Trascrizione a cura di Lorenzo Rocchiccioli Intervento di Ermanno Bencivenga Min. 28.52 Bene, buonasera a tutti. Io ringrazio Mauro per aver voluto questa serata, che mi sembra dalle premesse molto stimolante e molto suggestiva, ringrazio voi tutti di essere presenti così numerosi e spero anche attivi perché personalmente gradirei molto che a un certo punto questa cosa si trasformasse anche in una discussione, non soltanto in una serie di monologhi. E poi mi permetto anche di ringraziare ricordare la Casa della Cultura perché io qui nel 1986 ho fatto una delle mie prime presentazioni pubbliche, sulla rivoluzione copernicana di Kant: credo che forse sia stata almeno in Italia la mia prima presentazione pubblica non in ambito accademico quindi questo per me è un posto ricordato sempre con grande affetto. Allora, Mauro ha impostato il tema della comunità. Ha già dato il riferimento fondamentale di quello che di solito si oppone alla comunità, cioè l'individuo. Ha ricordato la famosa frase di Margaret Thatcher. Vorrei partire di qui per far vedere come al fondo del rapporto ambiguo e controverso fra individuo e comunità ci siamo scelte metafisiche fondamentali, che naturalmente sfuggono a quanti fra i nostri politici o teorici si inventano una nuova sinistra o una nuova politica durante un fine settimana. La comunità che Mauro descriveva prima, quella appunto sostenuta e propagandata dal neoliberismo è un aggregato, un accumulo di individui. Siccome parte di quello che farò qui sarà quello di farvi riflettere insieme sulle parole, la parola individuo è molto interessante perché Min. 31.30 – 35.28 l'individuo è un'entità indivisibile, un'entità atomica, un entità che non ha parti e struttura. Quindi prendiamo tanti di questi individui, li mettiamo insieme, magari li facciamo vivere in prossimità, li facciamo attuare degli scambi commerciali sentimentali o commerciali o altro ed in qualche modo essi costituiranno una comunità. Al fondo di questa nozione di individuo c'è sostanzialmente una visione cartesiana del soggetto, di un io cioè che è indipendente, autonomo e autoctono e generato esclusivamente da se stesso che ha un accesso assolutamente privilegiato alla propria natura e la propria realtà; nel senso che se vogliamo sapere cosa pensa dobbiamo chiederlo a lui perchè è lui l'autorità somma in questo senso ed è anche assolutamente trasparente a se stesso, cioè sa esattamente come vanno le cose a casa sua. Prendiamo tanti di questi individui, gli facciamo esprimere eventualmente il loro parere, che sono io ... "votare con i piedi" come si dice in America, per esempio comprare certe cose e mettersi in fila ordinatamente quando esce l'ultimo gadget elettronico e quindi sapremo qual è il desiderio portato da tutti questi individui. Allora io, vorrei non tanto dire che questa è una dottrina falsa dell'individuo e della comunità perché questo non è il mio mestiere, io di mestiere faccio filosofia e la filosofia ha lo scopo di contestare l'ovvio. Contestarlo offrendo visioni alternative e magari invitando le persone a dire: perché no? Potrebbe anche essere così. Poi la scelta di ciascuno su che cosa fare se io già proclamarsi ex cathedra che cosa è vero e cosa è falso, ancora una volta manifesterei un'autorità che non mi compete e non desidero. In tema di alternative vorrei suggerire una visione diversa, che non è mia ma già ben rappresentata andando indietro fino agli antichi greci. È quella che il cosiddetto individuo, che io preferisco chiamare soggetto perchè di individuale ed indivisibile, di atomico non ha proprio nulla, sia in realtà originariamente molteplice, cioè sia originariamente una somma di voci, di istanze, di progetti, di pareri, profondamente diversi gli uni dagli altri; che tutti, notate bene, vengono da fuori. Tutti sono il portato, il risultato di incontri. Il dentro è un certo modo di vivere il fuori, quindi io per esempio, il mio soggetto si porta dentro tutte le persone che hanno avuto un influsso su di me, che magari anche soltanto con un gesto, con un'espressione hanno saputo lasciare un'orma, una traccia dentro di me. Quindi all'inizio non c'è l'individuo, non c'è l'atomo è indivisibile, ma c'è invece la molteplicità. Potremmo dire che la comunità è originaria ma sarebbe troppo dire, perché questa molteplicità non è ancora comune, non è ancora venuta insieme come una sola cosa: "com - une", per questo ci vuole parecchio lavoro. Il fatto che ci sia una molteplicità vuol dire che fin