Ottica fisica e Ottica geometrica 18.1 capitolo 18 INTRODUZIONE Come nel Capitolo 16, anche in questo Capitolo vengono descritte alcune applicazioni delle nozioni generali sui fenomeni ondulatori trattate nel Capitolo 15, ma questa volta l’applicazione riguarda la luce, cioè la parte della Fisica che tratta di Ottica. In Medicina e in Biologia i fenomeni luminosi hanno una varietà di impiego assai più estesa rispetto a quelli acustici e perciò tratteremo prima alcune loro proprietà generali, argomento di questo Capitolo, mentre nei successivi vengono descritte le principali strumentazioni biologiche e mediche basate sui fenomeni ottici (Capitolo 19) e il funzionamento dell’organo della visione nell’uomo e negli animali (Capitolo 20). 18.2 LE ONDE ELETTROMAGNETICHE La luce è un fenomeno di natura elettromagnetica, si tratta cioè della vibrazione di un campo elettrico E e di un campo magnetico B, descritta nel § 14.13, che si propaga a velocità finita, seppur molto elevata. La propagazione ondosa della perturbazione elettromagnetica avviene in modo del tutto simile a quella delle onde elastiche, ma, trattandosi di una vibrazione elettrica e magnetica, anziché di uno spostamento delle particelle di un mezzo materiale, essa non richiede di necessità la presenza del mezzo materiale e può avvenire anche nel vuoto. Un’onda elettromagnetica piana e monocromatica, che si propaga lungo la direzione dell’asse z, è rappresentata dalla vibrazione contemporanea dei due vettori (14.51): 2πz E (z , t ) = E o sen ωt − λ 2πz B(z , t ) = Bo sen ωt − , λ (18.1) le cui direzioni sono sempre fra loro ortogonali (Figura 18.1a). La velocità di propagazione nel vuoto è la stessa per tutte le perturbazioni elettromagnetiche, indipendentemente dalla loro frequenza, ed è la massima raggiungibile in natura: essa viene indicata con la lettera c e vale circa 3 ⋅ 108 m/s. Questa velocità è legata alla permeabilità magnetica del vuoto mo e alla costante dielettrica del vuoto eo dalla relazione: 1 c= , (18.1a) µo ε o Velocità della luce 409 410 CAPITOLO 18 Ottica fisica e Ottica geometrica Figura 18.1 La radiazione elettromagnetica. (a) Rappresentazione schematica di un’onda elettromagnetica che si propaga lungo la direzione z. Viene mostrata per semplicità un’onda elettromagnetica polarizzata: in generale E non appartiene sempre al piano x, z, ma cambia la sua orientazione intorno all’asse z restando a esso ortogonale. Il campo magnetico B è sempre perpendicolare al campo elettrico. (b) Lo spettro delle onde elettromagnetiche, dove viene evidenziato l’intervallo visibile. Sulle scale orizzontali sono riportate le lunghezze d’onda. Le rispettive frequenze possono essere calcolate dalla (18.2): n = c l–1. E B x z y raggi γ –10 ultravioletto raggi X infrarosso –8 –6 –4 –2 a) microonde onde radio 0 2 4 6 Log l (cm) visibile viola blu giallo rosso 400 500 600 700 b) lunghezza d'onda l (nm) 7.5·1014 4.3·1014 frequenza n (Hz) come risulta dalle equazioni delle onde (14.53), ricavate dalle equazioni di Maxwell sull’Elettromagnetismo (14.21). Nella materia la velocità delle onde elettromagnetiche è minore di c e dipende, oltre che dal mezzo, anche dalla loro lunghezza d’onda (dispersione della luce, §18.4), così come accade per molte proprietà di queste perturbazioni. Se c è la velocità delle onde elettromagnetiche, le loro lunghezza d’onda l e frequenza n sono legate dalla nota relazione: c = ln. Intensità delle onde elettromagnetiche L’intensità di un’onda elettromagnetica piana, cioè l’energia trasportata nell’unità di tempo attraverso l’unità di superficie, come già affermato nei § 14.13 e § 15.3, è proporzionale al quadrato della sua ampiezza, in particolare l’intensità media è data dalla (14.63): 1 I = c ε E o2 (essendo c Bo = E o ). 2 Luce (18.2) (18.3) Viene chiamata luce quella porzione dello spettro delle onde elettromagnetiche la cui frequenza è compresa fra 4.3 ⋅ 1014 Hz e 7.5 ⋅ 1014 Hz: in questo intervallo (Figura 18.1b) esse sono visibili all’occhio umano con diverse sensazioni di colore, andando dal rosso per le frequenze minori, al violetto per quelle dell’estremo maggiore. A frequenze ancora superiori le onde elettromagnetiche non sono visibili all’occhio umano. Esse sono chiamate ultraviolette e possono essere rivelate ricorrendo, ad esempio, a particolari pellicole fotografiche. Lo stesso avviene per le radiazioni infrarosse, di frequenza inferiore a quelle visibili. Nel Capitolo 21 tratteremo di questi e di altri tipi di radiazioni elettromagnetiche non visibili, quali le 411 18.2 Le onde elettromagnetiche onde radio, le microonde, i raggi X e la radiazione gamma (raggi g). Come si può osservare dalla Figura 18.1a, le onde elettromagnetiche sono trasversali: il campo elettrico e il campo magnetico vibrano perpendicolarmente alla direzione di propagazione, oltre ad essere sempre fra loro ortogonali. Lo studio dell’interazione fra le onde elettromagnetiche e gli atomi, o molecole, costituenti la materia, ha condotto alla scoperta delle proprietà corpuscolari delle onde elettromagnetiche, nel senso che, in determinate condizioni, esse si comportano come particelle, o corpuscoli, privi di massa, chiamati fotoni, il cui numero è proporzionale all’intensità dell’onda, mentre l’energia del singolo fotone aumenta con la frequenza della perturbazione elettromagnetica. Su questi concetti avremo occasione di ritornare nel Capitolo 21, mentre ora discuteremo in generale di fenomeni macroscopici, per i quali sono pienamente adeguati i concetti della Meccanica classica e nei quali la radiazione elettromagnetica manifesta solo proprietà ondulatorie. Le onde elettromagnetiche, e quindi la luce, mostrano tutte le proprietà generali dei fenomeni ondulatori descritte nel Capitolo 15, in particolare quelle concernenti la loro propagazione (§ 15.5 e 15.6), la riflessione e la rifrazione (§ 15.8), l’interferenza (§ 15.9 e 15.10), la polarizzazione (§ 15.12) e l’effetto Doppler (§ 15.11). È opportuno osservare che il principio di sovrapposizione per le onde luminose di diversa lunghezza d’onda corrisponde, nella sensazione visiva, alla combinazione di differenti colori. Allora, distinguendo i corpi che emettono radiazioni luminose (sorgenti) da quelli che l’assorbono (assorbitori), l’emissione di luce bianca da parte di una sorgente significa che la radiazione viene emessa a diverse lunghezze d’onda (ad esempio nel blu, nel verde e nel rosso), la cui sovrapposizione corrisponde appunto alla luce bianca. Questa può essere assorbita dai corpi, i quali appaiono colorati in quanto assorbono tutte le radiazioni a eccezione di quella (o quelle) corrispondente al colore del corpo, che viene riflessa. Per questo motivo la combinazione di più colori in emissione dà luogo a luce bianca, mentre la stessa combinazione in assorbimento fornisce il colore nero (come nel caso del miscuglio di vernice blu, verde e rossa), che corrisponde all’assorbimento di tutti i colori della radiazione luminosa incidente. Nel caso delle radiazioni elettromagnetiche, la parte di energia visibile (luce) è chiamata energia luminosa e può venire misurata con diverse unità, a seconda che si tratti di energia emessa nell’unità di tempo (potenza) da una sorgente, oppure di energia trasmessa o incidente sull’unità di superficie e nell’unità di tempo. Nel Sistema Internazionale la candela (cd) misura l’intensità luminosa di una sorgente che emette radiazione monocromatica di frequenza n = 540 ⋅ 1012 Hz (l = 555 nm, cioè luce di colore verde) la cui intensità energetica in una data direzione è di (683–1) W sr–1 (si veda l’Appendice A); in pratica corrisponde all’emissione da parte di una sorgente puntiforme di 0.0184 watt su tutto l’angolo solido (4p steradianti). Il lumen (lm) misura l’energia luminosa emessa nell’unità di tempo in un determinato angolo solido (lm = cd sr), mentre la potenza luminosa per unità di superficie (trasmessa o incidente) è chiamata illuminamento e la relativa unità nel S.I. è il lux (lx) e quindi 1 lux = 1 lumen m–2 = 1 cd sr m–2. Quando è possibile trattare la propagazione delle onde luminose in termini di onde piane che si propagano in direzioni a esse perpendicolari (raggi), è possibile sviluppare una teoria approssimata dei fenomeni luminosi (Ottica geometrica), in cui si considera la lunghezza d’onda della luce molto piccola rispetto alle dimensioni lineari degli strumenti usati (diaframmi, lenti, specchi, prismi). In questo contesto vengono utilizzate le proprietà di riflessione e rifrazione, assieme alle re- Fotoni Sorgenti e assorbitori Energia luminosa Ottica geometrica 412 CAPITOLO 18 gole della Geometria euclidea. Quando però tali condizioni non sono soddisfatte è necessario sviluppare una trattazione rigorosa del fenomeno ondulatorio, come visto nel caso dell’interferenza, della polarizzazione e dell’effetto Doppler (Ottica fisica). Nei paragrafi che seguono vengono trattati i principali fenomeni dell’Ottica fisica, che si aggiungono ai fenomeni ondulatori già visti nel Capitolo 15, mentre negli ultimi quattro paragrafi verrano descritte le basi dell’Ottica geometrica. Nei Capitoli successivi le nozioni di Ottica fisica e di Ottica geometrica verranno applicate alla strumentazione biomedica e ai sistemi biologici. Ottica fisica ESEMPIO 18.1 Ottica fisica e Ottica geometrica Energia luminosa da una lampadina Stimare l’energia luminosa che perviene sull’occhio di un osservatore distante un metro da una lampadina ad incandescenza con filamento di tungsteno da 50 watt. Soluzione Dobbiamo calcolare in primo luogo l’energia luminosa emessa dalla lampadina: solo una piccola parte dei 50 W vengono emessi come radiazione percepibile dall’occhio umano, circa il 4%, per cui solo 50 W 0.04 = 2 W vengono emessi sotto forma di energia luminosa nell’ambiente. Questa energia luminosa può essere espressa in candele ricordando che 683 candele corrispondono ad 1 watt s–1 e che l’energia luminosa della lampadina viene emessa sull’angolo solido totale (si veda l’Appendice A) di 4p = 12.56 sr e quindi 2 watt corrispondono a: 2 W (683 cd W–1 sr) (12.56 sr) –1 = 108.8 candele. Questa energia luminosa perviene sulla superficie della pupilla umana, di raggio r = 2.5 mm, e quindi essa deve essere moltiplicata per l’angolo solido (misurato in steradianti, Appendice A) sotto cui la lampadina “vede” la pupilla: Ω= πr 2 (1m ) 2 = π ( 2.5 mm ) 2 106 mm 2 = 1.96 ⋅ 10−5 s r , L’intensità luminosa può essere espressa anche come numero di fotoni che perviene nell’unità di tempo sull’unità di superficie. Questo numero si può stimare assumendo la luce emessa dalla lampadina di colore giallo, cui corrisponde una lunghezza d’onda di 600 nm pari ad una frequenza n = c/l = = 3 ⋅ 108 ms–1 (600 ⋅ 10–9 m) –1 = 5 ⋅ 1014 Hz, da cui l’energia dei singoli fotoni risulta essere (§ 21.3): E = h n = 6.6 ⋅ 10–34 J s Il numero di fotoni che pervengono al secondo sulla pupilla è quindi: N fotoni = corrispondenti all’illuminamento di: I= 2.13 ⋅ 10−3 E = 108.8 lux, = 2 2 πr π ( 2.5 mm ) (la coincidenza col numero di candele è dovuta alla distanza unitaria tra pupilla e lampadina). 2W π(2.5 mm)2 = 9.45 ◊ 1012 fotoni s −1 −19 3.3 ◊ 10 J 4 π 106 mm 2 e, tenendo conto che a causa di riflessioni e assorbimenti interni, circa il 45% di questi pervengono sulla retina (§ 20.3), incidono sulla retina: N fotoni = 0.45 9.45 ⋅ 1012 fotoni s −1 = 4.25 ⋅ 1012 fotoni s −1 . A titolo di confronto l’energia luminosa rilevabile normalmente dall’occhio umano spazia almeno su 8 ordini di grandezza: 10–2 lux (cd sr m–2) da cui l’energia luminosa E incidente sull’occhio risulta: E = 1.96 ⋅ 10−5 sr 108.8 cd = 2.13 ⋅ 10−3 lumen, 5 ⋅ 1014 s–1 = 3.3 ⋅ 10–19 J. 10 103 105 106 lux lux lux lux visione crepuscolare (senza distinzione dei colori) sufficiente per leggere buona illuminazione per scrivere abbagliamento accecamento In particolari condizioni l’estremo inferiore della sensibilità visiva dell’occhio umano è di vari ordini di grandezza inferiore al valore sopra riportato: si tratta tuttavia non della visione di un’immagine, ma della percezione di un sottile fascio di fotoni fatto incidere nella regione di maggior sensibilità della retina (vedasi il § 20.4b). 413 18.3 La diffrazione della luce 18.3 S LA DIFFRAZIONE DELLA LUCE Come detto sopra, l’Ottica geometrica costituisce un’approssimazione dell’Ottica in generale. Il caso più semplice ed evidente di violazione delle sue leggi si ha quando la luce attraversa un’apertura molto piccola: in tal caso la legge della propagazione rettilinea non è più valida e la luce viene deviata anche oltre la semplice proiezione della fenditura. Infatti la luce che proviene da una sorgente luminosa puntiforme e attraversa un foro (Figura 18.2), secondo l’Ottica geometrica dovrebbe proiettare sullo schermo una macchia luminosa a bordi netti. Questo avviene quando lo schermo è prossimo alla fenditura, ma se la distanza tra schermo e fenditura è molto più grande della dimensione dell’apertura, si può osservare sullo schermo un sistema di frange costituito da anelli concentrici chiari e scuri, che sfumano gradualmente, come mostrato in Figura 18.3. Questo fenomeno, che rientra nell’Ottica fisica, prende il nome di diffrazione e rappresenta un caso particolare del fenomeno di interferenza. Si riesce a spiegare questo fenomeno ricorrendo al principio di Huygens e sviluppando l’interferenza tra la luce irraggiata da punti di uno stesso fronte d’onda. Consideriamo il semplice caso, mostrato in Figura 18.4, di un’onda piana incidente su una fenditura rettilinea di larghezza d (come vedremo, l’onda piana si può ottenere frapponendo una lente convergente tra la sorgente luminosa puntiforme e la fenditura). Prendiamo in esame i punti A e B, distanti fra loro d/2. Secondo il principio di Huygens, da questi punti si generano fronti d’onda emisferici, oppure raggi diretti in tutte le direzioni: consideriamo quelli che formano un angolo q con la normale alla fenditura. La differenza in cammino ottico tra i due raggi, provenienti da A e da B, è data da (Figura 18.4): A B schermo I O A B x Figura 18.2 La sorgente S puntiforme illumina l’apertura. L’intensità di luce proiettata su uno schermo possiede i bordi netti. d (18.4) Dx = sen θ 2 Affinché si abbia interferenza distruttiva tra i due raggi, questa differenza di cammino deve essere uguale mezza lunghezza d’onda: d λ sen θ = , cioè d sen θ = λ. 2 2 (18.4a) Figura 18.3 A d/2 q q B S C Dx L Figura 18.4 La luce, emessa da una sorgente puntiforme e trasformata in un’onda piana da una lente convergente L, incide su una fenditura rettilinea. I raggi passanti per il punto A e per il punto B, con direzione q, interferiscono fra loro. Se il foro di Figura 18.2 ha un diametro molto piccolo, su uno schermo, che si trovi a grande distanza dal foro, appare un sistema di frange concentriche, con una alternanza di chiaro e scuro, chiamato frange di diffrazione. Il cerchio luminoso centrale corrisponde alla proiezione AB di Figura 18.2. 