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L’incontro di Vignale in un dipinto d’epoca
3.3Il proclama di Moncalieri
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L’accordo definitivo raggiunto da Vittorio Emanuele e Radetzky prevedeva
lo scioglimento dei corpi di volontari che avevano affiancato l’esercito
piemontese durante la Prima guerra d’Indipendenza, la cessione agli austriaci della fortezza di Alessandria e un ingente indennizzo economico
per riparare i danni causati dal conflitto. Le condizioni sottoscritte erano
durissime, e il re sapeva che a Torino difficilmente sarebbero state accettate.
Nel Parlamento piemontese, nel quale, come lui stesso disse, erano numerosi «gli avvocatacci della sinistra2, una vile e infetta razza di canaglie», l’opposizione sarebbe stata senz’altro dura e intransigente. Per questo motivo,
il 30 marzo, sciolse la Camera e indisse nuove elezioni per il mese di luglio.
Intanto, mentre a Torino si discuteva, a Genova si passava alle vie di fatto.
All’indomani dell’armistizio di Vignale, la città ligure, forse anche spinta da
antichi sentimenti repubblicani e indipendentisti, era insorta contro la monarchia sabauda e aveva allontanato l’intera guarnigione regia.
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2. Nel Parlamento piemontese, e successivamente in quello dell’Italia unita, i termini sinistra
e destra non venivano utilizzati per indicare schieramenti politici riconducibili a quelli odierni, legati a precise ideologie politiche. Essi, infatti, designavano solamente la posizione che
i deputati (che si aggregavano sulla base delle loro opinioni, ma che appartenevano tutti al
ceto nobiliare e alla borghesia) occupavano in aula.
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La battaglia della Cernaia del 16 agosto 1855 (particolare)
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Il risultato complessivo, tuttavia, non dovette sembrare esaltante alla maggior parte della popolazione del Regno sardo. Molti uomini non avevano
fatto ritorno a casa, soprattutto a causa del colera che era dilagato nella regione teatro di guerra. Le spese necessarie a sostenere la spedizione, inoltre,
erano state ingenti e ora gravavano pesantemente sul bilancio dello Stato.
Le ragioni che avevano spinto il re e il suo primo ministro all’entrata in guerra, infine, continuavano a essere poco comprensibili ai più. Tutto quello che
lo Stato sabaudo riceveva in cambio era il fatto che Francia e Inghilterra lo
riconoscessero come proprio alleato (senza peraltro impegnarsi praticamente a risolvere la «questione italiana»).
Le cose, tuttavia, non stavano proprio così! Certo l’intervento austriaco al
fianco della Russia, in cui Cavour e Vittorio Emanuele avevano sperato e che
avrebbe prodotto un ampliarsi a dismisura del conflitto, non c’era stato. Ma
le relazioni diplomatiche del piccolo Regno di Sardegna andavano sempre
più rafforzandosi. Ora bisognava lavorare per consolidare i rapporti con gli
alleati!
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4.4Il Congresso di Parigi
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La «questione italiana» fu discussa per la prima volta ufficialmente, e in una
sede internazionale, durante il Congresso di Parigi del 1856. Le assise, a cui
presero parte tutte le principali potenze europee, erano state convocate in
seguito alla cessazione delle ostilità in Crimea e si prefiggevano di sistemare
le questioni territoriali in Oriente.