dall'inizio, anche quella della soggettività è una situazione politica, perché quando si confrontano dei diversi si pone il problema politico del loro scambio e della gestione di tutti questi diversi scambi. Questo appunto, ben sapevano per esempio Platone e Aristotele, che ci danno una visione dell'anima umana come molteplice e che pongono chiaramente il problema politico di come questa molteplicità possa diventare una, di come si possa fare il lavoro che costruisce da tutte queste diverse voci, istanze, progetti eccetera, un singolo personaggio, una singola persona. Un anima unitaria sarebbe quella che Aristotele chiama un'anima virtuosa, e qui ovviamente entra una prima parola etica che per me è molto importante, e che cercherò di sollevare ancora in quello che segue. La comunità come noi la intendiamo di solito, cioè l'insieme di tanti esseri umani che convivono insieme, non è altro che una molteplicità di questi esseri che sono a loro volta molteplici e sia Platone Aristotele capiscono benissimo che la struttura interna di quegli abitanti della Comunità, di quei membri della comunità, risponde perfettamente alla struttura politica della comunità stessa, che ogni stato educa cittadini a propria immagine e somiglianza. Quindi se leggete la Repubblica o l'etica Nicomachea o la politica di Aristotele, vi verrà detto che uno stato tirannico educherà cittadini con una struttura psicologica tirannica, uno stato oligarchico educherà cittadini con una struttura psicologica oligarchica e lo stesso per strutture democratiche o le strutture che ovviamente Platone e Aristotele preferisco cioè quelle che loro chiamano aristocratiche, che non hanno niente a che vedere con la nobiltà di casato o sangue ma invece con la nobiltà etica, cioè con la virtù. Quindi il problema politico della soggettività, diventa il problema politico della comunità intesa in senso tradizionale e viceversa; i due temi sono assolutamente connessi. Min. 38.54 E allora come vorremmo vedere una comunità sia interna sia esterna? Come vorremmo vedere la struttura della nostra anima e la struttura del nostro ambiente sociale? Ovviamente abbiamo tante scelte, io le ho citate prima, quelle della riflessione di filosofia politica tradizionale. Potremmo avere una struttura tirannica sia all'interno sia all'esterno in cui una sola istanza si arroga l'intero potere e silenzia, tacita e reprime tutte le altre, al punto di non riconoscerle così che quando si fanno vive si faranno vivere in modo persecutorio, cioè questa persona sentirà delle voci che non riconosce, perché ovviamente vengono da sé ma le ha represse e negate e quindi le sentirà come minacciose e pericolose. Oppure potremmo aver un piccolo congresso di oligarchi che decidono di reprime tutti gli altri, con risultati analoghi. Oppure potremmo avere una struttura veramente democratica, nella quale ciascuna delle voci che costituiscono una soggettività, ciascuna delle voci che costituiscono una collettività, si riconoscono l'una nell'altra, si sentono rappresentate l'una dall'altra: quando l'una parla, l'altra sente che sta parlando anche a nome suo. In questo modo si stringe veramente quel legame che costituisce una persona e che costituisce uno stato o una collettività. Come fare questa operazione? Per brevità io mi limito soltanto a questi due autori. Platone e Aristotele hanno due pareri molto diversi. Platone guarda per esempio alla famiglia tradizionale, vede che sono tutti molto uniti allora pensa di distruggere la famiglia tradizionale e di ricostituire lo stato come una gigantesca famiglia, in cui tutte le persone di una certa età guardano tutte le altre persone di altre età come a fratelli, madri, padri, figli eccetera. Operazione ovviamente può essere considerata ed è stata considerata, io stesso la considero mostruosa. Min. 41.40 – 42.14 Aristotele ha un opinione molto più benevola ed umana. Lui ritiene che esiste una comunità sia interna, sia esterna, nella misura in cui i membri di questa comunità siano associati da quella che lui chiama filia. L filia è uno dei modi in cui gli antichi greci parlavano di amore. Non è l'eros, l'amore erotico, ma "il voler bene", letteralmente il volere il bene l'uno dell'altro. Questo voler bene può essere basato sulle cose più diverse, può essere basato sul fatto che stimiamo rispettiamo l'altro, oppure semplicemente traiamo piacere dalla sua vicinanza, oppure abbiamo dei rapporti di interesse l'uno con l'altro; però attenzione, anche in quest'ultimo