414 CAPITOLO 18 Ottica fisica e Ottica geometrica Figura 18.5 y I raggi provenienti da A e da B vengono concentrati nel punto P di uno schermo, posto a grande distanza dalla fenditura, ove avviene l’interferenza, costruttiva o distruttiva, che origina una successione di frange, la cui intensità è mostrata nel grafico in funzione della posizione del punto P sullo schermo (ordinata y). onde piane P A q B intensità C schermo La condizione di interferenza distruttiva (18.5) si applica a tutti i punti adiacenti ad A appartenenti al segmento AB, nei confronti dei punti adiacenti a B e appartenenti al segmento BC. Possiamo ripetere queste argomentazioni suddividendo la fessura in n fenditure uguali, per cui nella relazione (18.5) si sostituisce allora al posto di d il valore d/n, con n intero. La condizione di interferenza distruttiva risulta allora: d sen θ = λ , cioè d sen θ = n λ (n = 1, 2, 3,⋯). n Frange di diffrazione (18.6) La (18.6) è valida per tutte le n fenditure di larghezza d/n nelle quali è stata idealmente suddivisa la fenditura reale AC. Su di uno schermo posto a una certa distanza dietro la fenditura (Figura 18.5), a causa dell’interferenza distruttiva, non viene raccolta la luce proveniente dall’insieme delle n fenditure ideali sotto l’angolo q che soddisfa la (18.6), la quale è, quindi, più generale della (18.5), in quanto fornisce tutti gli angoli q, per i quali si verifica una interferenza distruttiva, corrispondenti al valore che assume l’intero n (n = 1, 2, 3, ...). In modo simile si dimostra che per d sen θ = (2n + 1) λ 2 (18.7) si ha interferenza costruttiva. In conclusione, al variare dell’angolo q, sullo schermo dietro la fenditura si può osservare una alternanza di zone chiare e scure (Figura 18.5), chiamate frange di diffrazione. La perdita di luminosità delle frange chiare ai lati di quella centrale è determinata dalla loro maggiore lontananza dalla fenditura. Si noti infine che per d ª l la (18.5) non può essere soddisfatta, in quanto il massimo centrale si espande e occupa tutto lo schermo. Come vedremo nel prossimo Capitolo, il fenomeno della diffrazione, oltre a dimostrare la natura ondulatoria della luce, permette anche di comprendere il funzionamento degli strumenti ottici e in particolare di spiegare i loro limiti nella risoluzione delle immagini. Un caso pratico di diffrazione della luce è riportato nell’Esempio 20.1. 415 18.4 Il prisma e la dispersione della luce 18.4 IL PRISMA E LA DISPERSIONE DELLA LUCE I corpi investiti da un fascio di luce possono essere opachi o trasparenti: sono opachi quelli che non lasciano passare la luce, trasparenti quelli che permettono tale passaggio. Nel primo caso la luce può essere in parte riflessa e in parte assorbita, ad esempio le superfici metalliche lucide riflettono oltre il 99% della luce incidente, mentre un pezzo di carbone ne assorbe oltre il 99%, riflettendone una minima quantità. Il vetro è invece trasparente e pertanto un fascio di luce incidente su una superficie di vetro viene quasi totalmente trasmesso, obbedendo alle leggi della rifrazione, e solo in piccola parte riflesso. Si definisce prisma un qualsiasi mezzo trasparente limitato da facce piane non parallele (Figura 18.6). Esso viene impiegato disponendolo in modo che il raggio incidente, che supponiamo per semplicità monocromatico, cioè avente una determinata lunghezza d’onda, penetri da una faccia, lo attraversi ed emerga dall’altra faccia. I piani delle due facce formano un angolo a, chiamato angolo di rifrangenza del prisma. Il raggio incidente e quello che, dopo aver subito due rifrazioni in successione, esce dal prisma, formano tra loro un angolo d, detto angolo di deviazione, e risulta δ = β + γ = (iˆ1 – rˆ1 ) + (ˆ r2 – iˆ2 ) = iˆ1 + rˆ2 − (ˆ r1 + iˆ2 ). Prisma (18.8) Considerando il triangolo ABC, si può scrivere: α + (90° – rˆ1 ) + (90° − iˆ2 ) = 180°, (18.9) α = rˆ1 + iˆ2 , (18.10) δ = iˆ1 + rˆ2 − α . (18.11) e quindi per cui la (18.8) diventa: Cambiando l’angolo d’incidenza iˆ1, varia l’angolo di deviazione d e si può dimostrare che esso raggiunge un valore minimo dm a condizione che siano iˆ1 = rˆ2 e rˆ1 = iˆ2 . Di conseguenza, in tali condizioni, dalle (18.10) e (18.11) si ha: rˆ1m = α /2 e iˆ1m = δ m + α /2. Figura 18.6 A Un raggio monocromatico incidente subisce una doppia rifrazione sulle superfici del prisma, emergendo deviato di un angolo d. a d 90° 1 B b r1 (18.12) C g r2 2 90° 416 CAPITOLO 18 Ottica fisica e Ottica geometrica TABELLA 18.1 Indice di rifrazione assoluto di alcune sostanze per l = 5890 Å. Viene riportata in unità di c la corrispondente velocità della radiazione nel mezzo rifrangente SOSTANZA aria anilina acqua benzene sangue tetraclorometano cloroformio glicerina quarzo vetro flint silicato vetro crown silicato diamante Indice di rifrazione n VELOCITÀ (unità c) 1.000292 1.586 1.332 1.501 1.350 1.599 1.446 1.472 1.425 1.622 1.517 2.417 0.999708 0.631 0.751 0.666 0.741 0.625 0.692 0.679 0.702 0.617 0.659 0.414 La legge di rifrazione (15.26), applicata alla prima rifrazione sul prisma, può allora essere scritta: δ +α sen m sen iɵ1m 2 , = n12 = (18.13) α sen rˆ1m sen 2 e perciò, misurando a e dm, si può determinare l’indice di rifrazione relativo n12 della sostanza di cui è costituito il prisma. In Tabella 18.1 sono riportati gli indici di rifrazione assoluti per alcune sostanze. Si ricordi che l’indice di rifrazione assoluto per le radiazioni elettromagnetiche viene definito rispetto al vuoto, il cui indice di rifrazione è esattamente uno (§ 15.8): n12 = n2 n1 dove n1 = c v1 e n2 = c . v2 (18.14) L’esperienza dimostra che l’indice di rifrazione di un mezzo omogeneo cambia al variare della lunghezza d’onda della luce, cioè del suo colore, per cui: sorgente rosso violetto Figura 18.7 L’indice di rifrazione è una funzione della lunghezza d’onda della luce incidente. Un raggio di luce bianca viene decomposto nelle varie componenti cromatiche in corrispondenza delle due rifrazioni sulle superfici del prisma. n≡ c = f (λ). v (18.15) Si deduce quindi che la velocità della luce, nei vari mezzi attraversati, è funzione della lunghezza d’onda. Per quasi tutti i corpi trasparenti, nella zona del visibile (compresa tra il rosso e il violetto), l’indice di rifrazione cresce al diminuire della lunghezza d’onda, come mostrato in Tabella 18.2. Pertanto, nel caso del prisma, se invece di utilizzare un raggio monocromatico, il raggio incidente fosse costituito da luce bianca, cioè da una sovrapposizione di raggi di diverse lunghezze d’onda (colori), ciascuno verrebbe rifratto originando diversi angoli di deviazione, come mostrato in Figura 18.7. La luce bianca è quindi scomposta dal prisma nei vari colori componenti e il fenomeno è genericamente noto come dispersione della luce. 18.4 Il prisma e la dispersione della luce 417 TABELLA 18.2 Indice di rifrazione assoluto del vetro crown per diverse l. Viene riportata in unità di c la corrispondente velocità della radiazione nel mezzo rifrangente LUNGHEZZA D’ONDA (Å) n 4047 (violetto) 4359 4916 5461 5893 6563 7682 (rosso) VELOCITÀ (unità c) 1.53189 1.52798 1.52283 1.51929 1.51714 1.51458 1.51160 0.65279 0.65446 0.65667 0.65820 0.65913 0.66025 0.66155 L’arcobaleno è un esempio di dispersione della luce su una miriade di goccioline d’acqua (Figura 18.8). Lo studio delle componenti di una determinata radiazione luminosa viene effettuato tramite il prisma con uno strumento detto spettroscopio; come vedremo, esso fornisce utili informazioni sulla sorgente della radiazione luminosa analizzata. Naturalmente il mezzo rifrangente che costituisce il prisma deve essere adatto al tipo di radiazione da esaminare. Nel caso in cui si operi, ad esempio, con radiazione ultravioletta, il prisma deve essere di quarzo, perché, contrariamente al vetro, questa sostanza non assorbe tale radiazione; nel caso della radiazione infrarossa per lo stesso motivo il prisma devere essere di salgemma. luce bianca 40° 42° luce bianca luce bianca 40° 42° gocce d'acqua arcobaleno a) b) Figura 18.8 Schema di formazione dell’arcobaleno: i colori uguali in uscita hanno tutti la stessa direzione. ESEMPIO 18.2 Rifrazione nel vetro Nel vuoto la luce gialla ha una lunghezza d’onda di 6000 Å. Se essa incide su una lastra di vetro di indice di rifrazione pari a 1.4, calcolare (1) la velocità della luce nel vetro e (2) la lunghezza d’onda nel vetro. Soluzione (1) Per definizione n = c/v per cui la velocità della luce in questo vetro è: c 3 ⋅ 108 ms −1 = = 2.14 ⋅ 108 ms −1 . 