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Il 20 luglio 1858, durante un incontro segreto tenutosi a Plombières, Napoleone III e Cavour concordarono le linee di fondo che avrebbero condotto a
una soluzione della «questione italiana». Innanzitutto la Francia s’impegnava a intervenire militarmente a sostegno del Piemonte nel caso di aggressione da parte dell’Austria. I due
statisti, inoltre, ridisegnarono la carta geografica della penisola accordandosi su un piano che prevedeva:
la costituzione di un Regno dell’Italia settentrionale sotto il dominio di
Casa Savoia e comprendente il Piemonte, la Liguria, la Sardegna, la
Lombardia, il Veneto e la Romagna; la
riduzione dei domini del papa alla
sola Roma e ai territori limitrofi (il
pontefice sarebbe stato anche il presidente di una federazione di Stati
F. Hayez, Camillo Benso conte di Cavour
italiani); un Regno del­l’Italia centra(Pinacoteca di Brera, Milano)
le formato dalla Toscana e dal resto
dello Stato pontificio, e destinato a un principe francese; un Regno delle Due
Sicilie immutato (se Ferdinando II avesse abdicato, il Regno sarebbe stato
affidato al figlio di Murat). Nizza e la Savoia, invece, sarebbero state cedute
alla Francia. L’accordo, inoltre, prevedeva un’altra condizione, che potremmo
definire accessoria, ma alla quale Cavour teneva particolarmente: il matrimonio tra la primogenita di Vittorio Emanuele, Maria Clotilda, e il principe
Girolamo, nipote di Napoleone III. Questo legame avrebbe contribuito a consolidare ulteriormente le relazioni tra la Francia e il Regno di Sardegna.
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5.Re d’Italia (1859-1861)
5.1Il discorso della Corona
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Si avvicinava la data della riapertura del Parlamento piemontese, fissata
per il 10 gennaio 1859. In quell’occasione Vittorio Emanuele avrebbe dovuto tenere un discorso alle Camere, discorso che avrebbe finito per assumere
un’importanza politica decisiva.
Verso la metà di dicembre dell’anno precedente Cavour aveva sottoposto a Napoleone III la bozza del testo che sarebbe stato letto durante la seduta. Il re
di Sardegna assicurava di voler compiere «camminando sulle orme segnate dal
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La spedizione dei Mille e l’incontro di Teano
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Dopo la pace di Villafranca, che sembrava aver arrestato il processo di unificazione della penisola, i democratici ripresero la loro attività cospirativa in
Sicilia. Particolarmente attivi furono
due uomini politici seguaci di Mazzini: Francesco Crispi e Rosolino Pilo.
I due infaticabili agitatori siciliani
cercarono ripetutamente di alimentare la tensione sociale prodotta
dalla crisi del regime borbonico, per
trasformarla in un moto insurrezionale. Essi, inoltre, tentarono di indurre Garibaldi ad assumere il comando
di un’operazione che avesse l’obiettivo di appoggiare la rivolta siciliana
ritenuta imminente.
Nel marzo del 1860 Garibaldi diede il
suo assenso, ma sostenne che i tempi
non erano ancora maturi e che dunFrancesco Crispi
que bisognava aspettare. Tuttavia,
nella notte tra il 3 e il 4 aprile, Francesco Piro, un fontaniere, alla guida
di alcune decine di operai e artigiani
palermitani, diede inizio alla rivolta. Il moto fallì e gli insorti vennero
condannati a morte, ma l’insurrezione sedata a Palermo dilagò in gran
parte della Sicilia.
Nell’arco di tre settimane, Garibaldi,
aiutato da Crispi nel reperimento di
uomini e armi, preparò una spedizione organizzando un gruppo di mille
volontari che partì da Quarto nella
notte tra il 5 e il 6 maggio e sbarcò
a Marsala l’11 dello stesso mese.
Rosolino Pilo
Il 14 maggio, a Salemi, il Generale
assunse la dittatura dell’isola in nome di Vittorio Emanuele; il 15 maggio sbaragliò le truppe borboniche a Calatafimi; il 27 entrò a Palermo, che fu conquistata definitivamente il 6 giugno. Con l’occupazione di Milazzo (20 luglio)
e Messina (27 luglio), la Sicilia passava interamente in mano ai garibaldini.
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Lo sbarco dei Mille a Marsala nel disegno di un ufficiale osservatore
a bordo di una nave inglese
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Nel mese di agosto, grazie al non intervento della marina inglese, i Mille sbarcarono in Calabria e il 7 settembre furono a Napoli (il sovrano,
Francesco II, succeduto a Ferdinando II morto a maggio, si era rifugiato a
Gaeta).