caso, non è pura e semplice manipolazione: è autentica cura, è autentica sollecitudine e Aristotele ci insegna che se non c'è questa cura e questa sollecitudine in una comunità, se le persone in certa misura, non certamente tutti con tutti ma tutti si spera con qualcuno così, da costituire una rete che in qualche modo tenga, se le persone non hanno questa rete, il fatto di vivere in prossimità gli uni con gli altri, il fatto di avere contratti commerciali o scambi di altro genere, non rende questa una comunità più di quanto la renda un mucchio di stracci, un cumulo di spazzatura. Anche quello in un certo senso è un qualcosa, ma un qualcosa senza struttura e senza dignità. Se queste sono le due alternative che almeno in termini molto generali, molto rudimentali, si confrontano nello scontro che Mauro prima segnalava, noi possiamo capire qual è la nostra scelta e possiamo appunto decidere da che parte stare. è chiaro che quella di spezzarci esternamente, e poi anche internamente è un'operazione funzionale alla distruzione della comunità. è chiaro che quando tutti noi saremo ridotti al rango di essere individui soli davanti a uno schermo a fare shopping, quella sarà effettivamente la fine del progetto platonico - aristotelico. Se vogliamo fare questo siamo liberi di farlo evidentemente, ma un gruppo di persone come quelle che vedo sta sera che a quest'ora si sono riunite in quest'aula per dialogare su questi temi, evidentemente ha altri progetti e altri ideali. Min. 45.00 – 50.09A queste persone voglio dire che c'è da combattere una grossa battaglia e questa battaglia non si svolge soltanto nei classici termini della politica istituzionale, si svolge anche in quelli che io ho detto, ho chiamato, in uno dei miei libri "parole che contano" che è uscito da Mondadori credo nel 2004, "una lotta sul piano semantico". Ci sono tutta una serie di parole, che la posizione alla quale io mi oppongo e che per carità non voglio dire sia falsa ma è senz'altro quella che non condivido, questa posizione se n'è appropriata di queste parole e a questo punto mi rende molto difficile poterle utilizzare. Quelle parole sono anche mie e io me le voglio tenere ed io sono disposto a combattere per tenermele. Prendiamo anche soltanto questa parola: neoliberismo ha usato. Dentro o liberismo, che Mauro c'è la parola libertà, allora che cosa vuol dire? Vuol dire che io devo abbandonare la parola libertà a questa posizione che avverso? Sulla parola libertà si è combattuta e si combatte una grande battaglia. Io vivo negli Stati Uniti ormai da quasi 40 anni e ovviamente ricordo benissimo i famosi "combattenti per la libertà" di Ronald Reagan, banditi sanguinari che cercavano di mantenere il predominio delle multinazionali americane in America Centrale, massacrando contadini, bruciando villaggi, eccetera ... ed erano i combattenti della Libertà. Allora se io mi oppongo ai combattenti della libertà, come mi devo chiamare? Il liberale? Ma per carità! Io voglio riprendermi quella parola e darle una semantica diversa, quindi fra le tante battaglie che non dobbiamo combattere c'è anche questa. Vi faccio altri esempi, mi sono annotato qui una serie di cose mentre Mauro parlava e voglio farvi un altro esempio delle battaglia analoghe che potremmo e forse dovremmo combattere. Economia: si dice che imperversa il dominio dell'economia. Cos'è l'economia? Bene, l'economia sarebbe il "nomos dell'Oikos", cioè sarebbe la ragionevolezza, la razionalità, la legalità, la legge del nostro ambiente vitale. Se vuoi leggete l'economia di Aristotele, testo probabilmente apocrifo ma che comunque riflette dottrine aristoteliche, ci trovate tante indicazioni, tanti consigli, su come organizzare la vostra casa. Se vuoi pensate a dove nella conversazione contemporanea, la parola economia è ancora usata in questo modo, vi trovate di fronte al contesto assolutamente svalutato, assolutamente deriso e reso insignificante sul piano culturale dell'economia domestica. Eppure anche quella è economia. Anche saper gestire con sapienza e con grazia il proprio ambiente vitale è l'economia, forse è l'economia più importante. Ovviamente quando la parola economia viene appropriata da interessi puramente finanziari, nel vuoto che così si viene a stabilire s'insinuano nuove parole che comunque devono esprimere quel concetto, non si può lasciarlo muto; parole come ecologia, o parole come altre, e va benissimo, possiamo anche usare parole nuove, però non dobbiamo necessariamente