1.4 n (2) La frequenza dell’onda luminosa è determinata dalla sorgente dell’onda stessa e non dipende dal mezzo materiale attraversato. Viceversa, poiché ln = v = c/n, la lunghezza d’onda dipende dall’indice di rifrazione. Se un fascio di luce passa da un mezzo di indice di rifrazione n1 a uno con indice di rifrav= 418 CAPITOLO 18 ESEMPIO 18.2 Ottica fisica e Ottica geometrica Rifrazione nel vetro - continua λ2 = λ1 zione n2, essendo l1n = c/n1 e l2n = c/n2, dividendo membro a membro queste relazioni si ottiene: λ2 c/n 2 n1 = = . λ1 c/n1 n 2 = 4.286 ⋅ 10−7 m = 4286 Å . Si tratta di lunghezza d’onda corrispondente alla luce violetta. Nel vuoto v = c e n1 = 1, per cui abbiamo: ESEMPIO 18.3 n1 6 ⋅ 10−7 m = = n2 1.4 Angolo limite Si calcoli il valore dell’angolo limite nel caso in cui la luce che attraversa un vetro, di indice di rifrazione 1.6, incide su una superficie di separazione vetro-aria. 45° 45° Soluzione 90° Ponendo n1 = 1.6 e n2 = 1, abbiamo dalla (15.27): sen ıˆo = 90° 45° n2 1 = = 0.625, cioè ıˆo = 38.7°. n1 1.6 45° Quindi se la luce che viaggia nel vetro incide su una superficie di separazione vetro-aria a un angolo superiore di 38.7°, essa viene riflessa totalmente senza alcuna perdita di intensità. Per questa ragione nei binocoli, nei periscopi e in alcune macchine fotografiche, vengono utilizzati dei prismi a riflessione totale piuttosto che degli specchi (Figura 18.9). 45° 90° 45° 90° 45° Figura 18.9 Prismi a riflessione totale. 18.5 Polarizzazione rettilinea LA POLARIZZAZIONE DELLA LUCE La luce, in quanto onda elettromagnetica, è una vibrazione trasversale e pertanto può essere polarizzata. Si definisce piano di polarizzazione il piano ortogonale alla direzione del campo elettrico E, cioè il piano che contiene il campo magnetico B. Nel seguito, per semplicità, ci riferiremo solo al campo elettrico, sottintendendo l’esistenza di un campo magnetico sempre ad esso perpendicolare. La schematizzazione di Figura 18.1a rappresenta un’onda elettromagnetica polarizzata rettilineamente in cui la direzione del campo elettrico coincide con l’asse x. Nel caso più generale di polarizzazione rettilinea, il campo elettrico avrà una direzione obliqua rispetto a tale asse e potrà essere scomposto nelle componenti lungo x e y, come mostrato in Figura 18.10: z Ex = Eox sen ωt − 2π λ z E y = Eoy sen ωt − 2π . λ (18.16) 419 18.5 La polarizzazione della luce Le due vibrazioni in x ed in y sono in fase. Viceversa nel caso in cui Ex ed Ey abbiano fase diversa e ampiezza diversa, nel piano xy, ortogonale alla direzione z di propagazione dell’onda, si ha un’ampiezza che descrive un’ellissi nel tempo man mano che l’onda si propaga lungo la coordinata z (Figura 18.11). L’ellissi viene descritta in senso orario o antiorario a seconda del segno della differenza di fase tra le vibrazioni componenti. Un’onda elettromagnetica che risponde a queste caratteristiche è detta polarizzata ellitticamente. Quando l’ampiezza massima delle componenti sono uguali (Eox = Eoy), allora si ha la polarizzazione circolare. Il fenomeno della polarizzazione della luce ha importanti applicazioni strumentali in Biologia e in Medicina, trattate nel Capitolo successivo. Passiamo ora in rassegna alcuni metodi per ottenere onde polarizzate. x E O z y E Ey O Ex Figura 18.10 Il campo elettrico E, avente direzione obliqua rispetto all’asse x (oppure y), viene scomposto in due vibrazioni Ex ed Ey. Se queste sono in fase, l’onda è polarizzata rettilineamente, altrimenti si ha una polarizzazione ellittica o circolare a seconda che le ampiezze delle componenti siano diverse oppure uguali. Il campo magnetico, non mostrato per semplicità grafica, è sempre orientato ortogonalmente a E. y Figura 18.11 Propagazione di un’onda elettromagnetica polarizzata ellitticamente. Il vettore E ruota intorno all’asse z. Il vettore B, non mostrato per semplicità grafica, ruota di conserva mantenendosi sempre ortogonale a E. Se le componenti in x ed in y di E hanno uguale ampiezza massima, la polarizzazione è circolare. 18.5a La polarizzazione per emissione e assorbimento selettivo: il polaroid Il polaroid è una sostanza sintetizzata nel 1938 da E.H. Land, costituita da un foglio di plastica composto da lunghe catene parallele di idrocarburi. Il foglio viene prima stirato in modo da allineare le molecole e poi immerso in una soluzione contenente iodio: il bagno attacca gli idrocarburi e fornisce loro degli elettroni di conduzione che possono muoversi solo nella direzione lungo le catene. Quando la luce attraversa una lastra di polaroid, la componente del campo elettrico parallela alle catene viene assorbita, poiché solo lungo quella direzione gli elettroni soggetti al campo elettrico possono oscillare, assorbendo così l’energia trasportata dall’onda (§ 14.13). La componente normale alle catene, invece, passa indisturbata. Dunque se E è ortogonale alle catene di idrocarburi viene trasmesso, mentre nel caso sia parallelo viene assorbito, con la conseguenza che luce non polarizzata del tipo di Figura 15.31a, dopo aver attraversato il polaroid risulta essere polarizzata col piano di polarizzazione parallelo alle catene di idrocarburi (Figura 18.12a). Disponendo di due polaroid uno di fronte all’altro con le catene ortogonali fra loro, si ottiene il completo assorbimento della luce non polarizzata che li attraversa: infatti mentre il primo polaroid la polarizza lungo una direzione, la disposi- x Polarizzazione ellittica e circolare 420 CAPITOLO 18 y y x E Ottica fisica e Ottica geometrica zione del secondo assorbe tutta la luce così polarizzata (Figura 18.12b). Se l’angolo Q fra le catene del primo polaroid (polarizzatore) e quelle del secondo (analizzatore) è diverso da 90°, l’intensità luminosa oltre l’analizzatore è diversa da zero e risulta data dalla legge di Malus: x Iuscita = Iingresso cos2Q . (18.17) a) Questa legge permette di effettuare misure precise dello stato di polarizzazione della luce sfruttando appunto le proprietà dei polaroid o di lamine di composti organici similari. 18.5b La polarizzazione per riflessione b) Figura 18.12 (a) Un raggio di luce non polarizzata, col vettore campo elettrico diretto casualmente in tutte le direzioni, incide sulla lamina di polaroid da cui emerge luce polarizzata rettilineamente, con E diretto ortogonalmente alla direzione delle catene organiche della lamina. (b) Due polaroid con le catene organiche parallele lasciano passare luce polarizzata, mentre due polaroid, con le catene disposte a 90° una rispetto all’altra, assorbono completamente la luce che li attraversa. Quando un fascio luminoso incide su di una lastra di vetro, viene in parte riflesso e in parte rifratto, secondo le note leggi dell’Ottica geometrica. Se scomponiamo il campo elettrico dell’onda incidente, non polarizzata, nelle due componenti, una E// parallela al piano di incidenza e l’altra E⊥ perpendicolare a esso come mostrato in Figura 18.13a, dove il piano di incidenza è il piano della figura, le due componenti vengono riflesse in modo diverso a seconda dell’angolo di incidenza. L’onda riflessa risulta essere parzialmente polarizzata; essa è totalmente polarizzata solo quando l’angolo fra il raggio riflesso e quello rifratto è di 90°. In questa condizione si ha 90° – rˆ + 90°–iˆ = 90°, cioè iˆ + rˆ = 90°, per cui la legge di rifrazione diventa: sen iˆ sen iˆ sen iˆ n12 = = = (18.18) sen rˆ sen 90° − iˆ cos iˆ ( ) da cui iˆ = artg n12 ≡ iˆB . (18.19) Questo angolo di incidenza, che dà luogo a un raggio riflesso totalmente polarizzato, con E ortogonale al piano di incidenza, prende il nome di angolo di Brewster iˆB (Figura 18.13b). Figura 18.13 (a) Un raggio di luce non polarizzata incide su una superficie di vetro con un angolo di incidenza pari all’angolo di Brewster iˆB (in questo caso l’angolo tra il raggio riflesso e quello rifratto è di 90°). La luce riflessa risulta polarizzata con E diretto parallelamente alla superficie, cioè ortogonale al piano della figura (cerchi rossi). Anche il raggio rifratto è polarizzato, con E diretto parallelamente al piano della figura (frecce). (b) Rappresentazione in tre dimensioni della polarizzazione per rifles- luce trasmessa, vettore E parallelo al piano di incidenza E E E B B B 90° luce naturale incidente a) E b) luce riflessa, vettore E perpendicolare al piano di incidenza 421 18.5 La polarizzazione della luce ESEMPIO 18.4 Polarizzazione per riflessione La luce solare riflessa da un lago completamente calmo è completamente polarizzata. Con che angolo la luce incide sul lago? n iˆ = iˆB = artg n12 = artg 2 = artg 1.332 = 53.10°. n1 Soluzione Poiché l’indice di rifrazione dell’aria è praticamente n1 = 1 e quello dell’acqua è n2 = 1.332, il raggio riflesso è polarizzato quando (18.19): Per questo angolo d’incidenza la luce sarà completamente polarizzata orizzontalmente, cioè perpendicolarmente al piano d’incidenza (Figura 18.12). 