A. Masutti, Garibaldi si riposa dopo la battaglia di Milazzo
sotto il portico di una chiesa, 1860 (litografia)
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La proclamazione del Regno d’Italia
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Vittorio Emanuele rimase a Napoli fino alla fine di novembre, si recò poi a
Palermo, dove nominò il marchese di Montezemolo suo luogotenente, e
infine tornò a Torino. Arrivò nella
capitale in tempo per l’annunciato
scioglimento delle Camere che
avrebbe consentito l’elezione e la
nomina di un nuovo Parlamento che
avrebbe rappresentato anche i territori annessi in seguito ai plebisciti.
Il primo Parlamento italiano fu convocato a Torino il 18 febbraio 1861.
Il 21 dello stesso mese Cavour presentò al Senato un disegno di legge
per la proclamazione di Vittorio Emanuele re d’Italia che prevedeva un
solo articolo: «Il re Vittorio Emanuele
II prende per sé e per i suoi successori il titolo di re d’Italia e del popolo
italiano». Era il 17 marzo 1861 e il
nuovo Stato assunse formalmente
il nome di Regno d’Italia. Vittorio
Emanuele volle chiamarsi II e non I
«perché gli pareva, qualora avesse
A.E. Disderi, Vittorio Emanuele II, 1861
assunto questo secondo titolo, commettere ingratitudine verso i suoi gloriosi avi i quali certamente avevano con
il senno e con la spada preparato a lui la corona che ora gli cingeva il capo».
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6. La fine dell’avventura (1862-1878)
La conquista del Veneto e la presa di Roma
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All’alba della sua proclamazione, il nuovo Stato si trovava a dover affrontare
due «questioni territoriali» ancora aperte: il Veneto apparteneva ancora
all’Impero austriaco, e il Lazio rimaneva sotto il controllo del pontefice.
L’11 ottobre del 1860, Cavour aveva pronunciato in Parlamento queste parole:
La nostra stella, o Signori, ve lo dichiaro apertamente, è di fare che
la Città Eterna, sulla quale 25 secoli hanno accumulato ogni genere
di gloria, diventi la splendida capitale del Regno italico.
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Quinto Cenni, Tavola raffigurante le uniformi dell’esercito
del Regno d’Italia appena formatosi (secolo XIX)
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Analisi grafologica
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La grafia di Vittorio Emanuele II di Savoia (piccola, con un buon largo tra
parole e che mantiene il rigo) rivela un’intelligenza vivace ed esuberante.
Il tracciato grafico presenta degli ingrossamenti e degli svolazzi che non
disturbano l’occhio ma, al contrario, conferiscono una certa eleganza alla
scrittura; anche i contrasti che si riscontrano nelle lettere sono ben armonizzati. Queste caratteristiche rivelano un temperamento vivace, estemporaneo, intraprendente, istintivo e schietto. La schiettezza è confermata dalla
linearità del rigo e dai tagli delle “t” che si presentano allungati da destra
verso sinistra.
Gli angoli un po’ smussati nelle vocali (angoli “c”) rivelano senso dell’opportunità, savoir-faire e capacità di conquistare il «popolo».
La grafia presenta complessivamente un forte dinamismo verso destra e si
caratterizza per la velocità del tracciato che sacrifica la leggibilità del testo,
con dei tratti finali di parola che si estendono paralleli al rigo di base e sono
portati avanti in maniera controllata e accurata (ricci del soggettivismo).
Ciò indica una personalità contraddistinta da grande dignità e orgoglio,
slancio e intraprendenza, esuberanza su tutti i piani. La forma curvilinea che
si riscontra negli allunghi inferiori (lettera “g”) del gesto grafico rivela un
certo apprezzamento per i divertimenti e la buona tavola.
La firma ha le stesse connotazioni grafologiche e lo stesso dinamismo del
gesto grafico verso destra. Queste caratteristiche rivelano una personalità
generosa d’animo, dotata di spirito d’iniziativa, calore, entusiasmo e ottimismo.
La pressione si riscontra energica nel tracciare i tratti, con la tendenza a
occupare lo spazio grafico: ciò denota istanze «egocentriche del soggetto».
Il tratto finale della firma (a paraffa) si dirige verso il basso con direzione
destra-sinistra, riflettendo un atteggiamento difensivo dell’Io a livello dei
sentimenti.