abbandonare anche le parole della nostra tradizione, non dobbiamo lasciare che siano gli altri il nostro dizionario. Ho appena usato la parola interesse. Nel mio libro “manifesto per un mondo senza lavoro” parlo molto di questa parola, è una bellissima parola, perché ci spiega semplicemente essendo menzionata, essendo pronunciata, che il nostro essere il nostro essere è "inter", in uno spazio fra l'uno e l'altro, in uno spazio di scambio, ci invita a un essere che è intimamente sociale, intimamente comunicativo, intimamente di scambio. E invece cosa abbiamo fatto di questa parola? Quando Mauro diceva prima che secondo il filosofo economista, noi siamo guidati dai nostri interessi? Che cosa voleva dire questo? O quando dice che noi siamo tutti egoisti? Che cosa vuol dire questo? Vuol dire che io sono egoista quando adotto nei miei confronti una pratica psicologica autodistruttiva? Vuol dire che io sono egoista quando mi riservo il peggio che l'essere umano possa offrire a se stesso? O vuol dire invece che io sono egoista, cioè veramente interessato al bene dei mio Io, quando passo le serate con voi o con altre persone come voi, quando mi "interesso" di quello che c'è, in veri, autentici,scambi tra persone umane. Tutte queste parole vanno riprese, vanno riconquistate, sono degne di questo nostro sforzo. Dietro la parola economia c'è ovviamente la parola razionalità, perchè l'uomo Oeconomicus di cui parlava prima dovrebbe essere un essere un uomo profondamente razionale. Poi voi leggete appunto che cosa vuol dire razionalità, per queste teorie, non per queste scienze, perché all'interno di una scienza come l'economia ci sono tante diverse dottrine, tante diverse teorie, quindi qui stiamo parlando semplicemente della teoria o delle teorie dominanti, non della scienza economica. Delle teorie che in questo momento fanno la voce più grossa. E allora come si esprimono queste teorie della razionalità? Come si esprime questo homo oeconomicus che razionalmente è sempre guidato interesse dal proprio interesse? Probabilmente molti di voi avranno sentito parlare del dilemma del prigioniero; è una situazione nella quale due persone, siccome non si fidano assolutamente l'una dell'altra, si fregano reciprocamente e finisco per stare il peggio possibile. Non è quello che facciamo tutti facendo il nostro interesse?Praticando il nostro egoismo? Siamo egoisti interessati o fessi? Allora, io sono un kantiano. Qualche volta dico anche, solo un kantiano devoto. Siccome non ho un credo religioso, Kant è il mio nome tutelare. Per Kant la razionalità è apertura all'altro, cioè Kant mi dice di ubbidire l'imperativo categorico e cos'è l' imperativo categorico? L'imperativo categorico mi dice: agisci secondo una regola, una norma, della quale puoi pensare che sia un principio universale; il che vuol dire che se io agisco in base a una regola qualsiasi e chiunque vieni a dirmi "stai attento! Perchè il tuo agire manifesta un limite personale del quale forse non sei consapevole" quindi non è universale, per esempio lascia fuori me: io devo prenderlo sul serio, perché se ha ragione lui, allora la mia azione non rispetta l'imperativo categorico. Quando parliamo di razionalità rendiamoci conto che c'è un'ampia scelta, c'è la razionalità di chi si taglia le palle da solo e c'è la razionalità di chi invece vede nel rapporto con l'altro, nell' apertura all'altro e quindi nel superamento di ogni possibile limite personale, la vera forma di nazionalità. C'è da scegliere, non voglio dire che una cosa sia vera e l'altra sia falsa. Forse anche soltanto dal mio tono e dalle mie espressioni talvolta colorite avrete capito da che parte sto. L'economia si autoregola, che cosa vuol dire questo? Certo che l'economia si autoregola, il mercato si autoregola, assolutamente vero. Il problema è autoregolarsi per quale scopo? Darwin notoriamente, fu influenzato nello scoprire il meccanismo dell'evoluzione naturale, dalla lettura di un economista: Malthus. Dopodiché cosa succede? Una volta che l'evoluzione si è sedimentata come scienza hard e piena di autorevolezza, l'economia ritorna indietro, si riprende quello che gli ha dato e ci convince che quello è il modo giusto di autoregolarsi. Ma, facciamo un attimo di riflessione veramente un attimo. Ci si dice ed è vero che secondo la teoria dell'evoluzione, sopravvive l'organismo meglio adattato. Una cosa che però raramente si nota, è che adattato è un aggettivo che ha bisogno di un parametro: adattato a che cosa?