18.5c La polarizzazione per doppia rifrazione: il prisma di Nicol Quando un raggio di luce si propaga all’interno di un materiale, non sempre le caratteristiche del mezzo sono identiche in tutte le direzioni, cioè il mezzo non sempre è isotropo. Il quarzo ne è un esempio: in esso un raggio di luce si propaga con velocità diverse a seconda se il campo elettrico è parallelo all’asse ottico oppure a esso ortogonale (Figura 18.14). Poiché si hanno due differenti velocità di propagazione, vi sono anche due diversi indici di rifrazione: si ha così il fenomeno della birifrangenza. Il raggio incidente viene cioè diviso in due: un raggio ordinario e uno straordinario, entrambi polarizzati rettilineamente. A seconda del materiale birifrangente, uno dei due raggi, quello più veloce, viene rifratto meno dell’altro. Mediante il prisma di Nicol, illustrato in Figura 18.15, il raggio ordinario viene eliminato per riflessione totale, ottenendo un singolo raggio polarizzato (il raggio straordinario). Questo dispositivo è composto da due prismi brifrangenti (calcite, quarzo) incollati in genere con balsamo del Canadà, che possiede un indice di rifrazione intermedio fra quelli corrispondenti al raggio ordinario e al raggio straordinario nella calcite. La superficie di separazione tra i due prismi ha una angolazione tale da eliminare completamente il raggio ordinario per riflessione totale. Il prisma di Nicol fornisce così un fascio polarizzato, fungendo da polarizzatore (prisma polarizzatore). Se ora lungo il fascio si interpone un secondo Nicol, esso viene attraversato dallo stesso fascio polarizzato se i due Nicol sono disposti con le sezioni principali parallele; se esse sono invece incrociate, il raggio che ha attraversato il primo Nicol viene estinto dal secondo. Quest’ultimo viene chiamato analizzatore, poiché consente di individuare il piano di polarizzazione del fascio polarizzato che lo investe. Chiamato Q l’angolo fra le sezioni principali dei due Nicol, si applica anche a essi la legge di Malus (18.17). Prisma di Nicol Figura 18.14 S A O B asse ottico In un cristallo di calcite la luce non polarizzata subisce una doppia rifrazione in cui si produce un raggio ordinario O, polarizzato con E normale al piano della figura, ed un raggio straordinario S, polarizzato con E parallelo al piano della figura. Tale piano, individuato dalla direzione di incidenza e dall’asse ottico, è chiamato sezione principale. 422 CAPITOLO 18 Figura 18.15 Ottica fisica e Ottica geometrica direzione dell'asse ottico Il prisma di Nicol consente di eliminare il raggio ordinario mediante riflessione totale sul collante (balsamo del Canadà) che unisce i due prismi di calcite. Si ottiene quindi un raggio straordinario polarizzato. La sezione principale coincide con il piano della figura. balsamo del Canadà calcite raggio straordinario polarizzato raggio ordinario totalmente riflesso e polarizzato 18.6 LA LUCE COERENTE Abbiamo visto nel § 15.9 che la coerenza è un requisito necessario affinché possa verificarsi il fenomeno dell’interferenza. Vogliamo qui chiarire in che modo è possibile ottenere la coerenza di raggi luminosi. La luce proveniente dalle normali sorgenti luminose, ad esempio il filamento di una lampadina, viene emessa in seguito alle transizioni tra i livelli energetici degli atomi costituenti la sorgente. Come vedremo nel Capitolo 21, l’emissione avviene per treni d’onda, cioè “pezzi” di onde elettromagnetiche, la cui fase reciproca cambia in continuazione in modo del tutto casuale: la luce è pertanto incoerente e non può dar luogo a frange d’interferenza. Per ottenere raggi coerenti, la cui differenza di fase resti cioè costante nel tempo, si può far interferire un raggio con se stesso, creandone una copia mediante riflessione: in questo modo i treni d’onda interferiscono con se stessi e la coerenza è assicurata. Come abbiamo visto, una condizione simile si presenta nella diffrazione. Un modo semplice per ottenere la luce coerente è sfruttare l’emissione stimolata di radiazione luminosa da parte di un dispositivo laser (§ 22.6): infatti un’importante proprietà della radiazione emessa da un laser consiste appunto nella sua coerenza, determinata dalla notevole lunghezza dei treni d’onda, tale da consentirne facilmente l’interferenza con se stessa o con altri raggi laser. 18.7 Ottica geometrica IL DIOTTRO In questo e nei paragrafi che seguono vengono descritte le basi dell’Ottica geometrica, in cui si utilizzano le proprietà di riflessione e di rifrazione dei fenomeni luminosi, considerando la lunghezza d’onda della luce molto piccola rispetto alle dimensioni dei sistemi ottici utilizzati. Nell’Ottica geometrica sono allora valide le seguenti leggi e principi: a) in un mezzo omogeneo la luce si propaga in linea retta; b) il percorso o l’intensità di più raggi luminosi non variano, anche se i raggi si incrociano; c) la traiettoria seguita dai raggi luminosi è indipendente dal verso di propagazione; 423 18.7 Il diottro d) un raggio luminoso per andare da un punto a un altro segue sempre il percorso che richiede il minor tempo (principio di Fermat). Poiché i sistemi ottici in Medicina ed in Biologia consistono prevalentemente di elementi con diverso indice di rifrazione e attraversati dalla luce, ci occuperemo nel seguito della rifrazione su superfici di separazione tra mezzi diversi, tenendo presente tuttavia che un’impostazione del tutto analoga può essere sviluppata anche per le superfici riflettenti (specchi, § 18.10). Due mezzi otticamente distinti, aventi cioè indici di rifrazione diversi, separati da una superficie, costituiscono un diottro. Se la superficie di separazione è una calotta sferica, il sistema prende il nome di diottro sferico. Esso costituisce uno dei più semplici sistemi ottici. Quando un sistema ottico fornisce di un punto luminoso P un’immagine puntiforme P9, cioè quando tutti i raggi uscenti da P si incontrano in P9, dopo aver subito rifrazioni o riflessioni imposte dal sistema ottico (Figura 18.16), esso è detto stigmatico. Il diottro sferico è un sistema ottico stigmatico solo sotto certe approssimazioni. Nella Figura 18.17 è mostrato lo schema di un diottro, dove V è il vertice del diottro, l’asse p-q è chiamato asse ottico, C è il centro ed R il raggio di curvatura della calotta sferica, mentre n1 è l’indice di rifrazione assoluto dello spazio oggetto e n2 quello dello spazio immagine. Per convenzione si usa l’asse p (coordinata dello spazio oggetto) orientato verso sinistra per misurare le distanze tra V e gli oggetti e l’asse q (coordinata dello spazio immagine) orientato in senso opposto per misurare le distanze tra V e le immagini. Inoltre si conviene di assumere il raggio R positivo quando la calotta rivolge la propria convessità allo spazio oggetto (come in Figura 18.17) e negativo nel caso opposto. Supponiamo ora di considerare un diottro che soddisfi le seguenti condizioni, note come approssimazioni di Gauss: P' P Figura 18.16 Sistema ottico stigmatico: da un oggetto puntiforme P si ottiene un’immagine puntiforme P9. Approssimazioni di Gauss a) l’ampiezza della calotta sferica su cui incidono i raggi provenienti dall’oggetto sia piccola rispetto al raggio di curvatura; b) tutti i raggi provenienti dall’oggetto formino angoli piccoli con l’asse ottico (raggi parassiali). Nei limiti di queste approssimazioni il sistema è stigmatico e si può stabilire una relazione tra la distanza p di un punto oggetto P posto sull’asse ottico e la distanza q del punto immagine P9, relazione che non dipende dall’angolo d’incidenza iˆ del raggio uscente da P. Applicando le leggi della rifrazione alla Figura 18.17 si ottiene: n1 sen iˆ = n 2 sen rˆ. Figura 18.17 n1 r h a p (18.20) n2 R P' b P V asse ottico aria T C oggetto vetro g q immagine Un raggio proveniente dal punto P posto sull’asse ottico (coordinata p) si rifrange sul diottro sferico e interseca l’asse nel punto P9 di coordinata q nello spazio immagine. 