Diritto di fuga, razzismo e Carta di Lampedusa

Yalla ~ Stranieri in Campania
Servizio di Mediazione Culturale della Regione Campania
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Diritto di fuga, razzismo e Carta di Lampedusa
L'Europa Comincia a Lampedusa?
E' l'interrogativo intorno a cui si costruisce l'appuntamento che domani, giovedi, alle ore 18.00 si
tiene allo spazio sociale Zer081 in piazza Banchi Nuovi (Napoli) con la partecipazione
del forum antirazzista campano e e il contributo di Miguel Mellino e Ian Chambers, docenti
del dipartimento di studi postcoloniali dell'Università Orientale. Una discussione in vista della tre
giorni che dal 30 gennaio al 1 febbraio a Lampedusa vedrà riunirsi un'ampia rete di
associazioni, gruppi informali movimenti, migranti e autoctoni per scrivere dal basso una nuova
carta dei diritti da rivendicare per i profughi e i rifugiati. Perchè l'Europa, come ha sancito uno
dei partecipanti," o comincia a Lampedusa o finisce nei CIE".
Un confronto che che cerca un punto di vista "meridiano" per guardare l'Euopa da Sud e parte
dal diritto di fuga per allargarsi a un'analisi del razzismo contemporaneo, dentro le cosiddette
società "liberali", sempre più irrigidite e chiuse dalle politiche della paura e dall'utilizzo delle
normative sull'immigrazione come forme di regolamentazione differenziale del mercato del
lavoro dentro la crisi. Una riflessione aperta da questo contributo di Miguel Mellino e Anna
Curcio:
"Cosa succede quando il razzismo o atteggiamenti razzisti sono ricondotti alla logica di altri
fenomeni e azioni sociali? Più precisamente, cosa accade quando esplicite pratiche razziste
(compresi pestaggi e uccisioni) vengono smontate e tradotte nei discorsi di forze sociali, media
e politica mainstream come problemi economici e di criminalità o come questioni legate al
lavoro, l’abitazione, le migrazioni, l’identità? I numerosi episodi di intolleranza che oggi in Italia
interessano quotidianamente i migranti (e soprattutto musulmani, zingari e rumeni) quasi mai
sono riconosciuti nella sfera pubblica come frutto di un atteggiamento razzista o di un
razzismo popolare.
(…) Questo é a nostro parere il più ovvio sintomo della crescente razzializzazione della società
italiana poiché non é difficile sostenere che questa accurata rimozione ci parli del contrario: oggi
in Italia la maggior parte del conflitti sociali, specialmente nel quadro della crisi economica
globale, si esprimono solo in termini razziali. In altre parole la nostra idea é che
la forclusione della razza nella dibattito pubblico in Italia – strettamente legata alla storica
incapacità di elaborare il passato fascista – (Mitscherlicht 1984; si veda anche Mellino 2006) (…)
– non é altro che il necessario supplemento alla crescenterazzializzazione dello spazio sociale
italiano, ovvero un complesso di interpellazioni “attraverso cui i significati della razza sono
collegati a particolari istanze – spesso trattati come problemi sociali – o in cui la razza appare o
spesso é il fattore centrale del modo in cui sono definiti e compresi ” (Cfr Murji, Solomos 2005:
3). Quello che vogliamo sottolineare é che data le particolari configurazioni storiche del
processo di costruzione della nazione (…), più diventa evidente la materiale costituzione razziale
della società italiana tanto più violenta sarà la sua forclusione discorsiva sia all’intero che
all’esterno del campo istituzionale. Allora sulla scena italiana, la razza potrebbe emergere
come significante fondamentale ovvero come “operatore” di significato sociale, pratica e
soggettività solo attraverso: a) la “violenza implosiva” generata da episodi di “ansietà etnica
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punitiva” (si veda Appadurai 2001) come quelli descritti sopra, determinati da quello che può
essere definito (seguendo il concetto lacaniano di forclusione) come “deliri e allucinazioni
razziali collettive”; o, alternativamente, b) attraverso la pressione politica o le enunciazioni
deglioutsiders. Noi pensiamo che questa sia una caratteristica centrale del razzismo italiano
contemporaneo.
Sfida aperta al razzismo contemporaneo
Non é casuale che proponiamo i termini “razza” e “razzializzazione” per sfidare le
interpellazioni del razzismo contemporaneo in Italia. Questi termini sono pressoché assenti dal
lessico degli studi sociali, storici, culturali e politici in Italia, ed incontrano forti resistenze nei
discorsi delle differenti voci del movimento anti-razzista italiano. Pensiamo dunque che sia
giunto il momento chw il dibattito antirazzista italiano si arricchisca e sicomplichi introducendo le
nozioni di “razza” e “razzializzazione” nella sua agenda (…).
