei portatori di carcinoma occulto non differisce da quella dei soggetti normali non portatori di lesioni carcinomatose minime. 18 Pertanto, al momento attuale, considerando che la tiroidectomia totale è un intervento impegnativo per il trattamento chirurgico del carcinoma papillifero diffuso e per quello follicolare invasivo, che comporta una frequenza di ipoparatiroidismo del 10%, si ritiene non opportuno un intervento radicale. La maggior parte degli AA. ritiene ottimale la lobectomia totale in corrispondenza del lobo sede della lesione, integrata da lobectomia controlaterale quasi totale, con conservazione della porzione posteriore della capsula. Per le lesioni papillifere occulte, e per quelle follicolari non invasive, la tiroidectomia subtotale è da considerate sufficiente. Inoltre è univoco il convincimento che per il trattamento chirurgico del carcinoma differenziato, di solito non trova indicazione la chirurgia radicale del collo, mentre in alcuni casi più apparire giustificata la rimozione dei linfonodi laterocervicali e la chirurgia. iù estensiva, che risparmi, comunque, il muscolo sternocleidomastoideo. Per quanto attiene al trattamento postchirurgico con radioiodio, pur non sussistendo univoci orientamenti, si è rilevato che la terapia ablativa radiometabolica aumenta la sopravvivenza, soprattutto nelle forme metastatizzate a distanza. In ogni caso, indipendentemente dall'estensione della tiroidectomia e dalla successiva ablazione radiometabolica, deve essere istituito un trattamento soppressivo con ormone tiroideo. In definitiva, le modalità di trattamento sono da valutare nei singoli casi, in ragione delle dimensioni del focolaio primario, richiedendosi un trattamento non necessariamente ampiamente demolitivo nel tumore unifocale di dimensioni inferiori ai 2 cm di diametro, senza fenomeni Invasivi locali e senza diffusione angioinvasiva. I tumori di dimensioni superiori a 2 cm di diametro impongono un trattamento più demolitivo, integrato dalla terapia. ablativa radiometabolica. Per il trattamento del carcinoma midollare si impone la rimozione chirurgica, che, considerata la plurifocalità della lesione, deve essere ampiamente demolitiva, conseguendo una tiroidectomia quasi totale, integrata dalla rimozione dei linfonodi cervicali. Ove, nonostante la tiroidectomia totale e la linfoadenectomia laterocervicale, il livello della calcitonina. circolante persista elevato, si potrà procedere alla cateterizzazione venosa selettiva per il riconoscimento di metastasi locali prima che siano evidenti radiologicamente o clinicamente. Si tenga conto che sovente è associato il feocromocitoma e che, pertanto, si dovranno eseguire gli accertamenti necessari per escludere la presenza di tale endocrinopatia. Per il carcinoma anap1astico la chirurgia trova indicazioni solo quale palliativo decompressivo, mentre in alcune forme, soprattutto quelle a piccole cellule, o nei linfomi, la radioterapia, esterna può risultare efficace, anche nel trattamento di metastasi ossee isolate da lesione primitiva tiroidea 19 differenziata non funzionante. La chemioterapia può trovare la sua indicazione quale trattamento palliativo nell'attenuare il decorso tumultuoso della neoplasia, e di recente sono stati riportati risultati incoraggianti mediante la somministrazione di doxorubicina (Adriblastina) associata al trattamento radiante esterno. 20