A cura di Giuliana Giacovelli.
Laureata all’Università di Urbino in tecniche grafologiche,
da anni si occupa di orientamento professionale e scolastico
con l’ausilio dell’analisi grafologica.
[email protected]
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T. Nast, Caricatura di Vittorio Emanuele II (riproduzione fotografica del dipinto conservato presso il
Brooklyn Museum di New York). Quando divenne re d’Italia, Vittorio Emanuele aveva solo quarantuno
anni, ma era già precocemente invecchiato e ingrassato; aveva incominciato a tingersi i capelli e portava enormi baffi arricciati all’insù e un lungo pizzetto che gli conferivano un’aria buffa e sgraziata.
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Carta astrale
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Già dalle prime note biografiche è dato cogliere quel manto di mistero,
doppiezza, smodatezza ma al tempo stesso sensibilità, fascino, fiuto politico,
umiltà e slanci generosi che emergono dalla vita del sovrano e che coincidono col segno zodiacale dei Pesci: Vittorio Emanuele II nacque, infatti, il
14 marzo 1820.
Il tutto è esaltato dalla presenza di ben quattro pianeti nello stesso segno:
al Sole si congiungono, infatti, la Luna, Giove e Plutone; ciò determina una
personalità fortemente connotata, nel bene e nel male, dall’energia «pescina», con l’espressione di particolari talenti legati a quel tipo di funzione ma
anche, di eccessi e di prove derivanti dalla stessa.
Lo dimostra anzitutto la leggenda sulla vera identità del sovrano riferita
alle dicerie secondo cui le sue fattezze grossolane e sanguigne, così diverse
da quelle del padre Carlo Alberto, avrebbero indotto a pensare ad origini
popolari. Si arrivò a dire che Vittorio Emanuele era figlio di un macellaio di
Firenze.
A prescindere dalla sua vera identità, nella biografia di Vittorio Emanuele
si riscontra un contrasto costante tra la svogliatezza nello studio, l’insofferenza alla disciplina e al lavoro, l’amore per la bella vita, per i denari, le
donne, le battute di caccia e le allegre e rumorose tavolate da una parte, e la
dedizione alla causa dell’Italia unita per la quale manifestò doti di coraggio,
costanza nelle sventure, saggezza nei trionfi, animosità e ardore dall’altra.
Se dunque il Sole e altri pianeti nel segno misterioso, eccessivo, emotivo,
dispersivo dei Pesci ci offrono il ritratto di un sovrano dissoluto e libertino,
l’ascendente Sagittario, segno di fuoco, di Giove e della Legge, rappresentato dal centauro con arco e frecce, spiega la passione e l’audacia mostrate
nel combattimento, la fede e i valori espressi nella vita politica, la popolarità
e la gloria conquistate (delle quali peraltro si scherniva, mostrando umiltà
d’animo e fastidio per la retorica).
E che dire della sua vita sentimentale… Anche questa fu coerente con la
«doppiezza» racchiusa nel simbolo iconografico dei Pesci, doppiezza che in
alcune occasioni gli fu rimproverata come inaffidabilità. Ad un matrimonio
di convenienza e a diversi amori, in parte clandestini e che non facevano
distinzione di rango, seguì un matrimonio morganatico con una donna di
origini modeste di cui l’attraeva il carattere giocondo e semplice. Ce ne
parla una passionale e focosa Venere nel segno dell’Ariete in aspetto armonico con Urano (l’anticonformismo) e con Nettuno (fantasie, ispirazioni
amorose).
Nella sua vita gaudente e spericolata non mancarono comunque dure prove,
come la perdita prematura della moglie, di due figli e del fratello. C’era da
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aspettarselo, vista la pluralità di pianeti nel segno dei Pesci, pluralità che ci
parla anche di sofferenze e isolamenti.
Sicuramente Vittorio Emanuele II sperimentò tutti i moti dell’animo umano,
ma forse proprio grazie al suo temperamento poté compiere l’impresa che
gli valse il titolo di «re d’Italia».
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Maria Teresa Zilembo