Metamorfosi del razzismo in Italia
Anche all’interno del movimento antirazzista, la crescita di un razzismo italiano é spesso intesa
come la risposta xenofoba allo sviluppo delle migrazioni internazionali contemporanee. Questo
assunto é chiaramente fuorviante poiché tralascia una parte significativa della storia italiana che
é caratteristica costituente del processo storico di costruzione della nazione: ovvero il razzismo
istituzionale e popolare verso i meridionali. (…) Il razzismo anti-meridionali, cavallo di battaglia
del discorso politico della Lega nord fino agli anni Ottanta, appare oggi ad un
livello latente piuttosto che manifesto. Ciononostante é nostra convinzione che tale
declinazione del razzismo abbia fratturato lo spazio nazionale italiano sin dalla nascita della
nazione nel 1861, preparando il terreno per la razzializzazione delle migrazioni internazionali di
oggi. Infatti, non é possibile comprendere il migrante postcoloniale come espressione chiave del
significante della razza senza tenere in considerazione la costruzione culturale, politica ed
economica – e dunque il loro ruolo all’interno della storia del capitalismo italiano – dei suoi
principali antenati: il meridionale, l’altro coloniale (durante il primo periodo liberale e poi durante
il fascismo), l’ebreo (nel tardo periodo fascista) e i migranti dal sud Italia (nel secondo
dopoguerra).
Non vogliamo con questo suggerire nessuna semplicistica continuità lineare di modelli razzisti e
razziali attraverso le differenti fasi storiche. Il nostro punto é piuttosto l’opposto: poiché le
discriminazioni razziali in Italia hanno storicamente interessato differenti tipi di persone e gruppi
sociali, descrivendo uno scenario che muta storicamente, suggeriamo di considerare il razzismo
non come fenomeno fisso, strettamente legato a bisogni ideologici culturali, ontologici e
psicologi ne’ come un “vizio ancestrale”. Il razzismo é per noi strettamente connesso ai
rapporti di produzione e alle loro trasformazioni, e descrive la sua principale “linfa necropoltica”
– recuperando qui la famosa espressione di Achille Mbembe (2005) –per i cambiamenti, le
rotture e crisi nell’organizzazione sociale e politica. Tuttavia, concentrarsi sulla necessaria
connessione tra processi di razzializzazione e rapporti di produzione non richiede un punto di
vista deterministico, oggettivistico o economicista, al contrario può darci la possibilità di
ripensare i rapporti di produzione a partire dal processo di razzializzazione ed insistere sulla la
loro inevitabile “articolazione” (Hall 1980) o la “sempre complessa imbricazione” (Rattansi
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2002) nel contesto sociale capitalistico (si veda anche Curcio 2010). Seguendo Marx, si tratta di
analizzare il capitale come relazione sociale.
(…) Oggi il processo di razzializzazione in Itala deve essere considerato come parte costitutiva di
un più largo esempio di governance locale postcoloniale orientata alla gestione delle principali
trasformazioni politiche ed economiche degli ultimi vent’anni (la così detta transizione dal
fordismo al postfordismo). Si tratta della riorganizzazione dell’intero tessuto sociale come esito
dei processi di globalizzazione, delle ormai inarrestabili migrazioni e dell’irriducibile mobilità del
lavoro. Ma anche come effetto delle lotte anticoloniali e delle enunciazioni del femminismo che
hanno rimodellato il mercato del lavoro e le relazioni sociali dal 1970 in avanti.