424 CAPITOLO 18 Ottica fisica e Ottica geometrica D’altra parte, essendo iˆ = α + β , abbiamo: sen iˆ = sen(α + β ) = sen α cos β + sen β cos α sen rˆ = sen(β – γ ) = sen β cos γ – sen γ cos β . (18.21) (18.22) Per raggi parassiali gli angoli a, b e g si possono considerare piccoli per cui: cos α ≈ cos β ≈ cos γ ≈ 1 (18.23) e, per la prima approssimazione di Gauss, possiamo porre VT ≈ 0 , per cui risulta: sen α ≈ h h h , sen β ≈ , sen γ ≈ . p R q (18.24) Sostituendo le (18.21) e (18.22) nella (18.20), semplificate come indicato dalle (18.23) e (18.24), si ottiene la relazione cercata: n1 n 2 n 2 − n1 + = , p q R Formula dei punti coniugati che prende il nome di formula dei punti coniugati. Sempre nei limiti delle approssimazioni di Gauss, si potrebbe dimostrare che i punti immagine dei punti che appartengono a un oggetto posto in un piano perpendicolare all’asse ottico, giacciono in un piano immagine perpendicolare all’asse ottico. In pratica, dato un sistema ottico (il diottro in questo caso), la conoscenza di pochi punti, chiamati punti principali, permette di costruire l’immagine di un qualsiasi oggetto. Per il diottro i punti principali sono il centro C della curvatura e i fuochi del diottro. Il centro di curvatura C (Figura 18.17) ha la proprietà che qualsiasi raggio di luce proveniente dallo spazio oggetto e passante per C non subisce deviazioni nell’attraversare la calotta sferica. Il secondo fuoco F2 del diottro è invece il punto in cui convergono tutti i raggi luminosi provenienti dallo spazio oggetto parallelamente all’asse ottico. Il secondo fuoco è quindi l’immagine di un punto posto all’infinito, come mostrato in Figura 18.18, dove viene mostrata la costruzione dell’immagine di un oggetto. Figura 18.18 Le posizioni del primo fuoco F1 e del secondo fuoco F2 sono ottenute con raggi luminosi provenienti rispettivamente dall’infinito dello spazio immagine e dall’infinito dello spazio oggetto. Viene mostrata la costruzione di un’immagine (una freccia rossa): i raggi paralleli all’asse ottico passano per il fuoco F2, mentre non sono deviati i raggi passanti per il centro C del diottro sferico (ortogonali al diottro). (18.25) n2 n1 asse ottico F1 F2 V spazio oggetto C spazio immagine f1 f2 425 18.7 Il diottro Viceversa il primo fuoco F1 è il punto sull’asse ottico nello spazio oggetto, la cui immagine è il punto posto all’infinito. Le distanze focali f 1 e f 2 di un diottro dipendono dunque dalle sue caratteristiche. Imponendo nella (18.25) che l’oggetto si trovi all’infinito, cioè per p → q, la distanza q a cui si forma l’immagine è la distanza focale del secondo fuoco: n 2 n 2 - n1 = , q R (18.26) da cui per definizione: f 2 = lim q = p →∞ n2R . n 2 – n1 (18.27) Analogamente si può definire la distanza focale del primo fuoco imponendo nella (18.25) che l’immagine si formi all’infinito, cioè ponendo q → q : f1 = lim p = q →∞ n1R . n 2 – n1 (18.28) Dividendo membro a membro le (18.27) e (18.28) si ottiene la relazione: f 1 n1 = f 2 n2 (18.29) che lega le distanze focali di un diottro agli indici di rifrazione costituenti il diottro stesso. Anche la formula dei punti coniugati assume una forma particolarmente significativa utilizzando le (18.27) e (18.28). Infatti dividendo la (18.24) per (n2 – n1)/R, risulta: 1 n2 1 n1 R+ R = 1, p n 2 − n1 q n 2 − n1 (18.30) f1 f 2 + = 1. p q (18.31) da cui segue Nel caso di un diottro piano (R → q), l’espressione (18.25) diventa: n1 n 2 + = 0, p q (18.32) per cui se esaminiamo, attraverso una superficie piana, da un mezzo più rifrangente, un oggetto posto in un mezzo meno rifrangente (n2 > n1), l’immagine dell’oggetto risulta essere situata nel punto di coordinata: q=− n2 p, n1 (18.33) cioè si trova dalla stessa parte dell’oggetto, ma allontanata del rapporto fra gli indici di rifrazione. Per questa ragione i pesci osservano i pescatori sulla riva a una Distanze focali 426 CAPITOLO 18 Ottica fisica e Ottica geometrica distanza 1.33 volte maggiore rispetto alla distanza effettiva (essendo appunto 1.33 il rapporto tra gli indici di rifrazione dell’acqua e dell’aria). Al contrario, se osservata da un mezzo meno rifrangente, l’immagine dell’oggetto, che si trova in un mezzo più rifrangente (n2 < n1), risulterà avvicinata dello stesso rapporto. Così, per chi osserva da sopra l’acqua, il fondo di una piscina appare avvicinato di un fattore 0.75 rispetto alla distanza reale (essendo 0.75 = 1/1.33). Poiché nella realtà le approssimazioni di Gauss sono soddisfatte solo in parte, l’immagine di un punto luminoso non risulta puntiforme, ma, come vedremo nel § 18.9, presenta diversi difetti, chiamati aberrazioni. 18.8 a) b) c) d) e) f) Figura 18.19 Vari tipi di lenti: (a) biconvessa, (b) piano-convessa, (c) convesso-cava (più spessa al centro), (d) biconcava, (e) piano-concava, (f) concava convessa (più spessa all’estremità). LE LENTI SOTTILI Dalle considerazioni svolte per i diottri discende, come caso particolare, lo studio delle lenti sottili. Una lente sferica infatti può essere considerata un sistema ottico centrato (con i centri sull’asse ottico) costituito da una successione di due diottri. Si definisce lente sottile una lente avente spessore trascurabile rispetto ai raggi di curvatura e rispetto al diametro delle calotte sferiche che la delimitano. Ogni lente sottile possiede un punto, chiamato centro ottico, che gode della proprietà per la quale tutti i raggi passanti per esso non mutano direzione nell’attraversare la lente. Se la lente sottile è immersa in aria, essa è assimilabile a due diottri: un primo diottro aria-vetro ed un secondo vetro-aria. In Figura 18.19 sono mostrate le diverse categorie di lenti sottili. Anche per una lente, come per il diottro, interessa conoscere la formula dei punti coniugati. Essa si ottiene semplicemente applicando due volte la formula dei punti coniugati del diottro, badando a scrivere correttamente i segni secondo la convenzione stabilita nel paragrafo precedente. Facciamo il caso, a questo proposito, di una lente sottile biconvessa con indice di rifrazione n2, immersa in un mezzo omogeneo avente indice di rifrazione n1 (Figura 18.20). Siano R1 e R2 i raggi di curvatura delle calotte sferiche delimitanti la lente, positivi quando la calotta ha concavità verso destra, negativi in caso contrario. Per il primo diottro si può scrivere: A Figura 18.20 Costruzione dell'immagine del punto P in seguito alla doppia rifrazione sul diottro aria-vetro (punto Q9) e sul diottro vetro-aria (punto Q). Il raggio parte da P, arriva in A, viene rifratto in Q9 sul diottro aria-vetro. Il punto Q9 (immagine nel vetro) diventa Q9 (oggetto nel vetro) e il raggio Q9A viene rifratto sul diottro vetro-aria nel