Razzializzazione e (contro)politica della memoria
(…) Con razzializzazione intendiamo le ricadute sociali di una molteplicità di pratiche istituzionali
e non istituzionali e di discorsi, orientati alla rappresentazione gerarchizzata didifferenze fisiche
e culturali, reali e immaginarie e dunque al disciplinamento delle relazioni materiali
intersoggettive. Più precisamente pensiamo che il concetto di razzializzazione, altamente
impregnato dell’inquietante retaggio del discorso coloniale e imperiale sulla razza, sia più
adeguato di altri concetti “più neutri” (come etnicizzazione o multiculturalismo) a descrivere
processi concreti. I processi economici e culturali di essenzializzazione, discriminazione,
inferiorizzazione, segregazione, ovvero di violenza materiale e simbolica, a cui alcuni gruppi
oggi in Italia e in Europa sono sottomessi. Inoltre nello specifico scenario italiano, data
la forclusione nella sfera pubblica del coinvolgimento storico della nazione nella costruzione del
moderno racial thinking occidentale (per esempio la celebrata “culla del Rinascimento e della
cultura umanistica europea”), la razzializzazione può funzionare come potente significante
capace di rievocare l’eredità coloniale nel processo di costruzione della nazione e le sue
narrazioni e auto-identificazioni culturalmente egemoniche. Più precisamente, in termini
lacaniani, nominare le interpellazioni del razzismo contemporaneo in Italia (attraverso le lotte
politiche e le pratiche teoriche) a partire dai significanti di razza e razzalizzazione richiama
inevitabilmente una estremamente scomoda “contro-politica della memoria” da articolare
contro quello che possiamo chiamare la presunta organizzazione naturale degli “operatori” di
significato e delle loro regole (Aleman 2003: 55). Riassumendo é solo assumendo la razza
come discorso centrale e dunque come un significante politico aperto e modificabile, come un
tipo di “surplus” o “gap” politico (Rancière 2007), che diventa possibile riconoscere la
composizione di classe del capitalismo italiano oggi e le sue principali forme di ricomposizione
politica – ovvero le pratiche e i movimenti di soggettivazione anti-stituzionale degli ultimi anni (le
lotte di migranti, studenti, lavoratori precari e cognitivi) che non sono semplicemente orientati ad
un qualche tipo di “identity politics” bensì alla produzione del comune (Hard, Negri 2010).
(…) Oggi in Italia le interpellazioni razziste – e lo sviluppo di governi e società populisti e
securitari – devono essere interrogate come la risposta al crescente disordine prodotto dalla
deregolamentazione neoliberista e dalla trasformazione della società negli ultimi vent’anni
nonché, più di recente, dalla sempre più grave crisi economica globale. Seguendo il principale
argomento di Michel Foucault in Bisogna difendere la società (1998), con razzismo (e
razzializzazione) non intendiamo qui semplicemente “una sorta di operazione ideologica
attraverso cui gli stati, o una classe, tenterebbero di volgere verso un avversario mitico le ostilità
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che altrimenti sarebbero rivolte verso [di loro], o che potrebbero attraversare e perturbare il
corpo sociale” (p. 223). Dal nostro punto di vista, appare evidente che il razzismo
contemporaneo in Italia non può essere considerato come l’effetto di “costruzioni politiche
superficiali” o come il risultato di “un mero inganno ideologico”, il razzismo possiamo dire con
le parole di Fanon é sempre “violenza materiale e esercizio d dominio” (Fanon 2006), o
ritornando a David Roediger e Michel Fucault, [quel processo che] sostiene una “specifica
tecnologia di governo” che ha le sue radici politiche nella nascita del capitalismo come sistema
(coloniale) mondiale e dunque nella configurazione dei “moderni dispositivi di biopotere”.
Va da se che oggi le interpellazioni del razzismo in Italia hanno come obiettivo non solo il
consolidamento di quegli stati di eccezione permanente (o di nuda vita, secondo la popolare
definizione di Agamben) sempre indispensabile alla violenta auto definizione della comunità
politica nazionale (come sostengono molti discepoli di Giorgio Agambe nel campo degli studi
sulle migrazioni), ma anche la “inclusione differenziale” del lavoro migrante nel mercato del
lavoro nazionale. É chiaro che tale segmentazione del mercato del lavoro supporta e rinforza la
razzializzazione dello spazio sociale e urbano così come “pratiche di governo” completamente
impregnate da discorsi populisti e securitari. Detto altrimenti le pratiche di inclusione
differenziale del lavoro migrante comportano una “gestione razziale e securitaria” di migrazioni,
popolazione nazionale e cittadinanza e mobilitano la differenza culturale, di genere e razza solo
per favorire la valorizzazione capitalistica. Occorre tuttavia ripetere, per non ridurre la
razzializzazione alla segmentazione del mercato del lavoro, che ciò che rende possibile la
costituzione materiale del “management razziale” come risposta politica alla crisi capitalistica é
precisamente la “politica della memoria”: la codificazione e stratificazione culturale di
colonialismo, schiavitù e imperialismo ma anche delle lotte anti-coloniali contro la
gerarchizzazione razziale, nelle tecnologie dell’identità nazionale. Infatti é possibile affermare
che la “politica della memoria” nazionale, funziona sempre come (principale) “l’abito
dell’egemonia” (Alemàn 2003: 55).
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