raggio AQ . p q P C1 C2 n1 n2 Q' n1 q' p q R1 R2 Q 427 18.8 Le lenti sottili n1 n 2 n 2 − n1 + = . p q9 R1 (18.34) L’immagine a distanza q9 dal vertice, formata dal primo diottro, diventa a sua volta oggetto per il secondo diottro, e si trova nello spazio immagine di quest’ultimo. Si ha quindi: − n 2 n1 n1 − n 2 + = , q9 q R2 (18.35) con R2 negativo, secondo la convenzione stabilita sopra. Sommando membro a membro la (18.34) e la (18.35) si ottiene: n1 n1 1 1 , + = (n 2 − n1 ) − p q R1 R 2 (18.36) che, ponendo n = n2/n1, diventa la formula dei punti coniugati per le lenti sottili: 1 1 1 1 . + = (n − 1) − p q R1 R 2 (18.37) Formula dei punti coniugati Anche per le lenti sottili, come per i diottri, la conoscenza del centro ottico e dei fuochi caratterizza completamente la lente. Per una lente sottile il centro ottico coincide con il centro della lente e le distanze focali risultano uguali in valore assoluto. Infatti dalla (18.37). Calcolando i valori limiti di q per p → q e di p per q → q , si ottiene un’identica espressione: 1 1 1 1 1 = lim = lim = (n − 1) − . f p →∞ q q →∞ p R1 R 2 (18.38) Figura 18.21 Introducendo la (18.37) nella (18.36), la formula dei punti coniugati per le lenti sottili può essere riscritta nel modo seguente: 1 1 1 + = . p q f F (18.39) Si deve tener presente che per le lenti sottili valgono le stesse approssimazioni di Gauss applicate nel caso del diottro, e quindi le stesse considerazioni circa le aberrazioni. Dalle (18.38) e (18.39), si nota che l’azione di una lente dipende non solo dalla sua forma, ma anche dal rapporto n tra gli indici di rifrazione della lente e del mezzo. Ad esempio, una lente biconvessa, che è convergente, se posta in aria (cioè possiede una distanza focale positiva), diventa divergente nell’acqua (cioè la sua distanza focale è negativa), essendo n1 > n2. A seconda che la distanza focale f sia positiva o negativa, si distinguono infatti lenti convergenti o divergenti rispettivamente. Le lenti convergenti (f > 0) fanno convergere un fascio di raggi paralleli all’asse ottico in un punto F reale (Figura 18.21), mentre le lenti divergenti fanno divergere il fascio in modo che i prolungamenti dei raggi emergenti convergano in un punto F virtuale (Figura 18.22). In Tabella 18.3 sono riportate le caratteristiche generali per diversi tipi di lenti sottili. La posizione del fuoco di una lente convergente si ottiene con raggi luminosi provenienti dall'infinito dello spazio oggetto e paralleli all'asse ottico: esso risulta essere reale (il punto F si trova nello spazio immagine) e positivo. F Figura 18.22 La posizione del fuoco di una lente divergente si ottiene con raggi provenienti dall'infinito dello spazio oggetto e paralleli all'asse ottico: esso risulta essere virtuale (il punto F si trova nello spazio oggetto) e negativo. 428 CAPITOLO 18 Ottica fisica e Ottica geometrica Si definisce potere diottrico y di una lente l’inverso della sua distanza focale espressa in metri: y= Potere diottrico 1 . f (18.40) Il potere diottrico si misura in diottrie : ad esempio una lente di +5 diottrie è convergente con f = 1/5 m = 20 cm, mentre una lente di –2.5 diottrie è divergente con f = 1/2.5 m = 40 cm. ESEMPIO 18.5 Lente sottile in aria e in acqua Una lente di vetro con n = 1.5 è costituita da due superfici convesse. Se i rispettivi raggi di curvatura sono 10 cm e 20 cm, calcolare (1) la sua lunghezza focale nel caso la lente sia posta in aria e (2) nel caso essa si immersa in acqua. Soluzione (1) Secondo le convenzioni sui segni, R1 è positivo ed R2 è negativo e dalla relazione (18.38) abbiamo: ( ) 1 1 1 1 1 = = (n − 1) − = (1.5 − 1) − f 0.1 m 0.2 m R1 R 2 = 0.5 (10 + 5) m –1 = 7.5 m , –1 si ha R1 = 0.2 m e R2 = – 0.1 m e si ottiene lo stesso risultato: le proprietà della lente non cambiano. (2) Dato che l’indice di rifrazione dell’acqua è 1.332, abbiamo che n = n2/n1 = 1.125 per cui, ripetendo il calcolo eseguito sopra si ottiene: 1 1 1 1 1 = = (n − 1) − = (1.125 − 1) − f 0.1 m − 0.2 m R1 R 2 = 0.125 (10 + 5) m –1 ( = 1.875 m , –1 e quindi f = 0.533 m = 53.3 cm, cioè circa 4 volte la lunghezza focale della lente in aria. cioè f = 0.133 m = 13.3 cm. Si osservi che, se si rovescia la lente, ESEMPIO 18.6 Potere diottrico della cornea Calcolare il potere diottrico della cornea (R = 8 mm e n = 1.33) e del cristallino (R1 = 10 mm e R2 = 6 mm con n9 = 1.44) nell’occhio umano (vedasi Figure 20.1 e 20.2). Si assuma uguale a uno l’indice di rifrazione dell’aria. y= = 1 n −1 1 = = f2 n R 0.33 1 = + 31 diottrie. 1.33 8 ⋅ 10 −3 m Mentre per raggi provenienti dall’interno dell’occhio la cor- ( ) nea presenta un potere diottrico (dalla 18.28) di: y= 1 n −1 1 = − = f1 1 R = 0.33 Soluzione Per raggi provenienti dall’esterno dell’occhio, applicando la (18.27), si ottiene il potere diottrico della cornea per convergenza di: ) 1 = − 41 diotttrie. 8 ⋅ 10 −3 m ( ) ( ) Per il cristallino, applicando la (18.38) si ottiene: y= n9 1 1 1 = −1 − = f1 n R1 –R 2 1.44 1 1 + −1 10 ⋅ 10 −3 m 6 ⋅ 10 −3 m 1.33 = + 22 diottrie. = 429 18.8 Le lenti sottili TABELLA 18.3 LENTE Proprietà di diversi tipi di lenti sottili con n > 1 RAGGI FUOCO TIPO DI LENTE biconvessa R1 > 0 R2 < 0 f>0 convergente biconcava R1 < 0 R2 > 0 f<0 divergente piano* convessa R –1 R2 < 0 1 = 0 R1 > 0 R2–1 = 0 f>0 f>0 convergente convergente piano* concava R1–1 = 0 R2 > 0 R1 < 0 R2–1 = 0 f<0 f<0 divergente divergente f>0 f<0 convergente divergente concavo-convessa R1 > R2 R1 < R2 * Il piano è una superficie sferica di raggio infinito, il cui inverso è zero 18.8a Costruzione dell’immagine da una lente sottile Finora abbiamo considerato sorgenti puntiformi (oggetti) posti sull’asse ottico. Se la sorgente puntiforme è posta fuori dall’asse ottico, ma in punti abbastanza prossimi a esso, e se il fascio incidente è di piccola apertura, i raggi rifratti convergono ancora in un punto situato fuori dall’asse, formando un’immagine S9 di S, come mostrato in Figura 18.23. Per determinare graficamente il punto immagine, basta costruire due soli raggi rifratti, ad esempio quello parallelo all’asse, che si rifrange passando per il fuoco, e il raggio passante per il centro ottico, che prosegue senza cambiare direzione. Una sorgente estesa può pertanto essere costituita da un insieme di sorgenti puntiformi a ciascuna delle quali si possono applicare le considerazioni precedenti. A seconda della sua posizione rispetto alla lente si ottengono immagini differenti, come mostrato nel caso di una lente biconvessa in Figura 18.24 e biconcava in Figura 18.25. S F2 F1 C S' Figura 18.23 Costruzione dell'immagine S9 di un punto oggetto S posto fuori dall'asse ottico. Il punto C è il centro della lente. Costruzione di immagini B B' A F2 Figura 18.24 F1 A' a) B F2 b) A B' A' F1 Costruzione grafica dell'immagine A9B9 , relativa all'oggetto AB, fornita da una lente sottile divergente. Se l'oggetto si trova a una distanza: (a) maggiore della distanza focale della lente (p > f ) oppure (b) minore ( f < p < 0), l'immagine è sempre virtuale (con – f < q < 0), diritta e rimpicciolita (G < 1, si veda la (18.41)). 430 Figura 18.25 Costruzione grafica dell'immagine A9B9 , relativa all'oggetto AB , fornita da una lente sottile convergente. (a) Se l'oggetto si trova ad una distanza maggiore del doppio della distanza focale della lente (p > 2f ), l'immagine è reale (con f < q < 2 f ), capovolta e rimpicciolita (G < 1). (b) Se l'oggetto si trova ad una distanza pari al doppio della distanza focale della lente (p = 2 f ), l'immagine è reale (con q = 2 f ), capovolta e di uguale dimensione (G = 1). (c) Se l'oggetto si trova tra il fuoco ed il doppio della distanza focale (f < p < 2 f ), l'immagine è reale (con q > 2 f ), capovolta e ingrandita (G > 1). (d) Se l'oggetto si trova in corrispondenza del fuoco (cioè p = f ), i raggi emergono dalla lente paralleli (q = q ). (e) Se l'oggetto si trova ad una distanza minore della distanza focale (p < f ), l'immagine è virtuale (q < 0), diritta e ingrandita con G > 1. CAPITOLO 18 Ottica fisica e Ottica geometrica B A' F2 A C F1 B' a) B A' F2 A C F1 b) B' B A' A F2 C F1 c) B' B C A = F2 d) F1 immagine all’infinito B' B A' F2A C F1 e) Si definisce ingrandimento lineare G di una lente sottile il rapporto tra le dimensioni dell’immagine ( A9B9) e quelle dell’oggetto ( AB ) . Con semplici considerazioni geometriche, dalle Figura 18.24 e 18.25, e utilizzando la formula dei punti coniugati, si ottiene: 431 18.9 Difetti delle lenti: aberrazioni G= f q–f A9B9 q = = = . p p–f f AB (18.41) Qualora il sistema ottico sia composto da due lenti sottili a contatto, aventi distanze focali f 1 e f 2, esso equivale a una singola lente sottile la cui distanza focale è data dalla relazione: 1 1 1 = + . f f1 f 2 (18.42) Se il sistema ottico è composto da più lenti sottili separate, ciascuna di esse agisce indipendentemente, rispetto alle altre, nella costruzione dell’immagine e nell’ingrandimento. L’ingrandimento complessivo sarà dato dal prodotto degli ingrandimenti delle singole lenti. 18.9 DIFETTI DELLE LENTI: ABERRAZIONI Le lenti forniscono immagini puntiformi relative ad oggetti puntiformi solo quando sono verificate le approssimazioni di Gauss. In generale ciò non accade, sia perché le lenti sono in realtà spesse, sia perché i raggi di curvatura non sono perfettamente uguali in tutte le sezioni trasversali della lente. Inoltre, anche se l’immagine di un oggetto puntiforme risultasse puntiforme, l’immagine di un oggetto di dimensioni finite può venire distorta e il suo contorno apparire non ben definito a causa del fenomeno della dispersione della luce (che si verifica quando si usa luce non monocromatica). I vari difetti, che può presentare l’immagine fornita da una lente sferica, prendono il nome di aberrazioni. Nel seguito viene fornita una breve descrizione di ciascun tipo di aberrazione, nell’ipotesi ideale che esse si presentino singolarmente. Aberrazione sferica longitudinale. Si consideri una sorgente luminosa puntiforme S, posta sull’asse ottico di una lente (Figura 18.26). Se il fascio intercettato dalla lente ha un’apertura non piccola, perde di validità la prima approssimazione di Gauss e i raggi emergenti dalla lente non sono più focalizzati in un unico punto, ma in punti diversi a seconda dell’angolo che essi formano con l’asse ottico, come evidente in Figura 18.26. I raggi che incidono sulla zona centrale della lente sono focalizzati a maggiore distanza, quelli che incidono sulla zona periferica si incontrano a distanza minore dalla lente. Interponendo uno schermo ortogonale all’asse ottico nella zona fra FA e FB, si ottiene un cerchio luminoso circondato da Aberrazioni ottiche Figura 18.26 Cmc Aberrazione sferica longitudinale : i raggi sono focalizzati in punti diversi sull'asse ottico. Cmc rappresenta il cerchio di minima confusione, di raggio rmc. S FA FB 432 CAPITOLO 18 Ottica fisica e Ottica geometrica una corona circolare. Il cerchio di raggio rmc , o di minima confusione, è la migliore immagine del punto. L’aberrazione sferica può essere ridotta diaframmando opportunamente la lente (ossia utilizzandone la sola porzione in prossimità dell’asse ottico), nei limiti consentiti dall’intensità luminosa che si desidera convogliare attraverso la lente stessa. Si può rendere minima l’aberrazione sferica scegliendo opportunamente i raggi di curvatura delle superfici che delimitano la lente. Aberrazione sferica trasversale. Ha la stessa origine di quella longitudinale ed ha luogo per punti oggetto che si trovino fuori dall’asse ottico della lente. Astigmatismo. Si consideri una sorgente puntiforme S che non si trovi sull’asse ottico e che invii sulla lente un fascio molto inclinato rispetto all’asse (Figura 18.27a e b). In questo caso l’approssimazione di Gauss sulla parassialità dei raggi non è più soddisfatta e l’aberrazione che ne consegue va sotto il nome di astigmatismo. Esso è determinato dalla non perfetta sfericità della lente, per cui i raggi di curvatura di due sezioni ortogonali della lente non sono esattamente uguali. Figura 18.27 Astigmatismo: (a) i raggi appartenenti ad un piano contenente l'asse ottico e la sorgente (all'incirca il piano della figura) sono focalizzati al centro del segmento AB , mentre quelli appartenenti al piano ad esso ortogonale (all'incirca il piano ortogonale alla figura) sono focalizzati al centro del segmento A9B9 . (b), (c) Tra i due segmenti l'immagine è costituita da un dischetto ellittico o circolare: quest'ultimo è chiamato cerchio di minima confusione astigmatica Cmc. A' A B primo piano B' asse ottico S a) A' A Cmc B' B b) A' Cmc A B rmc c) B' 433 18.9 Difetti delle lenti: aberrazioni Pertanto, i raggi luminosi giacenti nel piano contenente l’asse ottico e la sorgente sono focalizzati in un punto (prima immagine, al centro del segmento AB ), mentre quelli appartenenti al piano ortogonale al precedente e passanti per S e per il centro ottico vengono focalizzati in un altro punto più lontano (seconda immagine, al centro del segmento A9B9 ). Considerando tutti i raggi provenienti dalla sorgente, si trova che tutti i raggi rifratti passano per un segmento AB , passante per la prima immagine e perpendicolare al primo piano, e poi per un altro segmento A9B9 , passante per la seconda immagine e giacente nel primo piano. Questi due segmenti sono detti segmenti focali di Sturms. Tra i due segmenti focali vi è un piano, perpendicolare all’asse ottico, in cui si ottiene, come immagine della sorgente, un dischetto, detto cerchio di minima confusione astigmatica, in quanto rappresenta l’immagine migliore corrispondente al fascio astigmatico (Figura 18.27c). Coma. Si consideri una sorgente puntiforme S posta fuori dall’asse ottico. Se i fasci, in cui si può pensare suddivisa la luce proveniente dalla sorgente, presentano dimensioni trasversali notevoli, rispetto alla dimensione della lente, e sono molto inclinati rispetto all’asse ottico, l’immagine che si ottiene di ciascuno di essi è confusa, spesso simile a quella di una cometa (da cui il nome dell’aberrazione). In Figura 18.28 sono mostrate le immagini, affette da coma, che sono raccolte su uno schermo utilizzando un diaframma provvisto di fori. S' D S' D Figura 18.28 Coma: le otto sorgenti circolari, lontane dall'asse ottico, ottenute dal diaframma D danno luogo alle otto immagini deformate sullo schermo S9, posto dietro alla lente. S Curvatura di campo. Questo tipo di aberrazione si verifica quando a ciascun punto di un oggetto piano corrisponde ancora un punto immagine, ma l’immagine complessiva che ne risulta è curva, invece che piana, come mostrato in Figura 18.29. Distorsione. Si tratta di un’aberrazione causata non dalla mancanza di nitidezza dell’immagine, ma dalla variazione dell’ingrandimento con la distanza dall’asse. Essa viene evidenziata illuminando un reticolo e proiettandone l’immagine con una lente di grande apertura (Figura 18.30). Nel caso di una lente in cui l’ingrandimento aumenta con il crescere della distanza dall’asse ottico, si ha la distorsione a cuscinetto, mentre nel caso opposto si ha quella a barilotto. Aberrazione cromatica. Abbiamo già visto, col fenomeno della dispersione della luce (§ 18.4), che l’indice di rifrazione cambia al variare della lunghezza d’onda della radiazione. Pertanto anche la distanza focale, per la relazione (18.30), è diversa per ciascuna delle radiazioni monocromatiche che compongono la luce bianca. Ne consegue che, quando sulla lente incide un fascio proveniente da una sorgente puntiforme di luce non monocromatica, ad esempio luce oggetto q immagine Figura 18.29 Curvatura di campo: l'immagine viene costruita per punti su una superficie curva e non piana.